DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
Ma insomma Cipro è o non è un “modello” per i futuri fallimenti bancari dei Paesi europei? Malgrado i dinieghi, i documenti ufficiali parlano chiaro.
Il discorso, come si intuisce, è molto più essenziale di quanto non appaia dal fatto che sui media di massa l’argomento è ormai uscito praticamente del tutto dall’agenda setting.
Perché se da un lato i giorni caldi delle Banche cipriote appaiono alle spalle, lasciando zone d’ombra piuttosto grandi (come abbiamo cercato di spiegare qui e qui, o, sin dall’inizio, in questo sommario), dall’altro lato non si può considerare l’argomento, e il furto praticato anche ai risparmiatori ciprioti, come tema concluso e destinato agli archivi delle nefandezze di questo sistema.Anche perché sul prelievo forzoso nei conti correnti, e sul concorso dei depositanti nel salvataggio delle Banche, molto più di quanto non sembri o venga riportato, continuano a trapelare posizioni e notizie contrastanti.
Che il prelievo sui conti correnti possa essere applicato anche in altri Paesi in odore di default è cosa decisamente più probabile di quanto si lasci trasparire. Se ne sono accorti in tanti, tra chi ha grandi patrimoni, visto che dai Paesi piigs non si ferma l’emorragia di capitali verso lidi ritenuti più sicuri. Meno se ne sono accorti gli altri, cioè i piccoli risparmiatori. E ancora meno se ne discute in giro. Il tono generale della comunicazione ufficiale, in tal senso, è quello della segretezza: meglio non divulgare notizie in grado di contagiare supposizioni che poi portano a effetti di massa difficilmente controllabili come, appunto, lo svuotamento dei conti correnti.
Ma i “fatti” che confermano il rischio del ripetersi di operazioni analoghe altrove, malgrado le dichiarazioni rassicuranti da parte dell’Europa e della BCE, sono parecchi.
A questo proposito, anzi, ben oltre, e ben di più, delle dichiarazioni di rito che vengono date in pasto a giornali e telegiornali, ci sono dei documenti precisi. Praticamente ufficiali. Uno di questi risale al giugno dello scorso anno, all’interno di una “proposta di nuova direttiva comunitaria” ( chi vuole può scaricarlo e leggerlo direttamente, in inglese, qui).
All’epoca, cioè meno di un anno addietro, l’idea provenne dal commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier, fatta propria poi dal vicepresidente della Commissione Olli Rehn. Un documento di 171 pagine in cui è spiegato tutto per dettaglio. Il tema centrale è quello di uno schema europeo per il controllo dei capitali e il “salvataggio” (le virgolette sono nostre) degli istituti di credito.
Ora, all’epoca vennero prese in esame alcune criticità del sistema finanziario europeo, e questo avvenne poco dopo il rilascio in modo trionfante dei dati sui famosi stress test delle Banche europee, che erano stati veicolati come molto positivi ma che, invece e appunto, tali non erano, visto che all’interno di quelle stanze di Bruxelles si stavano studiando piani per sanare situazioni che si sapeva già sarebbero, o prima o poi, esplose. Come a Cipro. E come sarà altrove.
Ebbene, in quel documento ci sono quattro punti, cioè quattro piani di eventuale intervento. Che ruotano attorno a una definizione molto ambigua: “se la situazione finanziaria di una banca si deteriora irrimediabilmente, la proposta garantisce il salvataggio delle funzioni essenziali di quest’ultima evitando nel contempo che i costi della ristrutturazione e della risoluzione delle crisi delle banche in dissesto ricadano sui contribuenti, facendoli invece ricadere sui proprietari e sui creditori della banca”.
I soggetti che devono pagare per eventuali crisi bancarie, si legge, sono dunque i proprietari e i creditori. Ovvero? Vediamo: gli azionisti sono i proprietari della banca, mentre i creditori sono unicamente gli obbligazionisti, che hanno prestato denaro alla banca comperando dei bond e permettendo a essa di avere liquidità per svolgere la sua funzione. Da qui, da questa definizione, che ripetiamo è molto ambigua e ora se ne capirà il perché, il documento europeo fa scaturire, come detto, quattro punti di possibile intervento.
Il primo, riporta Fabrizio Goria che ha tradotto il documento che abbiamo linkato su Linkiesta:
è l’attività di M&A (Mergers and Acquisitions, fusioni e acquisizioni) fra banche. L’istituto di credito in dissesto viene venduto, in parte o in toto, a un altro al fine di consentirgli il proseguimento della normale attività bancaria. In pratica, quello che è successo negli ultimi anni in Grecia e che recentemente è deragliato fra Alpha Bank ed Eurobank, due fra le maggiori banche elleniche. I rischi di questa operazione sono però elevati. «Se si decide una fusione fra istituti dello stesso sistema, bisogna valutare bene l’impatto di questo, al fine di non affossare la banca sana, che potrebbe diventare velocemente la prossima a entrare in crisi», ha affermato HSBC dopo la proposta Ue.
Il secondo è quello di una banca-ponte: se c’è una crisi, le autorità – occhio al termine: autorità – possono scegliere di selezionare attività migliori e costituire un ente che sarà poi venduto a terzi mentre le attività in perdita sarebbero liquidate tramite una procedura ordinaria di insolvenza.
Il terzo strumento è quindi quello “classico” della bad-bank:
Come nel caso della banca-ponte, con cui la bad-bank lavora, si opta per la separazione delle attività, sane e deteriorate. Queste ultime vengono trasferite in un veicolo di gestione, cioè proprio la bad-bank, che così ripulisce lo stato patrimoniale della banca in crisi.
Ma è il quarto punto quello più importante. Quello usato puntualmente per Cipro – è il bail-in, cioè la misura che spaventa investitori, risparmiatori, azionisti e obbligazionisti:
Al contrario del bail-out, ovvero il salvataggio esterno con soldi pubblici, il bail-in si può considerare come un autotrasfusione di liquidità. Nato fra 2009 e 2010, presentato per la prima volta in Europa dall’Association for financial markets in Europe (Afme), il bail-in è stato scelto come uno degli strumenti di risoluzione da Barnier. Può avvenire in diversi modi. Da un lato si possono colpire gli obbligazionisti, che perdono il loro status e diventano azionisti della banca, al fine di ricapitalizzare l’intero istituto. Oppure gli obbligazionisti possono perdere una sola parte di ciò che hanno, subendo un haircut (svalutazione sul valore nominale). Come? La banca converte le obbligazioni esistenti con nuovi bond. Oppure, si possono colpire i depositanti.
Chiaro? Era tutto previsto. Era tutto studiato. Era tutto scritto ed è stato puntualmente applicato a Cipro. Ripetiamo: “si possono colpire i depositanti”.
Insomma altro che misura unica e non riproponibile. L’Ue aveva già adocchiato tale possibilità, e le “autorità” citate nel documento non hanno fatto altro che applicarla.
Chiudiamo la riflessione sottolineando, a questo punto, che le dichiarazioni di Olli Rehn di qualche giorno addietro – «I depositanti non assicurati potranno subire perdite nelle future crisi bancarie» – lasciate scappare nel corso di una intervista alla televisione finlandese YLE, e presto sminuite e parzialmente corrette quando non proprio silenziate, identificano invece la realtà delle cose.
Non ci sono terze possibilità: o il modello Cipro è tale oppure non lo è. E da quel documento interno dell’Ue, oltre che dall’applicazione reale della norma (e infine come suggerisce la dichiarazione di Rehn), appare proprio che lo sia. Ergo, che possa essere riprodotto. Quando? Quasi da subito: la direttiva che abbiamo citato, come ha confermato Koen Doens, portavoce della Commissione Ue, entrerà in vigore ufficialmente nel 2015 per poi – attenzione – utilizzare il meccanismo del bail-in come strumento automatico a partire dal 2018.
“Automatico”, chiaro? Altro che “Cipro non è un modello”…
Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com
10.04.2013
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