DENTRO LA GUERRA SEGRETA DELLA FRANCIA

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blankDI JOHANN HARI

The Indipendent

Da 40 anni il governo francese sta combattendo una guerra
segreta in Africa, ignota non solo al
suo popolo ma a tutto il mondo. Ha portato la Francia a massacrare
democratici,
installare dittatori su dittatori – e a fondare e alimentare il
più bestiale
genocidio dai tempi dei nazisti. Oggi, questa guerra è
così violenta da
costringere migliaia di persone a varcare il confine dalla Repubblica
Centrale
Africana verso il Darfur – cercando rifugio nei più noti campi
di sterminio del
mondo.

Ho sentito sussurri di questa guerra in marzo,
quando i
giornali hanno riportato che i militari francesi stavano bombardando la
lontana
città di Birao, nel nord est della CAR. Perché i francesi
stavano combattendo
là, migliaia di miglia lontano da casa? Perché
intervenivano in questo modo
nell’Africa Centrale da molti decenni? Non potevo trovare qui alcuna
risposta,
per cui decisi di recarmi là, nel grembo della guerra
dimenticata della
Francia.

Sul campo di battaglia – Birao

Sono in piedi ora su questo ultimo campo di
battaglia,
gettando lo sguardo sulle strade fangose con tracce di cenere. La
città di
Birao è vuota, per la prima volta in 200 anni. Tutto intorno si
vedono case
bruciate e abbandonate, con bambini denutriti che saltellano tra le
macerie.
Che cosa erano questo edifici? Su una insegna verde scolorito si legge
‘Ministero della Giustizia’, una struttura ora ridotta ad un ammasso di
carbone.
Nella piazza del mercato, la gente che
è ritornata sta vendendo poca merce – riso e manioca, il locale
alimento base
con lievito – e parla tranquillamente.
Ai confini della città, ci sono soldati africani armati e
istruiti dai
francesi, sdraiati dietro sacchetti di sabbia, che mostrano
nervosamente ai
passanti le proprie mitragliatrici. Cantano noiosi inni nazionalisti
sognando
la propria casa.

Per arrivare qui, devi viaggiare otto ore su un volo settimanale
dell’ONU che trasporta otto passeggeri al massimo, e poi
per un’ora sul retro di un autocarro arrugginito lungo strade
devastate e sconnesse. E’difficile capire quando sei arrivato,
perché tutto è silenzio e vuoto. Che cosa
è successo qui? Seduto nel mezzo al fango, polvere e
desolazione, incontro
Mahmoud, uno del 10% della popolazione di Birao tornata tra le macerie.

E’ un contadino di 45 anni con il viso smunto, che
spiega
con un voce lenta e bassa come la sua casa è venuta giù.

Mi
sono alzato per le
preghiere del mattino il 4 marzo e c’erano sparatorie dappertutto.
Eravamo
molto spaventati e così siamo rimasti in casa sperando che tutto
finisse. Ma
nel primo pomeriggio i bambini di mio fratello corsero in casa mia,
gridando e
piangendo. Dicevano che le Forcés Armées Centrafricanes
[Faca – l’esercito
equipaggiato e addestrato dalla Francia, nell’interesse dell’amico e
uomo forte
della regione, il Presidente François Bozize] erano entrate
nella loro casa. Non
riuscivano a calmarsi e spiegarsi. Allora corsi là, e vidi mio
fratello sul
terreno all’esterno, morto. La moglie mi spiegò che essi fecero
irruzione, lo
radunarono insieme a tre uomini che vivevano nelle vicinanze. Li
portarono
sulla strada e gli spararono uno ad uno in testa
“.

L’amico di Mahmoud, Idris, che viveva vicino,
temeva che gli
avrebbero sparato. Ora racconta:

Si potevano vedere i villaggi in
fiamme e i
bambini che urlavano impauriti, così corremmo per 2 chilometri
all’interno
della giungla. Da dove abbiamo visto la nostra città in fiamme.
Ci siamo
sistemati vicino al fiume, mangiavamo pesce
ma non ce n’era molto. Alcuni giorni non siamo riusciti a
prenderne così
siamo rimasti senza cibo. I
bambini erano terrorizzati. Anche ora, quando sentono un rumore
forte,
pensano che stiano tornando i cannoni e iniziano a tremare
“. “Il
quarto
giorno, abbiamo visto arrivare gli aerei francesi. Ciascuno aveva sei
missili
che furono sparati. Le esplosioni furono intense. Non sapevamo cosa
erano i
bersagli e perché. Poi arrivarono i soldati francesi
“. Era
un
carro pieno
di soldati, con occhiali da sole firmati e con un’espressione ansiosa
del tipo “Perché sono qua?“.

Mentre Mahmoud e Idris parlano si fa scuro e un’oscurità ed
un silenzio soffocanti calano sulla città. Non c’è
elettricità né la luce della
luna. Spiegano in questa oscurità che, a marzo, le truppe
appoggiate dai
francesi hanno iniziato a sparare e l’esercito francese a bombardare
per una
ragione: gli abitanti della zona disperati hanno iniziato a sollevarsi
contro
il presidente Bozize, perché non
faceva
niente per loro. La gente qua era stanca del fatto che “non ci sono
scuole,
ospedali, strade
“. “Siamo completamente isolati” – spiegano
– “Quando
piove, rimaniamo tagliati fuori dal mondo, perché le strade
diventano melma. Non abbiamo niente. Tutto ciò che i ribelli
chiedevano era l’aiuto del governo
“. Girando per Birao, ho udito
sempre questa ragione: i ribelli stavano semplicemente chiedendo aiuto
al governo per la gente affamata e abbandonata. Lo hanno ammesso in
privato perfino gli sconcertati soldati
francesi e i lacché di Bozize. Eppure
la risposta francese è stata quella di bombardare le postazioni
dei ribelli. Perché? Che cosa vogliono qui?

Guardo verso la giungla e mi rendo conto che molti
degli abitanti di Birao sono ancora nascosti là, esposti alle
bestie
feroci. In zone ugualmente distrutte dalle fiamme nel nord-ovest, entro
in auto nella
giungla con l’Unicef e trovo gruppi di famiglie affamate sparse
dappertutto. In
un appezzamento disboscato, incontro un gruppo di 4 uomini con mogli e
madri, intenti a ripulire un’area di terreno con le loro mani nude per
piantarvi arachidi. Vivono in capanne fatte con le mani e fabbricano
trappole per
catturare topi da mangiare. Ariette Nulguhom sta cullando il suo nipote
di 8 mesi con il piccolo addome disteso e prega che il bimbo sopravviva
ancora un’altra notte. Mi dice: “E’ malato da molto tempo. Vorremmo
portarlo
in una infermieria ma non ce ne sono.Pensiamo sia la malaria ma non
abbiamo medicine. Non sappiamo quello che succederà… Siamo tutti
indeboliti e febbricitanti. Siamo esausti perché lavoriamo tutto
il giorno, ogni giorno. Io non mangio da giorni
“. Abbandonando le
loro case,
non hanno più disponibilità di acqua pulita,
elettricità e medicine. Quando le
Faca bruciarono le loro case, hanno distrutto con le fiamme anche il
18°, 19° e 20° secolo per queste famiglie.

Questo è un angolo dimenticato di un paese dimenticato.
Birao si trova e muore nel lontano
nord-est della Repubblica Centrale Africana. Questa ha una popolazione
di solo 3,8 milioni, sparsa in un territorio più grande della
Gran
Bretagna, localizzata
esattamente nel cuore geografico dell’Africa. E’ il paese meno
raccontato della terra. Perfino il fatto che 212.000 persone siano
state spinte via
dalle loro case in questa guerra non ha avuto una risonanza mondiale. A
Birao, mi
rendo conto di essere troppo preso da questo orrore per cercare
spiegazioni
più profonde per questa guerra. Comincio solo a scoprire le
origini di
questa storia quando incontro un molto raro trovare nella CAR – un uomo
anziano.

Un paese di bambini – Paoua

Nella CAR, vinci una scommessa se vivi fino a 42 anni. A volte
questo
sembra un paese di bambini, che si accalcano con i loro fucili e i loro
duri
sorrisi,
senza un adulto all’orizzonte. Così mi sembra un miraggio quando
vedo Zolo
Bartholemew che zoppica dietro le macerie di un’altra città
bruciata – questa volta
nel lontano nord-ovest, fuori della città di Paoua. Non ha denti
e una faccia
rugosa, e quando lo chiedo, non sa dirmi la sua età. Ma lui
ricorda.
Ricorda la prima volta che i francesi
furono qui – e il perché.

Vidi i miei genitori forzati a lavorare nei campi
quando
ero un bambino
” dice in Sango, la lingua locale. “Quando erano
stanchi,
erano frustati e battuti per farli lavorare più veloce. Era
sempre così
“.

La bandiera francese fu la prima che
sventolò nel cuore
dell’Africa il 3 ottobre 1880, impossessandosi della sponda destra del
Congo
per la causa della Liberté, Egalité, Fraternité –
per l’uomo bianco. Il
territorio venne suddiviso tra società francesi, alle quali
venne dato il
diritto di rendere schiavo il popolo, come i genitori di Zolo, e
forzarlo a
raccogliere il caucciù. Questo veniva processato a formare
copertoni da vendere
a Parigi, Londra e New York. Un missionario francese, Padre Daigre,
descrisse
ciò che vide: “E’ comune incontrare lunghe file di
prigionieri,nudi e in uno stato pietoso, trascinati con un corda
intorno al collo. Sono affamati, malati e cadono in terra come mosche.
I bambini piccoli e gli ammalati vengono lasciati nei villaggi a morire
di fame. Le persone meno malate spesso uccidono i moribondi per
cibarsene
“.

Zolo accenna di sì con la testa mentre
racconto questo.
Quando i bianchi erano qui, soffrivamo ancora di più
egli dice “Ci forzavano a lavorare. eravamo schiavi“.

Un esterrefatto amministratore francese scrisse
negli anni
20 che i locali reagirono all’essere schiavizzati dalle società
diventando
un troglodita, che si tiene in vita miseramente con le radici
finché non muore di fame, piuttosto che accettare questi
terribili fardelli
“. Zone che “solo pochi mesi prima erano
ricche, popolose con residenti in grandi villaggi
” divennero –
scrive – “terra desolata, disseminata di villaggi dilapidati e
piantagioni abbandonate
“.

Ma negli anni 50, uomini come Zolo insorsero e
rifiutarono
di fare gli schiavi. “Seguimmo Boganda” dice.
Barthélemy Boganda era nato in un
villaggio
dell’Africa Centrale vicino qui nel 1910, e, da bambino, vide sua madre
battuta
a morte dalle guardie incaricate di ritirare il caucciù per una
società
francese. Egli crebbe con il clero cattolico, sposò una donna
francese, e,
quasi improvvisamente, divenne il capo del movimento pro-democrazia
della CAR.
Parlò alla Francia presentandosi come il figlio di un cannibale
poligamo, e
tenne discorsi sui valori della Rivoluzione Francese con una
capacità tale da
lasciarli stupefatti e umiliati. Aveva una visione di un’Africa
democratica al
di là delle tribù, delle razze e del colonialismo. Era
appassionato della
necessità di partiti politici, di una stampa libera e dei
diritti umani, e
della visione degli Stati Uniti d’Africa.

E lo uccisero” dice Zolo, scuotendo la testa e battendo i
piedi sul terreno.
Il 29 marzo 1959, non molto tempo dopo che era finita l’era del dominio
diretto francese, l’aereo del presidente Boganda esplose in aria. La
stampa
francese scrisse che vi erano “materiali sospetti” trovati nella
fusoliera
dell’aereo – ma su ordine del governo francese, l’inchiesta locale
venne abbandonata. La Francia installò al suo posto il dittatore
David Dacko, che abbatté le riforme democratiche di Boganda, fece tornare molte società francesi
e reintrodusse il vecchio sistema di lavoro forzato, rinominandolo
lavoro del villaggio“. Il dominio francese sopra
la CAR non finì con l’”independence“. Semplicemente
cambiò, in una forma nuova e
viscida,
che è alla base dell’attuale guerra. Gli indizi si trovano
lontano ad
occidente, nella capitale. “Niente succede qui che non sia azionato
a Parigi
” mi dice un tassista mentre parto per Bangui nel sud del
paese,
viaggiando tra nuvole di polvere rossa e nugoli di bambini da strada.
Ho un
appuntamento con un personaggio nascosto.

Un presidente tormentato – Bangui

Bangui appare una città, sorta nella
giungla un secolo fa,
che ha il desiderio di tornarci. Ogni edificio appare arrugginito, e
grandi
esplosioni di vegetazione stanno spostando case e negozi. Ad ogni
angolo vi
sono statue-caricature, enormi e ripugnanti, che rappresentano uomini
neri con
capelli crespi e labbra spesse, dando alla città l’aspetto di
una rivendita del
Ku Klux Klan.

Ogni poche
ore, la corrente muore. La gente ozia nelle strade, giocando a
carte e
asciugandosi il sudore con la parte posteriore dei polsi. E’ durante
uno di
questi blackout che giungo all’ufficio di un capo dell’opposizione con
una delegazione del gruppo inglese
Waging Peace. Il suo ufficio è sopra un gruppo di negozi ed
è una semplice
stanza piena di sculture in legno e dipinti africani di passate e
sfiorite
glorie. Cammina verso noi con un vestito verde, e – sebbene non lo dica
– si
sta prendendo un grosso rischio a incontrarci segretamente. Lo scorso
anno, 40
politici che criticavano il governo del presidente Bozize furono
imprigionati e
torturati. “Hanno cercato di uccidere
mio figlio. Stanno cercando di
assassinarmi
” dice, alzando le spalle. Ci fornisce lunghi e
orribili
dettagli. Non posso ripeterli perché potrebbero farlo
identificare, – e
risultare in una condanna a morte.

Il paese è in una
situazione spaventosa

afferma.
Siamo stati descritti dalla rivista
Foreign Policy come uno degli
stati
più falliti del mondo, dopo Iraq e Afghanistan
“. Aggiunge
che la
CAR è ora
una dittatura totale e feroce
sotto il commando assoluto di Bozize.
Le radici delle guerre a nord-est e
nord-ovest sono semplici. “Il popolo
in queste regioni si sta
ribellando
contro il governo, perché il governo non gli dà niente.
Non ci sono servizi.
Non ci sono neppure le strade. Così i ribelli insorgono per
avere attenzione –
e il governo si vendica setacciando l’area, uccidendo civili e
bruciando le
case
“.

Ma chi è questo Francois Bozize, e
perché la Francia lo
appoggia con battaglioni e bombe? Telefono al vasto palazzo
presidenziale per
incontrare l’uomo che guarda fisso, da dietro un paio di baffi
abilmente
spuntati, nelle immagini che si vedono su ogni muro, e l’addetto stampa
del
presidente mi risponde “Mi richiami,
sto finendo il credito sul
cellulare

e chiude di scatto. Poi mi promette un incontro con il presidente ma
trova
misteriose “complicanze” che
ogni volta lo annullano. Ci sono voci a
Bangui che Bozize stia divenendo sempre più paranoico e
nascosto, avendo
assunto assaggiatori di cibo per evidenziare veleni e rifiutandosi di
incontrare stranieri. Allora vado in cerca dei pochi scampoli di
giornalismo
indipendente che sopravvive qui per ottenere indicazioni su chi sia
realmente
questo figlio amato dalla Francia.

Le Citoyen
è distribuito su carta fotocopiata ogni giorno e venduto agli
angoli delle
strade per pochi soldi – ma è uno dei bastioni delle residue
libertà
nell’Africa Centrale. Il suo editore Maka Obossokotte ha una
bella barba
grigia, zigomi squadrati e una volontà di ferro.
E’ stato imprigionato più di una volta per criticare il
Presidente e i suoi compari, ma insiste perché lo citi per nome.
“In
prigione, ti viene dato come cibo pesce marcio. Mi sono preso la gotta.
I bagni….

scuote la testa “E’ un inferno“.
Dice di sapere adesso che “è
molto
probabile che qualcuno del clan presidenziale mi ucciderà…. Ogni
mattina quando
mi sveglio, penso che ci siano tre letti in cui finirò la notte:
qui a casa,
all’ospedale o nella stanza mortuaria
“. Ma dice: “Io non voglio aver
paura. E’ quando hai paura che hai perso
“.

Seduto in una deliziosa nube di fumo, traspirando
sigarette
forti, Maka mi racconta la biografia del presidente. E’ nato nel vicino
Gabon,
figlio di un ufficiale della polizia della CAR. Non fu brillante a
scuola, ma
si adoperò per ottenere un impiego come guardia del corpo di
Jean-Bedel
Bokassa, uno dei più malvagi dittatori adulati e lisciati dalla
Francia.
Bokassa fu famoso per essere un pazzo, si dichiarò “
Imperatore
della
CAR
“, mangiò il capo dell’opposizione, e aprì il
fuoco su
un gruppo di
bambini che stavano protestando per richiedere un sostegno per
l’acquisto dei
vestiti scolastici. Bozize portava il bastone e la borsa di Bokassa, e
spiega
Maka: “Era osservando lui che a
Bozize venne il gusto del potere
“.
L’”Imperatore” lo promosse
generale.

Poco dopo, la pazzia di Bokassa lo rese un
inaffidabile
servo della Francia, così i francesi appoggiarono un colpo di
stato contro di
lui. Bozize andò a studiare all’Ecole Spécial Militaire
di Saint-Cyr in
Francia, e ritornò solo per organizzare un farsesco colpo di
stato. Nel 1982,
prese il controllo di una delle stazioni radio nazionali e
annunciò che egli
era il nuovo presidente. Tutti
risero; Bozize fuggì. Alcuni anni dopo fu riportato a
Bangui per essere
punito. “Lo torturarono
racconta Maka. “Gli orinarono in
bocca,
gli ruppero le coste, lo maltrattarono realmente per tre anni
“.

Infine lo lasciarono tornare in Francia per essere
curato –
e il governo francese iniziò a costruirlo come un presidente
alternativo, nel
caso che la loro attuale scelta divenisse troppo disobbediente e avesse
proprie
idee. Dall’essere un pover’uomo, improvvisamente Bozize
ebbe il denaro per dare il via ad un’imponente campagna
presidenziale. Corse ma perse.

Allora nell’ottobre 2002 si finanziò un
grande esercito
privato mercenario (provate ad indovinare con quale denaro) con lo
scopo di
invadere la CAR dal vicino Ciad, deporre il presidente in carica e
installarsi
come supreme governatore. Da allora ha “
vinto
” una contestata
elezione che aveva accomodato per sé e che ottenne
l’approvazione della
Francia.

La Francia vede la CAR come una
colonia
” mi dice
Maka. “I presidenti sono scelti dalla
Francia, non eletti dal popolo.
Non
servono gli interessi del paese, ma quelli della Francia
“. Poi
elenca
le
società francesi che usano la CAR come una base per derubare le
risorse
dell’Africa centrale. Questo comportamento francese è alla
radice delle guerre
che attualmente sconvolgono il nord del paese. Chiunque diviene
presidente sa
che il suo potere deriva da Parigi, non dal popolo – in questo modo
egli non ha
incentivi a sostenere lo sviluppo del paese. Le ribellioni sono dunque
inevitabili, e il presidente le reprime bruciando le case e sganciando
bombe
francesi come avevo imparato a Birao.

Il paese non potrà
svilupparsi a meno che
la Francia
non cessi di mettere al potere questi ditattori e il popolo inizi a
scegliere
” aggiunge Maka, schiacciando la sigaretta in un
portacenere
colmo. “La CAR progredirà solo
quando avrà un presidente
scelto dal popolo
e non dalla Francia
“.

Dentro il paese dei ribelli – Bossangoa

Ora sto guidando nel caldo bollente di Bossangoa,
città
natale di Bozize – e l’ultimo avamposto del suo potere prima di entrare
nel
territorio dei banditi-e-ribelli. I villaggi di Marie Celeste si
distendono per
miglia uno dietro l’altro. Silenzio.
Muri mangiati dalle fiamme. Città
morte. Nelle case ci sono stoviglie fracassate, abbandonate
quando gli abitanti fuggirono agli assassini e saccheggiatori di
Bozize. In un
altro villaggio, la campana che chiama i bambini per la scuola sta
ancora
ciondolando da un albero, dimenticata. Sulla lavagna c’è
l’ultima lezione: una
mappa della CAR in gessetto.

Poi, dopo un’ora di viaggio oltre Bossangoa
nell’interno
della giungla, si trovano segni di vita. 0into
the jungle, there are signs of life. In un villaggio
bruciato ci sono 20 giovani, sudati, con i Kalashnikov. Ci fermiamo e
ci
rendiamo conto di essere in un inaspettato campo di ribelli. Il leader
dei
ragazzi si avvicina – uno più anziano, di circa 24 anni – e
stringe le nostre
mani. Spiega che fanno parte del ribelle Esercito per la Restaurazione
della
Repubblica e della Democrazia (acronimo
francese APRD), che ha conquistato quest’area. Le sue “
truppe
” sono
vestite in
modo strano. Uno indossa occhiali e berretto da sci, in un luogo della
terra
più lontano da un pista da sci. Un altro indossa niente altro
che un costume da
bagno rosso acceso, una mezza dozzina di corde di proiettili intorno al
collo,
una ciabatta da donna argentata e splendente sotto il sole.

Ci spiegano che non è loro consentito
rilasciare
dichiarazioni – solo il loro capo può farlo – e di essere felici
di farsi
fotografare, assumendo pose scomposte. Si mettono proiettili in bocca,
flettono
la muscolatura, e assumono false smorfie di aggressività, come
se stessero
riproducendo un poster di Rambo. Il soldato con la faccia da bambini in
un
angolo, mi dicono, ha 13 anni. Sembrano giovani di una qualunque strada
in
qualunque parte del mondo, che giocano a fare i ribelli.
Ed invece sono veri ribelli con vere armi.
Un ragazzo di 13 anni con un fucile è una visione comica –
finché non ti guarda
e sorride in modo strano.

Perché, chiedo, avete aderito alla
ribellione? “Bozize
ha ucciso mio padre, mia madre e mio
fratello
” dice il loro capo facendo un passo avanti e a bassa
voce. Si
scopre la veste e mostra una cicatrice infiammata dove afferma di
essere stato
colpito con una baionetta. “Pensavano
fossi morto e mi hanno
lasciato
“. Chiedo quello che vogliono i ribelli. “
Vogliamo pace,
scuole, strade
“. La maggior parte di loro accennano di sì
con la
testa.
Volete il potere? “Sta a Dio
decidere. Noi vogliamo strade e scuole
“.

Ce ne andammo mentre loro agitavano sorridendo i
loro fucili
nella nostra direzione. Seguo la scia di case bruciate fino a Poua,
città estrema
del nord ovest – e ora siedo su una panchina con l’uomo che ha ordinato
molti
incendi. Un luogotenente della Guardia Presidenziale (GP) mastica una
gomma al
sole, dietro un filo spinato con guardie della sicurezza addormentate.
La GP è
al vertice dell’esercito del paese e risponde solo al presidente Bozize
– la
sua milizia privata. Quando li vedi avvicinarsi sulle strade, con i
loro
sguardi folli e le armi pronte, ti viene il batticuore e i brividi alla
schiena. Nella piazza del mercato a Paoua, un “
ufficiale
” mette un
fucile alla tempia di un dottore di Médecins sans
Frontières dicendogli:
Faremo quello che hanno fatto in
Rwanda
“. Mentre io cerco di
parlare con uno dei capi.

Indossa una lunga vesta di color porpora brillante
e un
bianco fez, e mi dice in modo esitante che farà l’intervista in
modo anonimo.
E’ un giovane di 33 anni dalle spalle curve. La sua guardia del corpo
è un
muscoloso concentrato di ansietà, che osserva ogni mossa che
facciamo come se fosse pronto a saltare
addosso.
Allora, luogotenente, perché pensa che la gente appoggi i
ribelli e combatta
contro di voi? Scambia un’occhiata con la guardia del
corpo. “Non lo so“.
Perché la gente è così
spaventata della
GP? “Ci sono stati alcuni elementi
indisciplinati, ma li abbiamo
sistemati
“.
Allora sono solo i soldati indisciplinati quelli che bruciano migliaia
e
migliaia di case? Non avete dato voi l’ordine? “
Se bruciano case, noi
li
sistemiamo
“. Come li sistemate? “
Usiamo la punizione
“. Veramente? E
quante persone
sono state punite? E quando? Alla guardia del corpo non piace questa
domanda e
mi guarda di traverso. “Avevo un
ufficiale che si recò al
mercato senza
ordine. L’ho punito
“. Cioé? “
Lo abbiamo punito
“. Questo non
è
quello che la gente dei villaggi dice. Sono terrorizzati. “
Mi mostri i
villaggi. Io le mostrerò che abbiamo fatto del bene
“.
Dopo aver
lasciato
il complesso in auto, ci imbattiamo in due pallidi e disturbati
lavoratori
dell’opera di carità italiana Coopi. Mi spiegano che mentre il
luogotenente ci
stava rassicurando sul fatto che le sue forze sono disciplinate, un
ufficiale
della GP, a bordo di un motociclo, li aveva agitato un fucile in faccia.

Ad ognuna di queste scene mio torna in mente la
domanda:
perché? Perché i francesi appoggiano e addestrano questa
milizia? Il governo
francese afferma di trovarsi nella CAR in conseguenza di un accordo
militare
stilato negli anni 70 per proteggere il paese dalle aggressioni
esterne. Le
ribellioni nel nord, dicono, sono appoggiate dal Sudan – questo
è ciò che
conta. Mes amis, stiamo proteggendo un presidente democraticamente
eletto da un
vicino tirannico e genocida.

Ma non sono riuscito a trovare nessuna persona nel
CAR –
neppure la più filofrancese – che pensi che il Sudan abbia
qualcosa a che fare
con i ribelli. Così decido di incontrare a
Bangui Louise Roland-Gosselin, una direttrice anglo-francese del
gruppo
Waging Peace, che sta studiando la Repubblica Centrale Africana. “
Le
politiche qui nella CAR sono parte di un molto più grande
approccio della
Francia verso l’Africa
” ci dice. “
Chiamiamo questo sistema
‘Franceafrique’, e fu messo in piedi da Charles de Gaulle per
sostituire il
vecchio sistema coloniale. Esiste una chiara continuità dal
sistema imperiale
ad oggi
“.

I motivi di questa
guerra sono, afferma Roland-Gosselin, dollari, euro e uranio.
L’obiettivo
principale è prendere le risorse dell’Africa e travasarle nelle
tasche delle
società francesi
” ci dice. “
La stessa CAR è una base
dalla quale la
Francia può accedere a tutte le risorse dell’Africa. Ecco
perché è così importante.
La usano per tenere il petrolio che fluisce alle compagnie francesi nel
Ciad,
le risorse che vengono dal Congo, e così via. E naturalmente
questo stesso
paese ha le sue risorse. La CAR ha molto uranio, di cui la Francia
necessita
per la sua dipendenza dall’energia nucleare. Al momento ottengono
l’uranio dal
Niger, ma la CAR è il loro piano di riserva
“. Allora
questa
è in parte una
guerra per l’energia nucleare? “Sì,
ma anche molto denaro che
attraverso
la corruzione entra nel processo politico francese. Diciamo che sia
necessario
costruire una strada qui nella CAR. Il governo francese
insisterà perché a
farli sia un’azienda francese – e questa azienda per ottenere appoggio
donerà
molto denaro al ‘giusto’ partito politico francese
“.

Questa guerra neo-imperiale rahhiunse il suo
apogeo
psicotico nel 1994, quando il governo fancese utilizzò la CAR
come base per
finanziare e alimentare il genocidio ruandese, il genocidio più
sanguinoso
dalla morte di Adolf Hitler. Vincent Mounie è un personaggio di
primo piano in
Sur Vie, un’organizzazione francese che le azioni del proprio governo
in
Africa. Spiega: “La Francia era
pienamente complice nel genocidio.
C’erano
truppe francesi nella zona prima, durante e dopo il genocidio, in
appoggio
delle forze Hutu più estremiste mentre massacravano i Tutsi. Sai
chi fece le
carte di identità che separavano la popolazione ruandese in Hutu
e Tutsi prima
della carneficina? Furono stampate a Parigi
“.

La base militare francese a Bangui doveva essere
abbandonata
nel 1996 dopo che fu incendiata dalla rabbia dei locali, stanche dei
tiranni
imposti dalla Francia. Oggi la base è ricoperta di vegetazione e
i militari
francesi si sono spostati in nuovi insediamenti a Birao. Gli aerei
francesi che appoggiarono l’olocausto
ruandese partirono da qui.

Il Presidente François Mitterrand
iniziò la sua carriera
appoggiando una forza genocida e la finì appoggiandone un’altra.
Da giovane
crebbe nei ranghi del regime di Vichi, con l’appoggio di Hitler, che
abbandonò
unendosi alla resistenza quando ormai era chiaro che i democratici
avrebbero
vinto. Divenne allora nominalmente un socialista e, infine, presidente.
Il
governo francese aveva a lungo visto i nazionalisti Hutu in Ruanda come
i Loro
Uomini, le persone che amichevolmente richiedono alla Francia accesso
militare
e industriale. Quando nel 1989 i
rifugiati Tutsi spinti via decenni prima incominciarono a chiedere di
poter
tornare alle loro case, la Francia si infuriò. Mitterrand vide
questo movimento
per i diritti dei Tutsi come una creazione della CIA con lo scopo di
colpire un
regime pro-Francia e di sostituirlo con un amico dello Zio Sam. I suoi
aiutanti
gli dissero che non vi erano prove di un legame alla CIA – ma egli
rifiutò di
ascoltarli e annunciò che i Tutsi
erano
i “Khmer Neri” , una forza
malefica antifrancese, e iniziò a
costruire rapidamente le forze del Potere Hutu per combatterli.

In appena 4 anni, a partire dal 1990, la Francia
fece
crescere le forze militari nazionaliste Hutu da 10000 a 40000. Le forze
moderate ruandesi cercarono disperatamente di arrivare ad un accordo
tra i due
lati, “e il governo francese deliberatamente distrusse qualsiasi
tentativo
di giungere ad un accordo di pace” dice Mounie. Allora ebbe inizio il
fare
a pezzi uomini, donne e bambini Tutsi. Mitterrand fornì
più grandi
finanziamenti agli Hutu, che essi usarono per comprare armi e
munizioni. Poi
pubblicamente derise chiunque parlava del genocidio perpetrato dagli
Hutu.

Poi quando l’indignazione internazionale si fece
così grande
che Mitterand non poteva più ignorarla, la Francia
annunciò che avrebbe inviato
una forza militare per mettere fine alla carneficina. “
Era l’ultima
bugia
della Francia e la più crudele
” aggiunge Mounie. “
Anche a questo
punto il vero scopo di Mitterrand era di riconquistare Kigali e
restaurare il
potere Hutu. A Birao oggi, molti dei soldati che pattugliano la
città
sono veterani dell’’operazione di salvezza’
“. Sto sorseggiando
tè dolce in
una delle case fatiscenti di un pezzo grosso locale quando giunge un
gruppo di
soldati in pattugliamento. Sono lavoratori delle banlieue di Parigi e
Lione che
nel corso di un breve dialogo ammettono di essere stati in Ruanda – e
sono
ancora traumatizzati da ciò che Mitterand e i suoi uomini li
ordinarono di
fare.

I bambini ci portavano le teste
mozzate dei loro
genitori e ci uirlavano chiedendo aiuto
” dice uno di loro “
ma i
nostri ordini erano di non aiutarli
“.

Un anno dopo la fine dell’olocausto, Mitterrand
disse ad un
collaboratore: “Nessuno in Francia si
preoccupa del genocidio
“.
Questi turbati soldati, che siedono alla luce di un
sole in tramonto, dimostrano che il vecchio cinico si sbagliava,
almeno riquardo questo.

Madre, non colpirci – Bangui

Nel cuore insanguinato di Bangui, c’è una
metafora di questa
guerra. Su un lato della strada c’è il grande stadio che il
governo francese
costruì per Bokassa negli anni 70, perché si
auto-incoronasse Imperatore
dell’Africa Centrale e Signore di Tutto Ciò Che Vede. Sta
cadendo ora, un pericoloso relitto. Dal
lato opposto c’è uno nuovo stadio splendente con sedili
tappezzati e gradini in
marmo. E’ stato costruito dai
cinesi. La Francia è solo una fetta di questo nuovo
grande gioco, di
questa lotta globale per le risorse dell’Africa. Ogni potenza mondiale
rampante
– USA, Gran Bretagna, Cina – sta depredando le restanti ricchezze
dell’Africa,
accantonando problemi quali democrazia e diritti umani. Ma perfino i
dittatori cinesi
si ricordano di lanciare in aria qualche spicciolo dei ricchi che essi
hanno
depredato a Bangui. I francesi hanno smesso da lungo tempo di farlo.
Ora
vengono solo con proiettili e bombe.

Mentre mi preparo a lasciare la CAR, mi viene
detto da fonti
francesi e africane che Parigi starebbe per mollare il presidente
Bozize. Come
una sfilza di dittatori dell’Africa
Centrale prima di lui, egli si è stato trascinato al guinzaglio
della Francia,
immaginando di essere un governatore indipendente di un paese
indipendente. Ha
deciso di nazionalizzare alcune industri energetiche che operano nel
paese,
compreso le mega-multinazionali Total e ELF. “
Se vuole che la Francia
combatta i ribelli e lo tenga al potere, deve fare quello che gli
dicono
” dice
la mia fonte. Bozize sta cercando di agire in modo preventivo, offrendo
ai capi
ribelli un posto nel suo governo. Mentre guidando passo davanti per
l’ultima
volta al suo palazzo presidenziale, mi chiedo se la paranoia che mi ha
trattenuto dall’incontrarlo fosse così giustificata.

Ma quando finalmente l’aereo mi sospinge via da
questo
luogo, una voce della CAR – adirata e pazza – sembra seguirmi. Nella
giungla
intorno a Paoua, fui portato all’ingresso di un villaggio distrutto e
abbandonato per incontrare Laurent Djim-Woei, il portavoce dei ribelli
nel
nord-ovest.

Un gruppo di giovani ci dette il benvenuto.
Stavano
trasportando lance con i loro berretti da sci e le loro cicatrici.
Silenziosamente
ci invitarono a seguirli attraverso villaggi inceneriti, una densa
vegetazione
e oltre. Alla fine raggiungemmo uno spazio disboscato. Laurent era
vestito con
una colorata divisa da combattimento. Aveva un grande sorriso, rovinato
dalla mancanza
di quasi tutti i denti. C’erano tre cellulari pendenti dal suo colo.
Fece per
noi un’ispezione delle sue forze brancaleone, ordinando di stare
sull’attenti e
urlando ordini con la voce rauca in Sango. Poi Laurent ci disse di
sederci e si
imbarcò in una delirante e poco comprensibile lettura.

C’eravamo solo noi in una giungla silenziosa, ma
lui
guardava oltre noi e parlava con voce profonda, come se si tesse
esibendo in
uno stadio pieno di sostenitori. La CAR ha bisogno di un “
cane da
guardia

che “abbai per la giustizia” e
non di “quel genere di cane che ci
guida e che abbiamo avuto nel passato
“. E’ la prima di una
sfilza di
metafore. Cerci di condurlo su argomenti specifici: Cosa è che
vuole? Risponde
usando solo nomi astratti – giustizia, pace – per poi dare
momentaneamente risalto
alle sue lamentele prima di ritornare alle metafore e alla
incomprensibilità: “Bozize
brucia i nostri villaggi. Una nazione non dovrebbe bruciare i propri
villaggi.
E’ come una madre con un figlio, una madre non brucia il figlio, se non
è pazza
“.
I suoi occhi danzavano nervosamente verso al giungla mentre parlava ,
come se
stesse aspettando un raid.

La Francia è la madre
dell’Africa
Centrale, e noi
siamo i figli
” dice raccogliendo la vecchia metafora razzista e
facendola
propria. “La Francia deve ora
cambiare lato e appoggiare
noi, non Bozize. La Francia rappresenta i nostri
genitori, noi vogliamo che siano dei buoni genitori
“. Questo
è
un
sentimento che salta fuori inaspettato di fronte alle macerie causate
dall’intervento
francese – un appello alla Francia perché improvvisamente
diventi una madre
amorevole, che agisca sul versante giusto, nonostante tutto ciò
che si vede. La
Francia e la CAR sono, questo mi colpisce alla fine, strette in un
abbraccio
malsano. La Francia brama le ricchezze offerte da questo pezzo di
Africa,
rigoglioso e affamato, e il popolo dell’Africa Centrale si strugge dal
desiderio che un deus ex machina entri sulla scena e risolva le loro
dispute interne
con la violenza.

Guardando lontano, Laurent grida: “Noi
diciamo
alla
Francia: ‘Madre, noi siamo i tuoi figli, amaci come una madre dovrebbe.
Non picchiarci
“.

Nella giungla, la sua voce riecheggia per miglia, finché muore,
inascoltata.

Johann Hari
Fonte: news.independent.co.uk
Link: http://news.independent.co.uk/world/africa/article3030349.ece
5.10.07

Traduzione a cura di www.comedonchisciotte.org

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