DOVE LA GIUSTIZIA SEMBRA ESSERE PROPRIO LONTANA: LETTERA DAL LIBANO

DONA A COMEDONCHISCIOTTE.ORG PER SOSTENERE UN'INFORMAZIONE LIBERA E INDIPENDENTE:
PAYPAL: Clicca qui

STRIPE: Clicca qui

In alternativa, è possibile effettuare un bonifico bancario (SEPA) utilizzando il nostro conto
Titolare del conto: Come Don Chisciotte
IBAN: BE41 9674 3446 7410
BIC: TRWIBEB1XXX
Causale: Raccolta fondi

blankDI KARIM MAKDISI
Counterpunch

La tregua estiva è ufficialmente terminata in Libano. Verso le cinque del pomeriggio una bomba pesante 40 Kg a occhio e croce, collocata in una Mercedes, è stata fatta esplodere in una zona affollata del quartiere Sin el-Fil di Beirut. L’obiettivo diretto dell’azione è stato Antoine Ghanim, membro del Parlamento, appartenente al partito conservatore Falangista Maronita e alla coalizione 14 Marzo [una formazione sunnita, drusa e cristiana, capitanata da Hariri, Joumblatt e Geagea ndt], considerata favorevole al governo. Ghanim è il quarto parlamentare ad essere ucciso da quando l’omicidio dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri, avvenuto nel Marzo del 2005, lacerò il paese e paralizzò lo stato.

A causa dell’esplosione sono stati contati altri sei civili morti e una cinquantina di feriti, con la maggior parte dei Libanesi che oscilla tra apprensione e disgusto nei confronti di una classe dirigente che non si è preoccupata di loro dal punto di vista politico, sociale, economico e della sicurezza.Tuttavia, l’obiettivo effettivo della strage è stato l’accordo, apparentemente non troppo remoto, tra gli attori chiave del governo e dell’opposizione. Attori che sono alla ricerca di una risoluzione della crisi che avvolge le imminenti elezioni presidenziali, programmate per la settimana successiva all’attentato. Al momento, la coalizione 14 Marzo detiene un esile (benché discutibile) maggioranza parlamentare – adesso resa, tragicamente, ancor più esigua – e ha lasciato intendere che potrebbe mettere fine alla tradizionale interpretazione della costituzione [che lo impedisce ndt] ed eleggere il prossimo presidente a maggioranza semplice piuttosto che con il consueto quorum richiesto dei due terzi. Ciò ha reso furiosa l’opposizione, che considera l’attuale governo filoamericano di Fouad Siniora illegittimo e sostenitore dei desiderata statunitensi e israeliani, che intendono disarmare la resistenza.

Dopo diversi mesi di vani negoziati e amare recriminazioni da entrambe le fazioni, il portavoce del Parlamento, Nabih Berri, ha varato, di recente, un iniziativa tesa al compromesso – dal sapore di ultima spiaggia -, cui è stato ampiamente riconosciuto il raggiungimento di una breccia [nel muro contro muro tra governo e opposizione ndt]. Come l’ex-Presidente Amin Gemeyal ha correttamente sottolineato: “La politica libanese funziona così. All’ultimo minuto, tutti si rendono conto del fatto che il tempo della contrattazione è scaduto e mettono le carte in tavola, accordandosi su un compromesso che salverebbe la nazione. L’alternativa è il disastro.

Il compromesso sponsorizzato da Berri esige che l’opposizione – che annovera Hizbullah e il FPM (Free Patriotic Movement) guidato dal generale Michel Aoun, il leader cristiano più popolare in Libano – partecipi a una seduta parlamentare il 25 settembre che elegga il nuovo Presidente, in ricompensa dell’esplicito riconoscimento, da parte della formazione 14 Marzo, del fatto che la maggioranza qualificata (due terzi) sia effettivamente richiesta per l’elezione (come recita la Costituzione libanese). A seguito di ciò, un governo di unità nazionale sarebbe nominato.

Dopo aver ricevuto il beneplacito da parte del leader della coalizione 14 Marzo, Saad Hariri, ci si aspettava che il portavoce Berri incontrasse il Patriarca Maronita, che è ritenuto l’ago della bilancia tra i candidati presidenziali in gioco (che deve essere cristiano maronita secondo il patto, vigente nel paese, di divisione di forze). Un tale incontro, se coronato dal successo, avrebbe potuto aprire la strada a un candidato presidenziale maggioritario; ciò avrebbe rappresentato, ma è lecito anche dubitarne, l’inizio di una più vasta risoluzione della crisi libanese, aggravatasi dalla sanguinosa invasione israeliana della scorsa estate.

L’autobomba di questa settimana, in questo caso, va letta sullo sfondo di questo contesto. Mentre non sapremo mai chi realmente abbia guidato questo assassinio – questi casi, considerando simili, passati affaire, non risultano essere stati mai risolti dagli investigatori libanesi, solitamente per ragioni legate alla politica –, non ci vorrà molto perché si litighi sulle accuse.

Durante trasmissioni in diretta TV, diversi parlamentari e dirigenti della coalizione 14 Marzo affermarono chiaramente che “tutti” sanno chi stia dietro non solo a questa atroce strage, ma anche a tutte quelle dei passati due anni e mezzo: la Siria. Bizzarramente, anche Saad Hariri ha accusato la Siria di aver assassinato Ghanim in rappresaglia del recente attacco aereo israeliano nei territori siriani. Anche alcuni politici appartenenti alla coalizione 14 Marzo hanno colto l’opportunità di incolpare pubblicamente di tradimento tutti i parlamentari dell’opposizione che hanno deciso di non partecipare alla seduta del 25 settembre, accusandoli pertanto, anche se indirettamente, di complicità nell’omicidio di Ghanim.

Gli esponenti dell’opposizione libanese e i portavoce siriani, che avevano tutti inequivocabilmente condannato l’atto terrorista, hanno respinto con rabbia una tale logica, accusando chiunque si sia avvantaggiato di questa tragedia per calcolo politico di fomentare la discordia e di essere al soldo di interessi “stranieri”. A detta loro, questi attacchi arrivano sempre proprio quando il momentum pare distaccarsi dagli interessi israelo-statunitensi per attestarsi in prossimità del consenso interno.

È troppo presto per discernere quale sarà l’esatta ricaduta di quest’ultimo assassinio. Ahimé, autentici statisti, capaci di superare i biechi interessi di bottega, scarseggiano da queste parti e il popolo libanese si aspetta adesso ulteriori assassinii mentre il Libano si dirige verso un worst case scenario, vale a dire la costituzione di due governi (nel caso in cui non si raggiunga l’accordo prima della scadenza del mandato dell’attuale Presidente, ovvero entro il 24 novembre) e la reale divisione del paese, per non parlare delle istituzioni dello stato. Se si permette che ciò accada, il futuro potrebbe essere davvero sinistro.

Gli avvenimenti di ieri [riferimento alla strage ndt] non possono essere visti in modo astratto rispetto al più vasto contesto regionale. Proprio quando le prospettive dell’unità libanese sono duramente sotto attacco – e l’Iraq prosegue la propria violenta spirale verso la spartizione in unità etnicamente distinte – la Palestina viene ulteriormente divisa, con Israele che dichiara ufficialmente la striscia di Gaza – al momento un’immensa prigione con un milione e mezzo di persone che vivono in atroci condizioni – “territorio ostile” (con il beneplacito statunitense). Lasciando in disparte le ovvie considerazioni legali e umanitarie di una tale provocatoria mossa di Israele, come osservato dal Segretario Generale dell’ONU, è palese come la regione araba stia sopportando, per l’ennesima volta, un altro ciclo di violenza sponsorizzata dalla comunità internazionale e, forse, persino la ripartizione [in altre entità territoriali ndt], ridisegnando la mappa dell’area lungo i confini fantasticati da qualche neocon. L’obiettivo di una tale politica è istituire una serie di regimi filostatunitensi (e neoliberisti) da una parte all’altra della regione e punire i “mascalzoni”, ovvero quegli stati (come l’Iran e la Siria) o fazioni (Hizbullah, Hamas) che rifiutano la Pax Americana e l’egemonia regionale israeliana.

È consuetudine concludere articoli come questo con un appello alle persone equilibrate, di qualunque fazione esse siano, ad assicurare che equi accordi siano raggiunti in Libano, Palestina e Iraq. Tuttavia, oggi ho l’impressione che abbiamo appena iniziato una fase particolarmente violenta della nostra storia e che accordi duraturi – per non parlare della Giustizia – sembrino davvero assai lontani.

Karim Makdisi è Assistente in Relazioni Internazioni al Dipartimento di Studi Politici e Amministrazione Pubblica presso l’Università Americana di Beirut. Gli si può scrivere presso [email protected]

Titolo originale: “Letter from Lebanon. Where Justice Seems Very Far Away”

Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link
21.09.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PG

ISCRIVETEVI AI NOSTRI CANALI
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALE RUMBLE: https://rumble.com/user/comedonchisciotte
CANALE ODYSEE: https://odysee.com/@ComeDonChisciotte2003

CANALI UFFICIALI TELEGRAM:
Principale - https://t.me/comedonchisciotteorg
Notizie - https://t.me/comedonchisciotte_notizie
Salute - https://t.me/CDCPiuSalute
Video - https://t.me/comedonchisciotte_video

CANALE UFFICIALE WHATSAPP:
Principale - ComeDonChisciotte.org

Potrebbe piacerti anche
Notifica di
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
È il momento di condividere le tue opinionix