DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
Il tema dell’energia nel nostro Paese viene fuori quasi sempre solo nei momenti in cui di energia c’è bisogno e penuria. Questa volta è il caso del gas razionato in seguito all’ondata di maltempo. Poco tempo addietro, e vedremo, anche nel prossimo breve termine, in merito al blocco dell’export dell’Iran per il petrolio in seguito alla sanzioni Ue (peraltro “suggerito” dalle nostre stesse idiote politiche di zerbinaggio agli Usa, come se gli interessi statunitensi fossero i nostri) e in Estate, generalmente, per l’energia elettrica necessaria agli impianti di condizionamento.Naturalmente, in tutte queste circostanze non si manca occasione per tornare su uno dei punti critici, dal punto di vista geostrategico e anche meramente economico, del nostro Stato: dipendiamo energeticamente quasi del tutto dalle importazioni, subiamo pertanto i prezzi di cartello che ci vengono imposti, non abbiamo le centrali nucleari e via discorrendo senza entrare nel merito vero del problema e senza, soprattutto, centrare i punti nevralgici che ostano alla risoluzione dello stesso.
Questo, in larga parte, dipende da una volontà tutta politica, pardon, economico-monopolistica: dominata come è dagli interessi delle lobbies – interne ed estere – non si “vuole” risolvere il problema, se non con operazioni suicide come la costruzione di inceneritori e di centrali nucleari, ad esempio, per non toccare i privilegi di pochi attori dell’energia nel nostro Paese. Che si tratti di petrolieri, trafficanti di idrocarburi e gestori di rete di energia elettrica, chi tocca i fili muore. Non solo: a conferma della tesi, quando si parla (sbagliando) anche di centrali nucleari e di inceneritori, di fatto è sempre agli stessi attori che ci si riferisce, e ai contributi pubblici elargiti per la realizzazione a tutto vantaggio, ovviamente, dei costruttori e dei gestori.
Il tema invece si presta a sfatare un mito incapacitante che viene ripetuto come un mantra, e che potrebbe essere spazzato via se solo vi fosse in primo luogo la consapevolezza diffusa, tra le persone, che il problema si può risolvere, e in secondo luogo la volontà di risolverlo: cosa che ovviamente è vista come orrore da chi, nella situazione attuale, specula su un settore così strategico.
Il punto è molto semplice. In ordine generale, per dipendere meno dall’energia, si deve consumarne di meno. Ciò non significa “rimanere al freddo”, come ipocritamente sostengono i detrattori di chi porta avanti un discorso del genere. Significa invece attuare tutta una serie di operazioni in grado di consumare meno pur mantenendo – attenzione – degli standard di confort uguali quasi a quelli attuali. E la cosa avrebbe un duplice, anzi triplice beneficio.
Intanto – ed è un discorso prettamente inerente il tema della Decrescita – consumare meno significa costruire abitazioni in grado di ottenere lo stesso rendimento termico ed energetico, ovvero lo stesso confort, ma con un consumo decisamente ridotto. Si può fare, tanti Paesi lo fanno, e le tecnologie in tal senso ci sono già. Se da noi non lo si fa è proprio perché è necessario – ah, la crescita del Pil e le rendite di posizione dei monopolisti… – che si continui a consumare e sperperare denaro e risorse.
In secondo luogo tutto il processo di costruzione e soprattutto riconversione delle costruzioni vecchie, costose e divoratrici di energia, sarebbe in grado, da solo, di creare – sul serio: creare – decine di migliaia di posti di lavoro. E se a questo si aggiungesse la volontà di investire sul serio sulle energie alternative, che il nostro Paese è, per esposizione geografica, in grado di utilizzare (sole e vento, ad esempio, dalle nostre parti non mancano affatto) quelle decine di migliaia di posti diventerebbero centinaia di migliaia, tra occupati diretti e indotto.
In terzo luogo, operare una politica di decrescita intelligente come quella appena abbozzata – ma basta davvero leggere uno dei libri di Maurizio Pallante e sulla Decrescita per avere tutti i dati tra le mani – porterebbe all’incommensurabile, e difficilmente quantificabile economicamente, per una volta almeno, vantaggio, di ridurre le nostre emissioni dannose e in ultima istanza di migliorare l’aria che respiriamo. Dunque producendo a sua volta un circolo virtuoso sulla Sanità e soprattutto sulla salute di tutti noi.
Ovviamente, potremmo mandare al diavolo, o quasi, i nostri attuali “fornitori” di energia e chi ha il monopolio in Italia di distribuirla e fatturarla.
A ostacolare tutto questo c’è unicamente la cecità di chi ignora tali possibilità e di chi vi si oppone, come abbiamo visto, per conservare i diritti acquisiti. Il che è un circolo chiuso: chi vi si oppone di riffa o di raffa è collegato, o direttamente proprietario, dei mezzi di comunicazione sui quali ovviamente non ha alcun interesse di far veicolare le notizie in grado di istruire i cittadini che poi, giustamente, potrebbero sostenere e portare avanti il cambiamento che lor signori temono come la peste.
Ma altrove, per esempio su questo giornale, è invece doveroso parlarne, e qui possiamo farlo, tanto per cambiare, proprio perché grazie agli abbonati noi non dipendiamo da vari inserzionisti che potrebbero obiettare sugli argomenti che decidiamo di portare avanti: avete mai visto pubblicità dell’Enel su queste pagine? Le vedete altrove, su altri giornali? Esatto: non vi stupite se da quelle parti non si parli mai di energie alternative…
Ma andiamo avanti. Si dirà: con le energie alternative non si può produrre tutta l’energia che consumiamo al momento. Vero, sebbene solo in parte. Ciò che si dimentica di dire è che la maggior parte dell’energia che consumiamo attualmente va dispersa nel nulla. In altre parole, da una parte potremmo, con investimenti nel settore delle costruzioni, della coibentazione, e delle reti, consumarne meno e, attuando alcune abitudini accorte, ottenere lo stesso livello di benessere. Dall’altro lato, e il tema è fondamentale proprio in questo periodo storico nel nostro Paese, potremmo contribuire molto, ma molto significativamente, alla problematica della disoccupazione.
Se il denaro sino a ora speso per il progetto del Ponte di Messina, o per la Tav (anche se con contributi europei) fosse stato invece investito nelle energie pulite, al momento avremmo molti più occupati, molti meno arrabbiati, una maggiore indipendenza energetica e una superiore qualità dell’aria. Oltre che la benedizione della Terra.
Ci si deve sforzare, tutti noi, di veicolare il concetto di decrescita nel modo corretto. Altro che ritorno all’età della pietra. L’applicazione ragionata e illuminata di alcune pratiche, se non a salvare il mondo (per il momento) contribuirebbe se non altro ai diversi benefici che abbiamo citato. I discorsi sul nucleare sono un retaggio del passato sbagliato, anche se continuano a propinarceli, e di una proposta decrescente c’è invece disperato bisogno. Ma per poterla formulare c’è bisogno di qualcuno, a livello politico, che non sia di fatto connivente con le lobbies dei monopoli, che abbia spalle larghe per opporvisi e la vera voglia di rivoluzionare.
Pensiamo se a una sola delle tante trasmissioni televisive, con collegamento esterno a una fabbrica di automobili che chiude, si facesse agli operai un discorso tanto rivoluzionario da spiegargli che il mercato dell’automobile è finito, e che dunque per loro, stanti così le cose, in quel settore non c’è futuro, ma che invece c’è l’Italia intera da ristrutturare e riconvertire alle energie alternative, che ci sono milioni di tetti da trasformare col fotovoltaico, ad esempio. E che insomma c’è lavoro per decenni e decenni, tra diretto e indotto, se solo vi fosse qualche vero capitano d’industria tanto capace da capire la situazione, da voler davvero rivoluzionare la propria azienda, e in grado di girare le spalle agli idrocarburi e guardare in faccia il futuro di un mondo nuovo.
Valerio Lo Monaco
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8.02.2012
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