DI MCSILVAN
Silvio Berlusconi, in una intervista ad un settimanale economico, riguardo al futuro di Mediaset, è stato categorico: “non temo per le mie aziende, qualsiasi sia il risultato elettorale”. Siccome in queste dichiarazioni si tratta di parlare agli investitori, e non alle pulsioni della base elettorale, stavolta Berlusconi va preso sul serio. Anche perchè Marina Berlusconi su Repubblica ha ricordato che metà degli investimenti azionari in Mediaset sono provenienti da capitale estero e il tentativo di attirare maggiori capitali esteri è uno dei punti espliciti del programma di Prodi. Se si vanno a guardare i dettagli, Fassino e D’Alema hanno parlato al massimo di necessità di costringere Berlusconi a “cedere l’azienda ai suoi figli”: insomma di smembramento di Mediaset non se ne parla neppure.C’è stato qualche scambio di cortesie con Sky di Murdoch da parte di Fassino, in una intervista al tg della tv satellitare, ma niente che preluda a cambiamenti epocali del sistema televisivo e mediatico italiano. Ovviamente stiamo parlando di cambiamenti promossi dal sistema politico istituzionale. Quelli avanzati dalle tecnologie della comunicazione si faranno sentire specie se continua la tendenza a integrare televisione, cellulari e internet magari su piattaforme dove il software libero o craccato incidono di meno e dove si dovranno pagare i contenuti entertainment e far circolare, pagando meno, quelli personali.
In questo contesto l’enorme accumulazione finanziaria di Mediaset di questo decennio, con una ovvia accellerazione nel quinquennio della presidenza Berlusconi, e il posizionamento strategico sul mercato raggiunto andranno ricollocati nella nuovo contesto tecnologico. Se la giocheranno le imprese, gli azionisti, le banche e chi sa piazzare prodotti innovativi.
E qui va compreso bene che la questione non riguarda tanto “il mercato” e neanche tanto la critica della privatizzazione dell’informazione come bene pubblico. Vista in prospettiva storica bisogna considerare che la comunicazione intesa come funzione evolutiva del legame sociale tanto più si è resa tecnologica tanto più è stata privatizzata. Che la comunicazione come funzione evolutiva del legame sociale sia dipendente dalle tecnologie credo sia chiaro dai tempi della piuma e del calamaio che altri non erano che tecnologie ovvero un assemblato di elementi in grado di produrre funzioni complesse di significato e di significazione dei fenomeni entro un dispositivo concreto di produzione di codice. Del resto in Understanding Media, MacLuhan riconosce la continuità storica e tecnologica tra parola parlata e immagine televisiva nel loro comune essere tecnologia dell’astrazione linguistica l’una e simbolica l’altra.
Ma l’immissione della scienza e della produzione, e dei loro continui salti di complessità, nelle tecnologie della comunicazione ha reso marcatamente autonoma la funzione di significazione della comunicazione dal legame
sociale. In questo senso la politica diviene tanto più importante nel momento in cui impedisce all’autonomia tecnologica presente nella comunicazionedi essere un semplice strumento di esercizio dell’egemonia delle élites.
E se c’è stato un pregio nella discesa in campo di Silvio Berlusconi, ormai datata di più di 12 anni, è stato proprio quello di rimettere sullo stesso terreno rappresentanza politica, tecnologie della comunicazione e processi di significazione del legame sociale fino a quel momento separati sulla scena pubblica. E si trattava di una separazione che ha determinato la svolta antropologica di questo paese dalla fine degli anni ’70, mica chiacchere. Il bilancio di oltre una dozzina d’anni di antiberlusconismo è quindi quello di una netta sconfitta della possibilità di ricondurre a politica la
naturalizzazione di fenomeni comunicativi e di sviluppo del legame sociale che hanno reso il nostro paese in preda all’egemonia del feticcio ebete delle merci. E l’antiberlusconismo è ormai un fenomeno che sopravvive come
argomento plausibile solo nel momento elettorale del trasferimento secco di consenso ad una coalizione di centrosinistra che ha mostrato di trovare, dalla metà degli anni ’90 ad oggi, significativi momenti di equilibrio con il centrodestra ovvero l’interfaccia politico della produzione di mondo Mediaset. E questo avviene in corrispondenza con il fatto che i criteri della scelta tra i “personaggi” Prodi e Berlusconi somigliano più al televoto da casa per l’eliminazione di un personaggio della Fattoria, format della Endemol prodotto da Mediaset, che ad un processo di elaborazione del consenso
politico. E qui, il presidente del consiglio, che è uomo di spettacolo, dando del coglione a chi voleva cacciarlo dalla Fattoria di palazzo Chigi non ha fatto altro che ricondurre tutti alla dimensione linguistica del televoto dal divano che è oggi l’unica pedagogia elettorale possibile per milioni di italiani. Che poi gli elettori gradiscano o meno questo richiamo è altra questione: i processi di comunicazione sfuggono anche al soggetto egemone nella produzione di significato.
Insomma ha perso le elezioni chi ha perso l’occasione storica di rimettere in discussione la forma tecnologica, oggi consumata da tutti ma governata dalle élites, della comunicazione sociale e il suo rapporto con la rappresentanza politica. Poi si può discutere sul contingente, sul rischio Argentina che il centrodestra ha fatto correre a questo paese e sulla necessità di una sua giusta cacciata. Ma resta il fatto che sia ostruita, e di qui la sconfitta, la prospettiva storica di una uscita dalla società determinata antropologicamente dall’intreccio tra feticismo del consumo dell’immagine, economismo nelle relazioni sociali e riforma della rappresentanza politica in termini di personalizzazione del candidato dei cartelli elettorali.
Si dirà sono solo elezioni.. ma non è sovradeterminando un “altrove” dei movimenti sempre più complessi, sempre più potenziali e sempre più carsici, nel lirismo del “pieno ontologico” di soggetti che si nascondono più nelle pieghe delle pagine che in quelle della società che si rovesciano gli appuntamenti storici mancati.
A prescindere da chi vota, chi ha votato e chi non voterà.
Qui siamo, come in altri paesi ma tanto più nel nostro che è a basso tasso di lettori, in una nazione dove decine di milioni di persone vivono la propria quotidianetà in un ambiente simbolico mediaticamente costruito la cui
complessità spazio-temporale è pari a quella esperita della falena. Ed è un problema politico enorme, in grado di condizionare qualsiasi movimento sociale proprio grazie alla forza della sua passività. Non considerarlo un problema pubblico e quindi politico sarebbe snobismo, considerarlo già risolto perchè nell’immaginazione sociologica esistono movimenti con la capacità del Demiurgo è preparare disastri prossimi venturi.
McSilvan
Fonte: http://liste.rekombinant.org/wws/info/rekombinant
Link: http://liste.rekombinant.org/wws/arc/rekombinant/2006-04/msg00017.html
8.04.06