Il modello americano: per anni il mondo ha sognato di copiare lo stile di vita americano. Ma oggi gli altri paesi trovano esempi migliori in casa propria.
DI ANDREW MORAVCSIK
Fino a non molto tempo fa il sogno americano era anche una desiderio mondiale. Gli americani non erano i soli a considerarsi il faro della civiltà, lo pensavano anche gli altri. Gli europei dell’est si sintonizzavano su Radio Free Europe, gli studenti cinesi avevano costruito una copia della statua della libertà in piazza Tien AnMen.
Per considerare come sia radicato il mito fondatore americano, basato sulla libertà, basta sentire quello che G.W. Bush ha detto nel suo discorso inaugurale l’altra settimana (ha nominato “freedom” e “liberty” ben 49 volte). Per la maggior parte degli osservatori internazionali la retorica presidenziale ha solo confermato i loro peggiori timori di un’America imperiale che persegue senza sosta i suoi ristretti interessi nazionali. Però il pericolo più grande può nascere da una America che vive di illusioni, un’America che crede, malgrado le prove contrarie, che il Sogno Americano sia ancora vivo, che l’America sia un modello per il mondo, che la sua missione sia quella di spargere il verbo.L’abisso che separa l’opinione che hanno gli americani di se stessi e l’opinione che invece nutrono gli altri popoli nei loro confronti è stato reso evidente la settimana scorsa da un sondaggio della BBC. Il 71 per cento degli americani considerano se stessi come una fonte di bene per il mondo. Più della metà considera l’elezione di Bush una garanzia di sicurezza mondiale. Altre ricerche dimostrano che il 70 per cento crede nelle proprie istituzioni e circa l’80 per cento considera che “le idee e gli usi” americani dovrebbero essere diffusi nel mondo.
Ma gli altri popoli hanno un’idea del tutto diversa: secondo il sondaggio della BBC il 58 per cento degli intervistati considera la rielezione di Bush un pericolo per la pace mondiale. Le percentuali aumentano fra gli alleati tradizionali degli USA, in Germania il 77%, in Gran Bretagna il 64%, e in Turchia l’82%. Fra il miliardo e trecento milioni di mussulmani il sostegno si misura con numeri a una sola cifra. Solo la Polonia, le Filippine e l’India hanno visto la rielezione di Bush in modo positivo.
E’ rivelatore il fatto che il sentimento anti-Bush, nato durante il suo primo mandato americano, si stia trasformando in un sentimento di più generale anti-americanismo. Una maggioranza di elettori (la media è del 70 per cento) in ciascuno dei 21 paesi interpellati dalla BBC, sono contrari all’invio di truppe in Irak, compresi quasi tutti quelli che finora l’hanno fatto. Soltanto un terzo, in modo sproporzionato fra i paesi più poveri e dittatoriali, vorrebbero vedere adottati i valori americani nei loro paesi. Doug Miller, di GlobeScan, che ha diretto l’inchiesta della BBC, afferma: “Bush ha ulteriormente isolato l’America dal resto del mondo. Se non cambia direzione il buon nome dell’America continuerà a deteriorarsi, e con esso la sua capacità di interferire negli affari mondiali.” L’ex presidente del Brasile, Josè Sarney, ha così espresso il sentimento del 78 percento dei suoi concittadini, che considerano gli USA una minaccia,: “Adesso che Bush è stato rieletto che Dio benedica il resto del mondo.”
Il fatto è che gli americani stanno vivendo ancora nel mondo dei sogni. Gli altri popoli non solo non condividono l’auto considerazione degli americani, ma non aspirano nemmeno più a emulare i loro successi sociali e economici. La perdita di fiducia nell’America non nasce solo a causa dell’attuale arrogante amministrazione e della guerra in Irak. Kerry, come presidente, avrebbe avuto gli stessi problemi perché la sfiducia nasce dal successo di qualcosa che l’America tiene in gran considerazione: la diffusione della democrazia, del libero mercato, delle istituzioni internazionali, in una parola: la globalizzazione.
Oggi i vari paesi hanno a disposizione dozzine di modelli economici, politici e sociali da imitare. L’anti americanismo è particolarmente virulento in Europa e nell’America Latina, dove i popoli hanno trovato modi diversi di vivere, nessuno ispirato dall’America. Il futurologo Jeremy Rifkin, nel suo recente libro “Il sogno europeo”, mette in risalto una Unione Europea fondata su una generosa assistenza pubblica, sul rispetto delle diversità culturali e rispettosa della legge internazionale. Questo modello è stato presto imitato da paesi dell’Est e del Baltico. In Asia, quali esempi da seguire, oltre alla cultura americana degli scandali aziendali, esiste anche il capitalismo autocratico della Cina o di Singapore. Recentemente un uomo d’affari cinese si è così espresso al tavolo di una multinazionale USA: “Prima copiamo, poi superiamo.”
Molti credono che l’anti americanismo sia una perturbazione passeggera o un semplice risentimento. Accecata dal suo proprio mito, l’America non è capace di riconoscere i propri difetti. Perché ci sarebbe molto da dire sul suo Sogno Americano. Se il resto del mondo ha perso fiducia nel modello americano,- politico, economico, diplomatico,- ciò è dovuto anche perché esso non funziona più tanto bene.
LA DEMOCRAZIA AMERICANA
Una volta la costituzione americana era considerata un documento rivoluzionario, pieno di innovazioni epocali, libere elezioni, controllo giudiziario, poteri e contropoteri, federalismo e, soprattutto, la Carta dei Diritti. Nel 19esimo e 20esimo secolo il documento era copiato da tutti, compresa l’America Latina. Lo stesso hanno fatto la Germania e il Giappone dopo la seconda guerra mondiale. Oggi invece, quando una nazione deve scrivere una nuova costituzione , come è stato fatto da decine di paesi, pochi si ispirano al modello americano.
Quando i sovietici si ritirarono dall’Europa Centrale , alcuni esperti costituzionalisti americani non esitarono a presentarsi. Ma, dopo aver ricevuto un cortese ascolto, furono rinviati a casa. Jirti Pehe, consigliere dell’ex presidente Vaclav Havel, ricorda la ferma decisione dei Cechi di adottare un sistema parlamentare di tipo europeo, con forti limitazioni sui finanziamenti della politica. Secondo lui “Per gli europei, il denaro conta troppo nella democrazia americana. E’ troppo sensibile a forme di corruzione, o almeno all’influenza che deriva da lobbies troppo potenti. Gli europei non vogliono seguire questa strada.” Sono anche contrari all’uso eccessivo della televisione, a differenza dell’America, dove dice Pehe, “Si vince grazie all’aspetto e ai dibattiti.”
Così è altrove. Dopo che il Kossovo fu liberato, grazie agli aerei e alle bombe americane, fu adottata una costituzione europea. Il Sud-Africa, alla ricerca di una costituzione post-apartheid, respinse il modello federativo americano e scelse uno di tipo tedesco, ritenuto dai suoi dirigenti più adatto per la forma di assistenza pubblica che intendevano costruire. Oggi le giovani democrazie africane guardano al Sud-Africa come loro modello, dice John Stremlau, ex funzionario del Dipartimento di Stato attualmente a capo del dipartimento delle relazioni internazionali dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg: “Non possiamo fare affidamento sugli americani.” Egli spiega che le nuove democrazie sono alla ricerca di una costituzione scritta nei tempi moderni che tenga conto delle esigenze progressiste come la parità sociale e razziale “Per prendere in prestito la frase di Lincoln, il Sud-Africa è oggi ‘l’ultima grande speranza”
Il mondo è preoccupato per molte cose che accadono in America, sia dal punto di vista legale che sociale. Quasi tutti i paesi respingono e considerano un anacronismo vecchio e pericoloso il diritto dei cittadini americani di andare in giro armati. Rifiutano la pena di morte e chiedono una protezione del privato molto più estesa. Ma soprattutto, una volta raggiunto un certo livello di benessere, i nuovi paesi si comportano come gli altri europei nel considerare un diritto l’esistenza di un’adeguata assistenza pubblica. Tutto ciò, afferma Bruce Ackerman della Yale University Law School, contribuisce a far crescere la sensazione che l’insieme delle leggi americane, una volta considerato standard, è ora diventato “provinciale”. Il rifiuto degli USA di applicare la Convenzione di Ginevra ai sospettati di terrorismo, di ratificare gli accordi sui diritti umani, come l’innocua Convenzione sui diritti dei minori, o di accettare la Corte Internazionale di Giustizia (accoppiato agli abusi ad Abu Ghraib e di Guantanamo), servono a rinforzare la convinzione che la costituzione americana e il suo sistema legale non sono in sintonia con il resto del mondo.
PROSPERITA’ ECONOMICA
Il sogno americano è sempre stato di natura economica, un ideale dinamico di libera impresa, libero mercato e opportunità individuali basate sul merito e la mobilità. Certamente l’economia americana è stata straordinariamente produttiva. Effettivamente il reddito pro-capite rimane ancora fra i più alti del mondo. Però oggi assistiamo a un dinamismo molto maggiore nelle nuove economie industrializzate dell’Asia, dell’America Latina e anche dell’Europa dell’Est. Crescono tutte più veloci degli USA. Con la tendenza attuale l’economia cinese supererà quella americana nel 2040. Che queste tendenze continuino non è quello che conta. Conta chiedersi se il modello americano è così superiore che tutti gli altri lo vogliono imitare. E la risposta, sempre di più, è no.
Si è parlato a lungo, per esempio, sulle differenze fra il modello dinamico americano e il modello europeo sovra regolato, lento e inefficace. Gli sforzi europei per una riforma del mercato del lavoro e i tagli fiscali vengono ridicolizzati. Perché non fanno come in Gran Bretagna, si chiedono gli uomini d’affari, senza il peso delle tasse, i regolamenti statali e le restrizioni sui dirigenti che affliggono le economie continentali? Presto o tardi gli europei dovranno adottare il modello americano, oppure dovranno perire.
Però questo è un mito. Per un lungo periodo dopo la seconda guerra mondiale l’Europa e il Giappone hanno goduto tassi di crescita più alti dell’America. L’Airbus ha superato, recentemente, la Boeing nell’acquisizione di ordini per il suo aereo, e la Comunità Europea ha sorpassato da poco l’America come partner commerciale principale della Cina. Nell’elenco delle economie più competitive, redatto dal World Economic Forum, fra i primi 10 posti figurano 5 democrazie sociali europee, con la Finlandia al primo posto. “La social democrazia nordica rimane robusta”, scrive Anthony Giddens, ex direttore della London School of Economics e teorico del “New Labour”, su uno degli ultimi numeri del New Statesman, “non perché ha resistito alle riforme ma perché le ha adottate.”
E’ anche gran parte del segreto dell’economia inglese. Lorenzo Cotogno, co-direttore della European economics della Bank of America, crede che gli inglesi, come gli altri europei, “cercheranno di trovare un loro proprio sistema per ottenere un giusto equilibrio.” Certamente non si affideranno mai alla totale mancanza di protezione sociale esistente nel sistema americano. Gli europei sanno benissimo che il loro sistema garantisce una migliore istruzione primaria, una maggiore sicurezza di lavoro e una rete sociale più generosa. Sono disposti a pagare più tasse e avere più regolamentazioni pur di migliorare la loro qualità della vita. Per esempio gli americani lavorano molte più ore degli europei. Ma questo non significa necessariamente che siano più produttivi, o più felici, sepolti come sono dai mutui immobiliari, senza il tempo (o il denaro) che hanno gli europei per le vacanze e i viaggi internazionali. Gorge Monbiot, intellettuale pubblico inglese, parla a nome di molti quando dice: “Il modello americano è diventato più un incubo che un sogno.”
Basta guardare al progresso inglese. Invece di tagliare l’assistenza sociale, il governo di Tony Blair la ha aumentata. Secondo il London’s Centre for Policy Studies, la spesa pubblica in Gran Bretagna nel 2003 rappresenta il 43 per cento del GDP, una cifra più vicina alla media europea che a quella americana del 35 percento. E sta crescendo, circa il 10 per cento annuale negli ultimi tre anni, mentre allo stesso tempo l’assistenza sociale viene riformata per fornire servizi sempre migliori. L’ispirazione, dice Giddens, non viene dall’America, ma dalla Svezia social democratica, dove l’assistenza ai minori, l’istruzione e il servizio sanitario hanno consentito l’aumento della mobilità sociale, le opportunità e, infine, la produttività economica. Negli USA la disuguaglianza economica una volta era considerata tollerabile perché l’America era la terra delle uguali opportunità. Ma oggi non è più così. Vent’anni fa un dirigente generale guadagnava 39 volte la paga media di un operaio; oggi guadagna 1000 volte di più. Ricerche incrociate nel paese hanno dimostrato che l’America è diventata recentemente un paese relativamente impermeabile alle scalate sociali da parte dei meno fortunati. Monbiot sintetizza così i dati scientifici: “In Svezia si hanno tre volte maggiori possibilità di migliorare la situazione economica originaria che negli Stati Uniti.”
Le altre nazioni hanno cominciato ad accorgersene. Anche nei paesi più poveri, pro America, Ungheria e Polonia, i sondaggi mostrano che solo una piccola minoranza (meno del 25 per cento) è desiderosa di adottare il modello americano. Una delle ragioni principali sono i suoi sempre maggiori malfunzionamenti. Bush ha dichiarato nel suo discorso ufficiale che “Gli Stati Uniti hanno il miglior sistema sanitario del mondo.” Però gli Stati Uniti sono il solo paese democratico senza una assistenza sanitaria nazionale, con circa 45 milioni di cittadini non assicurati. E non è che in cambio gli altri cittadini ricevano una assistenza migliore. Se si cerca di misurarla interrogando esperti di salute pubblica, o chiedendo ai cittadini il loro grado di soddisfazione, o tenendo conto dei tassi sopravvivenza, i sistemi sanitari degli altri paesi superano quasi tutti quello degli Stati Uniti. Il tasso di mortalità infantile è fra i più alti fra le democrazie occidentali. Il cittadino francese medio, come quasi tutti gli europei, vive quasi quattro anni più a lungo dell’americano medio. C’è poco da meravigliarsi se l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica il sistema sanitario americano solo 37 esimo nel mondo, dopo la Colombia (22esimo) l’Arabia Saudia (26esimo) e alla pari con Cuba.
L’elenco prosegue: tensioni razziali spaventose, tassi di reclusione stratosferici, tassi di povertà infantile superiori a quelli di tutti i paesi dell’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica, con eccezione del Messico, dove l’Europa, in questi giorni, ispira più ammirazione degli Stati Uniti. “Le loro soluzioni sembrano più naturali ai messicani perché offrono soluzioni reali a problemi reali, apparentemente senza soluzione.” Afferma Sergio Aguayo, un preminente sostenitore della democrazia a Messico City, riferendosi al sistema scolastico europeo, all’assistenza sanitaria e alle politiche sociali. E mentre, ironicamente, stati non democratici come la Cina sono i soli dove gli Stati Uniti ancora presentano un’attrattiva politica e sociale alternativa ad un governo autoritario, nuovi esempi stanno sorgendo. Secondo Julie Zhu, studentessa universitaria di Pechino, “Quando frequentavo le superiori pensavo che l’America fosse il paese dei sogni, un posto da favola.” Tutto quello che compravo doveva essere americano. Ora tutto è cambiato, dice: “Quando abbiamo dei soldi compriamo europeo.” Si potrebbe parlare di un altro indicatore. Fino a non molto tempo fa gli Stati Uniti erano la meta preferita degli studenti stranieri che cercavano un’istruzione universitaria. Oggi un numero sempre crescente di studenti si rivolge altrove, in altre parti dell’Asia, o in Europa. Si sente quasi il rumore del pendolo che si sposta.
POLITICA ESTERA
I dirigenti americani hanno creduto a lungo che la potenza militare americana e il Sogno americano andassero mano nella mano. La seconda guerra mondiale non è stata combattuta solo per sconfiggere le potenze dell’asse, ma anche per la sicurezza mondiale attraverso il governo delle Nazioni Unite, l’organizzazione che ha fatto da capofila al World Trade Organization, all’Unione Europea e alle altre istituzioni internazionali che avrebbero rinforzato i paesi più deboli. La NATO e il piano Marshall sono stati i due pilastri su cui si è costruita l’odierna Europa.
Oggi gli americani presumono ancora la stessa cosa, che essere una potenza militare significhi anche avere ragione. Dopo le critiche europee sulla guerra in Irak, i francesi sono diventati: “scimmie vigliacche”. I tedeschi ingrati opportunisti. Gli unici alleati sono stati gli inglesi, e i polacchi. Non sorprende quindi che molti di coloro che hanno ascoltato il discorso inaugurale l’altra settimana abbiano intravisto i segni anticipatori di una scusa per invadere l’Iran: Washington finora ha dimostrato più di una semplice voglia di diffondere i suoi ideali sulla canna di un fucile piuttosto che con campagne di conquista delle menti. Un ex ministro francese pensa che gli Stati Uniti siano l’ultima “potenza bismarckiana”, cioè l’ultimo paese a credere che lo strumento critico della politica estera sia l’uso della forza militare.
In aperto contrasto vi è l’Unione Europea che fa ricorso ad un approccio basato su strumenti civili come il commercio, l’aiuto ai paesi stranieri, il mantenimento della pace, il controllo internazionale e le leggi internazionali, oppure la Cina che utilizza il suo sviluppo economico quale potente strumento diplomatico. Lo strumento più efficace per ambedue le potenze è l’accesso a immensi mercati. La politica più efficace per assicurare la pace e la sicurezza in Europa è stata l’ammissione di altri dieci paesi all’Unione Europea, che sarà seguita da un’altra dozzina. Paese dopo paese i nazionalisti sono stati sconfitti da coalizioni democratiche tenute insieme dalla promessa di unirsi all’Europa. Il mese scorso i dirigenti europei hanno preso l’audace decisione di considerare l’adesione della Turchia all’unione, tale prospettiva sta aiutando a creare uno dei sistemi democratici più stabili nel mondo islamico. Quando gli storici si rivolgeranno al passato considereranno questa politica il vero evento epocale dei nostri tempi, rispetto alla ridotta efficacia dell’America con l’uso della sua forza militare.
Di tutto ciò gli americani hanno un merito. Dopo tutto si tratta del successo del sogno americano degli anni ’50, sono la diffusione della democrazia, il libero mercato, la mobilità sociale, e la cooperazione multilaterale, che hanno reso possibile la diversità dei modelli a cui assistiamo oggi. Si è trattato di una diplomazia dalla generosità senza pari. Ma oggi dove siamo? Gli americani invocano ancora gli ideali democratici. L’abbiamo sentito nel discorso di Bush, con il suo apocalittico proclama che “la sopravvivenza della libertà nella nostra terra dipende sempre di più dal successo della libertà negli altri paesi.” Però sempre meno persone hanno la pazienza di ascoltarlo.
I titoli dei giornali inglesi erano quasi sprezzanti: UN BUSH INSOLENTE NON NOMINA NEMMENO LA GUERRA, HO DELLE BOMBE NUCLEARI PER VOI, e LA SUA MISSIONE NEL SECONDO MANDATO: ELIMINARE LA TIRRANIA DALLA TERRA. Si sono chiesti se la guerra in Irak non ha insegnato loro niente. L’attuale Casa Bianca crede davvero di poter ordinare al resto del mondo, con tutte le sue differenze di sogni e di forza, di fornirle l’appoggio richiesto? Il fallimento del sogno americano è stato messo in luce dal fallimento della sua politica estera, non causato da essa. Il vero pericolo è che l’America non se ne renda conto, persa in sogni di grandezza, mentre parla di libertà.
Andrew Moravcsik
Fonte: http://msnbc.msn.com/id/6857387/site/newsweek/
31.01.05
Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Vichi