DI GIULIO SAPELLI
corriere.it
È vero, il lavoro in miniera non è più quello di un tempo. Sino a trent’anni or sono era un inferno. In quell’inferno si discendeva e se ne vedevano le viscere. Eppure, i figli dei minatori, in tutto il mondo, dal Regno Unito agli Usa e all’America Latina, volevano fare il lavoro dei padri. «Coal is my life», dicevano i minatori scozzesi, così come i fieri minatori antifranchisti che ho fatto in tempo a conoscere nelle Asturie.
Gli spagnoli dicevano anch’essi «El carbon es my vida», in una sorta di affermazione solenne dell’orgoglio per la professione più antica e più penosa del mondo. Certo, oggi le tecnologie consentono di considerare il carbone, la sua estrazione e la sua ulteriore utilizzazione, non solo un processo assai meno faticoso di un tempo ma anche ecologicamente più sicuro e meno inquinante. Tuttavia scendere nelle viscere della terra, affrontare la carenza d’aria, l’oscurità, la paura, implica un coraggio da primato per chiunque oggi viva della modernità e dei suoi agi. E pensate che oggi abbiamo anche le donne che lavorano in miniera: un fatto un tempo impensabile.
Per questo la storia della miniera di Nuraxi Figus, in Sardegna, mi ha così colpito. E colpisce, credo, chiunque paragoni questa realtà con la mancanza di saldatori, tornitori, operai, falegnami ed edili: da un lato perché gli istituti tecnici sono disertati, dall’altro perché i turni di lavoro sono troppo faticosi o ancora perché – come mi raccontavano gli artigiani di Treviglio disperati per la carenza di manodopera – al colloquio di assunzione i giovani si presentano accompagnati da madri la cui prima preoccupazione è quella di non far faticare troppo i loro candidi angioletti.
In questa luce la vicenda del Sulcis è un esempio di riattualizzazione della tradizione della fierezza del mestiere e dell’orgoglio operaio che non può che far meditare e farci dire che quelle donne e quegli uomini sono degli eroi: gli ultimi interpreti di una civiltà del lavoro. Essa supera lo sfruttamento capitalistico e le differenze sociali perché è un patrimonio etico universale. Supera le stesse regole economiche anche se queste continuano tuttavia ad agire.
Il piano sino a oggi elaborato per salvare la miniera di Nuraxi Figus non è praticabile per gli alti costi e per le sue immense difficoltà tecniche, unitamente all’alto rischio di sfidare la regola della precauzione sul piano ambientale. Infatti catturare e stoccare Co2, e su questa base, grazie alla legge 99 del 2009, realizzare una centrale termoelettrica basata appunto sul Carbon Captive and Storage, si può rilevare problematico. Il rischio di ricadere in un nuovo disastro occupazionale ed economico è elevatissimo.
Oggi la miniera di Nuraxi Figus è l’ultima in Italia. È stata teatro di gloriose lotte operarie condotte con intelligenza politica e straordinaria responsabilità. Mai un grave incidente, mai un sabotaggio (eppure gli esplosivi son lì a portata di mano). Oggi 463 lavoratori ricordano le lotte del lontano 1984 e quelle di un decennio dopo, nel 1993 e nel 1995, quando i minatori rimasero in fondo alla miniera per cento giorni. Oggi si rischia di assistere nuovamente a questa prova di forza, perché tutto il territorio del Sulcis-Iglesiente è a grave rischio, considerata anche la crisi dell’Alcoa. Un’alternativa più praticabile esiste ed è quella percorsa in Europa in tutte le aree ad antichissimo insediamento carbonifero: la trasformazione dei siti in complessi culturali ed espositivi secondo i canoni dell’archeologia industriale, disciplina in cui noi italiani siamo maestri.
La riconversione è generalmente riuscita. L’occupazione salvaguardata attraverso l’azione formativa. Ma si è perso per sempre lo straordinario coraggio e la esemplare – e non più contemporanea – volontà di ferro. Quella dedizione al lavoro che trascende lo spirito classista e che la vicenda della miniera sarda oggi ci propone come etico esempio. Un’ode va scritta in gloria dei minatori tanto esemplari quanto inattuali di Nuraxi Figus.
Giulio Sapelli
Fonte: www.corriere.it
Link: http://www.corriere.it/cronache/12_agosto_29/operai-viscere-terra-sapelli_e8416912-f199-11e1-975b-225a9f9609c6.shtml
30.08.2012