L’attivismo per il premio Nobel a Wangari Maathai ha posizionato la questione ambientale al vertice dell’agenda sulla sicurezza globale.
E’ chiamata in molti modi. Tra i disagiati rurali del Kenya è conosciuta come la Crociata Verde o la Militante Verde. Il precedente presidente del Kenya Daniel arap Moi la chiamava “la donna pazza” e l’ha giudicata una seria minaccia per la stabilità del paese. Suo marito ha detto che era molto colta, forte, di successo, ostinata e difficile da controllare.” E adesso la professoressa Wangari Maathai è stata nominata premio Nobel.
E’ uno stupefacente conseguimento: la prima donna africana, su 12 donne, a vincere il premio Nobel per la pace; il suo posto è accanto a quello di Nelson Mandela, il Dalai Lama, Martin Luther King e Madre Teresa. Ancora più importante, è la sola ambientalista ad aver mai ricevuto il premio. Con un salto aggraziato ha piazzato la causa ambientalista in cima alle questioni della sicurezza globale.
Quando l’ho incontrata nella sua stanza all’Intercontinental Hotel di Londra, aveva appena ritirato il suo premio a Oslo, e mi ha dato l’impressione di essere qualcuno che aspettava da tempo che il mondo le andasse incontro. “Ovviamente pace ed ecologia sono collegate”, dice alzando le spalle. “Guardi le guerre che stiamo combattendo: sono quasi sempre piene di risorse: terra, petrolio, acqua, pascoli, diritti della pesca.”Maathai ha vinto il premio per la pace grazie al suo lavoro: ha piantato alberi e ha incoraggiato le donne di tutta l’Africa a fare lo stesso. All’ultimo controllo, il suo Movimento delle Cinture erdi (Green Belt Movement) è responsabile di aver piantato 30 milioni di alberi soltanto in Kenya. Oltre ad arginare i problemi di deforestazione sregolata, erosione del suolo e cambiamento climatico, il movimento ha promosso i diritti delle donne e ha conferito potere alle comunità impoverite prima di unirsi al movimento per la democrazia che infine ha cacciato il governo di Moi, corrotto e ladro di terra. Aveva ragione: Wangari è una seria minaccia.
64 anni, statuaria ed elegante, avvolta in abiti africani dai colori vivaci, Maathai si comporta come un’anziana statista. Adesso è membro del Parlamento (votata con il 98% dei voti nel 2002), e ricopre il ruolo di viceministro dell’Ambiente e delle Risorse naturali in Kenya.
Si sta godendo il palco internazionale che le ha dato il premio Nobel. Sta rilasciando interviste in maniera ininterrotta dalle otto di questa mattina, e s’incammina verso la sala d’attesa dell’aeroporto lasciando l’ultima troupe della televisione giapponese.
Ma ogni volta che sorride, ossia spesso, il suo volto diventa istantaneamente biricchino. Poi bisogna ricordare che per metà dei suoi 64 anni è stata un’attivista ribelle, che ha lottato con quelli dalla parte sbagliata del recinto, una spina pungente nella classe dirigente. “Non mi sono mai vista come un’attivista”, dice sorridendo. “Quando tutto questo è cominciato, ero una professoressa rispettabile dell’Università di Nairobi. Ero una brava ragazza. Ma una volta cominciato, ho compreso che l’attivismo era una necessità. Come ci muovevamo in lungo e in largo, continuavamo a trovare porte chiuse, così abbiamo dovuto forzare quelle porte.”
Per anni il Movimento delle Cinture Verdi è stato a stento notato dal governo, perché, come puntualizza Maathai, “erano coinvolte soltanto donne. Di conseguenza, quando la macchina del governo si è mossa contro Maathai, aveva già diffuso un supporto di base. Le persone avevano capito che era dalla parte dei poveri e si rifiutavano di credere alle diffamazioni diffuse dai fantocci del governo. Nondimeno, il suo attivismo l’ha mandata in prigione varie volte, ha accelerato la fine del suo matrimonio, l’ha spedita in esilio in Tanzania per sei mesi e, nel 1999, per concludere è stata aggredita mentre piantava alberi nella Foreste Pubblica Karura di Nairobi. “Non avrei mai immaginato che la polizia potesse farci del male” dice in merito all’episodio della Foresta Pubblica Karura. “Pensavo fossero lì per proteggerci dato che la folla era immensa, ma poi ci accusarono.”
Insistette a firmare il suo rapporto di polizia con il sangue che le colava dalle ferite della testa. I suoi gesti sono stati spesso fiammeggianti, di fronte a proteste impensabili per la maggioranza delle donne nella società patriarcale e tradizionale del Kenya. Ruppe tabù, rischiando ostracismo e derisione durante il processo. Nel 1992, persuase altre donne a denudarsi nel centro di Nairobi. Disse che togliendosi i vestiti, le donne “ricorrevano a qualcosa che per tradizione avrebbe colpito gli uomini. Si svestirono per mostrare la loro nudità ai loro figli. E’ una bestemmia vedere tua madre nuda.”
Quando le si è chiesto delle recriminazioni di Moi sul fatto che fosse matta, Maathai ci pensa su un attimo prima di rispondere: “Probabilmente ha ragione. Devi essere matto per separarti dalla tendenza. Quando tutti credono che questo sia il sentiero da prendere e tu ricevi un’ispirazione che ti dice che questo sentiero ti condurrà alla distruzione, quando ti permetti di alzarti e di dire a tutti che il re si sbaglia: questa è pazzia.”
La sua ispirazione per questo tipo di pazzia giace nella terra circostante la sua casa d’infanzia vicino al paese di Nyeri, nel centro del Kenya: una terra ricca e fertile dove ha lavorato con sua madre nei campi, coltivando, mietendo e andando a prendere l’acqua dai ruscelli cristallini che scorrono dai pendii del vicino monte Kenya. “Ricordo particolarmente quando scoprivo dei girini in uno di quei ruscelli, e quanto fossi incantata da queste piccole creature.”, ricorda. “Molti anni dopo, quando ritornai, i fiumi limpidi erano completamente ricoperti di limo rosso e i girini non c’erano più. Mio figlio non poté giocare con loro come feci io.”
Nobel Peace Prize Laureate Wangari Maathai, right, shakes hands with Norwegian Queen Sonja in the Oslo City Hall. King Harald V in the middle.
Negli ultimi 150 anni il Kenya ha perso circa il 90% della sua foresta naturale. La deforestazione cominciò quando i coloni britannici rimpiazzarono le foreste con raccolti per il commercio, principalmente thé e caffé, e continuò con il periodo post-indipendenza quando favoritismi politici venivano venduti con bustarelle di terra: ettari di foresta vergine furono immediatamente tagliati.
Dal 1970, quando Maathai si unì al Consiglio Nazionale delle Donne del Kenya, le donne rurali, molte di loro di Nyeri, si lamentarono con amarezza dell’assenza di acqua pulita, delle miglia che dovevano percorrere per trovare legna da ardere, e del fatto che le piogge scarseggiavano sempre più. L’ingegno di Maathai le permise di realizzare che i loro problemi fossero legati ai drammatici cambiamenti a cui aveva potuto assistere nel paesaggio d’infanzia e che dunque qualcosa di pratico andava fatto.
“Mi dissero di cosa avevano bisogno: legna da ardere, cibo, acqua, materiali da costruzione; realizzai che queste necessità non erano state soddisfatte poiché la deforestazione stava conducendo alla rovina del suolo, al prosciugamento delle sorgenti; la piovosità stava cambiando il che significava che gli agricoltori non erano in grado di produrre cibo a sufficienza fino alla stagione successiva. Compresi che qualcosa andava fatto.”
Così nel 1977 piantò sette piantine nel suo cortile e nacque un movimento.
“All’inizio, si trattò semplicemente di donne che potessero aiutare se stesse: procurarsi legna, frutti, biada e proteggere il proprio suolo.” Maathai mette le mani a forma di tazza quando descrive l’insegnamento fatto alle donne per “contenere la benedizione della pioggia”, per non “lasciar cadere nemmeno una goccia dalle loro mani.” Solo in seguito la sua campagna divenne un bene comune.
In questo modo, il Movimento delle Cinture Verdi ha portato la popolazione del Kenya al punto di partenza. Maathai sottolinea che prima della colonizzazione i keniota ordinari avevano un profondo rapporto culturale con la terra, e accusa il Cristianesimo di essere stato l’inizio di un comportamento che ha condotto alla “commercializzazione della natura.”
“Ai tempi dei miei nonni”, dice, “le persone credevano che il Monte Kenya era un monte sacro; avevano un comportamento reverenziale verso i fiumi, le montagne, gli alberi. Poi sono arrivati i missionari e hanno detto, “Dio non vive nelle motagne; vive in Paradiso.”
L’intero processo, dice, ha drammaticamente alterato la percezione della gente. Ha permesso alle persone di vedere la natura come una comodità: qualcosa da sfruttare, da vendere per qualche dollaro, qualcosa soggetto al possesso piuttosto che una risorsa della comunità che ha bisogno di essere nutrita per le generazioni future.
“Se credere che Dio sia sul Monte Kenya è ciò che aiuta la gente a preservare la loro montagna,” dice, “allora questo è perfetto per me.” Così Maathai ha lavorato attivamente con le chiese locali per incoraggiare un revival di una connessione spirituale con la natura. “Stanno cominciando a capire che dovrebbero essere al vertice della protezione dell’ambiente come custodi della creazione di Dio, ed essere di concreto supporto.”
Maathai è una specie rara in Africa: una donna colta, indipendente e impavida di mettere la sua testa oltre il parapetto. E in contrasto a quelli che compongono l’elite politica maschile in Africa, la sua infanzia rurale le ha permesso di sentirsi a suo agio a contatto con i poveri e gli analfabeti del suo paese. Parlano una lingua che lei ha appreso prima che i suoi diplomi in America e in Germania le permettessero di parlare per conto loro. “Ascoltandoli sono stata colpita dal mio privilegio,” dice. “Vivevo una vita piacevole, con acqua di sorgente e avevo le mie sorelle con me; anche loro dovevano camminare per miglia per avere lo stesso privilegio. Ringrazio mia madre ogni giorno per aver insistito affinché studiassi. Ringrazio anche le suore della scuola dove ho studiato, per avermi inculcato la nozione di servizio alla comunità.”
E’ profondamente critica sull’apatia della comunità internazionale nei confronti dell’Africa, delle inique tariffe commerciali, dell’immenso onere del debito del Terzo Mondo. E’ sospettosa sulla Commissione per l’Africa tanto annunciata da Tony Blair. Ma attribuisce il peso della responsabilità anche agli africani. Ha bisogno di africani ordinari che insistano su un corretto governo nel loro paese, in maniera che i leaders africani elevino le loro coscienze politiche, e la tendenza si occupi dell’endemica corruzione che i governi occidentali usano come scusa per non eliminare il debito o per abbassare le tariffe. “Finché non riaggiustiamo la nostra casa”, dice, il sistema internazionale continuerà a trovare scuse.”
Grazie in larga parte a Maathai, la fortuna del Kenya ha girato l’angolo. La fragile coalizione capeggiata da Mwai Kibaki, che ha spodestato Moi nel 2002, continua a combattere la corruzione e la povertà. E Maathai è contenta di essere dalla “parte giusta del recinto” per un cambiamento. “Molte persone preferirebbero che io fossi dall’altra parte del recinto”, dice ridendo. “Erano così abituati a me, al mio fare rumore e creare l’inferno per i governi, che non possono accettare di vedermi seduta qui senza far niente in forma di agitazione, ma questo è il nostro governo quindi è giusto supportarlo.”
Intanto, il Movimento delle Cinture Verdi continua ad allargare il suo campo d’azione. Adesso incoraggia anche l’agricoltura organica e la crescita delle piante indigene per integrare le diete della gente rurale e sta lavorando con delle donne per svolgere un progetto di educazione sull’HIV/Aids.
Ma più di tutto, il movimento ha insegnato a migliaia di individui in centinaia di comunità che possono cambiare le loro vite occupandosi del loro ambiente e che il loro potenziamento è nella terra sotto i loro piedi.
Al Summit sulla Terra di Johannesburg del 2002, Clare Short, segretario britannico per lo sviluppo internazionale, suggerì che l’ambientalismo fosse una comoda preoccupazione della classe media che in termini di priorità dovrebbe realmente essere un buon appoggio per alleviare la povertà.
In diretta contraddizione con il commento di Short, Maathai asserisce che la povertà e il degrado ambientale sono bloccati in un circolo vizioso che può essere rotto solo quando ci si prenderà cura dell’ambiente.
“La povertà conduce direttamente al degrado ambientale, perché i poveri non pensano al futuro e taglieranno anche l’ultimo albero se necessario. Ma il degrado ambientale porterà anche alla povertà, perché quando non hai suolo, non hai neanche erba, né alberi, né acqua: non puoi effettivamente aiutare te stesso. Dicevo sempre alle donne, “Se diciamo di essere troppo poveri per occuparci dell’ambiente, la situazione non può che peggiorare. Dobbiamo voltarci indietro e respingere la povertà. Piantare alberi rompe il circolo: quando possiamo procurarci cibo, legna e nutrire il suolo per piantarci e per avere acqua pulita, allora cominciamo a far ritirare la povertà.”
La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale insistono sul fatto che il commercio internazionale è la strada esclusiva che porta alla prosperità, ma Maathai ha provato che l’autosufficienza su un micro livello è più efficiente e sostenibile.
Sospetto che il suo status di premio Nobel non cambierà molto Maathai. E’ già minacciata di ritirarsi dal suo ruolo politico, poiché i suoi colleghi ministri hanno permesso varie azioni illegali di deforestazione nei pressi di Nairobi. A casa è diventata un’icona della verità e della democrazia sollevando un allegro inferno. La sola differenza è che ora la sua voce può elevarsi su una piattaforma internazionale e una delle speranze è che sarà ascoltata dai leaders mondiali, dalle agenzie di sviluppo, dalla Banca Mondiale … di fatto, tutti quelli che stanno cercando una soluzione per il riscaldamento globale, per la povertà, per i problemi legati allo sviluppo e per i conflitti.
Fonte: http://www.theecologist.org/article.html?article=492
Marzo 2005
Traduzione per www.Comedonchisciote.net a cura di Serena Fraiese