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La Redazione

 

CI SAR DEL SANGUE. I COSTI DELLA PARTITA DI POKER DELLA BCE

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A cura di supervice
Il 8 Dicembre 2011
45 Views

DI MARSHALL AUERBACK
Counterpunch

Manca ancora una settimana prima che

l’Euro salti in aria, o almeno è così che ci hanno detto per la

millesima volta. È più probabile che la BCE faccia il minimo sufficiente

per tenere in piedi la baracca, che l’austerità fiscale prosegua,

e che aumentino le rivolte nelle strade di Madrid, Atene, Roma e Parigi.

Come nel film “Il petroliere” (“There will be blood”), “ci

sarà sangue” prima che nell’area Euro avvenga un verosimile cambiamento

verso un’apprezzabile politica orientata alla crescita.

Viste le traversie dell’eurozona,

come mai l’Euro è rimasto relativamente solido? Certo, una moneta

che si presume svanisca nel giro di qualche settimana dovrebbe essere

scambiata vicino alla parità con il dollaro? Eppure si continua a essere

colpiti dalla divergenza tra le supposizioni e l’effettivo movimento

di mercato. Con tutti i discorsi sul come l’Euro possa evaporare a

Natale, è impressionante il fatto che rimanga saldamente stabile intorno

a 1,34 dollari, notevolmente al di sopra del minimo di 1,20 raggiunto

nel maggio 2010 (quando imperversavano i pronostici sulla parità con

il dollaro).
Per lo stesso motivo abbiamo d’altra

parte anche un paradosso: ogni volta che una soluzione ai problemi presentati

dall’Euro sembra avviarsi a una conclusione, l’Euro si rafforza.

Forse non è così strano, se non che la soluzione per la quale ognuno

è di fatto d’accordo possa funzionare, ovvero una prolungata operazione

di acquisto di titoli avviata dalla BCE – si dica rappresentare

un genere di “alleggerimento quantitativo”: e non ci hanno sempre

raccontato che esso significa “stampare valuta”, il che dovrebbe

provocare il suo deprezzamento? Non è quanto sostenevano lo scorso

anno gli avversari del piano della Fed?

Naturalmente, nel caso dell’Unione

Monetaria Europea, il presidente della BCE Mario Draghi ha ribadito

che tali acquisti di titoli non avranno luogo in mancanza di opportune

“progressi”, con i quali intende innanzitutto un’unanime austerità

fiscale, seguita poi dall’acquisto dei titoli. L’effetto della prima

neutralizzerà il potenziale impatto del secondo, dato che la “strada

inflattiva” (proprio nella misura in cui l’inflazione si verifica)

può derivare solo da politiche fiscali. E certamente, a dispetto di

una grave recessione, tagli come quelli presentati dai governi degli

stati-satellite di Italia e Grecia (insieme a un rinnovato attacco del

presidente Sarkozy al welfare francese), quasi certamente inaspriranno

le pressioni fortemente deflattive all’ opera adesso nell’eurozona.

In definitiva, ciò avrà di sicuro la conseguenza di creare una maggiore

instabilità sociale e spargimento di sangue, potendo tuttavia avere

un modesto impatto sullo stesso Euro.

Allora, cosa sta succedendo in realtà

all’Euro? Facciamo un passo indietro, oltre le chiacchiere da panico.

I più recenti dati del COMEX (Commodity Exchange: borsa americana

delle materie prime, Ndt) rivelano

che gli speculatori hanno venduto allo scoperto in massa sull’Euro,

eppure la valuta è calata meno del 10 percento dai suoi ultimi massimi.

La domanda che ci si può legittimamente fare è: in quale fase l’attuale

austerità fiscale provoca dei deficit maggiori, cosa che

in teoria dovrebbe produrre un Euro più debole (dal momento che diventa

più “facile da procurarsi”)?

Ho lottato con questo

problema e continua a risultarmi la valuta forte, persino con un disavanzo

fiscale più alto. Perché?

Per prima cosa,

l’acquisto di titoli da parte della BCE nel mercato secondario è

operativamente sostenibile e non inflazionistico. Quando la BCE si impegna

in operazioni di acquisto di titoli, l’operazione sposta semplicemente

gli utili netti conseguiti dall’‘economia’ dalle passività dei

governi nazionali alle passività della BCE, sotto forma di saldo

di compensazione presso la BCE. Allo stesso tempo le passività

dei governi cosiddetti PIIGS si spostano dall’‘economia’ alla

BCE. Nota: questo processo non altera i “flussi” o le “giacenze

nette” di Euro nell’economia reale.

Fino a quando la BCE detterà

termini e condizioni dell’austerità, l’acquisto dei titoli di stato

non sarà inflazionistico. Da questa via

l’inflazione è il risultato della spesa. Comunque, in questo

caso il sostegno della BCE si accompagna

soltanto alla riduzione della spesa dovuta all’imposizione dell’austerità

fiscale. Draghi la ha ora resa esplicita, quasi certamente come tacita

contropartita tedesca per il sostegno al Piano di Mercato Secondario

(SMP). Inoltre, minore spesa significa minore domanda aggregata,

che a sua volta vuole dire inflazione più bassa e una valuta più forte.

Sappiamo anche da una fonte autorevole, nientemeno che dalla Banca dei

Regolamenti Internazionali, per ironia della sorte le stesse iniziali

di “blood in streets” (‘sangue nelle strade’, NdT), che

le banche non possono dare in prestito le riserve, quindi l’aumento

delle riserve nel sistema bancario NON È di per sé inflazionistico,

come continuano ad ammonirci gli iper-insinuatori

dell’iperinflazione di Weimar.

Consideriamo ora il lato commerciale:

nonostante la brusca contrazione economica odierna (senza dubbio, oggi

l’Europa è in recessione), nell’area euro non si assiste

a un marcato peggioramento del deficit delle partite correnti. L’eurozona,

anzi, sembra essere un’economia piuttosto autosufficiente e un po’

mercantilista, che mostra molta meno propensione a importare quando

l’economia tracolla. Quindi, anche se le importazioni calano, lo fa

anche il deficit commerciale a causa del calo nella domanda. Le esportazioni

non crollano, anzi in questo tipo di ambiente possono salire.

Essenzialmente è questo

l’Euro.

Parlando di cosa potrebbe avvenire

se la BCE dovesse ampliare sensibilmente il suo piano di acquisto di

titoli nel mercato secondario, l’idea che l’Euro possa cadere è

simile al ragionamento sull’eventuale crollo del dollaro nel caso

ci impegnassimo in una seconda fase dei cosiddetti “alleggerimenti

quantitativi”. E se questi fossero inflazionistici, allora il Giappone

sarebbe già da adesso in iperinflazione, con gli Stati Uniti a seguire

di poco.

NON c’è alcun indizio che l’acquisto

da parte della BCE di titoli di stato denominati in Euro abbia portato

a una qualche inflazione monetaria, dato che sono proprio le pressioni

deflazionistiche che continuano ad alimentare

l’implosione del debito in corso. Il motivo per cui non c’è alcuna

inflazione dall’acquisto di titoli da parte della BCE sta nel fatto

si spostano solamente i titoli degli investitori dai debiti dei governi

nazionali ai bilanci della BCE, il che non cambia niente nell’economia

reale.

Ma la domanda che ci si pone con insistenza

quando si sostiene un ruolo istituzionale più ampio della BCE è se

il bilancio di questa possa essere compromesso o no. E la tesi delle

iniezioni di ‘mantenimento’ è stata per lungo tempo NO, perché

se la BCE ha acquistato i titoli, allora per definizione i “dissoluti”

non diventano inadempienti. In effetti, come fornitore monopolista la

BCE potrebbe fissare con facilità il tasso a cui compra i titoli (ad

esempio, 4% per l’Italia) e infine potrebbe reintegrare il suo capitale

mediante gli utili che ricaverebbe dall’acquisto del debito

dissestato (la BCE non necessita di capitale in senso operativo; come

al solito, per l’area Euro, si tratta di un problema politico). Per

certi versi, il professor Paul de Grauwe ha ragione: convinti che la

BCE abbia preso sul serio la soluzione al problema della solvibilità

del debito, i mercati inizierebbero a ricomprare i titoli di stato,

e lo farebbe per loro in modo massiccio ed efficace la BCE. I titoli

non sarebbero scambiati a questi livelli di criticità, se non ci fosse

il problema della solvibilità, del quale la BCE si può occupare facilmente

se sceglie di farlo. Ma la presente è una questione di volontà politica,

non di “sostenibilità” operativa.

Così la grande ironia del giorno

rimane questa: mentre non c’è nulla che la BCE possa fare per provocare

un’inflazione monetaria – nemmeno se lo volesse – , temendo l’inflazione

si trattiene dall’acquisto di titoli statali che eliminerebbe il rischio

legato alla solvibilità dei governi nazionali, ma che non fermerebbe

le forze di deflazione monetaria attualmente in azione.

Ok, a chi finiscono le perdite? Bene,

supponendo che i titoli giungano a scadenza sotto il valore nominale,

non c’è dubbio che se una banca privata li vendesse ai critici livelli

odierni, potrebbe anche subire delle perdite, e se le perdite sono abbastanza

grandi allora le banche in questa condizione potrebbero anche aver bisogno

di un piano di ricapitalizzazione. In questo scenario, quindi, anche

la Germania potrebbe subire un colpo, così come ogni altro governo

nazionale, dato che questi utilizzano risorse fiscali statali per ricapitalizzare.

E il colpo diventerà tanto più grande quanto più a lungo i tedeschi

continueranno a spingere al limite questa crisi.

Ma questo è un problema diverso

rispetto alla questione se il piano di acquisti in titoli rappresenta

di per sé oppure no una minaccia al bilancio della BCE. Non lo sarà:

bensì vi sarà un grande trasferimento di utili dai possessori privati

dei titoli in vendita alla BCE, la quale può rafforzare il suo capitale

di base attraverso i guadagni dovuti all’ acquisto di questi

critici titoli. Ancora una volta, l’idea di una BCE con vincoli di

capitale è folle.

Al contrario, nello status quo

ci rimettono tutti, Germania compresa. Un ruolo più ampio della BCE

come ultima fonte di credito [ovvero prestatore di ultima istanza, NdT],

del genere al quale i tedeschi ancora si oppongono pubblicamente, anche

con inutili discorsi su tagli di valore di mercato oppure su maggiori

perdite nel settore privato, in realtà farebbe MOLTO DI PIÙ che mandare

all’aria la posizione creditizia della Germania rispetto alle misure

politiche che praticamente chiunque altro propone in Europa. Perché

un possessore privato di titoli con un briciolo di responsabilità fiduciaria

dovrebbe comprare un titolo europeo, sapendo che sono cambiate le regole

del gioco e che l’acquirente privato potrebbe ritrovarsi perdite imposte

unilateralmente? La buona notizia è che qui sembra siano stati definitivamente

individuati i pericoli di questo ragionamento. Dal Wall Street Journal:

La signora Merkel ha

annunciato venerdì che sta avendo ripensamenti sulla sensatezza

del sottolineare le perdite dei possessori di titoli:

“Abbiamo una bozza per l’ESM [European Stability Mechanism, fondo

che sostituirà il Fondo Europeo di Stabilità

Finanziaria, NdT], il quale dovrà

essere modificato alla luce degli sviluppi” nei mercati finanziari

dopo la decisione in luglio sulla ristrutturazione greca, ha detto a

Berlino, dopo aver incontrato il Primo Ministro dell’Austria.

Il

Ministro delle Finanze austriaco Maria Fekter, parlando venerdì

al convegno di Amburgo, è stata più

diretta: “Il coinvolgimento di investitori del settore privato nell’alleggerimento

del debito ha distrutto talmente a fondo la fiducia nei buoni del Tesoro,

che ci si chiede perché mai tutti comprino ancora titoli di stato”,

ha detto la signora Fekter.

Ci sono altre questioni che rendono

la posizione della Germania sempre più insostenibile – specialmente

sul fronte politico -, in particolare le crescenti tensioni tra Francia

e Germania. Wolf Richter osserva che praticamente ogni candidato di

punta nella campagna presidenziale francese auspica un ruolo molto più

aggressivo nel futuro della BCE. Se la cancelliera Merkel crede di passare

un momento difficile, aspettate quando avrà poi a che fare con Francois

Hollande, il candidato presidenziale socialista – ora in testa a tutti

i sondaggi – che sostiene un programma in cinque punti che è una vera

maledizione per la coalizione di governo tedesca:

  • Aumentare al massimo grado

    possibile il Fondo Europeo di Salvataggio (EFSF)

  • Emettere eurobond

    e distribuire i debiti nazionali in tutti i paesi dell’eurozona

  • Far sì che la BCE inizi

    ad avere un “ruolo attivo”, cioè inizi a comprare il debito sovrano

    dell’eurozona

  • Istituire un’imposta sulle

    transazioni finanziarie

  • Avviare iniziative per la

    crescita, piuttosto che misure di austerità

Come osserva Richter, i punti 1, 2,

3 e 5 sono tutti inutili per i vertici del potere esecutivo tedesco.

Ancor più estremista è

il punto di vista del candidato socialista Arnaud Montebourg, che ha

parlato apertamente di “annessione della destra francese a quella

prussiana”.

A destra le cose non vanno molto meglio.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy rischia di avere la peggio contro

la leader del Fronte Nazionale Marine Le Pen (figlia di Jean

Marie Le Pen), che quale sta adottando una linea per la candidatura

esplicitamente anti-euro, una tendenza che si sta facendo popolare dato

che anche in Francia le nuove misure di austerità continuano a limitare

la crescita economica. Sarkozy, con i suoi vani tentativi di conservare

il rating AAA del debito francese con una maggiore austerità fiscale,

rischia di cadere nella propria trappola, poiché il probabile effetto

di tali misure sarà di riportare una disoccupazione francese a due

cifre. Inchinarsi al santuario di Moody’s, Fitch e Standard &

Poor’s mediante l’austerità fiscale è l’equivalente economico

del cercare di negoziare un trattato di pace con Al-Qaida.

È vero, la Germania potrebbe decidere

bene di averne abbastanza, che l’attività della BCE consiste nello

“stampare valuta” e perciò avvii un’operazione per uscire dall’area

euro. Ma mettiamo in chiaro le conseguenze: se dovesse adottare questo

sistema, la Germania probabilmente subirebbe un enorme crollo commerciale,

in particolare per il fatto che la sua avversione alla “dissolutezza

fiscale” la condannerebbe a livelli molto più alti di disoccupazione

(a meno che il governo di colpo non subisca una conversione sulla via

di Damasco al keynesianesimo, probabile quasi quanto la presenza di

un membro del Ku Klux Klan alla corsa presidenziale di Obama), oppure

dovrebbe ritornare alla sua precedente politica di acquisto di dollari.

Potrebbe anche incidere sul tenore di vita del tedesco medio, perché

in origine i grandi produttori tedeschi investivano nella moneta unica,

siccome credevano con ciò di prevenire la tendenza degli accaniti svalutatori

di moneta, come gli italiani, di utilizzare questo espediente per ottenere

maggiori quote del commercio mondiale a scapito della Germania. Se dovessero

far fronte alla perdita di quote di mercato, le multinazionali tedesche

potrebbero semplicemente trasferire gli impianti di produzione nelle

nuove regioni europee a basso costo per conservare le quote di mercato

e avere l’ abbattimento dei costi, oppure come ultima spiaggia utilizzerebbero

la minaccia del trasferimento per strappare ai lavoratori tedeschi tagli

di salari e indennità, come ricompensa per essere rimaste in patria.

A quel punto, può darsi che anche nelle strade di Berlino ci

potrà essere sangue.

In effetti è doppiamente ironico

che la Germania castighi i propri vicini per la loro “dissolutezza”,

quando è il “vivere oltre i propri mezzi” che riesce a generare

un attivo della bilancia commerciale che permette poi al suo governo

di registrare un minore passivo di bilancio. In realtà, la crescita

tedesca è strutturalmente e interamente dipendente dalla “dissolutezza”

estera. Gli attuali deficit di bilancio in altre parti dell’eurozona

sono necessari alla crescita della Germania. Per i tedeschi, è il colmo

dell’ipocrisia rimproverare gli stati del sud per il loro eccesso

di spesa, quando è grazie a questo che la Germania è potuta crescere.

Per i tedeschi è ancora più stupido sollecitare una rigida austerità

per gli stati del sud, intromettersi nel loro potenziale di spesa senza

pensare che questo può ripercuotersi sulla stessa Germania.

Bene, naturalmente la cancelliera Angela

Merkel può anche non essere consapevole di tutto questo. In effetti

ha definito “stravaganti” le accuse alla Germania di cercare di

dominare l’Europa. Ma è chiaro a ogni osservatore imparziale che

la ricompensa politica per avere un maggiore intervento della BCE nell’affrontare

la crisi di solvibilità delle nazioni europee è il controllo tedesco

sulla gestione fiscale di paesi come Grecia, Italia, eccetera. Mario

Draghi è italiano, ma il capo della BCE sta facendo il gioco al massacro

della Germania. Sta adottando la stessa identica strategia che il direttore

politico della Merkel, Klaus Schuler, ha spiegato diverse settimane

fa: ottenere un impegno per l’unione fiscale da parte dei deboli paesi

del “Club Med” in cambio della trasformazione della BCE in “prestatore

di ultima istanza”. Quindi, mentre molti tedeschi potrebbero credere

che vogliano un’area Euro più piccola, più coesa e senza i fastidiosi

“dissoluti”, i vertici politici in realtà riconoscono che gli “Stati

Uniti di Germania” – sotto la maschera degli Stati Uniti d’Europa

– sono in effetti corrispondenti alle loro aspirazioni di dominio politico

ed economico dell’Europa. È per questo che già nascendo i punti

salienti di un accordo, sulla falsariga di un maggiore impegno della

BCE come contropartita per un più forte controllo tedesco sulla politica

fiscale in tutta l’area euro. È l’equivalente della regola aurea:

Chi ha l’oro, ha le regole.”

È un poker con forti rilanci, che

alla fine porterà ancora più spargimento di sangue. Il fatto è che

non esiste un piano di riserva. Si continua soltanto ad aumentare le

tasse e a tagliare la spesa, proprio quando questi interventi operano

aumentando il deficit piuttosto che farlo calare. Così, mentre il problema

della solvibilità e del consolidamento del debito potrebbe risolversi,

il rimbalzo nei mercati non durerà a lungo, perché il consolidamento

continuerà a essere condizionato da una permanente austerità e dalla

crescita negativa. E l’austerità potrebbe non solo continuare, ma

anche intensificarsi, proprio come se l’eurozona fosse già scivolata

in recessione. Quindi, sembra non esserci alcuna possibilità che la

BCE consolidi il debito, mentre allo stesso tempo si intima la necessità

di recupero per i deficit più alti. In tal caso, l’unica cosa

che porrà fine all’austerità sarà sangue nelle strade in quantità

sufficiente per scatenare il caos e cambi di governo.

A proposito, l’idea suggerita da

qualcuno, secondo cui questa dinamica orribile potrebbe essere arrestata

dalla Fed se si comportasse come una specie di banchiere centrale globale

di “ultima istanza”, è un’idea stupida. Come ha osservato recentemente

Bill Mitchell:

A tutt’oggi, 1 Euro

= 1,3294 dollari. Quindi, il solo acquisto del debito dei PIIGS per

ripagare il loro deficit del 2010 avrebbe richiesto da parte della Federal

Reserve la vendita di circa 347.024 milioni di dollari, ovvero circa

il 5,8 percento del PIL degli Stati Uniti negli ultimi quattro trimestri.

Cioè una enorme iniezione di dollari nei mercati mondiali internazionali

dei cambi.

Il volume di spesa che

sarebbe necessario è anche più

grande delle stime qui fornite. Questo perché

per risolvere veramente la crisi dell’Euro, i deficit in (probabilmente)

tutte le nazioni dell’Unione Economica e Monetaria devono salire considerevolmente.

Cosa pensate che accadrebbe

al valore della valuta americana? La risposta

è che ci sarebbe un calo molto sensibile. Il termine

“crollo” potrebbe essere più

adatto rispetto a “calo”. […] A questo punto della crisi non c’è

nulla da guadagnare da un pesante deprezzamento del dollaro e dalle

spinte inflattive che probabilmente diffonderebbe.

Prendersela con la Fed per non essere

riusciti a sostenere i bond dell’eurozona è come biasimare

un passante per non mettersi davanti a un proiettile mentre vede qualcuno

estrarre una pistola e sparare a un’altra persona. Colui che preme

il grilletto ha la responsabilità finale. Per la stessa ragione, la

crisi europea è una crisi che affonda le sue radici nell’imperfetta

struttura finanziaria dell’eurozona (nientemeno che l’autorevole

Jacques Delors lo ha recentemente ammesso). E può essere risolta soltanto

dagli europei, in particolare dalla BCE, l’unico organo dell’Unione

Monetaria che può spendere senza ricorrere al finanziamento primario,

a causa della difettosa ideazione del sistema monetario che è stato

imposto agli stati membri agli inizi dell’Unione. Però Mario Draghi

approva la contropartita politica tedesca: per agire, come condizione

necessaria si ostinerà a una maggiore austerità fiscale, cosa che

avrà l’effetto perverso di deflazionare ulteriormente queste economie

fino allo sfiancamento e di produrre un MAGGIORE disavanzo pubblico.

È questo evidentemente uno dei motivi per i quali i tedeschi si sono

sentiti così a proprio agio nell’eleggere un italiano alla BCE. A

quanto pare, di questi tempi, i cavalli di Troia non arrivano soltanto

dalla sponda greca. Un’Europa in cui paesi come Italia e Grecia divengono

satelliti della Germania fornisce alla stessa Germania un risultato

molto più efficace, diciamo, del provare a ottenere la stessa cose

con un’altra distruttiva Guerra Mondiale.

**********************************************

Fonte: There Will Be Blood

05.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GABRIELE PICELLI

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