E’ giunta l’ora che l’esperimento di massa in corso nell’Eurozona finisca! A dircelo è Mario Draghi

"SuperMario" dalle colonne dell'Economist indirizza Francoforte e Bruxelles sulla strada dell'unione fiscale: "Ciò richiederà nuove regole e una maggiore condivisione della sovranità" - "L' Europa dovrà assumere una struttura federale come gli Stati Uniti"

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di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Può una unione monetaria sopravvivere senza una unione fiscale?

Con questa domanda – alla quale più volte nei miei articoli ho dato una risposta chiara e precisa – inizia il contributo del quotidiano finanziario londinese Economist, uscito nei giorni scorsi, con un’intervista all’ex governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi; l’italiano scelto dall’alto (non certamente dei cieli! ndr) per sussurrare al mondo quelle che sono le volontà che tanto interessano ai poteri profondi che ci guidano e ci comandano.

Il penultimo nostro presidente del Consiglio, certamente non è l’unico che si è adoperato per la nascita del progetto di integrazione monetaria europea, ma credo di non sbagliarmi nell’affermare che l’Uomo del Britannia, sia colui che più di ogni altro si sia dibattuto negli anni per far sopravvivere la moneta Euro. E lo ha fatto sempre all’interno di una sua personale interpretazione del principio machiavellico: “il fine giustifica i mezzi”; ovvero restando impassibile e non curandosi a priori di tutte le sofferenze, che in piena consapevolezza, avrebbe provocato sulle vite dei popoli europei, questo esperimento monetario unico nel suo genere.

La storia dei fatti e la dottrina mostrano chiaramente come Mario Draghi sia sempre intervenuto di fronte alla necessità di preservare in vita la moneta coloniale tanto cara ai poteri europei e di casa nostra. Dal famoso whatever it takes, che tradotto significa faremo di tutto per salvare l’euro anche a discapito della vita della gente; fino a prendere per le orecchie Madame Lagarde, quando all’indomani della pandemia, occorreva che a Francoforte abbandonassero i trattati per finanziare direttamente i deficit dei governi e monetizzare a più non posso i debiti pubblici degli Stati, creando moneta con un semplice click sulle tastiere dei loro computer.

Questi sono stati i due momenti in cui l’encefalogramma dell’euro era piatto e di lì a breve, se Draghi non fosse intervenuto, la valuta europea sarebbe passata ad altra vita; per quello che con altissime probabilità, sarebbe stato un funerale non di pianti ma di estrema gioia per la maggioranza dei popoli europei.

Le unioni monetarie con tassi di interesse diversi non sono contemplate dagli dei della moneta moderna e nel 2011, con uno differenziale tra i titoli del debito pubblico tedeschi e quelli italiani ben oltre i 500 punti base, il matrimonio tra il nostro paese e l’Unione Europea era talmente ai ferri corti da spingere il nostro paese a tornare tra le braccia amate del vecchio amore: la Lira.

Questo naturalmente avrebbe provocato la fine delle deleterie politiche di austerity tanto care e proficue per quei poteri che avevano ed hanno tutt’ora interesse a colonizzare il belpaese.

Sappiamo tutti come finì: con l’arrivo di Monti, ovvero la garanzia che la colonizzazione sarebbe continuata e Draghi, allora governatore della Bce, si mise a stampare a più non posso – con i noti programmi di politica monetaria (OMT, Qe, ecc.) – per ridurre i differenziali di tassi tra i paesi dell’unione.

Allo scoppio della pandemia, al nostro governo – ingabbiato da sempre dentro il pareggio di bilancio – venne a mancare il normale flusso delle entrate fiscali in conseguenza dei lockdown, da renderlo così impossibilitato in ogni tipo di pagamento (a partire dagli stipendi pubblici e le pensioni). Stante l’aver ceduto la sovranità monetaria alla Banca Centrale Europea, il default sarebbe stato dietro l’angolo, se da Francoforte, come spiegato sopra non avessero fatto quanto indicato loro da Draghi.

Oggi – dopo la pandemia, il conflitto in corso in Ucraina e tutti i conseguenti azzardi politici, a partire dalle sanzioni e la conseguente speculazione finanziaria su energia e cibo – l’elettroencefalogramma dell’Euro è di nuovo piatto; e come sempre il primo a rendersene conto è Mario Draghi.

Sono mesi che le sue esternazioni vanno sempre nella stessa direzione, ossia quella di salvare la valuta europea. Ma oggi, SuperMario, va addirittura oltre!

La situazione è talmente grave e complicata per la sopravvivenza della UE, che oggi Draghi, dopo che da mesi spinge per l’unione bancaria  (pensate un po’! gettando nel cestino persino il Mes), si fa promotore della tanto sperata dai popoli ed implorata dagli economisti illuminati, unione fiscale.

La situazione è più complicata di sempre, perché i contorni geopolitici intorno all’euro stanno cambiando velocemente verso una direzione che fa intravedere sempre più in modo chiaro un accerchiamento del continente europeo da parte di Russia, Cina ed i loro alleati, e molto probabilmente anche da parte degli Stati Uniti, le cui posizioni in tema di austerità fiscale ed interventismo militare non sono più così decise come una volta.

Il processo di de-dollarizzazione già messo in atto da parte dei BRICS, a mio parere, non preoccupa più di tanto il governo americano; preoccupa molto invece Mario Draghi, pienamente cosciente che l’unione monetaria europea, così come strutturata adesso, non potrà resistere alla scossa proveniente dall’abbandono delle riserve in euro da parte del resto del pianeta.

Per questo, Draghi ha fretta di correggere l’esperimento in corsa!

Ma non solo, se mi permettete, esiste anche una ragione geopolitica ben precisa, che va oltre gli interessi dei rentier; e la risposta sta tutta in questa frase pronunciata da Draghi tramite le colonne dell’Economist e che ha come mittente i poteri europei che ancora sono restii a federare l’Europa:

“L’Europa deve ora affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno ingenti investimenti in un breve lasso di tempo, compresa la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione”

Notate come tra gli obiettivi di Draghi che lo hanno convinto a spingere verso l’unione fiscale, ovvero a fare quegli ingenti investimenti pubblici con denaro creato dal nulla, non venga menzionato minimamente il lavoro e la drammatica situazione occupazionale che affligge la quasi totalità dei popoli europei ormai da decadi.

In primo piano, Draghi mette la spesa per la difesa, ovvero quella per costruire armi ed esercito. Un esercito europeo che alla luce del declino sempre più evidente della NATO, pare essere sempre più necessario per difendere l’Europa, la sua moneta ed i suoi rentier.

I poteri massonici europei – di fatto monopolisti ed esportatori netti delle loro fratellanze nel mondo mondo (in primis all’interno delle tribù indiane ed i coloni d’America) – nella costruzione di questo mondo globale finalizzato esclusivamente al loro portafoglio, pare abbiano fatto un grave errore.

Non hanno pensato minimante a creare un esercito europeo, pensando che le loro fratellanze mai potessero perdere il controllo della NATO e del suo esercito. Ma di fatto la forza dell’esercito della NATO, è quasi totalmente impersonificata dai mezzi e dagli uomini dell’esercito degli Stati Uniti.

Cosa succederebbe se in USA cambiassero le gerarchie tra fratellanze che guidano il mondo da dopo la seconda guerra mondiale ed un Trump di turno supportato dall’altra sponda ebraica, ponesse il cartello The End, davanti alla NATO?

Del resto, che Donald Trump non vedesse di buon occhio la NATO durante la sua presidenza non è certo una novità.

Quindi, se a livello tecnico una moneta la si impone attraverso la legge (corso forzoso) e la si rende desiderabile attraverso l’imposizione fiscale, per continuare a farla mancare a chi ne ha estremo bisogno nel paese, è indubbio che, ad un certo punto, occorra usare l’esercito. Come occorre l’esercito per far continuare ad usarla a chi, in altri paesi ha già la propria valuta, quando le favole sono finite!

Dice Draghi:

“Le strategie che hanno garantito la prosperità e la sicurezza dell’Europa in passato – la dipendenza dall’America per la sicurezza, dalla Cina per le esportazioni e dalla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili”

“La dipendenza dall’America per la sicurezza” – proprio quello che vi ho appena evidenziato!

Draghi, in modo del tutto ipocrita, parla di “strategie che hanno garantito la prosperità dell’Europa” – la realtà odierna, al contrario, ci dice che la prosperità in Europa, dall’introduzione della moneta comune e delle sue regole, è arrivata solo ad una ristrettissima parte della popolazione. Mentre il benessere diffuso ed i diritti conquistati dalla fine della seconda guerra mondiale e rappresentati da una crescita esponenziale della classe media, è andato letteralmente a farsi benedire.

Draghi mostra di essere ben cosciente del mondo disegnato dai poteri europei, di cui gli omologhi italiani sono certamente una parte centrale, che prevedeva il loro stare seduti sul divano a guardar crescere i numeri elettronici che identificano i loro conti bancari, tenuti ben preservati nel loro valore da una moneta artificialmente tenuta in parità con il dollaro, che per stare in piedi necessita di un percorso di deflazione dei salari infinito fino alla schiavitù per tutti gli altri.

L’Euro, una moneta da preservare nel valore anche per poter continuare a speculare in qui settori vitali per il paese, gestiti a livello monopolistico dai nostri rentier. Mi riferisco al gas acquistato per anni a basso costo dalla Russia con contratti fissi da rivendere a prezzi stratosferici a famiglie ed imprese.

Stesso discorso e medesima strategia vale anche per gli altri due settori da gestire in regime di monopolio (transizione verde e digitalizzazione), che Draghi indica necessariamente bisognosi di  pubblici pubblici, per poi esserne trasferita la proprietà ed i relativi maxi-profitti ai soliti noti, attraverso le privatizzazioni che tanto hanno reso famoso l’Uomo del Britannia.

Oggi, la Grande Europa della Grande Moneta Euro, si ritrova senza prodotti, senza energia e soprattutto senza un esercito, le cui riserve di armamenti si stanno esaurendo per la decisione politica di combattere una guerra per procura in Ucraina. Decisione che ogni giorno di più che passa, appare sempre più come una trappola appositamente piazzata da Cina, Russia e sottotraccia da chi comanda realmente negli USA, per far deflagrare questa diabolica unione monetaria.

Vi invito a leggere attentamente, parola per parola, quello che Draghi ci dice in questo articolo e confrontarlo con quanto vi ho sempre scritto in merito alla metodo fraudolento su cui è stata costruita questa unione monetaria. Vengono ripercorse tutte le frodi dottrinali su cui i poteri hanno fondato questo diabolico esperimento, e Draghi mostra di averne sempre avuto piena coscienza.

di Megas Alexandros

Fonte: E’ giunta l’ora che l’esperimento di massa in corso nell’Eurozona finisca! A dircelo è Mario Draghi – Megas Alexandros

Credo di farvi cosa gradita nel postare qua sotto la traduzione completa dell’articolo:


 

Mario Draghi sul percorso verso l’unione fiscale nell’Eurozona

Ciò richiederà nuove regole e una maggiore condivisione della sovranità, afferma l’ex capo della Bce

Può un’unione monetaria sopravvivere senza un’unione fiscale? Questa domanda ha tormentato la zona euro sin dalla sua creazione. Progettato esplicitamente per escludere i trasferimenti fiscali, il blocco valutario era considerato da molti economisti destinato a fallire ancor prima del suo lancio. È sopravvissuto alla crisi esistenziale del 2010-2012 solo grazie a soluzioni provvisorie, e oggi non è più in grado di rispondere a questa domanda.
Eppure, paradossalmente, le prospettive di un’unione fiscale nella zona euro stanno migliorando, perché la natura della necessaria integrazione fiscale sta cambiando. L’unione fiscale è generalmente vista come comportante trasferimenti dalle regioni prospere a quelle che attraversano una crisi economica, e in Europa l’opposizione pubblica ai paesi più forti che sostengono quelli più deboli rimane feroce. Ma questo tipo di politica federale di “stabilizzazione” è diventata meno rilevante. La zona euro si è evoluta in due modi che stanno aprendo una strada diversa, e potenzialmente più accettabile, verso l’unione fiscale.
In primo luogo, dal 2012 la Banca Centrale Europea ha sviluppato strumenti politici per contenere le divergenze ingiustificate tra i costi di finanziamento dei paesi più forti e quelli più deboli, e ha mostrato la propria volontà di utilizzarli. Ciò ha consentito alle politiche fiscali nazionali – che svolgono un ruolo stabilizzante cruciale nella zona euro – di attenuare il ciclo economico. Ciò, a sua volta, rende i trasferimenti fiscali transfrontalieri meno necessari.
In secondo luogo, l’Europa non si trova più ad affrontare crisi causate principalmente da politiche inadeguate in determinati paesi. Deve invece affrontare shock comuni e importati come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina. Questi shock sono troppo grandi perché i paesi possano gestirli da soli. Di conseguenza, c’è meno opposizione ad affrontarli attraverso un’azione fiscale comune.
La risposta dell’Europa alla pandemia ha riconosciuto questa nuova realtà: è stato istituito un fondo da 750 miliardi di euro (810 miliardi di dollari) per aiutare gli Stati membri dell’UE ad affrontare le transizioni verde e digitale. E una condizione politica necessaria affinché il quadro fiscale dell’UE si sviluppi lungo linee più federali è che i paesi che ricevono questi fondi li utilizzino con successo.
L’Europa deve ora affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno ingenti investimenti in un breve lasso di tempo, compresa la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione. Allo stato attuale, tuttavia, l’Europa non ha né una strategia federale per finanziarli, né le politiche nazionali possono assumerne il ruolo, poiché le norme europee in materia fiscale e sugli aiuti di Stato limitano la capacità dei paesi di agire in modo indipendente. Ciò contrasta nettamente con l’America, dove l’amministrazione di Joe Biden sta allineando la spesa federale, i cambiamenti normativi e gli incentivi fiscali al perseguimento degli obiettivi nazionali.
Senza azioni, c’è il serio rischio che l’Europa non raggiunga i suoi obiettivi climatici, non riesca a fornire la sicurezza richiesta dai suoi cittadini e perda la sua base industriale a favore di regioni che si impongono meno vincoli. Per questo motivo, ritornare passivamente alle vecchie regole fiscali – sospese durante la pandemia – sarebbe il peggior risultato possibile.
L’Europa ha quindi due opzioni. Il primo è quello di allentare le norme fiscali e sugli aiuti di Stato, consentendo agli Stati membri di farsi carico dell’intero onere degli investimenti necessari. Ma poiché lo spazio fiscale nella zona euro non è distribuito equamente, un simile approccio sarebbe fondamentalmente uno spreco. Le sfide condivise come il clima e la difesa sono binarie: o tutti i paesi raggiungono i loro obiettivi comuni oppure nessuno ci riesce. Se alcuni paesi possono utilizzare il proprio spazio fiscale ma altri no, allora l’impatto di tutta la spesa sarà inferiore, poiché nessuno sarà in grado di raggiungere la sicurezza climatica o militare.
La seconda opzione è ridefinire il quadro fiscale e il processo decisionale dell’UE per renderli commisurati alle nostre sfide condivise. Si dà il caso che la Commissione Europea abbia presentato una proposta per nuove regole fiscali mentre, con l’ulteriore allargamento dell’UE sul tavolo, i tempi sono maturi per prendere in considerazione tali cambiamenti.
Le regole fiscali dovrebbero essere sia rigorose, per garantire che le finanze pubbliche siano credibili nel medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire a shock imprevisti. L’attuale insieme di regole non è né l’uno né l’altro, e porta a politiche troppo flessibili durante i periodi di espansione e troppo rigide durante i periodi di recessione. La proposta della Commissione europea contribuirebbe notevolmente ad affrontare tale pro-ciclicità. Ma anche se pienamente attuato, non risolverebbe del tutto il compromesso tra regole rigide – che devono essere automatiche per essere credibili – e flessibilità.
Ciò può essere risolto solo trasferendo maggiori poteri di spesa al centro, il che a sua volta rende possibili regole più automatiche per gli Stati membri. Questa è in generale la situazione in America, dove un governo federale dotato di poteri si affianca a regole fiscali largamente inflessibili per gli stati, ai quali nella maggior parte dei casi è vietato gestire deficit. Le regole del pareggio di bilancio sono credibili – con la sanzione ultima del default – proprio perché il livello federale si prende cura della maggior parte della spesa discrezionale.
Se l’Europa dovesse federalizzare parte della spesa per gli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi condivisi di oggi, potrebbe raggiungere un equilibrio simile. L’indebitamento e la spesa federale porterebbero a una maggiore efficienza e a un maggiore spazio fiscale, poiché i costi di indebitamento aggregati sarebbero inferiori. Le politiche fiscali nazionali potrebbero quindi concentrarsi maggiormente sulla riduzione del debito e sulla creazione di riserve per i periodi difficili. Regole fiscali più automatiche diventerebbero fattibili e gli Stati membri potrebbero credibilmente fallire.
Tali riforme significherebbero mettere in comune una maggiore sovranità e richiederebbero quindi nuove forme di rappresentanza e un processo decisionale centralizzato. Ma man mano che l’UE si allarga per includere i Balcani e l’Ucraina, queste due agende si uniranno naturalmente. Dovremo evitare di ripetere gli errori del passato espandendo la nostra periferia senza rafforzare il centro, altrimenti rischiamo di diluire l’UE anziché darle il potere di agire.
Un processo decisionale più centralizzato richiederà, a sua volta, il consenso dei cittadini europei sotto forma di una revisione dei trattati dell’UE, qualcosa da cui i politici europei si sono tirati indietro dopo i falliti referendum in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005. Oggi, come Verso le elezioni europee del 2024, questa prospettiva sembra irrealistica poiché molti cittadini e governi si oppongono alla perdita di sovranità che la riforma dei trattati comporterebbe. Ma anche le alternative non sono realistiche.
Le strategie che hanno garantito la prosperità e la sicurezza dell’Europa in passato – la dipendenza dall’America per la sicurezza, dalla Cina per le esportazioni e dalla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente insostenibile per i cittadini, mentre l’opzione radicale di uscire dall’UE ha prodotto risultati decisamente contrastanti. Creare un’unione più stretta si rivelerà, in ultima analisi, l’unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità tanto agognate dai cittadini europei.

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