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La Redazione

 

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COME FAR FINIRE LA GUERRA

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A cura di Vichi genio
Il 8 Maggio 2005
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DI NAOMI KLEIN

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La domanda principale alla quale dobbiamo rispondere tutti è questa: quali sono state le motivazioni reali dell’amministrazione Bush per invadere e occupare l’Iraq?

Quando saremo riusciti a conoscere il vero perché della guerra, lasciando perdere i pretesti di copertura vecchi e nuovi, come libertà e democrazia, allora potremo diventare un po’ più efficaci nella nostra opera di attivisti contrari alla guerra. Il modo più strategicamente efficace di fermare l’occupazione e di evitarne altre in futuro è di impedire a chi le inizia di appropriarsi del bottino, rendere cioè la guerra non profittevole. Questo risultato non può essere raggiunto se prima non individuiamo efficacemente gli obiettivi della guerra.

Quando sono stata in Irak, un anno fa, per cercare di trovare una risposta alle mie domande ho trovato che uno dei mezzi più efficaci era quello di seguire i bulldozer e le attrezzature di costruzione. Ero alla ricerca della cosiddetta ricostruzione. Quello che mi ha colpito di più , nel centro di Bagdad, è stata la mancanza di attrezzature per la ricostruzione, gru e bulldozer. Mi aspettavo di vedere attrezzature da tutte le parti.

I bulldozer stavano nelle basi militari; nella zona verde erano in corso enormi lavori di costruzione, si stavano costruendo gli uffici della Betchel e i preparativi per la nuova ambasciata USA. Grossi lavori erano in atto in tutte le basi militari. Ma a Bagdad gli ex ministeri non erano stati toccati per niente. Le macerie erano ancora al loro posto, non c’era il minimo segno di un inizio di lavori.

L’unica gru che ho visto nelle strade di Bagdad era usata come porta cartelloni pubblicitari. Una delle cose surreali di Bagdad era costituta dal fatto che mentre la vecchia città era in rovine, si vedevano tutti questi cartelloni pubblicitari scintillanti che propagandavano le glorie dell’economia globale. Il messaggio era: “Tutto quello che c’era prima non vale la pena di essere ricostruito. Vi stiamo portando un paese nuovo di zecca.” Si tratta della versione irachena del “Rifacimento totale”
(Trasmissione TV USA. Vedi più avanti. NdT)

Non si tratta di una coincidenza che in patria gli americani assistevano allo spettacolo di quell’esplosione di reality tv dove il corpo dei concorrenti veniva rifatto chirurgicamente da capo a piedi e le loro case venivano abbattute e rifatte. Il messaggio della trasmissione era: tutto quello che siete, tutto quello che avete, non serve a niente. Adesso cancelliamo proprio tutto e lo rifacciamo da capo con una squadra di esperti. Rilassatevi e lasciate fare agli esperti. Questo è esattamente il significato di “Rifacimento totale dell’Irak.”

Gli iracheni non hanno nessun ruolo in questa operazione. Per modernizzare il paese ci pensano tutto le ditte straniere. Non c’è posto per gli iracheni, anche con lauree in ingegneria, che già avevano costruito in passato il sistema elettrico e telefonico.

Se vogliamo scoprire quali sono gli obiettivi della guerra, dobbiamo dare un’occhiata a quello che ha fatto Paul Bremer quando è arrivato in Irak. Per prima cosa ha licenziato 500.000 persone, di cui 400.000 soldati. Poi ha stracciato la costituzione irachena, e infilato una serie di leggi economiche che l’Economist ha definito “il libro dei sogni per gli investitori stranieri.”

Fondamentalmente l’Irak è stato trasformato in un laboratorio dove si sperimentano le dottrine politiche radicali del libero mercato, sognate dall’American Enterprise Institute e dal Cato Institute a Washington, D.C., che in patria non possono spingersi tanto.

Così dobbiamo esaminare le politiche e le azioni della amministrazione Bush. Non dobbiamo scartabellare documenti segreti o cercare spiegazioni in grandi teorie della cospirazione. Basta riflettere sul fatto che non hanno ricostruito il paese ma delle grosse basi militari permanenti. La prima preoccupazione è stata quella di proteggere il ministero del petrolio mentre il resto del paese andava a fuoco; come ha detto Rumsfeld :”Sono cose che accadono.” La loro gioia nel lasciare che il paese bruciasse è stata quasi apocalittica. Hanno permesso che il paese fosse cancellato, per avere in cambio una terra di nessuno che poteva essere plasmata a loro immagine. Questo era l’obiettivo della guerra.

LA GRANDE MENZOGNA.

L’amministrazione ha detto che la guerra è stata combattuta per portare la democrazia. Questa è la menzogna a cui hanno fatto ricorso quando sono stati scoperti con le altre menzogne. Ma si tratta di una menzogna diversa dalle altre, nel senso che si tratta di una menzogna utile. La menzogna che gli USA hanno invaso l’Irak per portarvi la democrazia e la libertà, non solo in Irak ma, a quanto pare, in tutto il mondo, è tremendamente utile, anzitutto perché possiamo svelare a tutti che si tratta di una menzogna e poi perché ci possiamo unire con gli iracheni per cercare di renderla vera. Così mi dà un po’ fastidio che molti progressisti abbiano paura di usare il linguaggio della democrazia perché la sta già usando George Bush . In un certo senso stiamo abbandonando le più potenti idee di emancipazione mai create, quelle della auto-determinazione, della liberazione e della democrazia.

E’ assolutamente cruciale non permettere a Bush di procedere usurpando e diffamando queste idee, sono troppo importanti.

Guardando alla democrazia in Irak per prima cosa dobbiamo fare un distinzione netta fra elezioni e democrazia. La realtà è che l’amministrazione Bush ha combattuto in Irak contro la democrazia in ogni momento.

Perché? Perché se in Irak ci fosse una vera democrazia, gli obiettivi della guerra, controllo del petrolio, appoggio a Israele, la costruzione di basi permanenti, la privatizzazione dell’intera economia, sarebbero perduti. Perché? Perché gli iracheni non li vogliono e non sono d’accordo. L’hanno ripetuto mille volte. All’inizio con i sondaggi, ed ecco perché Bush non ha mantenuto la promessa di tenere le elezioni nei primi mesi dell’occupazione. Credo che Paul Wolfowitz abbia veramente pensato che gli iracheni avrebbero risposto come i concorrenti della trasmissione TV in reality show dicendo: “Oh, Dio mio. Grazie per il mio nuovo scintillante paese.” Non l’hanno fatto. Anzi hanno protestato perché 500.000 persone hanno perso il loro posto di lavoro. Hanno protestato perché erano stati esclusi dalla ricostruzione del loro paese, e sono stati molto chiari che non volevano basi straniere permanenti.

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Allora l’amministrazione è venuta meno alle proprie promesse e ha nominato primo ministro un ex agente CIA. Durante questo periodo hanno consegnato, sostanzialmente con le catene, i futuri governi iracheni al programma del Fondo Monetario Internazionale fino al 2008. Questo renderà la crisi umanitaria in Irak molto più grave. Per fare un esempio: il FMI e la Banca Mondiale, come condizione per un alleggerimento del debito e la concessioni di prestiti trattati da un governo non eletto, hanno chiesto l’annullamento del programma alimentare iracheno, con il quale si alimenta il 60 per cento della popolazione.

Nelle elezioni gli iracheni hanno votato per la United Iraqi Alliance. Oltre alla richiesta di un calendario per il ritiro delle truppe il partito della coalizione ha promesso che avrebbe creato il pieno impiego nel settore pubblico, cioè un rifiuto totale della privatizzazione voluta dai neo-con. Ma ora non possono mantenere niente perché la loro democrazia è stata incatenata. In altre parole, possono votare ma non hanno il potere reale per poter governare.

UN MOVIMENTO A FAVORE DELLA DEMOCRAZIA.

Il futuro del movimento contro la guerra risiede nel diventare un movimento a favore della democrazia. L’ordine di marcia ci è stato dato dal popolo dell’Irak. E’ importante capire che il movimento più forte contro la guerra e l’occupazione si trova all’interno dell’Irak stesso. Il nostro movimento contro la guerra non deve essere solo solidarietà verbale ma deve consistere in una solidarietà attiva e tangibile a favore della maggioranza degli iracheni che combattono per porre fine all’occupazione del loro paese. La direzione di marcia ci deve essere indicata da loro.

Gli iracheni resistono in vari modi, non soltanto con le armi. Stanno organizzando dei sindacati indipendenti. Stanno pubblicando dei giornali liberi, che poi vengono soppressi. Lottano contro la privatizzazione nelle fabbriche di stato. Nel tentativo di porre fine all’occupazione stanno formando delle formazioni politiche nuove. Quindi quale deve essere il nostro ruolo? Dobbiamo sostenere il popolo iracheno nelle loro chiare richieste di porre termine alle due occupazioni del loro paese: militare e economica. Questa significa che nel nostro paese dobbiamo essere noi la resistenza che chiede il ritiro delle truppe, delle ditte americane, e che gli iracheni siano affrancati dai debiti fatti da Hussein e dagli impegni con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale firmati sotto occupazione. Non si tratta di applaudire incondizionatamente alla “resistenza”. Perché in Irak non c’è una sola resistenza. Alcuni elementi della resistenza armata colpiscono i civili riuniti in preghiera nelle moschee sciite, si tratta di atti barbarici che servono solo gli interessi di Bush alimentando la sensazione che il paese sia sull’orlo della guerra civile, giustificando così la presenza delle truppe americane. Non tutti quelli che combattono gli americani combattono per la libertà degli iracheni, c’è chi combatte solo per il proprio potere. Ecco perché ci dobbiamo concentrare sul sostegno alla richiesta di auto determinazione, e non rallegrarci per ogni rovescio dell’impero americano.

Non dobbiamo nemmeno cedere sulle parole da usare, che sono il territorio della democrazia. Tutti quelli che dicono che gli iracheni non vogliono la democrazia dovrebbero vergognarsi profondamente. Gli iracheni hanno reclamato per la democrazia rischiando la vita molto prima dell’ultima invasione, nel 1991, per esempio, contro Saddam, quando furono mandati al macello. Le elezioni di gennaio si sono svolte solo perché c’è stata un’enorme pressione da parte della comunità sciita che ha insistito per avere la libertà che era stata loro promessa.

IL CORAGGIO DI ESSERE SERI.

Molti di noi siamo stati contrari a questa guerra perché si è trattato di un’impresa imperiale. Ora gli iracheni stanno combattendo per avere gli strumenti che diano un significato all’auto determinazione, non per avere soltanto lo spettacolo delle elezioni o fornire occasioni pubblicitarie all’amministrazione Bush. Significa che è arrivato il momento, come ha detto Susan Sontag, di aver “il coraggio di essere seri.” Il motivo per il quale il 58 per cento degli americani contrari alla guerra non si sono visti assieme agli altri milioni che hanno manifestato in strada prima della guerra, è dovuto al fatto che non ci siamo presentato con una agenda politica seria. Non dobbiamo avere paura di essere seri.

Parte di questa serietà consiste nel ripetere le domande politiche espresse da chi ha votato e dimostrato nelle strade di Bagdad e di Bassora e di presentarle a Washington, dove si prendono le decisioni

.
Ma la lotta in generale risiede nel chiedere il rispetto delle leggi internazionali, e nel chiedere se negli Stati Uniti vi è dappertutto il suo rispetto. Se non combattiamo una battaglia di principio contro questa amministrazione che disprezza totalmente ogni idea di legge internazionale, allora le lotte particolari veramente non contano.

L’abbiamo visto chiaramente durante le elezioni presidenziali, quando John Kerry ha permesso a Bush di stabilire completamente i termini del confronto. Basta ricordare il ridicolo di cui è stato coperto Kerry quando ha chiesto lo scrutinio di un “test globale”, e l’accusa di debolezza e vigliaccheria per voler sottoporre le azioni americane al giudizio del mondo. Perché Kerry non ha difeso il suo punto di vista? Ci dobbiamo lamentare sia della campagna di Kerry sia di quella di Bush. Durante le elezioni non ha mai nominato “Abu Ghraib”, non ha mai nominato “Guantanamo”. Ha accettato il presupposto che mostrarsi favorevole a un qualunque giudizio del resto del mondo lo avrebbe qualificato come debole. Dal momento che i democratici non l’hanno fatto prima, dal momento che non hanno mai parlato di torture durante la campagna elettorale, come potevano aspettarsi di vincere la battaglia contro Alberto Gonzales?

La guerra in questo paese deve essere combattuta anche sul piano della stampa. Il problema non è costituito dal fatto che non esistono voci contro la guerra, il problema è che non vengono raccolte. Ci serve una strategia che colpisca i mezzi di informazione. Devono essere un motivo di protesta anche essi. Dobbiamo chiedere che i mezzi di informazione ci facciano sentire le voci di chi è contrario alla guerra, delle madri arrabbiate perché hanno perso i loro figli a causa di menzogne, dei soldati traditi che hanno combattuto una guerra nella quale non credevano. Dobbiamo inoltre dare un significato più profondo alla parola democrazia, cioè che lo spettacolo delle elezioni non è democrazia, e che la democrazia manca anche nel nostro paese.

Purtroppo l’amministrazione Bush è stata più brava di noi a usare il linguaggio della responsabilità. Il messaggio recepito dagli altri è che noi diciamo: “Andarsene e basta.”, mentre i nostri avversari dicono: “ Non possiamo andarcene. Prima dobbiamo risolvere il problema che abbiamo creato.”

Dobbiamo fornirci di una agenda politica precisa, dettagliata e responsabile e non dobbiamo avere paura di dire: “ Facciamo partire le truppe ma lasciamo dietro un po’ di speranza.” Non dobbiamo avere paura di parlare di riparazioni, di chiedere l’annullamento del debito per l’Irak, l’abbandono totale delle leggi economiche totalmente illegali di Bremer, il controllo totale degli iracheni sulla loro ricostruzione. Ci sono tanti altri esempi concreti di richieste politiche che dobbiamo presentare. Quando potremo articolare una definizione di democrazia molto più genuina di quella che sentiamo da parte di Bush, allora porteremo un po’ di speranza in Irak. E si avvicineranno a noi molti di quel 58 per cento che si oppongono alla guerra ma che non stanno con noi perché sono spaventati dal “lascia e scappa”.

Naomi Klein
Fonte: www.commondreams.org
link:http://www.commondreams.org/views05/0505-23.htm
5.05.05

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da Vichi

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