Berlusconi oggi ha lasciato la partita, dopo un vertice acceso (riferito ai computer, visto che era on-line) con gli altri vertici del centro-destra. “Mario Draghi resti premier” ha detto il Silvio uscente, esprimendo l’opinione diffusa nel suo schieramento – che include Salvini e Meloni – della imprescindibilità del maggiordomo dei bankers a Palazzo Chigi. D’altronde, i due sono amici di vecchia data e sono stati per tutta la vita pupazzi al servizio dello stesso obiettivo: la rottamazione della democrazia italiana. Anche se, a differenza del semper fidelis Mario, impeccabile maggiordomo, per Silvio c’è voluto qualche schiaffo dieci anni fa.
A prescindere dal fatto che tutti sapevamo la candidatura del Berlusca fosse un diversivo, c’è da dire una cosa: lo sono anche tutti gli altri candidati. L’obiettivo della farsa quirinalesca è distrarre il popolazzo e mettere il non-eletto maggiordomo del Bilderberg (a sua volta succursale della Commissione dei 300) a occupare la poltrona di Don Sergio Mattarella, posto cruciale per infliggere le ultime stoccate all’economia e alla democrazia italiana.
Perché diciamo questo? Diamo un’occhiata al parlamento: nessuna area politica, dopo la ricomposizione del parlamento fatta dai draghiani che ha annullato tutte le proporzioni stabilite in sede elettorale, ha da sola i voti (673 nei primi tre scrutini, 505 successivamente) per piazzare un suo candidato, e ben sappiamo che la sudditanza a Draghi è l’unica cosa che tiene insieme questo ammasso di lacchè che chiamiamo parlamento – ad eccezione di pochi rari fiori che nascono dal letame…
La candidatura dell’ormai senile viveur più amato e odiato dagli italiani è stata solo il solito diversivo del potere per celare il colpo di grazia alla nostra Italia: Herr Draghi al Quirinale, un piccolo passo verso il presidenzialismo, un grande salto nel più nero dei burroni della nostra democrazia.
MDM 22/01/2022