GHEDDAFI, IL LEONE SDENTATO

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DI SHERIF EL SEBAJE
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Ho riascoltato poco fa un vecchio discorso di Gheddafi che mi ha colpito per la lucidità dell’analisi proposta. Rivolgendosi ai leader arabi, tra i quali si distingueva un Zinnedine Ben Ali visibilmente divertito, Gheddafi affermava: “Questo mondo cosiddetto civile (occidentale, ndr) è in realtà un mondo aggressivo, barbaro, arretrato, infimo. E’ all’origine di tutte le catastrofi dell’umanità. E’ stato quel mondo a provocare la prima guerra mondiale, la seconda, le crociate e sta ancora portando avanti delle guerre per distruggere l’umanità. Chi ha ucciso decine di milioni di esseri umani, nelle precedenti guerre? Proprio questo mondo che si pasce di civiltà. E’ un mondo arretrato, dove non comandano i popoli ma le autorità ricattatrici, razziste, che vivono nell’odio. I popoli europei non vogliono fare la guerra. Né in Palestina né in Libia. E nemmeno il popolo francese vuole combattere in Algeria e Tunisia. Ma le sfere del potere che controllano quei paesi, seguendo la teoria della violenza e dello sfruttamento, combattono una guerra contro di voi. Non esiteranno a distruggervi se si rendessero conto che siete deboli, se individuassero in voi una crepa. Loro continueranno a cercare di controllare le nostre risorse, di sfruttarci. Non ci sono strade alternative alla resistenza. Anche la cooperazione, anche il rispetto reciproco non deve prescindere dal principo della forza. Se le nostre azioni sono forti, capaci di danneggiarli, di battere colpo su colpo, con una mano lunga che li può raggiungere ovunque, solo allora saranno costretti a negoziare e a porre un limite alle loro aspirazioni colonialistiche. Solo allora può esserci cooperazione e rispetto reciproco. Ma il rispetto tra uno forte e uno debole, tra uno ricco e uno bisognoso non può affatto essere un principio su cui basarci. Come può esserci una cooperazione tra noi e l’Europa se noi siamo deboli? Loro vogliono che i paesi arabi diventino un mercato che consuma la spazzatura che producono. Non vogliono che ci siano nel mondo arabo fabbriche per la lavorazione del petrolio e dei fosfati cosi potranno farlo nelle loro fabbriche e rivenderlo a noi: vogliono che questa zona resti un mercato consumistico e un’area per le esercitazioni militari. Cosi, non appena ci sono tensioni geopolitiche possono allungare le mani e occupare i punti nevralgici, dallo stretto di Gibilterra al Canale di Suez. Dobbiamo unirci, unire le nostre risorse, le nostre forze prima che ritorni il colonialismo”.

In parole povere Gheddafi aveva capito l’essenza della frase in cui Huntington afferma: “L’Occidente non ha conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata”.


La retorica provocatoria e combattiva di quel discorso è coerente con il Gheddafi “vecchio stile”, quello che si considerava un erede di Nasser ma che – a differenza di quest’ultimo – aveva i mezzi (petrolio in abbondanza e popolazione esigua) per perseguire le sue smisurate ambizioni (anche se queste sono rimaste frustrate esattamente quanto quelle del suo mentore politico) senza impoverire il paese, anzi. E’ il Gheddafi a cui persino Daniel Pipes, uno sfegatato neoconservatore statunitense filo-israeliano, riconosce non solo un peso politico e un carisma di non poco conto, ma anche un’importante funzione anti-coloniale in chiave identitaria che ha trasformato la Libia in un paese ricco. Nessuno può negare infatti che il Colonnello “ha avuto un ruolo chiave nell’aumento dei prezzi dell’energia che ebbe inizio nel 1972 e continua ancor oggi. Sfidando il controllo delle compagnie internazionali sulla produzione petrolifera e dei prezzi, il governante libico cominciò a trasferire il potere dalle sale dei consigli di amministrazione occidentali ai palazzi mediorientali. In particolare, le possibilità di successo di Gheddafi hanno contribuito a quadruplicare i prezzi del petrolio nel 1973-74. In secondo luogo, Gheddafi ha dato il via a ciò che allora era conosciuto come il risveglio islamico. In un’epoca in cui nessun altro era disposto a farlo, con orgoglio e in modo provocatorio, lui ha perorato le cause islamiche applicando aspetti della Shari’a, invitando i musulmani di tutto il mondo a fare la stessa cosa e aiutando quegli islamici che erano in conflitto con i non-musulmani”. C’è da chiedersi, quindi, come abbia potuto fare quell’orribile fine per mano di un esercito praticamente egemonizzato dagli islamisti libici, reduci dei fronti dell’Irak, dell’Afghanistan e delle celle segrete della CIA.

Domanda a cui cercherò di rispondere con questa serie di post…

Il “vecchio” Gheddafi non esita a tradurre la sua retorica infuocata in atti concreti. Oltre a non aver peli sulla lingua, la prima fase del suo governo è – come scrive Pipes – anche “la più rilevante, 1969-86, consisteva in una frenetica attività da parte sua, intromettendosi in questioni e conflitti dall’Irlanda del Nord alle Filippine.

Una lista incompleta includerebbe il danno reso alla campagna presidenziale di Jimmy Carter nel 1980, facendo dei pagamenti a suo fratello Billy; la dichiarazione di unione politica con la Siria; gli aiuti militari all’Iran contro l’Iraq; le minacce a Malta in merito allo sfruttamento petrolifero in acque contese; le bustarelle date al governo cipriota affinché quest’ultimo accettasse un radiotrasmettitore libico; l’invio di truppe nel Ciad meridionale per il controllo del Paese e l’imposizione di un’unione politica su esso; e infine l’aiuto offerto a un gruppo di musulmani in Nigeria, la cui violenza ha lasciato oltre un centinaio di morti”. Nello stesso periodo però, Gheddafi distribuisce le risorse petrolifere in infrastrutture, istruzione e sanità come aveva appurato l’ONU nel suo Human Development Index: la Libia era avanti, quanto a sviluppo umano, anche al Brasile, all’Arabia Saudita e alla Malaysia.

Oggi invece – grazie all’intervento liberatorio della Nato – la Libia è un paese ridotto in miseria dove i cittadini mancano di elettricità, gas, acqua potabile, rete telefonica. Persino di benzina (in uno dei paesi più ricchi di petrolio!). Insomma: un paese che deve essere totalmente ricostruito (indovinate da chi e con i soldi di chi) e con un prodotto interno decurtato del 47%.

La prima fase del governo Gheddafi, avventurosa ma decisamente agiata, “terminò – come scrive Pipes – con il bombardamento americano del 1986 come rappresaglia per l’attentato dinamitardo contro una discoteca a Berlino, che sembrò influenzare la psiche di Gheddafi” (nel bombardamento morì sua figlia adottiva, ndr). Ne comincia quindi un’altra:“Il suo avventurismo fanatico diminuì drasticamente” ma fu comunque “accompagnato da una svolta verso l’Africa e dall’ambizione di costruire armi di distruzione di massa”. Ciononostante, come afferma Pipes, “Non uno solo dei tentativi di colpi di stato da parte di Gheddafi ha rovesciato un governo, non una forza ribelle ha avuto successo, nessun separatista ha creato un nuovo stato, nessuna campagna terroristica ha demotivato un popolo, nessun piano per l’unione è stato realizzato e nessun paese tranne la Libia segue la ‘terza teoria’. Gheddafi ha raccolto amarezza e distruzione senza conseguire nessuno dei suoi obiettivi”. L’ultima frase però è vera solo parzialmente. Un obiettivo Gheddafi l’aveva raggiunto, ed è proprio quello invocato nel vecchio discorso riportato nella prima puntata di questa serie: comportandosi come un leone imbizzarito, Gheddafi incuteva decisamente timore nelle cancellerie occidentali.

Per anni, il “cane pazzo del medio oriente”, come lo ebbe a definire Reagan, era la “variabile impazzita” da non sottovolutare. I governi occidentali temevano le sue provocazioni e ancor di più le sue sfuriate e i suoi colpi di testa che potevano spazziare dalle nazionalizzazioni al blocco dei rifornimenti petroliferi. Spesso e volentieri ritornavano sulle proprie decisioni, chiedevano scusa o pagavano risarcimenti: dalla Svizzera all’Italia, nessuno può dire di essere rimasto indifferente ai mezzi più che persuasivi del Colonnello. In questo modo, Gheddafi, pur considerato “pazzo” (cosa che non era affatto), era riuscito ad impedire a chiunque di attaccare la Libia, rimanendo al potere per oltre quarant’anni anche se – in un altro summit arabo – aveva correttamente previsto che dopo l’impiccagione di Saddam, poteva toccare a uno qualsiasi dei presenti (Ben Ali e Assad ridono di gusto alla battuta).

In realtà Gheddafi può essere dichiarato ufficialmente pazzo a partire dal giorno in cui ha accettato di dismettere i suoi programmi di armamento, di riabilitare/”recuperare” i jihadisti che fino a quel momento erano rinchiusi nelle prigioni e di andare in giro per l’Europa a stringere le mani di leader che in seguito l’hanno tradito. Anche Pipes riconosce che la decadenza del colonnello (coincisa di fatti con la distruzione e la spartizione delle risorse della Libia) avviene “quando un Gheddafi addomesticato pagò i risarcimenti per il ruolo avuto dalla Libia nel 1988 nell’abbattimento di un aereo della Pan Am e rinunciò alle sue armi di distruzione di massa. Anche se le basi del suo regime rimasero in piedi, lui divenne persona grata ai Paesi occidentali, mentre il premier britannico e il segretario di Stato americano sono arrivati perfino a porgergli i loro omaggi in Libia”.

Gheddafi diventa ufficialmente un leone sdentato. Condoleeza Rice rivendica proprio questo successo, quando afferma che ha “operato per eliminare le sue armi di distruzione di massa, le più pericolose che avesse a disposizione”, il che di fatti ha spianato la strada per l’attacco della Nato. Il colonnello, pur avendo denunciato per una vita l’ipocrisia dell’occidente, si era ridotto a farvi le comparsate condite di hostess: provocazioni folcloristiche che facevano arrabbiare le opinioni pubbliche europee ma che non destavano più la dovuta preoccupazione nei circoli di potere. Il Colonnello aveva correttamente previsto che il destino di Saddam sarebbe toccato ad altri leader arabi, ma è evidente che non aveva pienamente assimilato la preziosa lezione che si poteva desumere dalla parabola del dittatore iracheno il cui paese è stato attaccato, raso al suolo e sacheggiato proprio quando cominciò a smantellare il suo arsenale e a cercare il consenso dell’occidente.

Ora però che Gheddafi non c’è più, e che al suo posto emerge una classe dirigente in cui figurano islamisti libici che l’ipocrisia dell’occidente la conoscono bene avendo combattuto per la CIA in Afghanistan salvo poi essere consegnati dalla stessa ai torturatori del regime libico, la domanda sorge spontanea: come si comporterà, questa nuova classe politica, nei confronti dell’occidente che ha contribuito alla sua ascesa, una volta finita la guerra civile che sta cominciando in questi giorni nell’assoluto silenzio dei media? Imparerà dagli errori dei leader che ha rovesciato? Io la penso come Massimo Fini che alla domanda: “Con la scomparsa dei leader arabi legati culturalmente all’ Occidente, c’è il rischio di un pan-islamismo o pan-arabismo che prenda il sopravvento di fronte agli Occidentali?” risponde: “Certamente, praticamente quasi tutta la storia degli ultimi venti anni, soprattutto degli Stati Uniti, è fatta di azioni che poi gli sono girate nel culo, penso per esempio all’attacco a Saddam Hussein che ha favorito tutta la componente sciita dell’Iraq e quindi oggi chi veramente comanda in Iraq sono gli ayatollah iraniani contro cui gli americani combattono dall’85 in vari modi. E questo sì, penso che sarebbe circa una giusta punizione francamente, o comunque perlomeno un avvertimento, a non muoversi con questa violenza, con questa arroganza e con questa pretesa di essere il bene, il poter discernere chi è cattivo, chi è buono etc. che è proprio la pretesa totalitaria dell’Occidente”.


PS: stando a Dagospia, “Il vistoso anello d’oro, raffigurante un leone che ruggisce, che Muammar Gheddafi portava all’anulare della mano destra fin dal suo sbarco a Ciampino è stato regalato dal leader libico al premier Silvio Berlusconi, al termine della cena di gala di Villa Madama”. A buon rendere.

Sherif El SEbaje
L’articolo originale è stato pubblicato in 4 parti qui, qui, qui, e qui
novembre 2011

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