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La Redazione

 

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DIRETTIVA BOLKESTEIN, WELFARE SOTTO SCACCO

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A cura di Davide
Il 3 Novembre 2004
62 Views

Deregolamentazione del mercato del lavoro, privatizzazione dei servizi. Tutto ciò che si nasconde dietro il provvedimento che sta per essere varato in Europa

DI RAOUL MARC JENNAR

La Commissione europea ha annunciato una nuova Direttiva tesa a «ridurre i vincoli alla competitività» (IP/04/37, 13 gennaio 2004). Dietro questi propositi si nasconde un nuovo attacco irresponsabile della Commissione contro quel che resta del «modello europeo», agonizzante dopo le privatizzazioni che si sono succedute e le ripetute rimesse in causa dei diritti sociali. Si tratta di un progetto di Direttiva “relativa ai servizi per il mercato interno”, preparato dall’ultraliberista commissario europeo Bolkestein. Il testo del progetto, il comunicato stampa e una valutazione generale della Direttiva si trovano sul sito: http: //www. europa. eu. int/comm/internal_market/fr/services/services/index. htm. L’obiettivo è imporre ai 25 Stati membri dell’Unione le regole della concorrenza commerciale, senza alcun limite, in tutte le attività di servizio che non sono già coperte da altre normative europee. Ciò significa che la logica del profitto s’imporrà ovunque. Chi ha familiarità con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto) e dell’Accordo generale sul commercio dei servizi (Agcs/Gats), riconoscerà in questo progetto di Direttiva i principi e le procedure già stabilite da quegli accordi. Ancora una volta l’Unione europea non protegge dalla globalizzazione neoliberista; ne prende, anzi, la guida. Oggetto della Direttiva

Il progetto di Direttiva stabilisce «un quadro giuridico generale per eliminare gli ostacoli alla libertà di insediamento dei fornitori di servizi e alla libera circolazione dei servizi in seno agli Stati membri». La Direttiva definisce (art. 4) i servizi come segue: «Ogni attività economica che, secondo l’art. 50 del Trattato istitutivo, si occupa della fornitura di una prestazione oggetto di contropartita economica». Chiaramente sono presi in considerazione tutti i servizi eccetto quelli erogati direttamente e gratuitamente dai poteri pubblici: l’istruzione e la cultura, la sanità e le cure sanitarie.

Un promemoria della Commissione (Memo/04/03, 13 gennaio 2004) presenta una lista incompleta dei servizi presi in considerazione dalla Direttiva, che vanno dai servizi giuridici alle professioni artigianali, l’edilizia, la distribuzione, il turismo, i trasporti, i servizi sanitari e di copertura delle cure sanitarie, i servizi ambientali, gli studi di architettura, le attività culturali, il collocamento.

Gli “ostacoli”

Gli “ostacoli” sono rappresentati dalle legislazioni e regolamenti nazionali, considerati dalla Commissione europea «arcaici, obsoleti e in contraddizione con la legislazione europea». Occorre «riformare» per «modernizzare». Ma questi “ostacoli” sono spesso disposizioni prese dai poteri pubblici per la migliore prestazione del servizio dal punto di vista dell’utilizzo dei fondi pubblici, dell’accesso di tutti, delle garanzie fornite per la sua qualità, del diritto al lavoro, delle tariffe, della trasparenza. Gli “ostacoli” presi di mira dalla Commissione europea sono dunque decisioni che i poteri pubblici hanno preso per evitare che il settore dei servizi diventi una giungla. Ecco perché la Commissione europea intende rimettere in causa «il potere discrezionale delle autorità locali» (IP/02/1180 del 13 luglio 2002), ossia delle istituzioni elette e controllate democraticamente. La Direttiva proposta è una vera e propria aggressione portata da un gruppo di tecnocrati al servizio delle imprese private contro le scelte operate in passato dalle istituzioni votate a suffragio universale.

Modus operandi

1. Il principio del Paese d’origine (art. 16)
Allo scopo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, il progetto rinuncia a una pratica consolidata nella costruzione europea, quella dell’armonizzazione, assurta quasi a principio fondatore. Per comprendere questo cambiamento radicale, occorre avere presente l’importanza dell’ingresso dei nuovi dieci stati membri, le cui legislazioni fiscali, sociali e ambientali sono quelle proprie dello “Stato minimo”. L’armonizzazione non risponde più necessariamente all’interesse delle imprese private e, dal momento che ciò ora serve, viene sostituita dal “principio del Paese d’origine”. Secondo questo principio, un fornitore di servizi è sottoposto alla legge del Paese in cui ha sede l’impresa, e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. Ci si trova di fronte a un vero e proprio incitamento legale a spostarsi verso i Paesi dove le normative fiscali, sociali e ambientali sono più permissive, con il risultato che il nuovo principio, una volta diventato norma europea, eserciterà una forte pressione sui Paesi i cui standard fiscali, sociali e ambientali proteggono di più l’interesse generale. Con il “principio del Paese d’origine”, la Direttiva viola l’art. 50 del Trattato istitutivo della Comunità europea, secondo cui «il fornitore di servizi può esercitare a titolo temporaneo la sua attività nel Paese in cui fornisce la prestazione alle stesse condizioni che questo Paese pratica alle imprese nazionali». La regola del “Paese d’origine” diventerà pertanto una facile scappatoia per le imprese erogatrici di servizi.

2. Regimi di autorizzazione (artt. da 9 a 15)

Per facilitare la libertà di insediamento, gli Stati dovranno limitare le condizioni poste all’autorizzazione di insediamento di un’attività di servizio. Queste condizioni dovranno essere non discriminatorie, obiettivamente giustificate da ragioni imperative di interesse generale, adeguate a tali ragioni, precise e non equivoche, obiettive e rese pubbliche in anticipo. Nel caso in cui i poteri pubblici non rispettino queste condizioni, il fornitore privato di servizi potrà ricorrere in giudizio.

Gli Stati non potranno più: esigere la nazionalità del Paese di insediamento da parte del fornitore, del suo personale, dei detentori del capitale sociale, dei membri degli organi di gestione e di sorveglianza; esigere la residenza nel territorio del Paese di insediamento da parte delle stesse persone; subordinare l’autorizzazione all’insediamento all’esistenza di un bisogno economico o alla domanda di mercato; subordinare l’autorizzazione alla valutazione degli effetti economici attuali o potenziali dell’attività prevista; subordinare l’autorizzazione all’armonizzazione dell’attività; obbligare il fornitore a costituire o partecipare a una garanzia finanziaria o a sottoscrivere un’assicurazione presso un altro fornitore o organismo esistente sul territorio in cui egli opera; obbligare il fornitore a essere stato iscritto a un registro o ad aver esercitato quell’attività per un periodo minimo di tempo. Gli Stati dovranno modificare le proprie legislazioni per eliminare ogni caratteristica considerata “discriminatoria” nelle condizioni sotto specificate, in modo da giustificarne la ragion d’essere e per provare che tali esigenze non vanno oltre quanto necessario a raggiungere l’obiettivo: limiti quantitativi o territoriali basati sulla popolazione o su una distanza geografica minima; obbligo di costituirsi sotto una forma giuridica particolare; esigenze legate alla detenzione di capitale: obbligo di disporre di un capitale minimo per certe attività o avere una qualifica personale particolare per detenere il capitale sociale o gestire certe società; imposizione di un numero minimo di dipendenti; tariffe obbligatorie (minima e massima) che il prestatore deve rispettare; divieti e obblighi in materia di vendita a perdere e di saldi; obbligo da parte del fornitore di dare accesso a servizi forniti da altri; obbligo da parte del fornitore di servizi di fornire, insieme al suo, altri servizi specifici.

Sarà la Commissione europea, di cui si conosce la “devozione” verso le imprese private, a verificare che la legislazione degli Stati membri si adegui alle nuove disposizioni. Questo progetto sottrae ai poteri pubblici qualsiasi diritto di indirizzare l’organizzazione dell’attività economica del proprio Paese.

3. La sanità (art. 23)

La Direttiva non prevede norme particolari per nessun settore dei servizi, tranne che per le cure sanitarie. Se un fornitore di cure sanitarie dello Stato A vuole stabilirsi nello Stato B, quest’ultimo non può subordinare l’autorizzazione dell’insediamento alla presa in carico delle cure sanitarie da parte del forniture di cure dello Stato A sulla base del sistema di sicurezza sociale dello Stato B (quello dove egli si vuole stabilirsi). Un fornitore di cure che si stabilisca in un Paese, non è quindi tenuto a rispettare il sistema di sicurezza sociale del Paese ospite. Ci si trova in presenza della volontà deliberata da parte della Commissione europea di togliere agli Stati il potere di decidere della loro politica sanitaria. Così facendo, la Direttiva viola il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 152-5 del Trattato secondo cui «nella sanità pubblica l’azione della Comunità rispetta pienamente la responsabilità degli Stati membri quanto a organizzazione ed erogazione di servizi sanitari e cure mediche».

4. L’armonizzazione commerciale (art. 29)

La Commissione riscopre le virtù dell’armonizzazione quando si tratta di decidere l’abrogazione di una norma etica: l’interdizione della pubblicità commerciale per le professioni regolamentate, che viene considerata “desueta e sproporzionata” (IP/04/37 del 13 gennaio 2004). L’abrogazione deve permettere per esempio ai medici o agli architetti per esempio di entrare pienamente nella competitività commerciale e fare uso delle regole della concorrenza a scapito delle riserve che impone loro la deontologia.

L’impatto

Le conseguenze di questa Direttiva, se adottata, sarebbero considerevoli.

1. La nuova definizione dei servizi è molto ampia e apre la strada alla privatizzazione e alla messa in concorrenza di quasi tutte le attività di servizio, compresa la quasi totalità dell’insegnamento, la totalità della sanità e delle attività culturali.

2. Il “principio del Paese d’origine” permette di deregolamentare e privatizzare totalmente i servizi che non sono forniti direttamente e gratuitamente dai poteri pubblici.

3. Il “principio del Paese d’origine” consente di destrutturare e smantellare il mercato del lavoro nei Paesi in cui è organizzato e protetto: un’impresa polacca che distacchi dei lavoratori polacchi in Francia o in Belgio, ad esempio, non dovrà più chiedere l’autorizzazione alle autorità francesi o belghe se ha già ottenuto l’autorizzazione dalle autorità polacche e a quei lavoratori si applicherà solo la legislazione polacca. Inoltre se l’impresa polacca utilizza personale che proviene, ad esempio, dalla Ucraina (Paese che non fa parte dell’Unione), solo la legislazione polacca verrà applicata a questi dipendenti. Infine il principio consentirà alle imprese ad interim di distaccare lavoratori interinali negli altri Stati membri senza la minima restrizione, alle condizioni salariali del Paese d’origine.

4. La scomparsa delle restrizioni nazionali all’insediamento apre la strada allo “Stato minimo”, e cioè a uno Stato che ha perso il diritto di fare le scelte fondamentali nella politica dell’istruzione, della sanità, della cultura e dell’accesso di tutti ai servizi essenziali.

La Direttiva e il Gats

Il progetto di Direttiva si può applicare a quattro modalità di fornitura dei servizi, che il Gats così definisce. Prima modalità: i servizi transfrontalieri, come quelli provenienti dal territorio di un Paese membro e destinati a un altro Paese membro; ad esempio, la trasmissione telematica di consulenze di avvocati del paese A al paese B senza spostamento fisico di una delle due parti. Seconda modalità: il consumo transfrontaliero o quello all’estero, come l’affitto da parte di un turista del paese A di una macchina all’estero. Terza modalità: la sistemazione di un fornitore di servizi di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro. Quarta modalità: il distacco temporaneo di persone, come ad esempio operai edili del paese B occupati provvisoriamente nel paese A, nel quadro di un contratto edile eseguito da una impresa del paese B. Il Gats riguarda tutti i servizi di tutti i settori, con una sola eccezione, i servizi pubblici forniti nell’esercizio del potere governativo a condizione che non lo siano su base commerciale (devono essere gratuiti), né in concorrenza con altri fornitori. La Direttiva sarà applicata a tutti i servizi forniti alle imprese e ai consumatori, eccetto quelli erogati gratuitamente e direttamente dai poteri pubblici. La direttiva e il Gats poggiano su principi comuni. La regola della trasparenza vale a dire l’obbligo di fornire informazioni sui servizi. L’accesso al mercato che implica che i Paesi aprano il loro mercato ai fornitori di Paesi terzi e che questi ottengano il diritto di fornire quei servizi sul loro territorio. Il trattamento nazionale quello in base al quale lo Stato membro deve riservare ai fornitori stranieri di servizi lo stesso trattamento riservato ai fornitori nazionali, con l’aggravante – rispetto al Gats – che, nel caso della Direttiva, lo Stato non può imporre le proprie leggi ai fornitori stranieri. Nel quadro del Gats questi principi devono essere esplicitati per ogni settore e sono possibili delle restrizioni; non è così nella Direttiva. Essa prevede che gli Stati membri non possano subordinare l’accesso a una attività di servizio e alla sua fornitura ad un particolare regime di autorizzazione come ad esempio test di necessità economica, salvo: se l’obiettivo perseguito non può essere realizzato attraverso una misura meno restrittiva; se il regime di autorizzazione non è discriminatorio verso un altro fornitore di servizi; se la necessità di un tale regime si giustifica per motivi vincolanti di interesse generale. Il Gats riconosce invece che i Governi possono intervenire con la regolamentazione pubblica purché essa abbia un fondamento scientifico e non esista un’altra regolamentazione meno distorsiva della concorrenza. Il progetto di Direttiva appare chiaramente per quel che è: una trasposizione del Gats, in chiave ancora più neoliberista.

La Direttiva
e l’allargamento

Questa Direttiva, una volta adottata dal Parlamento europeo, si applicherà a tutti i 25 Stati membri dell’Unione. Bisognerebbe essere ingenui per credere a una coincidenza tra la presentazione di questo progetto e l’allargamento dell’Europa. Il “principio del Paese d’origine” diventa interessante solo perché l’allargamento crea due spazi in seno all’Europa: uno formato dai Paesi che ancora conoscono le regole di diritto in campo fiscale, sociale e ambientale; e un altro spazio che, in seguito alle intense pressioni del Fmi, della Banca mondiale e dell’Unione europea, è stato “riformattato” secondo i principi neoliberisti prima dell’ingresso nell’Unione dei Paesi che vi appartengono. Con questa Direttiva, viene legalizzato il dumping fiscale, sociale e ambientale.

Raol Marc Jennar
Ricercatore presso Oxfam Solidarité (Bruxelles) e Urfig (Parigi). Dossier tratto dal trimestrale “Quarto Stato”   
Fonte.www.liberazione.it
2.11.04       

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