DIRITTO ALLA VERIT E DIRITTO ALL'ERRORE

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DI ANTONELLA RANDAZZO

Alcune verità possono risultare difficili da accettare, perché sono talmente sgradite da attivare meccanismi emotivi di rifiuto, oppure perché la disinformazione mediatica è stata così efficace da indurre le persone a rimanere salde nelle idee acquisite, anche quando vengono clamorosamente confutate. Tuttavia, la verità sui fatti storici, sociali o culturali permane un valore massimo, in assenza del quale nessun progresso umano potrebbe aversi.
Eppure mai come oggi la verità può essere avversata, malvista e talvolta rigettata, persino senza averla prima appurata o valutata.

L’attuale periodo storico non ha eguali nel passato del pianeta, poiché concentra potenzialità conoscitive immense, e potenzialità di controllo del pensiero altrettanto immense.
Ogni persona potrebbe scandagliare i fatti per scoprire la verità, leggendo pubblicazioni che fanno luce su moltissimi fatti storici e scientifici. Molte di queste pubblicazioni vengono tenute quanto più possibile “nascoste” o ai margini dall’attuale sistema di diffusione di massa delle informazioni e della cultura. Il controllo dell’editoria da parte del gruppo dominante permette anche un controllo sulle recensioni di libri in uscita, che, su riviste o giornali, sempre più spesso sono presentate senza un reale commento, come se si trattasse di pubblicità. Negli ultimi anni le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali si sono trasformate in pagine promozionali, in cui è evidente l’assenza di una voce critica autonoma.
Ciò permette la divulgazione di libri di discutibile qualità, spesso scritti da persone di bassa qualità morale, che all’interno del sistema mediatico hanno acquisito, grazie alla loro sottomissione al gruppo dominante, un certo potere di influenzare l’opinione pubblica. Al contrario, molti intellettuali di sicura qualità morale e culturale rimangono sconosciuti al grande pubblico, tenuti ai margini affinché possano avere soltanto una minima influenza, raggiungendo un pubblico molto esiguo.

La mancanza di vera critica permette ai giornalisti o agli scrittori mediocri di apparire migliori di quello che sono, e impedisce ai migliori di farsi strada come potrebbero se le recensioni fossero indipendenti e obbiettive.

Favorendo i prodotti scadenti o commerciali, per profitto o per non rischiare di mettere in pericolo il sistema, si fa dimenticare che la cultura è essenzialmente un canale che consente di attivare la riflessione, rendendo possibile la comprensione di se stessi e della realtà. La cultura è anche un modo per scoprire nuovi punti di vista e nuovi avvenimenti. La vera cultura obbliga all’onesta ricerca della verità, e all’impegno mentale, emotivo o concettuale. Il sistema attuale, invece, promuove una pseudo-cultura, estemporanea, basata sulla reazione emotiva istantanea o sullo stimolo delle sensazioni immediate. E’ la “cultura” commerciale, del consumo, che propone di mettere il gradimento immediato, in assenza di sforzo, al di sopra della qualità del prodotto. Ne derivano prodotti di scarsa qualità, che imprigionano le persone negli aspetti più superficiali e banali della realtà e di loro stesse.
Il sistema fa in modo da rendere la vera cultura appannaggio soltanto di sparute minoranze sociali, che nel tempo potranno essere destinate ad apparire sempre più “strane”, sfuggendo all’omologazione intellettuale e morale della società di massa.
In questa situazione brilla l’assenza di stimolo al dibattito, della discussione intelligente e dell’indipendenza di pensiero. In armonia con la realtà prevalente, scompare il diritto a dissentire o a proporre nuovi concetti o nuove riflessioni rispetto a quelle promosse ampiamente dai canali ufficiali. L’atteggiamento critico sta diventando sempre più raro e nei pochi casi in cui è rimasto si tende a mostrarlo come “polemica”, o come inopportuno e da evitare.
La ricerca della verità storica o la conoscenza del sistema attuale vengono intralciate anche dalla tendenza, promossa dalla propaganda, di porre le questioni in termini stilizzati: buono o cattivo, l’uno o l’altro, destra o sinistra, pro o contro, io o gli altri, ecc. Una rigida dicotomia induce ad avere reazioni emotive che spingeranno a trincerarsi in una “fazione”, rinunciando all’obbiettività. La rigida contrapposizione di due termini produce un appiattimento nella rappresentazione della realtà, e fa vedere come inconciliabili aspetti che, seppur diversi, sono coesistenti e tutti necessari nel processo di comprensione della verità delle cose.
Molte filosofie o ideologie sono inficiate da una rigida contrapposizione, che nei secoli ha prodotto una sorta di scissione della coscienza umana, abituandola a cedere alle reazioni emotive dettate dall’esigenza di abbracciare un termine e rigettare l’altro. Ma la vera realtà ha molteplici sfaccettature, che sarebbe impossibile riassumere in soli due termini contrapposti. Talvolta l’esigenza di abbracciare un termine piuttosto che un altro può dipendere dal condizionamento dell’opinione prevalente o dalla paura di non essere approvati, e dunque del pericolo di ostracismo. Un esempio tipico è l’esigenza di votare a “destra” o a “sinistra”, oppure di rigettare un’ideologia non più sorretta dal sistema, che pur in precedenza l’aveva promossa (es: comunismo, fascismo). Come tutti sanno, in pochi giorni gli italiani, da fascisti diventarono social-comunisti. In modi meno eclatanti è possibile osservare anche oggi i condizionamenti dell’ideologia dominante e l’induzione al rigetto delle ideologie non più di “moda”.

Negli ultimi decenni la libertà di pensiero e di ricerca è stata duramente colpita anche attraverso la persecuzione giudiziaria, possibile a causa dell’approvazione di alcune leggi, nate con l’obiettivo preciso di limitare o condizionare la ricerca della verità.
Il fenomeno detto “revisionismo” esiste in quanto connotato da un non ben precisato gruppo di storici “ufficiali” a cui altri storici indipendenti si contrapporrebbero. E’ evidente che se la ricerca storica fosse libera non potrebbe sussistere alcuna contrapposizione fra chi attua nuove ricerche indipendenti e chi no.
Definire le due fazioni “revisionisti” e “antirevisionisti”, equivale a considerare i fatti storici un’ideologia o un’opinione. Ciò serve a mostrare la cultura come un ambito di scontro piuttosto che come un luogo di evoluzione delle coscienze umane, nella libertà di ricerca, anche commettendo errori, ma con l’intento di correggerli qualora si palesassero.
Il problema è che allo stato attuale anche il diritto all’errore è subdolamente vietato, dato che la cultura di massa manipola persino gli errori, imponendo quelli funzionali al sistema. Avere la libertà di sbagliare significa avere anche la libertà di trovare la verità. Il sistema vuole avere il potere di indicare, come scrisse Orwell, i “pensieri da non pensare”. Pensare liberamente può essere considerato, in alcuni casi, un reato.

Come spiegò lo storico Giovanni Sabbatucci: “In genere si parla di ‘revisionismo’ quando qualcuno mette in discussione una storia sacra. Ma allora, se esiste una storia sacra, è giusto che esista anche il revisionismo… è giunto il momento di rimettere in discussione sia le ragioni degli ortodossi sia quelle dei revisionisti”.(1)

Il “revisionismo” sarebbe da considerare, dunque, un metodo basato sull’idea che è sempre possibile migliorare le conoscenze acquisite, alla luce di nuovi documenti, nuove testimonianze o nuove analisi. Al contrario, gli “antirevisionisti” sarebbero sorretti dall’idea che ciò che si acquisisce come vero in un dato momento dovrebbe rimanere immutato anche quando emergono elementi che possono confutarlo.

In effetti, come ha fatto osservare lo storico Pierre Vidal-Naquet, la “revisione”, come possibilità di accrescere le vecchie conoscenze e renderle più vicine alla verità, dovrebbe per forza rientrare nel lavoro normale dello storico, a meno che non si intenda la conoscenza storica come dogmatica o come un luogo da assumere per fede piuttosto che sulla base di prove fattuali.
La Storia non è altro che la capacità umana di comprendere il passato, così come esso emerge dai documenti, dai fatti e dalle testimonianze. Nel tempo tale conoscenza dovrebbe essere suscettibile di modifiche alla luce di nuovi elementi documentali o fattuali.
In teoria è facile accettare la storia come sapere che migliora nel tempo, più difficile è nel concreto, e lo stesso Vidal-Naquet assunse una posizione di rifiuto ingiustificato di fronte ad alcune conoscenze “revisioniste”.
Alcuni storici si sono lasciati andare alla demonizzazione dei risultati di nuove ricerche storiche, considerando la Storia come un insieme di assunti immodificabili, e irridendo ogni possibilità di confronto diretto con gli storici indipendenti. Molti di questi storici si muovono sapendo di avere alle spalle la forza e la sicurezza del potere stegocratico (2) , e dunque non pongono al di sopra di tutto la ricerca della verità, ma la sicurezza di stare col più forte. L’amore per la verità e l’onestà intellettuale non collimano talvolta col desiderio di diventare un personaggio “autorevole” o di avere cariche importanti. Il mettere al primo posto la carriera rispetto all’onestà intellettuale può esprimere un profondo disprezzo per gli altri, considerati come una massa da indottrinare piuttosto che come persone che hanno diritto alla verità.

In altri casi le menzogne vengono dette in buona fede, trattandosi di persone non pienamente consapevoli o disinformate. E’ il caso degli insegnanti scolastici, che spesso senza saperlo impartiscono lezioni basate su assunti errati, ad esempio riguardo al Risorgimento italiano e alle due guerre mondiali. Si tratta di persone che si fidano del sistema e che ritengono assurdo il fatto che la storia possa esser stata mistificata in modo grave allo scopo di manipolare il pensiero e le coscienze. Eppure questa è la sconcertante verità.
In alcuni casi le persone comuni non hanno elementi tali da poter cogliere la verità, non avendo fatto letture che esprimono un punto
di vista diverso da quello ufficiale, o non avendo riflettuto abbastanza sugli aspetti contraddittori e paradossali che consentirebbero di smascherare l’attuale sistema di potere.
La difficoltà a far propria la verità è aggravata dal fatto che sia i telegiornali che i documentari mandati in onda alla TV presentano il punto di vista storico o scientifico “ufficiale”, rafforzando idee e associazioni errate. In tal modo si nega il diritto alla verità, imponendo un unico punto di vista, utile ad evitare dubbi sul sistema vigente. Si ottunde il senso critico, e si abituano le persone ad accettare quello che proviene da fonti ufficiali, anche quando si tratta di notizie non suffragate da prove concrete, oppure di associazioni dettate dall’esigenza di creare nemici o di far apparire le autorità occidentali come promotrici di libertà e democrazia. I mass media sono così diventati la “fabbrica” del falso o del similvero, promuovendo giudizi errati su noi stessi, sui nostri simili, sugli immigrati, sulla nostra Storia, e sulla realtà politica, economica e finanziaria. Senza questi inganni quotidiani le persone potrebbero svegliarsi dal torpore, e iniziare a comprendere la pericolosità dell’attuale situazione per il futuro dell’umanità. Lo svegliarsi farebbe anche comprendere che i popoli non sono costretti a sottostare ad un potere iniquo e dittatoriale, se lo fanno è perché non ne comprendono il rischio e il gravissimo danno, che colpisce in vario modo tutti gli abitanti del pianeta.

I fatti storici non costituiscono “ideologia”. Infatti, gli storici indipendenti dai condizionamenti del sistema non hanno alcun intento di professare una precisa ideologia, limitandosi a far emergere prove che confuterebbero molti assunti che siamo abituati a considerare verità inoppugnabili.
Nell’accettazione delle menzogne mediatiche è implicato anche il fattore emozionale, utilizzato ampiamente dalla propaganda per “fissare” associazioni o concetti similveri o errati. Chi di noi non si è commosso almeno una volta di fronte ad immagini di vittime della Shoàh, oppure all’evocazione di concetti come “sacrificio per il bene di tutti”? Il problema è che tale “sacrificio” viene utilizzato per giustificare le guerre, e che le vittime ebree non sono certo state le uniche della Seconda guerra mondiale. Chiediamoci perché nessuno ci chiede di commuoverci e dedicare un momento di silenzio per le vittime irachene o afghane. Oppure perché nei paesi occidentali non c’è alcun museo dedicato alle vittime innocenti uccise in Vietnam o in alcuni paesi del Sud America (come il Nicaragua). Le nostre emozioni sono indirizzate in modo tale da produrre forti reazioni di fronte ad alcuni eventi, e indifferenza o deboli reazioni di fronte ad altri, altrettanto criminali o ingiusti. Il gruppo dominante ci abitua ad una morale relativa, che vede più pesi e più misure, a seconda che si tratti di un popolo da considerare “amico” o “nemico” o di un personaggio storico vinto o vincente.

Negli anni Cinquanta e Sessanta lo studioso Paul Rassinier iniziò una ricerca indipendente, tirando fuori dagli archivi documenti “sfuggiti” agli storici di regime e mettendo in analisi aspetti storici dati per scontati senza alcuna prova. Altri storici proseguirono la ricerca, in modo del tutto apolitico e senza secondi fini. Come scrive Cesare Saletta, gli storici indipendenti lavoravano ignorando “del tutto gli appelli alla violenza e all’odio lanciati da questi e da quelli… (Il revisionismo) Parte dal principio dell’unità del genere umano. E’ di una calma olimpica in una ricerca completamente materialistica e razionale, cioè aperta alla confutazione e alla critica, una ricerca che rivendica il diritto all’errore e alla correzione degli errori”.(3)

Diversamente agirono gli storici ufficiali, pronti ad evitare ogni confronto e a sostenere contenuti non suffragati da prove documentali. La differenza fra storici indipendenti e storici “ufficiali”, è che i primi non posseggono verità alcuna prima di attuare le loro ricerche, mentre i secondi sono già sicuri di alcuni assunti fondamentali, prima ancora di averli verificati. Ad esempio, molti di essi sono sicuri che i vincitori delle guerre siano migliori dei vinti, che esista una “democrazia occidentale” basata sulla sovranità popolare, o che personaggi come Winston Churchill o il presidente statunitense Harry Truman siano stati fondamentalmente “positivi” (pur con eventuali critiche) all’interno dei fatti della Storia della Seconda guerra mondiale.
Gli Storici indipendenti sono alla ricerca di fatti concreti, e senza alcuna censura o remora li valutano per quello che sono stati, rischiando ostracismo e persecuzioni giudiziarie. Lo scopo del sistema è quello di farli apparire matti o pericolosi, suscitando nella gente il bisogno di credere alle versioni ufficiali, per paura, conformismo o convenienza.
Ci vorrebbero far credere che la cultura possa essere un luogo pieno di dogmi, in cui alcuni “sacerdoti” sono abilitati ad elargire conoscenza, mentre altri sarebbero da colpire con un terribile anatema.

La domanda è: perché l’attuale sistema è così interessato a controllare il pensiero e la libera ricerca? E’ evidente che se gli individui fossero capaci di libero pensiero (non condizionato dal sistema) sarebbe assai arduo imporre un potere ingiusto. Dunque, oggi le tecniche di controllo del pensiero e della libera ricerca sono diventate così sottili e subdole da far ritenere “democratico” un contesto in cui vengono create strutture atte ad imporre un rigido controllo, persino delle coscienze.
Molti ritengono, pur ammettendo l’esistenza di un controllo sul pensiero e sulla cultura, che tutto sommato la realtà sia accettabile, poiché potrebbe essere peggiore. A parte il fatto che, ovviamente, non possono pensarla allo stesso modo quei popoli vessati e ridotti a vivere nell’estrema miseria dalla medesima élite, occorre considerare che nessuno sa cosa sarebbe l’esistenza umana qualora fosse lasciata libera di autorealizzarsi. Probabilmente, se molte persone fossero in grado di saperlo diventerebbero assai più sicure e agguerrite nel contrastare l’asservimento.

Le leggi che hanno l’obiettivo di tenere sotto controllo la libera ricerca della verità storica sono state approvate a partire dagli anni Novanta. In Francia, nel 1990, è stata approvata la legge 90-615 detta Fabius-Gayssot (cognomi del socialista Laurent Fabius e del comunista Claude Gayssot ), che combatte “il delitto di revisionismo”, a cui è subentrata nel 2003 la legge Lellouche, che pretende di affrontare la “provocazione alla discriminazione”.
Queste leggi sortirono gli effetti sperati e, come rivelò “Le Monde”, gli storici francesi indipendenti iniziarono a temere di essere trascinati in tribunale, e terrorizzati iniziarono a limitare gli articoli sui giornali.
Alcuni storici francesi reagirono a tutto questo firmando un manifesto dal titolo “Liberté pour l’histoire!,” in cui chiesero l’abrogazione delle leggi che restringevano la libertà di opinione.
In Austria la legge che controlla la ricerca storica è stata approvata il 26 febbraio e il 19 marzo 1992, in Germania il 28 ottobre 1994, in Svizzera il I’ gennaio 1995, in Belgio il 23 marzo 1995, in Spagna l’l1 luglio 1995, in Lussemburgo il 19 luglio 1997. La legge lussemburghese prevede il carcere da otto giorni a sei mesi o con ammenda da 10.000 a un milione di franchi a “chi contesta, minimizza, giustifica o nega l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità o crimini di guerra, come definiti nell’art. 6 dello statuto del Tribunale Militare Internazionale”. Anche la Polonia, nel gennaio 1999, ha approvato una legge analoga.
Nel 1993, le autorità italiane presero a pretesto l’esistenza dei naziskin, e la presunta lotta interetnica nell’ex Jugoslavia, per parlare di “incitamento all’odio razziale” e di possibilità che si verificassero violenze “di stampo razzista”. Il governo Amato si sentì obbligato, sollevate le istanze morali, di dover contrastare il “razzismo e l’antisemitismo” con una legge. Fu dunque approva
to il decreto n.122 del 26 aprile 1993, convertito il 25 giugno nella legge n. 205 “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”. La vaghezza della definizione del termine “discriminazione” permette di interpretare la legge in modo ampio, facendovi entrare anche intellettuali privi di ogni sentimento discriminatorio o razzistico. La legge, infatti, non aveva tanto l’obiettivo dichiarato di combattere la “discriminazione”, quanto quello non esplicitato, perché vergognoso, di tenere sotto controllo le ricerche storiche degli intellettuali indipendenti. La legge dava la possibilità di criminalizzare posizioni di pensiero o nuove teorie storiche, associando “revisionismo” a “razzismo”.
Nel 2007, l’allora ministro della giustizia Clemente Mastella stilò un disegno di legge per poter perseguire penalmente il “negazionismo” dell’Olocausto. Si trattava di un tentativo di reintrodurre il reato di opinione, al fine di tenere sotto controllo gli intellettuali indipendenti facendoli sentire soggiogati e limitati dal sistema di potere. Il disegno di legge è stato approvato con voto unanime nel gennaio 2007.
La legge Mancino è stata dunque riconfermata e ampliata dal disegno di legge Mastella n° 1694. Per non rendere troppo evidente il vero scopo della legge, non è stato citato esplicitamente il termine “negazionismo”, limitandosi a mettere in evidenza presunti scopi obiettivi di punire “l’istigazione al razzismo”.
Che l’intento non fosse quello di perseguire il vero razzismo è palese nel fatto che nessuna questione è stata mai sollevata di fronte a comportamenti islamofobi o a chiari intenti xenofobi, ad esempio manifestati dai leghisti in moltissime occasioni. Com’è risaputo, molti esponenti di primo piano della Lega Nord hanno sostenuto che gli stranieri poveri fossero come “una malattia”, che fossero come animali e che dovessero essere presi a cannonate o a colpi di bazooka. I leghisti ripropongono contro gli immigrati gli stereotipi comuni utilizzati in passato anche contro gli ebrei: dicono che puzzano, sono brutti, sono parassiti, possono attaccare malattie, sono tutti criminali e sono da considerare come bestie. Addirittura, nel 2002 la Lega Nord fece affiggere sui muri di alcune località lombarde un manifesto che mostrava una bambina bionda con gli occhi azzurri (tipologia “ariana”) e su cui si leggeva “Sì ai bambini della Padania”.(4) Propaganda degna delle peggiori tradizioni nazifasciste.
Eppure non risulta che queste persone siano mai state perseguite penalmente, pur facendo, com’è evidente, incitazione all’odio xenofobo. Al contrario, quest’ultimo viene alimentato ampiamente dai mass media, che si curano di accrescere la paura e il senso di insicurezza dei cittadini, in modo tale che il malcontento venga indirizzato verso gli immigrati e non verso chi crea insicurezza, disperazione e miseria. Il sistema attuale mira ad utilizzare gli immigrati per distogliere l’attenzione dall’impoverimento progressivo a cui sono soggetti i cittadini europei, e al sistema di potere gravemente iniquo e criminale, che produce mafia e corruzione. I criminali, anziché i corrotti e i personaggi che organizzano guerre e commettono genocidi e massacri, diventano gli immigrati poveri, specie se arabi o slavi.
Ovviamente, la propaganda xenofoba non parla mai delle condizioni che gli stegocrati creano nel Terzo Mondo, e cela che la maggior parte degli immigrati lavora duramente per pochi spiccioli, senza alcuna tutela da parte di quelle stesse autorità che professano di voler combattere razzismo e ingiustizie.

Il decreto legge n° 1694 prevede il carcere da sei mesi a quattro anni “per chiunque diffonda in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o l’odio razziale o etnico, ovvero inciti a commettere o commetta atti di discriminazione”. Associare alcune nuove interpretazioni storiche al razzismo significa in teoria poter trascinare in tribunale praticamente qualsiasi storico indipendente.
E’ evidente che si è aperta una nuova caccia alle streghe, in cui tutti coloro che trovano elementi per contrastare la versione storica data dai vincitori diventano immediatamente “neonazisti” o “razzisti”, e costretti a risponderne in tribunale. Le etichette servono a far capire che si tratta di persone da escludere, da privare anche della pur minima considerazione, poiché anche una minima considerazione potrebbe “legittimarli”. Le dicotomie a cui ci abitua la nostra cultura prevedono l’esclusione immediata del presunto colpevole, visto come “nemico”.

C’è da chiedersi perché paesi che si autodefiniscono “democratici” hanno l’impeto ad imporre a suon di processi una versione storica, come accadeva durante la Santa Inquisizione.
E’ come se la verità storica dovesse diventare un dogma, imposto per legge. Come se fosse un fatto di autorità e non di ricerca e cultura.
E’ evidente che gli scopi principali di queste leggi sono:
1 – Spaventare chi vuole fare ricerca storica indipendente;
2 – far capire una volta per tutte che è il sistema a decidere ciò che è vero e ciò che è falso;
3 – additare gli storici indipendenti come criminali, in modo tale che nessuno voglia seguire il loro esempio o prenderli sul serio;
4 – far intendere che anche la cultura è un settore su cui le autorità possono imporre dogmi o rigidi schemi prefissati.

Le leggi che controllano i ricercatori indipendenti hanno duramente colpito persone come David Irving, Siegfried Verbeke, Ernst Zündel, René-Louis Berclaz e molti altri, che non hanno mai espresso idee razziste o antisemite.
Le leggi contro la libera ricerca storica hanno costretto l’Association des Anciens Amateurs de Récits de Guerre et d’Holocauste (AAARGH) a pubblicare alcuni libri “revisionisti” su Internet e a sentirsi obbligata a sottolineare che :
“In ragione delle leggi che istituiscono una censura specifica in certi paese (Germania, Francia, Israele, Svizzera, Canada, ecc.) non domandiamo il consenso degli autori che in essi vivono, poiché non sono liberi di darlo. Ci poniamo sotto la protezione dell’articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, il quale stabilisce: “Ognuno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, il che implica il diritto di non essere molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di espressione li si faccia” (Dichiarazione internazionale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU a Parigi il 10 dicembre 1948).(5)

In Italia la Storia ufficiale, insegnata nelle scuole, non tiene conto delle ultime ricerche storiografiche, in cui eventi come il Risorgimento, la Resistenza e le due guerre mondiali trovano interpretazioni ben diverse da quelle ufficiali, supportate da prove storiche inoppugnabili.
Falsificare la Storia significa per l’oligarchia apparire moralmente legittimata. Le guerre vengono raccontate come difesa delle nazioni dal prepotente dittatore. Vengono mistificati o occultati molti i crimini dei vincitori, e le autorità dei paesi dominanti vengono descritte come preoccupate di proteggere i popoli e di far trionfare il bene.
I metodi per negare il diritto alla verità sono rimasti sostanzialmente invariati, anche se col tempo sono diventati più sottili. Si controlla chi produce nuova conoscenza (la ricerca universitaria), si controllano i mass media, e si tengono ai margini gli intellettuali indipendenti. Quando ciò non è possibile si rendono attivi i Tribunali, si infama, si distrugge lavorativamente ed economicamente chi fuoriesce dal sistema, che diventa una sorta di “uomo nero” su cui si dovrà scaricare tutta la rabbia e la riprovazione. Anche i contenuti della propaganda non cambiano. Come osserva Robert Faurisson: “(esiste) un repertorio anticipato delle menzogne”.(6) Queste menzogne fanno apparire le autorità occidentali come autorevoli, mentre invece esse ricoprono quelle cariche semplicemente perché appoggiano l’attuale assetto stegocratico di potere. Fanno apparire le guerre “giust
e”, e le repressioni dei popoli come “missioni di pace”. Fanno apparire il contrario di ciò che è.
La propaganda massiccia e l’assenza nei media di massa di opinioni divergenti abituano all’acriticità e alla conseguente accettazione passiva di ciò che viene presentato come verità. In tal modo si induce a dimenticare che la libertà di pensiero è l’essenza dell’uomo, e il diritto alla verità è necessario a creare una società umana “civile” che possa realmente dirsi tale.

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Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com/
Link: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/06/diritto-alla-verit-e-diritto-allerrore.html
10.06.08

NOTE

1) “Corriere della sera”, 31 dicembre 1997.
2) Per comprendere il termine “stegocratico” si veda http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/03/lipotesi-stegocratica-parte-prima.html
3) http://vho.org/aaargh/fran/livres4/casof.pdf.
4) “Il manifesto”, 8 febbraio 2002.
5) http://vho.org/aaargh/ital/ital.html
6) Faurisson Robert, “Il metodo revisionista applicato alla storia della terza guerra mondiale”, http://vho.org/aaargh/ital/archifauri/RF030511it.html

PER APPROFONDIRE E CONOSCERE ALCUNE VERITÀ STORICHE OCCULTATE DAL SISTEMA

AAVV, “La Storia Imbavagliata”, atti del convegno del Master “Enrico Mattei” in Medio Oriente, Teramo 17 -19 aprile 2007.
Alianello Carlo, “La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale”, Rusconi, Milano 1982.
Dadone Ugo, “Fiamme ad Oriente”, C.E.N., Roma 1958 (si può scaricare dal sito http://vho.org/aaargh/ital/ital.html).
Gioannini Marco, Massobrio Giulio, “Bombardate l’Italia. Storia della guerra di distruzione aerea 1940-1945”, Rizzoli, Milano 2007.
Graf Jürgen, “L’olocausto allo scanner”, ed. Effepi, Genova 2000.
Harwood Richard, “Auschwitz o della soluzione finale. Storia di una leggenda”, Le Rune, Milano 1978.
Harwood Richard, “Nuremberg and other war crimes trials”, Historical Review Press, 1978.
Izzo Fulvio, “I Lager dei Savoia”, Controcorrente, Napoli 1999.
Pellicciari Angela, “Risorgimento da riscrivere”, Ares, Milano 2007.
Randazzo Antonella, “Dittature. La Storia occulta”, Ed. Il Nuovo Mondo, Padova 2007.
Randazzo Antonella, “La nuova democrazia. Illusioni di civiltà nell’era dell’egemonia USA”, ed. Zambon, Verona 2007.
Rassinier Paul, “La menzogna di Ulisse”, Le Rune, Milano 1966.
Servidio Aldo, “L’imbroglio Nazionale”, Alfredo Guida Editore, Napoli 2000.
Zitara Nicola, “Negare la negazione”, La Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2001.

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