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DI RITA PENNAROLA
La Voce della Campania

Circondata dalla più assoluta riservatezza sta per essere varata al ministero degli Interni la modifica alle leggi sulla pubblica sicurezza che aprirebbe la strada alla nascita di polizie private mercenarie, con più ampi poteri, sull’onda delle diverse emergenze, dal terrorismo al tifo violento fino ai reati commessi da extracomunitari. Scenari da paura, con un’Italia sempre più simile all’Iraq.

C’era una volta l’Iraq. E c’era una volta il business dei contractors, quell’esercito privatizzato con licenza di uccidere civili, sparare in faccia a donne e bambini, devastare villaggi e città in nome di una guerra combattuta a colpi di milioni e milioni di dollari.

Oggi l’Iraq, l’Afghanistan sono qui, nelle città italiane, negli stadi e sulle autostrade, nelle ville private del nord est non meno che nelle oscure periferie dell’hinterland napoletano. Stanno per entrare in azione, anche in Italia, eserciti di contractors armati fino ai denti. Arriva la privatizzazione della polizia in forme assolutamente legalizzate. La Voce è in grado di rivelare il contenuto di un protocollo d’intesa ancora top secret redatto al ministero dell’Interno nei primi giorni di novembre e riguardante alcune sostanziali modifiche al Tulps (Testo unico leggi pubblica sicurezza), destinate a generare – secondo non pochi addetti ai lavori – squadroni di guardie giurate sul modello dei Blackwater americani, alle dipendenze di società private di vigilanza o di investigazioni (prossime peraltro alla unificazione, proprio in vista del mercato d’oro collegato alle misure anti violenza ed anti terrorismo).

BLACKWATER ALL’ITALIANA

Il documento, che porta la data del 16 novembre scorso, riguarda le modifiche da apportare al Tulps ed in particolare al Titolo IV: “Delle guardie particolari e degli Istituti di vigilanza e di investigazione privata”. Girato in forma riservata dalla presidenza della Federpol (il massimo raggruppamento della categoria) agli associati, il protocollo è accompagnato da copia della missiva inviata dallo stesso Gianuario Pellegrino, presidente nazionale Federpol, al prefetto Giulio Cazzella, responsabile del comparto sicurezza privata al Viminale e, dunque, parte attiva nel processo di privatizzazione spinta del sistema sicurezza nel Paese. Nella missiva Pellegrino chiede al prefetto un incontro per mettere a punto taluni aspetti della trasformazione, sottolineando che le modifiche risultano “profondamente innovative”, all’interno di un documento caratterizzato da “esaustività” e “compiutezza”. Alcune note siglate dai vertici Federpol sottolineano la portata dei cambiamenti. In particolare, la prima: «Il nodo, estremamente delicato, da sciogliere – si legge nella nota – è se sia ammissibile o meno ampliare l’area di sicurezza privata oltre i confini tradizionali degli articoli 133 e 134 del Tulps», vale a dire entro i confini che finora ne hanno limitato i poteri, riservando i compiti di ordine pubblico esclusivamente a Polizia e Carabinieri. E’ lo stesso Pellegrino, insomma, a mettere in guardia il prefetto circa i pericoli che potrebbero essere connessi a tutta l’operazione. E lo fa citando una norma diventata già, per imprenditori senza tanti scrupoli, il nuovo eldorado della security nostrana: il decreto ministeriale con il quale, lo scorso 8 luglio, il ministro dell’Interno Giuliano Amato ha dettato le nuove norme per la sicurezza negli stadi, facendo tra l’altro nascere la figura dello stewart, da molti ritenuta ambigua e pericolosa. «L’ “occasio belli” – si legge ancora nella nota riservata della Federpol – è data dal D.M. 8 agosto 2007, nella parte in cui prevede che i servizi di “stewart” negli stadi siano “assicurati dalle società organizzatrici direttamente ovvero avvalendosi di istituti di sicurezza privata autorizzati (…) senza precisare di quale delle due tipologie tradizionali di istituti di sicurezza privata debba trattarsi», ma «c’è anche l’ipotesi-limite della “costituzione di corpi armati non diretti a commettere reati” (…), per la cui attività è astrattamente ammissibile una licenza. Certamente possono rientrare fra tali “corpi armati” gli istituti di vigilanza composti da guardie particolari (generalmente armate), ma potrebbero rientrare anche le attività di reclutamento, addestramento e organizzazione di corpi di “contractors” quali quelli utilizzati in Iraq». Eccoci quindi arrivati al punto. «Noi investigatori privati – spara a zero uno storico esponente della categoria che preferisce restare anonimo – abbiamo avuto sempre il cuore della nostra professionalità nell’affiancare le Procure, nel rapporto con le Questure, con i penalisti, con la legge e le istituzioni. Ben diverso il settore degli istituti di vigilanza e delle guardie giurate, finora contenuto entro limiti rigidi per quanto riguarda compiti e funzioni. Oggi le modifiche del Tulps aprono la strada ad una unificazione di fatto fra le due categorie e tutto questo nel segno del colossale business targato sicurezza e antiterrorismo. Ma noi non ci stiamo».

L’investigatore della capitale parla a nome di quell’esiguo ma battagliero manipolo di dissidenti Federpol che, oltre a sparare a zero contro le intese governative sui rambo, contestano la recente nomina a vicepresidente nazionale della categoria del formatore di body guard Roberto Gobbi.

DA QUATTROCCHI A FEDERPOL

51 anni, originario di San Felice Circeo ma da sempre operante in Liguria nel business della sicurezza privata, Roberto Gobbi era balzato alle cronache nel 2004 come titolare della Ibsa, la società genovese – oggi cancellata dalla Camera di Commercio – per la quale era transitato Fabrizio Quattrocchi prima di essere rapito ed ucciso in Iraq. Per la stessa ragione il nome di Gobbi è finito nei fascicoli d’indagine di due procure, quelle di Genova e di Bari, che tuttora indagano sull’arruolamento di bodyguard con licenza di uccidere. “Scuole di mercenari”, aveva titolato lo scorso anno la Voce, aggiornando le cifre di un settore in crescita esponenziale per l’assalto delle nuove paure del millennio, dall’11 settembre al tifo impazzito. Uno scenario in cui anche la morte di un giovane tifoso come Gabriele Sandri per mano della polizia può dare la stura ad ulteriori manovre di privatizzazione giustificate dall’ennesimo “allarme sociale”, in realtà terreno fertile per sempre nuovi business. Lo hanno capito bene Roberto Gobbi ed il suo socio Giacomo Spartaco Bertoletti, due vecchie conoscenze per le inchieste della Voce. Fu il nostro giornale per primo, nel 2004. a trovare l’incrocio fra la Ibsa ed il Parlamento Mondiale per la sicurezza e la pace – cui fa capo anche Bertoletti – altra corazzata in odor di security che, partita dai vicoli di Palermo, mostra una spiccata “vocazione” ad infiltrarsi nelle istituzioni internazionali e nel giro dei passaporti diplomatici.

«Benché finora sui media come responsabile della società sia apparso solo Roberto Gobbi – scrivevamo a maggio 2004 – la Ibsa Italia è di proprietà del milanese Giacomo Spartaco Bertoletti, 63 anni, fondatore e direttore anche di un mensile dedicato alle arti marziali, Samurai, nonché titolare della relativa casa editrice (la srl Sport Promotion, 50 mila euro come capitale sociale) insieme alle figlie Katia, Tatiana e Natascia. Ibsa Italia fa parte della catena IBSSA, International Bodyguard Security Service Association, fondata in Francia nel 1994 ma con sede principale a Budapest ed associati in 90 paesi del mondo». Nella home page di Sport Promotion-Ibssa esisteva in quel periodo il richiamo ad un unico link, quello che riportava al Nuovo parlamento mondiale fondato da tal Monsignor Senator Viktor Busà, autoproclamatosi Arcivescovo ortodosso della Chiesa Russa Autocefala e più volte indagato da diverse procure della repubblica.

Ma torniamo ad oggi e al duo Gobbi-Bertoletti saldamente in sella, come abbiamo visto, alla strategica Federpol. Tutto si deve al sospirato rilascio della nuova licenza dalla prefettura di Genova nel 2006, «un fatto inspiegabile – ringhiano negli ambienti – dal momento che a Gobbi la licenza pareva essere stata ritirata dopo l’apertura delle indagini sulla scomparsa di Quattrocchi».

Security e courtesy solutions è il nome della nuova “macchina da guerra” messa in campo proprio nel 2004, ma entrata a pieno regime in attività dopo che lo stesso Gobbi aveva fatto piazza pulita di tutte le altre società che a lui facevano capo: nomi ingombranti come le tristemente famose Ibsa ed Ibsa Italia, certo, ma anche sigle dall’aspetto innocuo come la Stars Gym snc o l’impresa individuale Roberto Gobbi assicurazioni. In Security e courtesy solutions srl Roberto Gobbi – che mette in società anche suo figlio, il ventenne Giorgio – propone in primo luogo i suoi servigi di investigatore privato, attivo nei settori civili e penali, ma nella brochure illustrativa viene indicato anche il ruolo chiave degli “stewarts” che la S. e C. è in grado di fornire a chiunque avesse problemi di sicurezza personale o collettiva. Evidente, dunque, il richiamo al decreto ministeriale Amato e, soprattutto, alle modifiche al Testo Unico che il vicepresidente nazionale Federpol Gobbi si accinge a varare attraverso il protocollo in attesa di firma al Viminale ed, in particolare, attraverso le intese col prefetto Cazzella.

Sorpresa: per realizzare anche su piazze estere un oggetto sociale tanto ambizioso («Security e Courtesy Solutions è avvalersi di professionisti motivati, culturalmente preparati a svolgere un’attività internazionale, in grado di rapportarsi adeguatamente ai più diversi interlocutori e di proporsi con riservatezza»), la società targata Gobbi e Bertoletti può contare su un capitale sociale di appena 10 mila euro.

VIENI AVANTI, KAMIKAZE

Se Gobbi ha optato per un repulisti generale delle vecchie sigle prima di far decollare la nuova “creatura”, Bertoletti permane in ruoli di vertice nella IBSSA, la corazzata che non fa mistero di rappresentare uno fra i principali “vivai” di eserciti fai-da-te al soldo di multinazionali ed holding da un capo all’altro del pianeta, con epicentri sui territori di guerra. Ecco Bertoletti, ad esempio, menzionato più volte nella “Leadership of IBSSA” Romania, in qualità sia di socio fondatore che di membro del comitato esecutivo. «IBSSA – viene dettagliato – è l’associazione ufficiale della forza lavoro addetta alla sicurezza privata, degli operatori, delle risorse umane, delle compagnie tecniche e dei membri individuali professionisti». Si occupa di «organizzare, coordinare, dare assistenza, supporto tecnico e sviluppo ai suoi membri in tutto il mondo nel campo della sicurezza in tutte le sue modalità». Più precisamente lo fa «con 1400 membri in 80 Paesi nei 5 continenti».

«Circa l’80 per cento dei membri – si legge più avanti – rappresentano le diverse compagnie o organizzazioni di security, fra cui esperti di “polizia e sicurezza internazionale, noti body guards”, ma perfino, fra i membri onorari, «ministri, top leaders di organizzazioni internazionali e altri Vip». «Sarà per questo tipo di strani gemellaggi, con uomini come Bertoletti che siedono in società al vertice Federpol e contemporaneamente in sigle come la IBSSA – tuona un altro dissidente – che negli ultimi tempi, anche sull’onda dei cambiamenti legislativi in atto, cominciano ad arrivare in Federazione richieste di personale paramilitare per la protezione, ad esempio, di addetti ai pozzi petroliferi in luoghi di conflitto. Un assurdo, dal momento che siamo investigatori privati e non organizzatori di truppe mercenarie».

L’infaticabile Bertoletti, nel frattempo, prosegue anche nella sua attività di istruttore delle arti marziali, propagandata anche attraverso il sito sportpromotion.it. Che oggi rimanda al link www.kamikazeweb.com.

MAI DIRE SAYA

Mentre sale l’onda delle polemiche dentro e fuori la Federpol e qualcuno parla della creazione di una “polizia parallela”, c’è chi si sta già domandando se esista una qualche relazione fra le modifiche al Tulps e quanto vagheggiato dal vero artefice di corpi militari parallelo, quello stesso neonazista e massone conclamato Gaetano Saya che proprio con queste accuse è stato rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica di Genova. Lo stesso ufficio investigativo che aveva sentito Roberto Gobbi nell’ambito delle indagini sulla vicenda Quattrocchi. Esiste un nesso fra le due inchieste? Di sicuro, gli stessi sono i pm: Francesca Nanni e Nicola Piacente, tutti incredibilmente controdenunciati da Saya per presunti «reati di cospirazione, falso, calunnia, diffamazione, minacce e violenza ad un corpo politico ed altri vari reati, fra cui favoreggiamento al terrorismo islamico», si legge sull’autobiografia di quest’ultimo dettata a Wikipedia.

Trait d’union fra la Dssa di Saya e la Ibssa (vedi la Voce di ottobre 2005, inchiesta “Lo Stato parallelo”) di Bertoletti sarebbe un’associazione “umanitaria” macedone nella quale sedevano il presunto complice di Saya Riccardo Sindoca e lo stesso Busà, nel cui Parlamento mondiale troviamo il leader Ibssa George Popper. Oggi però, tutti pronti a rifarsi una verginità.

Mentre Gobbi e Bertoletti davano vita alla Security e courtesy solutions, Saya si spostava alla guida di un’altra agenzia di security, la Sicherheitsdienst, che rievoca fin dal nome i famigerati eccidi razziali dei nazisti. Non a caso la società ha sede in Germania «dove peraltro – rivela Saya – ha già trasferito la sua sede anche la Dssa». Heil Saya…

Del resto, i rapporti fra una certa parte delle forze militari e paramilitari con la destra estremista non rappresentano una novità. A rastrellare consensi nelle falangi armate dei rambo sarebbe oggi Alternativa Sociale, il partito fondato da Alessandra Mussolini con Roberto Fiore, Adriano Tilgher e Luca Romagnoli. Lo dimostra, per fare un solo esempio, la fedeltà assoluta dichiarata dal segretario nazionale del sindacato guardie giurate, il beneventano (trapiantato a Rimini) Mario Fusco, nominato dalla nipote del duce responsabile per la sicurezza dell’Emilia Romagna.

NESSUNO E’ PREFETTO…

Noi intanto torniamo a Roma, al ministero degli Interni, perchè è qui che, proprio nelle prossime settimane, si dovrà scioglire il nodo sul nuovo Testo unico della pubblica sicurezza. Nel mirino delle polemiche che stanno infiammando Federpol ci sono i due alti esponenti delle istituzioni che, per conto del ministro Giuliano Amato, seguono la trattativa fino al varo finale: il viceprefetto Massimo Pinna e, come abbiamo visto, il prefetto Giulio Cazzella, considerato il vero “uomo sicurezza” del Viminale. E’ lui, nella sua veste ufficiale di «Direttore dell’Ufficio per l’Amministrazione Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza» a rappresentare il ministero anche in occasioni come il convegno tenutosi in occasione di EXA 2006, la kermesse di Brescia dedicata agli armieri di tutto il mondo, uno fra i massimi appuntamenti internazionale del settore per i produttori di fucili, pistole, ma anche missili, cannoni e mine. Ed è ancora il prefetto Cazzella a tenere cosi d’intelligence in occasione del master organizzato dall’Università di Reggio Calabria (vedi box di pagina 6).

Una carriera, la sua, che tocca punte massime negli anni in cui è al fianco dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. E’ stato proprio quest’ultimo, il 17 maggio scorso, a spiegare dinanzi alla Commissione Affari costituzionali del Senato, nel corso dell’audizione conoscitiva su ruoli e trasformazione dei servizi segreti, che «l’ufficio del prefetto Cazzella, e in particolare l’ufficio per gli affari della polizia amministrativa, ha un rapporto di forte collaborazione con i Servizi per quanto concerne il commercio internazionale delle armi».

Compiti delicatissimi, dunque, non meno di quelli che il prefetto Cazzella potrebbe aver svolto per i fatti del G8 di Genova. Benchè infatti il suo nome non sia mai comparso in articoli o indagini riguardanti quelle tragiche vicende, l’8 agosto 2001 è lo stesso De Gennaro, nella sua veste di direttore generale del dipartimento pubblica sicurezza, a chiedere ed ottenere che il prefetto Cazzella sia al suo fianco durante l’audizione parlamentare a Camere riunite dinanzi al governo Berlusconi, all’indomani delle violenze sanguinarie.

POLIZIOTTI NELLA BUFERA

Anno nero, il 2001, per la Polizia di Stato. E non meno fosco il 2007, quando proprio i fatti criminosi relativi al G8, con gli assalti ai pacifisti inermi nelle caserme Diaz e Bolzaneto, si avvicinano uno dopo l’altro all’ora del redde rationem. Uno sbocco tutt’altro che immune da ulteriori tentativi di depistaggio: «La Signoria Vostra – scrive qualche settimana fa il pm del processo Enrico Zucca al procuratore capo di Genova – e il procuratore generale sono già stati più volte messi a conoscenza, anche con lettera riservata, dell’aperto tentativo proveniente da funzionari di “alto livello” appartenenti alla polizia di stato e diretto al discredito personale e professionale del sottoscritto». Zucca come De Magistris e Forleo? Zucca “reo” di far parte di quel pool di magistrati che aveva disposto le intercettazioni destinate ad iscrivere nel registro degli indagati l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro per istigazione e falsa testimonianza?

Rimosso dal vertice e sostituito dal suo vice Antonio Manganelli, De Gennaro ha trovato subito posto su un’altra, accogliente poltrona: «la commissione d’inchiesta per il G8 – alza i toni il penalista ed ex deputato del Prc Giuliano Pisapia – può servire a chiedere a Giuliano Amato, sotto giuramento, perchè Gianni De Gennaro sia oggi il capo di Gabinetto del ministro degli Interni di un governo di centro-sinistra».

Anche la recente promozione di Giovanni Luperi, imputato per le violenze di Genova a capo dipartimento analisi dell’Aise (l’ex Sisde), di certo non aiuta. Così come nuovo allarme suscita la morte del giovane tifoso della Lazio Gabriele Sandri per mano di un poliziotto. E comincia il solito balletto delle ricostruzioni e dei periti balistici. Come per la morte di Carlo Giuliani. E come per Mario Castellano, ucciso a Napoli esattamente un anno prima di Carlo, il 20 luglio del 2000, perchè girava in motorino senza casco. Tanti i tentativi messi in atto per scagionare il giovane poliziotto, Tommaso Leone, a cominciare dal solito colpo che doveva essere sparato in aria e che invece si era andato a conficcare nel polmone del ragazzo. Oggi sono in pochi a ricordare quella brutta pagina. Ma, forse proprio per questo, la giustizia ha fatto fino in fondo il suo corso e Leone, dopo la prima assoluzione, è stato condannato con sentenza definitiva. «Tutto ciò – commenta l’investigatore privato dissidente – da Castellano a Giuliani fino a Sandri e a tanti altri, accade con corpi di polizia e carabinieri addestrati e controllati dallo Stato. Cosa succederà se poteri tanto delicati saranno affidati per legge alle milizie private?».

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COSSIGA DOCET

Che i servizi di intelligence e security in questo periodo “tirino”, e anche molto, con una domanda in crescita esponenziale, lo dimostrano anche i master su argomenti specifici del settore che cominciano ad essere organizzati perfino da atenei italiani. E’ il caso dell’Università di Reggio Calabria che per l’anno accademico appena iniziato scende in campo con il “Master in intelligence” organizzato dalla facoltà di lettere. Grandi nomi fra i relatori, a cominciare dal presidente del Comitato scientifico: lui, Francesco Cossiga, la cui foto campeggia su manifesti e locandine accanto alla scritta “1992: crolla la Repubblica. Lui lo sapeva già”. E ancora, il generale Carlo Jean, docente alla Luiss e per un periodo incaricato della supervisione nel settore rifiuti-inceneritori in Campania; poi Giuseppe Cossiga, Giorgio Galli, Sergio Mattarella, Rosario Priore, il vicedirettore di Panorama Pino Buongiorno, il direttore di Limes Carlo Caracciolo, il caporedattore dell’Espresso Gianluca Di Feo. Con loro, il prefetto Giulio Cazzella (vedi articolo principale), che a metà febbraio terrà una session su “Intelligence e relazioni istituzionali, con particolare riferimento alla cooperazione con le Forze di polizia e le altre Amministrazioni pubbliche” ed il prefetto della capitale Carlo Mosca, che a inizio dello stesso mese intratterrà gli studenti sul tema “Visioni e valori. Il problema della definizione del concetto di sicurezza nazionale, tra politica e diritto”. Accreditati di una lunga e cordiale affinità, i prefetti Cazzella e Mosca (quest’ultimo a lungo capo di gabinetto del ministro al Viminale) siedono insieme anche nell’organigramma di un’altra sigla. Si tratta della Anfaci, Associazione nazionale dei funzionari dell’amministrazione civile dell’interno, che ha fra i suoi consiglieri lo stesso prefetto Cazzella e presidente onorario il pio Carlo Mosca. Proprio le sue spiccate inclinazioni religiose gli avrebbero sbarrato la strada lo scorso giugno quando si doveva nominare in quattro e quattr’otto il successore di Gianni De Gennaro al vertice della Polizia: «le perplessità su Mosca – scriveva Italia Oggi il 23 giugno – sarebbero legate esclusivamente a motivi caratteriali. Chi lo conosce bene dice di lui che è troppo cattolico, fin troppo mattutino, troppo Opus Dei, uno che ai fallimenti risponde con frasi tipo: “Hai provato a impegnarti di più e a dire una preghiera”? Un carattere non proprio militar style».

SANT’ANNA E IL CETO ELETTO

Qualcuno, oggi, la definirebbe una “Casta”, utilizzando un termine che va di moda. Ma il loro intento era e resta quello di entrare a far parte di una élite, di quel ceto eletto cui sarà affidato il compito di guidare il Paese nelle sue più diverse articolazioni. Per compiere meglio tale mission fondativa, gli aderenti mantengono fra loro stretti vincoli di amicizia e solidarietà che vanno ben oltre il termine della loro fondazione. Stiamo parlando dei Collegi Universitari italiani ed in particolare di quello conosciuto sotto il nome di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, tutti uniti quest’anno nel rituale appello ai contribuenti per ottenetre il versamento del 4 per mille in loro “sostegno”.

Nella storia del Sant’Anna spicca la personalità di alcuni fra i suoi ex allievi (non a caso riuniti in apposita associazione), in primis l’attuale ministro degli Interni Giuliano Amato, che così provvede ad esaltare le sorti dell’istituto: «Ci riuniamo ogni anno nei bellissimi locali della Scuola, organizziamo seminari e discussioni, partecipiamo anche individualmente alle attività didattiche. Molti di noi sono professori, professionisti o imprenditori affermati. Alcuni sono o sono stati ministri, primi ministri, amministratori della cosa pubblica ai più diversi livelli. Abbiamo tutti, quindi, esperienze da scambiare fra di noi e cose da dire ai più giovani».

Amato avrà dunque “scambiato esperienze”, nel corso degli anni, con ex allievi come il numero uno di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, il giudice di Corte costituzionale Sabino Cassese e, in passato, anche il vertice di Banca Generali Alfonso Desiata, recentemente scomparso. Senza contare guest star quali, per esempio, il big di casa Piaggio Roberto Colaninno, chiamato a Pisa per inaugurare i corsi dal presidente della Scuola Superiore, Riccardo Varaldo. Dulcis in fundo Enrico Letta, anche lui immancabile alle celebrazioni, così come l’altro diligentissimo ex alunno Corrado Passera. Firmatari dell’appello sul 4 per mille sono anche collegi di chiara fede Opus Dei, come le Residenze Universitarie Internazionali RUI o l’IPE, l’Istituto per le Attività Educative. Insomma, invece di finanziare i missionari comboniani o le mense per i poveri di Madre Teresa di Calcutta, perchè non foraggiare scuole e collegi per ricchi ed aspiranti vip?

La Scuola Superiore Sant’Anna potrebbe rientrare in sfere d’influenza diverse dall’Opus, ma non meno potenti. Disposte sugli scacchieri internazionali dell’economia, ma operanti sui nuovi scenari del conflitto. Al Sant’Anna è attivo infatti l’International Training Programme for Conflict Management, «struttura – spiegano i responsabili – che fornisce corsi di alta formazione destinati a tutti coloro che prestano attività in missioni sul campo. Avvalendosi della competenza di esperti che operano all’estero e della collaborazione con istituzioni civili e militari italiane ed internazionali, l’ITPCM ha formato finora più di 5 mila professionisti».

Rita Pennarola
Fonte: www.lavocedellacampania.it
Link: http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=68
Dicembre 2007

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