DI ERIC EYMARD
Mondialisation.ca
C’era una volontà politica?
C’era la reale intenzione che “l’islandese medio” venisse coinvolto in questo cambiamento
strutturale dello Stato? Gli organi dirigenti di governo dell’Islanda
si sarebbero astenuti dal partecipare alla revisione della Costituzione
in un momento di crisi socio-economica così forte e in un contesto
di forte diffidenza nei politici, nei media e nell’alta finanza?
Avrebbero potuto allo stesso tempo lasciare a dei cittadini visibilmente
scontenti un compito simile, essendo consapevoli di non trattare con
specialisti dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni giuridiche,
ma con persone presumibilmente incapaci di distinguere questioni nazionali
e desideri personali (alcuni hanno proposto addirittura la birra gratis)?
Reale intenzione o meno, le modalità
pratiche di attuazione del procedimento costituente sembrano ancor più
discutibili dei risultati ottenuti, in netto contrasto con gli obiettivi
prefissati.
Quanto detto porta a pensare che tutto
possa essere stato architettato in modo da escludere la nascita di un
cittadino-candidato qualsiasi, o ad affermare che questo impressionante
evento mediatico possa essere il frutto di una strategia di pubbliche
relazioni maturato dall’alto.
Da lì ad immaginare che alcuni
avrebbero voluto sabotare l’emendamento costituzionale c’è un salto
di pochi centimetri, che Sergei Bubka avrebbe superato di sicuro senza
dover utilizzare l’asta.
Il Partito d’Indipendenza, nemico
designato della revisione costituzionale
L’opinione secondo la
quale il Partito d’Indipendenza (Sjálfstæðisflokkur) avrebbe
cercato di screditare il sistema di votazione non è la descrizione
di uno scenario di fantasia politica. Al contrario. “Il Sjálfstæðisflokkur
ha fatto tutto il possibile per screditare le elezioni e impedire il
dibattito“, ha dichiarato Olof Petursdottir. “Le persone
precedentemente selezionate sono a priori affidabili, ma gli si mettono
i bastoni tra le ruote. Ciò che è
essenziale è creare un precedente, istituire una nuova Costituzione“,
conclude la traduttrice islandese trasferita in Bretagna.
Un’opinione che è condivisa da altri intervistati, che ritengono essenziale
il fatto di affidare il compito a persone competenti per massimizzare
le possibilità di un cambiamento efficace, veloce e profondo della
società. “Il contenuto (della Costituzione) si potrà
rivedere in seguito”, ha concluso Olof sorridendo.
Per Kjartan Jonsson, candidato alla
Costituente nel novembre 2010, i membri del Partito dell’Indipendenza
“hanno l’abitudine di essere al potere e intendono opporsi,
come l’ex primo ministro David Oddsson5, per
contrastare tutto ciò che è proposto o attuato dal governo di sinistra“.
Per questo insegnante d’islandese, gli esponenti di questo partito “tendono
ad avere stretti legami con coloro che hanno interessi materiali da
preservare, ad esempio coi proprietari delle quote sulla pesca“6.
Al contrario, “uomini come Gylfason (membro della Assemblea
EDLN), per anni hanno criticato i sistemi che hanno portato alla crisi,
compresa l’organizzazione e la distribuzione dei poteri in Islanda;
conoscevano le modalità per affrontare i cambiamenti che molta gente
attendeva“, sostiene Kjartan.
Il sistema elettorale preposto era
innegabilmente fallace e ciò fu trascurato dai sostenitori del
sistema di e-democrazia partecipativa. E in aggiunta, contrariamente
a quanto hanno sostenuto gli stessi adepti del sistema, il “cittadino
comune” non è mai stato preso in considerazione: i membri nominati
sono a tutti gli effetti parte dell’élite
della nazione islandese. Tuttavia le complessità e i difetti del sistema
elettorale costituirebbero un male minore se almeno le richieste del
popolo figurassero nella nuova Costituzione. Per quanto riguarda i venticinque
“costituenti” selezionati, a giudizio di Kjartan Jónsson,
sarebbero “adatti a ricoprire il ruolo” e soprattutto
“non hanno alcun rapporto né
con il governo né col Parlamento”, condizione necessaria e sufficiente
che pare essere sostenuta da tutti coloro i quali sono in attesa di
cambiamenti rapidi e radicali.
Il referendum Icesave non sarebbe
mai stato istituito
In conclusione, la nuova Costituzione consegnata in Parlamento nel mese di luglio
avrà rispettato le volontà degli islandesi? Avrà fondato le basi
di una democrazia degna di questo nome? Secondo Ragnhildur Helgadóttir,
“è troppo presto per dirlo“. L’insegnante di Diritto
ritiene che la vecchia Costituzione avrebbe dovuto subire delle modificazioni
tali da essere resa più accessibile, ma non ha mai “sentito
delle voci ragionevoli in capitolo”, e aggiunge che “ci
sono note positive (nella nuova Costituzione), ma ci sarebbe ancora
da lavorare“, posizione condivisa dalla maggior parte degli
intervistati.
Tuttavia ci vorrebbe troppo tempo per
fare una sintesi dei 114 articoli scritti. Su molti argomenti, i “venticinque”
hanno fissato il quadro generale e gli obiettivi ambiziosi, senza stabilire
né mezzi né i metodi di attuazione, con il rischio di lasciare
libero sfogo alla fantasia del legislatore. Tra i cambiamenti più “rivoluzionari”
figurerebbe la volontà dei costituenti di coinvolgere più cittadini
nel processo di elaborazione e di passaggio di leggi al Parlamento (articoli
65 e 66), e il limite della durata del mandato di presidenti e ministri
(articoli 79 e 86), questione adatta a scuotere le volontà di attaccamento
alla poltrona.
prevale l’indecisione. Per ciò che concerne la separazione tra
Stato e Chiesa (la Chiesa Evangelica Luterana è la religione di
stato) decide il Parlamento (articolo 19). Per quanto riguarda la protezione
del territorio e risorse naturali dell’isola (articoli 33 e 34), il
testo conferma la loro tutela (a meno che non siano proprietà di un
privato), ma lascia aperta la possibilità legislativa di “durata
ragionevole” in modo da preservarsi la possibilità di concedere
le licenze per utilizzare tali risorse. In altre parole, l’uomo d’affari
cinese [Huang Nubo, miliardario cinese, NdT] che ha recentemente rivelato
con entusiasmo la sua volontà di creare un eco-resort sull’isola
non si potrà lamentare di tale emendamento costituzionale.
Infine, l’articolo 67 stabilisce che
il ricorso al referendum popolare non sarà considerato in temi
riguardanti il bilancio dello Stato o le tasse. Su affari di ordine
internazionale, i “costituenti” hanno escluso dall’ambito di
competenza, in merito alle decisioni popolari, quei soggetti che potrebbero
ostruire nell’esercizio del potere e rallentare gli iter decisionali.
In altre parole, se la Costituzione fosse stata creata due anni fa,
i due referendum Icesave non sarebbero mai stati indetti e di conseguenza
gli islandesi non avrebbero mai potuto esprimersi e opporsi alle modalità
di rimborso del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda. La domanda
sorge spontanea: riguardo l’adesione dell’Islanda all’Unione Europea,
l’articolo in questione permetterebbe o no il ricorso alla consultazione
popolare?
Processo rivoluzionario o meno, voto
unanime o meno, si spera che i profondi cambiamenti voluti dal popolo
islandese, totalità composta da una maggioranza silenziosa alla quale
si oppone una piccola fazione oligarchica, possano avere un riscontro
positivo. Tuttavia per gli islandesi, ma non per le persone che, per
ragioni misteriose (proselitismo? Marketing? Propaganda?) hanno voluto
mascherare la realtà piuttosto che descrivere la storia, i cambiamenti
intrapresi in Islanda sono ancora in stato embrionale.
Alla fine una cosa è certa: l’euforia,
i discorsi accesi, le proteste intrise di passione e di volontà
sovversiva non cambiano nulla. Non possiamo attribuire nessuna forza
alle parole.
Fonte: Constitution islandaise : une révolution pour les Islandais ? (deuxième partie)
31.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FLAVIO MELE
LEGGI ANCHE: COSTITUZIONE ISLANDESE: STIAMO PARLANDO DI UNA RIVOLUZIONE? – PARTE PRIMA