DI YANIS VAROUFAKIS
thoughts for the post-2008 world
Questo è un articolo che apparirà, in qualche forma, in una futura edizione di Brooklyn Rail, una rivista d’arte di New York. Il mio intento era quello di scrivere un pezzo sugli effetti dell’unificazione europea sulla cultura europea. Eccolo…
1. Europa: Dalla divisione all’unità alla frammentazione
Mentre stava scendendo la cortina di ferro, “La doppia vita di Veronica” di Krzysztof Kieślowski (1991) non solo catturava con eleganza l’impatto emotivo della divisione post-bellica dell’Europa, ma anche trasmetteva una rimuginante angoscia sulla promessa “Unione Europea”.
Il congegno utilizzato da Kieslowski era il travolgente legame tra due identiche sconosciute, Weronika in Polonia e Véronique in Francia (entrambe interpretate da Irène Jacob). Le loro strade si incrociano solo una volta, proprio mentre l’Europa sta per essere ri-unita. Felice per essere stata appena chiamata al provino per una parte importante di canto, Weronika corre verso casa passando dalla piazza principale di Cracovia per ritrovarsi nel bel mezzo di una dimostrazione. Un manifestante colpisce accidentalmente la sua borsa, e gli spartiti cadono a terra. Mentre li sta raccogliendo, nota Véronique che sale su un autobus. Gli occhi delle due donne si incontrano per una frazione di secondo. Dopo il provino, coronato dal successo, Weronika ottiene il ruolo da solista ma, mentre canta intensamente alla premiere del concerto, crolla sul palco e muore. In quello stesso momento, a Parigi, Véronique viene sopraffatta da un dolore profondo e inspiegabile.
Il legame emotivo e musicale di Véronique con la sua doppia polacca (infatti, condividono l’amore per la stessa musica) e la profonda assenza che percepisce dopo la morte di Weronika simboleggiano la solidarietà e la connessione culturale-spirituale tra gli europei occidentali e quelli lasciati dietro la cortina di ferro, e anche verso i meridionali in Grecia o in Spagna che non furono liberati dal fascismo fino alla metà degli anni ‘70. Film come “La doppia vita di Veronica” o “Z” di Costa Gavras (1969) riassumevano un’unità culturale europea che non solo era sopravvissuta, ma era cresciuta all’ombra delle forti divisioni.
Come potrebbe un film elegiaco di questo tipo emergere dall’Europa “unita” di oggi? L’ironia del nostro momento presente è che l’eliminazione delle frontiere e il trionfo del mercato unico hanno svalutato e frammentato i beni culturali dell’Europa. Oggi Weronika potrebbe ottenere un contratto discografico a Parigi o a Londra, ma la sua musica sarà “omogeneizzata” all’interno di un mercato globale per la musica e l’arte che non conosce confini e manca di anima. Musica, arte, anche il teatro sono stati accolti sotto l’egida delle forze di mercato, guidati dalle istituzioni di Bruxelles ed “esibiti” in mostre di successo, o in una serie di concerti dal marketing pesante, in cui le stelle sono curatori postmoderni, gestori di celebrità e, naturalmente, i loro sponsor.
In breve, invece di essere legate dalla musica, dall’emozione, dal senso di colpa e dalla cultura, Véronique e Weronika oggi sarebbero vincolate da un contratto stipulato da uno studio legale globale. Infatti, Véronique sarebbe probabilmente preoccupata che Weronika si possa trasferire a Parigi, e prendere il suo… lavoro. In questo nostro mondo spietato, non c’è più spazio lasciato per film come “La doppia vita di Veronica”.
2. Cultura e mercato unico europeo : una contraddizione sempre più forte
Guardando dall’alto della celebre ruota panoramica al parco di divertimenti Prater a Vienna, Harry Lime (interpretato da Orson Welles ne “Il terzo uomo”, 1949) propose un’impertinente teoria della cultura: “In Italia per trent’anni sotto i Borgia hanno avuto guerra, terrore, assassini, spargimento di sangue. Hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e di pace. E che cos’hanno prodotto? L’ orologio a cucù.“
Per quanto possa essere impertinente la battuta di Lime, l’alta cultura europea è intrisa di sangue e spinta dai conflitti. Arte e musica sono ben lungi dall’essere caratteristiche benigne che decorano la civiltà europea. Picasso ha detto una volta che un dipinto non è pensato per decorare, ma per essere “un’arma contro il nemico“. Beethoven dedicò la sua Nona a Napoleone, e poi stracciò la dedica con rabbia. D.H. Lawrence sfoggiava un disprezzo furioso per la democrazia, con un virulento antisemitismo che elargiva a piene mani. La poesia di Ezra Pound festeggiò il suo immenso amore per la cultura europea che, purtroppo, non gli impedì di essere glorificato dal fascismo.
Hermann Göring, una volta, disse scherzando: “Quando sento la parola ‘cultura’, metto mano alla mia Browning”. Aveva ragione a pensare che la cultura è davvero un’arma pericolosa. A meno che, ovviamente, questa divenga mercificata da galleristi esperti, post-modernizzata dagli astuti curatori e disinfettata attraverso il tritacarne delle procedure di finanziamento della Commissione Europea. Göring non aveva mai capito che non c’era bisogno di usare la pistola! La cultura può essere disinnescata in modo rapido, facendola passare attraverso le porte girevoli che ci sono tra il mercato unico e la burocrazia europea. Perché inviare truppe d’assalto nei teatri e negli studi degli artisti, quando i burocrati, i banditori e i curatori possono eliminare il potenziale sovversivo della cultura, trasformandola in un reame dove la giocosità e la sovversione vengono scambiate sul mercato azionario culturale, accanto ai gioielli, alle automobili, ai gadget e agli strumenti finanziari tossici?
Da tre decenni il valore di scambio si è spianato la strada, liberandola da qualsiasi altra forma di valore, compreso quello culturale. Dagli anni ’70 la finanza ha subordinato l’industria e il neoliberismo ci ha convertito al nuovo credo che i mercati sono fini a se stessi, invece di essere mezzi destinati a un fine più grande. Abbiamo allora sviluppato un’incapacità radicale di articolare quei pensieri che potevamo concederci in un passato più fiducioso: che una canzone o una poesia hanno valore di per sé; che questo valore non può essere ridotto a un prezzo; che non tutto può essere sottoposto alla legge della domanda e dell’offerta e che l’incapacità di privatizzare l’odore di un prato a primavera non è un problema in cerca di una “soluzione tecnica”.
Anche se la mercificazione è un fenomeno globale, ha preso una forma particolarmente virulenta nell’Unione Europea proprio nel periodo di uscita de “La doppia vita”. Non perché l’Europa è diventata troppo pacificata o troppo unificata perché possa fiorire la cultura, ma a causa del ritiro progressivo della sfera pubblica. Non c’è niente di sbagliato nell’idea di un mercato unico dall’Atlantico all’Ucraina e dalle Shetland a Creta. I confini sono cicatrici terribili del pianeta e prima ce ne liberiamo, meglio è. No, il problema è che le economie di mercato richiedono un potente contrappeso che le renda stabili, civili. Per mantenere “pericolosa” la cultura e l’Europa civilizzata, un Mercato Unico Europeo aveva bisogno di uno stato democratico gigantesco. Invece, proprio mentre gli Stati nazionali erano in ritirata, stava prendendo il sopravvento una società interamente antidemocratica, burocratica e centralizzata. L’emergere di un mercato gigantesco e di una burocrazia colossale ha portato a un’Alleanza Scellerata di valore di scambio e di sanzioni burocratiche, a scapito dei valori culturali e politici che gli europei così dolorosamente hanno prodotto nel corso dei secoli.
3. Divisi da una moneta comune
In un cupo pomeriggio d’autunno del 1978, due uomini ben vestiti trasudanti autorità entrarono nella cappella che aveva ospitato per undici secoli i resti di Carlo Magno. I due uomini avevano appena concluso l’accordo che istituì il Sistema Monetario Europeo che poi ha portato all’euro. Uno di loro, il presidente francese Valery Giscard D’Estaing, era ossessionato dal ricordo di un precedente esperimento di unione monetaria tra le due guerre, il calamitoso Gold Standard. Il secondo pellegrino, Helmut Schmidt, Cancelliere tedesco, era anche lui preoccupato, temendo un contraccolpo per la potente Bundesbank. Per placare la loro trepidazione, Giscard e Schmidt cercarono conforto e legittimità nel lascito del Re Cristiano che, tra i tradizionalisti europei, è sinonimo di brama per l’Unità dell’Europa.
Quando, un paio di decenni più tardi, furono emesse le nuove banconote in euro, i segni culturali del disastro imminente erano già stati stampati in bella vista. Date un’occhiata a qualsiasi banconota in euro. Cosa vedete? Archi decorativi e ponti. Solo che questi sono archi fittizi e ponti inesistenti! Un continente pieno di tesori culturali viene, incredibilmente, escluso dal poter adornare le sue banconote di fresco con i propri tesori. Perché? Perché i burocrati non volevano stampare qualcosa di “pericoloso” sul nuovo denaro. Anche se non si sa nulla di economia o dell’architettura orribile dell’eurozona, lo scorcio del deserto culturale che è presente sulle banconote in euro poteva essere sufficiente per capire il suo olezzo.
Trentasei anni dopo l‘“euro-pellegrinaggio” kitsch di Giscard e di Schmidt, un continente che è stato culturalmente unito (malgrado temperamenti opposti, lasciti di guerra, lingue diverse , e persino Cortine di Ferro) è ora diviso da una moneta comune. Sulla base di una lettura assurda del racconto di Esopo in cui tutte le formiche vivono nel Nord protestante dell’Europa e tutte le cavallette si sono riunite a sud (più l’Irlanda !), la crisi di un’unione economica e monetaria malamente progettata ha portato il nucleo dell’Europa a uno stadio avanzato di disintegrazione.
4. Epilogo
L’Impero Romano implose quando il suo nucleo diventò troppo fragile mentre si stava espandendo verso est. Ne risultò un vuoto culturale, noto anche come Medioevo. Oggi anche l’Unione Europea vede il suo nucleo disintegrarsi in una fase di espansione verso est. Con una sfilza di fiere nazioni che vengono imbarcate fiscalmente una dopo l’altra; con i popoli che si rivoltano l’uno contro l’altro; senza una qualsiasi seria discussione per creare un’architettura economica razionale; e con alcuni Europei che sono sempre più convinti di essere Europei più bravi degli altri, il nucleo dell’Europa si sta indebolendo pericolosamente e i legami di solidarietà si stanno sciogliendo.
E qui è l’ironia: prima che le frontiere venissero abbattute, un film come “La doppia vita di Veronica” era perfetto a Parigi, a Londra e a Stoccarda. Oggi, una pellicola del genere non lo sarebbe. Véronique e Weronika non avrebbero alcun legame, nessun collegamento mistico. Sarebbero state schiantate l’una contro l’altra nel contesto di uno spietato Mercato Unico, in cui la solidarietà evoca i prestiti predatori per i “salvataggi” e dove la cultura che non si vende non ha alcun senso.
******************************
YANNIS VAROUFAKIS
thoughts for the post-2008 world
Link: Reaching For Our Revolvers: How a United Europe defused its culture and divided its people
31.03.2014
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SUPERVICE