DI SAMI MOUBAYED
Asia Times
Nella sua autobiografia “In cerca di un’identità” Anwar Sadat ricorda che, quando era un bambino povero di un villagio sperduto, era solito recarsi nella Cairo cosmopolita e si intrufolava nei giardini reali nelle ore notturne, con il solo risultato di essere percosso dalle guardie del Re.
Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe varcato le porte di quel palazzo per incontrare il re Farouk I in veste di ufficiale dell’esercito egiziano. Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue più sfrenate fantasie, che un giorno avrebbe oltrepassato quelle stesse porte per sedersi proprio sul trono regale, in seguito alla sua elezione presidenziale del 1970.
Il gioco del fato è invero strano, come lo statista britannico Winston Churchill ebbe una volta a descriverlo: “E’ un errore guardare troppo innanzi. Si può solo considerare un anello della catena del destino alla volta”.Nel corso dell’ultima settimana, i media dei paesi arabi e musulmani hanno sviscerato in lungo e in largo gli anni della gioventù del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Quando era un giovane venditore ambulante di torte, meloni e limonate nelle strade di Istanbul durante le vacanze estive, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventato premier.
Crescendo negli anni ’60, non avrebbe mai immaginato che sarebbe assurto a leader pan-musulmano, risvegliando simpatie filo-turche che erano state sopite dalla caduta dell’Impero Ottomano, ormai novantadue anni fa.
La famosa televisione saudita Al-Arabiya sostiene in una recente biografia pubblicata sul proprio sito che: “Nella storia recente, solo Erdogan e la diva egiziana Um Kalthoum (morta trentacinque anni fa) sono stati in grado di conquistare le menti e i cuori degli arabi e dei musulmani”.
Se questo parallelo fosse stato tracciato dieci anni fa, il nome accostato a Um Kalthoum sarebbe stato quello dell’ex presidente egiziano Gamal Abdul Nasser, il “padrino” del mondo arabo moderno. Un uomo di nazionalità turca, con istanze islamiche e che non parla una parola di arabo sarebbe stato decisamente lontano dall’essere all’altezza.
A gennaio, come riconoscimento di quanto stesse diventando popolare, la Saudi King Faisal Foundation lo ha onorato del King Faisal International Prize per il “servigio all’Islam”. Ad aprile, la rivista Time lo ha collocato, per la seconda volta, tra le cento persone più influenti al mondo.
Prestando attenzione all’intera carriera di Erdogan, risulta evidente che abbia lavorato duramente, ma è probabile che abbia guadagnato la sua popolarità nel mondo arabo e musulmano in modo fortuito.
Il primo marzo 2003, due settimane prima che Erdogan si insediasse come primo ministro, Ankara, guidata dal suo partito AKP, pose il veto su una proposta che autorizzava gli USA ad utilizzare il territorio turco per aprire da nord un secondo fronte con l’Iraq, per rovesciare Saddam Hussein.
Questo gli permise di iniziare a conquistare consensi tra arabi e musulmani in genere. Due anni dopo, nel marzo del 2005, l’allora segretario della Difesa statunitense Donald Rumsfeld affidò un amaro sfogo alla Fox News: “Ovviamente se avessimo potuto far entrare la 4 divisione di fanteria da nord, attraverso la Turchia, saremmo riusciti a neutralizzare e catturare parti più consistenti del regime Ba’athista di Saddam Hussein. Se la Turchia avesse cooperato maggiormente, la resistenza (in Iraq) oggi sarebbe minore”.
La frustrazione di Rumsfeld, al di là delle sue intenzioni, contribuì ad appuntare al petto di Erdogan un’altra medaglia d’onore agli occhi di milioni di arabi. Lo stesso anno, Erdogan, rifiutò di accettare i diktat statunitensi, rafforzando le relazioni con la Siria in un periodo in cui i rapporti con Damasco e l’amministrazione Bush si stavano inacidendo, e divenne un ospite fisso nella capitale siriana.
Erdogan disobbedì nuovamente agli Stati Uniti ricevendo Khalid Meshaal, il capo dell’ufficio politico di Hamas, dopo che il movimento palestinese emerse vittorioso dalle elezioni del 2005. Inoltre rifiutò un invito da parte dell’ex primo ministro Ariel Sharon a visitare Israele, attirandosi nuovamente le ire americane, e non incontrò Ehud Olmert quando costui visitò la Turchia nel luglio 2004 in qualità di ministro del Lavoro e del Turismo.
Erdogan prese posizione per i palestinesi durante la guerra di Gaza del 2008, accusando Israele di commettere crimini di guerra. Rivolgendosi a Shimon Peres nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos a gennaio 2009 disse al presidente israeliano: “Presidente Peres, lei è vecchio e nella sua voce echeggia una coscienza sporca. Quando si tratta di uccidere, lei sa benissimo come uccidere. So fin troppo bene come voi colpite e uccidete bambini lungo le spiagge”.
Questa singola frase lo proiettò di colpo nell’olimpo della fama nel mondo arabo e musulmano, e nelle maggiori capitali dei paesi arabi iniziarono a spuntare sue foto. Ma la sua sfuriata in Svizzera è nulla in confronto alle parole rabbiose della settimana scorsa, dopo che l’esercito israeliano (IDF) ha attaccato la Freedom Flotilla al largo delle coste di Gaza, uccidendo nove cittadini turchi a bordo della nave turca Mavi Marmara.
Il mondo arabo è insorto in difesa del primo ministro turco, che ha ritirato con acrimonia il proprio ambasciatore in Israele, facendo sì che la propria bandiera fosse sventolata dai manifestanti delle imponenti proteste che hanno attraversato le vie di Damasco, Baghdad, Beirut e Il Cairo.
“L’amicizia della Turchia è forte, ma che tutti sappiano che anche la nostra ostilità è forte”. Ha detto Erdogan di fronte al parlamento turco. “La comunità internazionale deve dire a Israele che la misura è colma! La traversata della Freedom Flottilla è legale; l’aggressione di Israele contro la flottiglia è un’aggressione all’ONU. Israele deve pagare il prezzo per quanto compiuto…Israele non può sciacquarsi le mani del crimine che ha perpetrato nel Mediterraneo. Un paese che sfida la rabbia del mondo intero non potrà mai conquistare la propria sicurezza; Israele sta disperdendo ad uno ad uno i tasselli della pace”.
Ha poi aggiunto: “Israele non dovrebbe guardare nessuno al mondo prima di aver chiesto scusa ed essere stato punito per i suoi crimini. Ne abbiamo abbastanza delle menzogne di Israele. Le azioni del governo israeliano danneggiano il loro stesso paese prima degli altri”.
Dopodichè gli arabi lo hanno festeggiato quasi attoniti quando ha fatto trapelare che potrebbe imbarcarsi in prima persona alla volta di Gaza, per forzare l’assedio isrealiano che perdura dal 2007. Lo farebbe facendosi scortare dalla marina turca, cosicchè l’IDF si ritroverebbe impotente mentre lui si dirige verso la striscia di Gaza.
Erdogan è nel suo momento di maggior successo nel mondo arabo e in quello musulmano, grazie a parole decise accompagnate ad azioni altrettanto decise. All’inizio dell’anno, ha obbligato il governo israeliano a scusarsi per aver umiliato l’ambasciatore turco in Israele, inducendo i media arabi ad esclamare: “Israele capisce solo il Turco”.
Il mese passato ha dato il via ad un accordo sullo scambio di uranio con Brasile e Iran, il quale, se fosse stato immediatamente accettato dalla comunità internazionale, avrebbe risparmiato all’Iran il fardello di un quarto round di sanzioni che stanno per essere discusse all’ONU mercoledì prossimo.
Sotto l’egida del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, la Turchia ha dismesso la sua immagine risalente alla guerra fredda di mera appendice occidentale, rivendicando allo stesso tempo il proprio desiderio di essere un membro a tutti gli effetti dell’Unione Europea entro il 2014. Se entrasse, l’UE confinerebbe con l’Iran e assisterebbe ad un incremento a sei zeri della propria popolazione musulmana. Mirando a “Non aver alcun problema con i vicini” Ankara ha messo in atto accordi di libera circolazione senza visti con Libano, Giordania, Libia e Siria mentre sta per aver effetto quello stipulato con la Russia.
Come ha notato Al-Arabiya: “Da un giorno agll’altro egli (Erdogan) è diventato la persona più amata nel mondo arabo mentre Iran, USA e i paesi europei si sforzavano di ottenere quello che lui ha conquistato in un lampo”.
Forse sono state l’eloquenza e la forte opposizione a Israele che hanno portato Erdogan nell’empireo del mondo arabo. O forse è stata la sua devozione, dato che è un devoto musulmano la cui moglie indossa un foulard intorno alla testa, come milioni di donne musulmane in tutto il mondo.
Negli anni ’90, fu estromesso dagli uffici governativi per aver recitato pubblicamente una poesia che sfidava il riverito secolarismo turco con queste parole: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati”
O magari si tratta del suo umile retroterra, figlio di un guardacoste, ha avuto un’educazione dura poichè la sua famiglia era povera, Erdogan eccelleva alla scuola islamica prima di ottenere una laurea in Amministrazione all’Università di Marmara, mentre giocava a calcio a livello professionistico. La sua scalata non è stata scorrevole, nel 1978 e nel 1991, non è riuscito ad essere eletto in parlamento con una coalizione islamica.
La vera ragione ad ogni modo è che ha detto “No” a Israele e si è schierato con convinzione con i palestinesi. Questa è una sorta di panacea in Medio Oriente, che non ha mai fallito sin dalla nascita di Israele nel 1948.
Ha fatto meraviglie per le carriere dell’egiziano Nasser, il siriano Hafez al-Assad e l’ex presidente Yasser Arafat. E’ anche la ragione del perchè Hassan Nasrallah di Hezbollah è così popolare nelle strade dei paesi arabi e musulmani, e perché leader arabi che hanno negoziato accordi di pace con Israele come il presidente egiziano Hosni Mubarak non lo sono.
Chiunque sappia quanto è stata invisa la Turchia nel mondo arabo durante tutto il ventesimo secolo, grazie al sistematico indottrinamento contro l’Impero Ottomano e con l’alleanza della stessa Turchia con Israele dopo il ’48, può comprendere quanto siano stati significativi i traguardi raggiunti da Erdogan negli ultimi sette anni.
Ha dato nuovo lustro alla Turchia, all’intera eredità ottomana, e ha plasmato un nuovo tipo di leadership che combina tratti di Nasser, Nasrallah e Assad. Questo è il motivo per il quale vale la pena osservare il fenomeno Erdogan mentre si sviluppa la sua carriera e acquisisce il carisma, lo stile e l’indole del talentuoso e polivalente leader che è già diventato.
Titolo originale: “Turkey’s Erdogan: Never a ‘yes’ man”
Fonte: http://www.atimes.com
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10.06.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PIETRO CARRILE