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La Redazione

 

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CINQUE NO AL NUCLEARE

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A cura di Davide
Il 2 Settembre 2006
84 Views

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DI JEREMY RIFKIN
l’Espresso

È costosa. Genera rifiuti non smaltibili. Si basa su una materia prima che scarseggia. Apre nuovi fronti di attacco ai terroristi. È una tecnologia centralizzata tipica di un’era passata. Le ragioni dello studioso contro l’energia atomica

Improvvisamente, il nucleare è tornato di moda..In occasione del recente summit del G8 tenutosi in Russia, a San Pietroburgo, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush e quello russo Vladimir Putin hanno annunciato un accordo di cooperazione di vasta portata per una rapida “espansione dell’energia nucleare su scala mondiale” e hanno invitato altri Paesi ad unirsi a loro. L’annuncio di questo accordo non è che l’ultimo atto di una serie di iniziative intraprese dalla Casa Bianca al fine di promuovere l’energia nucleare..Bush sostiene che la sicurezza energetica futura, degli Stati Uniti e del mondo intero, dipenderà da un aumento di fiducia nei confronti delle centrali nucleari. Una tecnologia che per anni ha sofferto di ogni infamia e ignominia, e che per anni è stata relegata in una sorta di purgatorio scientifico, viene ora riesumata. Le sue virtù sono state osannate dal primo ministro britannico Tony Blair, dal famoso scienziato Sir James Lovelock, e persino da alcuni ambientalisti “pentiti”. L’incidente nucleare avvenuto nel 1979 a.Three Mile Island in Pennsylvania e il terribile dramma di Chernobyl nell’ex Unione Sovietica nel 1986, sono divenuti ormai lontani ricordi.Ora, che ci si trova a fronteggiare il costo elevato del petrolio sui mercati mondiali, l’effetto serra e il conseguente surriscaldamento globale del pianeta in tempo reale, si solleva il sudario che ricopriva il nucleare. Alla tecnologia atomica è stata data una “ritoccatina”, una sorta di lifting facciale virtuale, ed è ora presentata da alcuni come la sorgente alternativa dell’era post-petrolifera. Ad ogni modo, prima che il nostro entusiasmo ci sfugga di mano, è necessario rivolgere uno sguardo più sobrio e realistico alle conseguenze di una nuova nuclearizzazione del mondo.

Per prima cosa, l’energia nucleare è dispendiosa e ha costi per gli impianti altissimi..Con un prezzo di listino minimo di 2 miliardi di dollari a centrale, la nuova generazione di reattori costa tuttora il 50 per cento in più di quanto è necessario per mettere in linea centrali a carbone o costruire centrali a gas. Raddoppiare la quota di produzione di energia nucleare negli Stati Uniti – l’energia nucleare fornisce al momento il 20 per cento del fabbisogno americano – potrebbe richiedere mille miliardi di dollari..In un Paese che si trova già ad affrontare consumi e debiti record, dove troviamo i soldi per costruire una nuova generazione di queste centrali? Qualunque altra nazione che stia attraversando simili ristrettezze economiche dovrà porsi lo stesso difficile quesito. Se i leader di governo di tutto il mondo fanno davvero sul serio rispetto alla questione del nucleare, dovranno essere onesti con l’opinione pubblica e riconoscere che il consumatore pagherà il conto in termini fiscali, sia per ciò che riguarda l’aumento delle imposte a sostegno dei piani di costruzione, sia per ciò che riguarda l’aumento delle bollette per l’elettricità.

In secondo luogo, sono trascorsi 60 anni dall’inizio dell’era atomica e i nostri scienziati e ingegneri ancora non sanno come gestire senza pericoli il trasporto, lo smaltimento e lo stoccaggio di rifiuti radiattivi. Il risultato della combustione sono le barre nucleari esaurite ammassate in depositi e strutture in ogni parte del mondo. Negli Stati Uniti, il governo federale ha speso oltre 8 miliardi di dollari e ha impiegato 20 anni per scavare quella che doveva essere una tomba sotterranea a tenuta d’aria, realizzata nelle profondità della Yucca Mountain in Nevada, per il contenimento di materiale radioattivo. La volta fu progettata per essere a prova di infiltrazione per 10 mila anni. Sfortunatamente l’Epa, l’agenzia federale per la protezione ambientale, ha già accertato che la struttura di stoccaggio sotterranea non è a prova di infiltrazione.

Terzo, secondo uno studio condotto nel 2001 dall’Iaea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, sulla disponibilità dell’uranio, le risorse di minerale di cui siamo a conoscenza potrebbero non riuscire a soddisfare il fabbisogno già a partire dal 2026, nel caso di una richiesta di utilizzo molto elevata, e dal 2035, nel caso di una domanda media di combustibile. Certo, è possibile che nuove esplorazioni possano portare alla scoperta di altri giacimenti e che nuovi orizzonti tecnologici riescano a ridurre il fabbisogno di uranio, ma per il momento simili scenari restano pure speculazioni.

Quarto, la prospettiva di costruire centinaia, se non addirittura migliaia, di centrali nucleari in un’era in cui imperversa il terrorismo islamico appare come una decisione da squilibrati mentali..Mi domando: abbiamo perso completamente il senso della realtà? Da un lato, Stati Uniti, Unione europea e gran parte del resto del mondo sono terrorizzati soltanto all’idea che un solo Paese, l’Iran, possa mettere le mani sull’uranio arricchito per portare avanti il proprio programma di centrali e che possa utilizzare quel materiale per la costruzione di una bomba atomica. Dall’altro, molti leader di quegli stessi Paesi sono ansiosi di promuovere la diffusione di centrali nucleari nel mondo, per piazzarne una in ogni angolo del pianeta. Il che significherebbe uranio e rifiuti nucleari in transito ovunque, ammassati in luoghi di fortuna e strutture improvvisate, spesso a ridosso di aree urbane densamente popolate. . Le centrali nucleari sono il primo obiettivo sensibile di attacchi terroristici. L’8 novembre 2005, il governo australiano ha arrestato 18 terroristi islamici che stavano organizzando un piano per far saltare in aria l’unico reattore di quel paese. Se ci fossero riusciti, l’Australia avrebbe conosciuto una replica dell’11 settembre con effetti ancora più devastanti. Dovremmo quindi essere tutti preoccupati. Negli Stati Uniti, uno studio della commissione che regola il settore nucleare (Nuclear Regulatory Commission) ha dimostrato attraverso una semplice indagine che oltre la metà delle centrali americane non è riuscita a prevenire la simulazione di un attacco contro i propri impianti.

Infine, quella nucleare rappresenta un tipo di tecnologia poco funzionale e altamente centralizzata, tipica di un’era passata. In un’epoca di tecnologie distributive capaci di indebolire le gerarchie, decentralizzare il potere, dare origine a network, sistemi di reti e modelli economici open source, quella nucleare appare come un’energia inusitatamente antiquata e obsoleta. In larga misura, l’energia nucleare fu una creazione della Guerra fredda. Essa rappresentava la massima concentrazione del potere e rifletteva il quadro geo-politico degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Oggi, tuttavia, la geo-politica del XX secolo è messa in dubbio dall’emergente biosfera politica del XXI secolo..Il mondo sta diventando piatto. Ovunque le nuove tecnologie forniscono gli strumenti di cui si ha bisogno per diventare partecipanti attivi di un pianeta interconnesso. L’energia nucleare, di contro, è un’energia di élite, controllata da pochi. In un’epoca in cui il concetto di “potere al popolo” è diventato il mantra dei poveri e dei diseredati, il nucleare è una reliquia, una vera e propria vestigia del passato e la sua resurrezione ci riporta indietro nel tempo. Al contrario, dovremmo perseguire in uno sforzo offensivo per mettere in rete tutte le tecnologie decentralizzate e rinnovabili – solare, eolica, geotermico, idrica, e biomassa – e installare infrastrutture a idrogeno che assicurino una fornitura di energia continua e costante, in grado di soddisfare il nostro fabbisogno di elettricità e di trasporto. Il nostro futuro energetico comune è nel sole, non nell’uranio. traduzione di Rosalba Fruscalzo Jeremy Rifkin è l’autore di “Economia all’Idrogeno. La creazione della Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla Terra” (Mondadori, settembre 2002)

Jeremy Rifkin
Fonte: http://espresso.repubblica.it/
L’Espresso del 31-08-06

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