CAPITALISMO E LIBERTA': GIU' LA MASCHERA

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DI STEPHEN LEDMAN
Globalreserach

16 novembre 2006: muore l’economista Milton Friedman. La fine di un’era. Un fiume di elogi gli fanno da eco. Wall Street Journal: “Pochi nella storia dell’umanità hanno offerto un tale contributo al raggiungimento della libertà umana” (le stesse parole che Friedman utilizzò nel discorso in onore di Reagan, il giorno del decesso). L. Summers, economista ed ex Segretario al Tesoro (sulla pagina Op Ed del New York Times): “muore un “eroe”“!
Financial Times: “L’ultimo dei grandi economisti“. Terence Corcoran, editore del National Post Canada: i “liberi mercati” perdono “l’ultimo leone”. Business Week Magazine:”muore un grande“, apprezzando la sua dottrina secondo cui “la cosa migliore che possa fare un governo è quella di dare all’economia i soldi di cui ha bisogno e mettersi quindi da parte“.

Raramente ha ricevuto tanto encomio qualcuno così indegno se si considera lo sfacelo umano che il suo retaggio ha disseminato ovunque. Egli riteneva che il governo avesse il solo ed unico ruolo di “proteggere la nostra libertà dai nemici (esterni)… e dai nostri concittadini (così come) rafforzare le trattative private, (salvaguardare la proprietà privata) ed incentivare i mercati competitivi“. Qualsiasi altra cosa messa nelle mani pubbliche si traduce in una forma di socialismo, che per un fondamentalista del libero mercato, quale è stato Friedman, è pura blasfemia. Secondo lui, il mercato funziona meglio se libero da regole, imposizioni, tasse onerose, barriere doganali ed “interessi radicati“. Il migliore governo, in pratica, non è altro che quello che fa andare meglio gli affari privati. Democrazia e “governo del, con e per il popolo“? Un’assurdità.
Sosteneva che il patrimonio pubblico doveva stare in mani private, i profitti non dovevano avere impedimenti, le imposte sulle società abolite, i servizi sociali tagliati o interrotti. “La libertà economica è fine a sé stessa… ed è anche un mezzo indispensabile per il raggiungimento della libertà politica“. Le leggi che impongono la licenza per alcune professioni rappresentavano una limitazione alla libertà. Si opponeva agli aiuti esterni, ai sussidi, alle tasse doganali ed anche alle legge sulla droga che giudicava il miglior regalo al crimine organizzato (come pure alla CIA e alla banche internazionali del riciclaggio di denarNon abbiamo il diritto di usare la forza… per impedire a qualcuno di suicidarsi…. ubriacarsi o drogarsi“, senza dire nulla dell’associazione tra le principali banche e la CIA per fare profitti con i signori della droga.

Friedman è stato il fautore dell’emendamento costituzionale a favore della responsabilità pubblica per il pareggio dei conti generali dello Stato, poiché il deficit, a suo parere, “incoraggia la irresponsabilità politica”. Sosteneva che “le tasse sono troppo onerose” e si diceva “a favore di un taglio laddove possibile…” e ad esonerare totalmente le aziende dal pagamento. Non era d’accordo sul salario minimo, supportato da una imposta fissa che colpiva i più benestanti. Riteneva infatti che tutti avrebbero dovuto avere una assicurazione sanitaria. Non te la puoi permettere? Problema tuo. Sei malato? Bene! Allora lascia che il mercato ti curi.

Era contro l’istruzione pubblica e a favore delle borse di studio, i cui importi molto spesso erano insufficienti e diretti maggiormente agli istituti che enfatizzavano una educazione o formazione di tipo religioso. Inoltre, le prove dimostravano che la qualità dell’insegnamento nelle strutture private era piuttosto scadente fatta eccezione per le scuole più elitarie.

Ignorò il fatto che le scuole cristiane fondamentaliste danneggiavano la democrazia e violavano la separazione costituzionale tra Chiesa e Stato. Costituivano inoltre una minaccia per il futuro dell’istruzione pubblica che, da sempre, rappresentava il pilastro delle istruzioni primaria e secondaria, giusto fino a quando Friedman, negli anni ’80, propose gli assegni quale uno dei nuclei centrali degli obiettivi a scelta libera.

E’ stato uno di coloro che ha dato voce all’opposizione contro i sindacati. Secondo lui, erano “lavoratori di poca importanza (storicamente in anticipo) negli Stati Uniti” e ignoravano la chiara evidenza del contrario (i funzionari sindacali corrotti che avrebbero dovuto fare molto di più ed ancora non lo avevano fatto). Sosteneva anche che “i guadagni che i sindacalisti ne traevano erano innanzitutto a spese degli altri lavoratori” e “il credere diversamente è una pericolosissima fonte di malinteso“. Per lui, alla fin fine, tutto si riduceva ad una mera questione di domanda ed offerta, “più aumenta il prezzo… meno le persone sono disposte a spendere…“.

Offriva ragionevoli esempi della sua teoria: “Aumentare il costo della manodopera significa ridurre i posti di lavoro. Se il lavoro di un carpentiere diventa più costoso, meno case… saranno costruite, e quelle che saranno costruite utilizzeranno materiali e necessiteranno di meno opere di carpenteria. Incrementare le retribuzioni dei piloti aerei, significa meno lavoro per loro poiché viaggiare in aereo diventerà costoso e meno persone voleranno“.

L’aumento dei minimi salariali è un danno per tutti inclusi gli stessi sindacati. Tali aumenti comportano prodotti e servizi più costosi. Il mercato deve costare quanto è disposto a sostenere, né più né meno. I prezzi devono riflettere quello che i consumatori possono pagare. Niente di più.

Friedman era anche contro una Previdenza Sociale gestita dallo Stato, quella che, in un articolo, egli definiva come il “più grande Schema Ponzi esistente sulla Terra“. Secondo lui, l’attuale sistema era una “combinazione profana di due voci: un’imposta fissa sui profitti fino ad un importo massimo senza esenzioni, ed un programma di sussidi che non aveva… alcuna relazione con i bisogni (uno dei programmi che più aveva contribuito a ridurre la povertà) ma era essenzialmente basato sullo status coniugale, la longevità e sui redditi recenti.

Ne reclamava la privatizzazione, aborriva la “tirannia dello status quo“, ed era d’accordo con Barry Goldwater il quale ne sosteneva il carattere volontario che, certo, lo avrebbe ucciso. “E’ difficile giustificare la richiesta rivolta a tutte le persone di adottare una costrizione di tipo governativo per evitare che pochi (molti milioni, di fatto) soggetti a basso reddito non facciano spontaneamente previsioni per la vecchiaia (sebbene la maggior parte non possano farlo) sapendo che riceveranno delle somme preventivamente stabilite“. Indirizzandosi soltanto a pensionati idonei, egli ignorava i milioni di altri che beneficiavano della Previdenza Sociale: lavoratori disabili, mogli e figli di persone decedute, pensionati o disabili in generale. Rappresentavano circa il 37% di tutti i destinatari, lasciati fuori dai calcoli di Friedman che non avrebbero percepito nulla attraverso un sistema totalmente privatizzato.

Per Friedman “godiamo tutti del libero arbitrio“. Tuttavia, in modo impari, possiamo competere contro la classe dei ricchi e dei privilegiati, con tutti i loro vantaggi. Iniquamente, siamo autorizzati e governati dal principio «A ciascuno secondo quanto egli stesso e gli strumenti che possiede producono» in un mondo selvaggio in cui la libertà economica crea tutte le altre. Questo era quanto veniva asserito nel suo manifesto “Capitalismo e Libertà“, sul trionfalismo del libero mercato e gli effetti sul popolo.

Friedman era contro la democrazia sociale o qualunque forma di democrazia che interferiva con il mercato, contro una società paritaria, contro i servizi pubblici, contro lavoratori senza capi, cittadini senza dittatura o paesi liberi dal colonialismo. Era un fautore del libero mercato, laddove i dibattiti politici erano confinati a questioni minori non legate alla distribuzione dei beni e dei servizi.

Questo era per Friedman il migliore dei mondi possibili con un popolo di persone assimilabili ai beni di consumo ed un governo non obbligato ad adempiere ad una funzione minima costituzionalmente sancita, come affermato nell’Articolo 1, Par. 8 secondo cui “il Congresso ha la facoltà di … garantire… il benessere collettivo degli Stati Uniti”, la cosiddetta clausola del welfare che Friedman definiva “articolo assistenzialista” in conflitto con “capitalismo e libertà” e con la “libertà individuale di scelta”, che Friedman riteneva la legge della terra.

La scuola di pensiero nella facoltà di Economia dell’Università di Chicago.

Friedman è cresciuto a NY, ha conseguito la laurea a Rutgers, un Master all’Università di Chicago e il Dottorato alla Columbia Univ. All’inizio della sua carriera era un Keynesiano convinto ma gli insegnamenti di Friedrich Hayek lo trasformarono nel fondamentalista del liberismo economico, in colui che l’Economist aveva definito “l’economista più influente della seconda metà se non di tutto il XX secolo“. Ritornò al Dipartimento dell’Economia dell’Università di Chicago nel ’46 e divenne il suo leader carismatico in una missione che aveva il fine di rivoluzionare la sua professione e il mondo.

La dottrina era semplice: un puro capitalismo basato sul libero mercato. Friedman ed i suoi colleghi si adoperarono per dimostrare tale teoria anche su basi scientifiche ed elaborarono equazioni matematiche e modelli informatici che via via svilupparono. Essi sostenevano che, lasciati a loro stessi, i mercati possono essere fonte di magia: essi sono in grado di produrre il giusto quantitativo di prodotti e servizi, al giusto prezzo, attraverso il giusto numero di lavoratori che percepiscono il giusto salario per comprare quello che producono. In breve, un paradiso per tutti… C’era solo un problema: le teorie erano buone come formule matematiche, ma non funzionavano. Friedman e i suoi “Chicago Boys” tuttavia ci credevano ma avevano bisogno di un vero “stato della Scuola di Chicago” per provarlo.

Ne aveva molti di modelli che egli definiva “magia del libero mercato” e giustificava la repressione se il fine giustificava il mezzo e il libero arbitrio offriva “un ulteriore spazio all’iniziativa individuale… una sfera privata di vita (ed una più grande) possibilità (i regimi autoritari che egli appoggiava lo avrebbero alla fine permesso) di ritornare ad una società democratica“. Reagiva ai critici affermando che “la libertà economica è un requisito essenziale per la libertà politica” ed una sofferenza transitoria vale il paradiso del libero mercato che ne può risultare. Lui ed il suo mentore, Friedrich Hayek, chiamavano la democrazia sociale, il collettivismo, il socialismo e l’economia assistenzialista “la strada verso il declino” che avrebbe causato “chiavitù e miseria“.

Il pedaggio umano della scuola fondamentalista di Chicago

Ogni nazione toccata dall’ideologia di Friedman ha avute conseguenze dolorose. E non sono state le classi più agiate a soffrirne, bensì la normale classe lavoratrice, bersagliata dal profitto in vista di una “libertà economica“. Inizialmente, il suo dogma fu considerato piuttosto strambo, ai margini di una economia tradizionalmente concepita e, certamente, non al passo con le teorie keinesiane dell’epoca d’oro del capitalismo postbellico. Che durò fino agli anni ’70 quando la recessione, la stagflazione [Ndt: combinazione di stagnazione e inflazione] ed un elevato tasso di disoccupazione cambiarono tutto. La teoria economica fu messa sotto accusa e Friedman ebbe la sua occasione per provare che il problema è l’intervento dello stato ed un mercato libero dalle regole può invece offrire la soluzione.

Cile: il primo test.

Il Cile di Augusto Pinochet fu il primo test di Friedman. I risultati furono disastrosi e il popolo cileno ancora oggi deve riprendersi dal colpo di stato dell’11 settembre del 1973 e dagli strascichi che, da un lato, posero fine alla più vibrante democrazia delle Americhe, e dall’altro annunciarono la cosiddetta magia di Friedman: iperinflazione, riduzione dei salari, aumento della disoccupazione, corruzione e politiche del favoritismo a go-go, politica militare della repressione (chi non obbediva era punibile con la detenzione, la tortura o la morte).
Il paradiso per i cileni ma soprattutto il nirvana per i più privilegiati e per gli investitori dei mercati esteri i quali ne traevano grandi profitti. Era solo l’inizio del trattamento shock dello “stile Friedman”.
Uno di questi fu la Bolivia con risultati prevedibili ed un Friedman sempre più ostinato.
Fine dei sussidi alimentari, servizi sociali spremuti fino al midollo, controlli dei prezzi elusi, salari congelati, impennata del petrolio del 300%, importazioni senza limiti e tagli per centinaia di milioni di posti di lavoro nelle imprese statali ridimensionate prima di essere privatizzate.

Non solo. Il potere di acquisto reale diminuì del 40%, la povertà aumentò in modo esagerato mentre l’elite privilegiata si arricchiva ulteriormente.
La rabbia dei cittadini crebbe e quale antidoto trovò solo una repressione totale. I carri armati si riversarono per le strade contro i lavoratori scioperanti e la polizia si scagliava contro i dissidenti, nelle fabbriche e nelle università. La “libertà” per Friedman fu “l’inferno” per i boliviani.

La tragedia della Russia post-comunista

La caduta del muro di Berlino doveva essere un trionfo. Invece è stata una tragedia per il popolo russo.
Mikhail Gorbachev andò al potere nel marzo del 1985 con l’idea di apportare grandi cambiamenti a livello politico e sociale. Ma non ne ebbe il tempo. Liberalizzò il paese, introdusse le elezioni e promosse una democrazia stile scandinavo che combinava il capitalismo di mercato con sistemi di tutela attraverso la previdenza sociale. Egli immaginava un “faro socialista per tutta l’umanità“, per una società paritaria. Ma non ebbe mai l’opportunità di realizzarlo.

Quando l’Unione Sovietica cessò di esistere, Gorbachev non c’era più. Boris Yeltsin si apprestava a diventare il presidente della Russia. Egli era il fautore di un corporativismo di stato e adottò la terapia d’urto dei Chicago Boys, facendola passare come riformista. Il suo ex “apparatchiks” (termine russo che indica chi crede ciecamente nell’apparato burocratico del partito, N.d.T.) ci guadagnò parecchio insieme ad una nuova classe di “nouveaux billionaires” (denominati “oligarchi”) che vendevano il benessere del paese e lo consegnavano ai paradisi fiscali offshore. Per il popolo russo era tutta un’altra storia. Non sapevano cosa li colpiva e che si trattava di uno dei più grandi crimini che un governo potesse fare nei confronti del suo popolo. Un popolo che ancora oggi ne sta pagando le conseguenze. Il prezzo da pagare fu pandemico e devastante:

— l’80% degli agricoltori andò in bancarotta;

— circa 70.000 fabbriche dello stato chiusero causando un tasso di disoccupazione disastroso;

— 74 milioni di russi (metà della popolazione) si impoverì; per 37 milioni di loro le condizioni divennero disperate e la classe meno abbiente del paese restò in uno stato di povertà permanente;

— aumentarono l’uso di alcol, droghe e il tasso di suicidio. Ci fu un aumento di casi di HIV/AIDS pari a 20 volte di più rispetto al 1995; e

— la popolazione russa diminuiva di circa 700.000 persone l’anno. Un capitalismo senza freni aveva ucciso il 10% del popolo.

La calamità del capitalismo predatore in Sud Africa.

Anche qui, alla stregua della Russia, la possibilità di un cambiamento progressivo e totale si tramutò in tragedia, con il consenso neoliberale di Washington, ben peggio della politica repressiva dell’apartheid.
Nelson Mandela, all’epoca, era un sostenitore del potenziamento dell’economia nera e sembrava riuscire nel suo intento quando i candidati dell’ANC vinsero le elezioni ed egli divenne presidente.

Una volta al potere, ci fu invece la resa economica, supportata dall’ex governo della supremazia bianca ed i vari industriali i quali si erano assicurati le loro ricchezze ed i loro privilegi mantenendo una politica del capitalismo senza regole ed invariata.
E’ imperdonabile che un uomo dello spessore di Mandela, con il suo carisma e la sua facoltà, non abbia impedito tutto ciò. Eppure Mandela scelse di non farlo. Ignorò le critiche dicendo “… per questo paese, la privatizzazione è una politica di fondamentale importanza”.
Anche in questo caso, il prezzo da pagare fu esorbitante:

— il numero dei poveri raddoppiò da 2 a 4 milioni;

— il tasso di disoccupazione passò dal 48% del 1991 – a circa il doppio nel 2002;

— due milioni di sudafricani persero la loro casa;

— quasi un milione di sudafricani venne sfrattato nei primi dieci anni di governo dell’ANC. Quale risultato, gli sfollati crebbero del 50% e nel 2006, il 25% dei sudafricani viveva nelle baracche senza acqua ed elettricità;

— il tasso di infezione da HIV raggiunse il 20%, e il governo negò la serietà del problema e fece ben poco per porvi rimedio. Motivo ulteriore per cui l’aspettativa media di vita scese di 13 anni (rispetto al 1990);

— 40% delle scuola non aveva elettricità;

— 25% non disponeva di acqua nemmeno per l’igiene personale e la maggior parte non poteva permettersi di acquistarla;

— 60% delle persone vivevano in scarse condizioni igieniche e il 40% non aveva telefono.

La libertà costò cara ai sudafricani (il rafforzamento politico venne scambiato con una apartheid di tipo economico), senza tenere conto degli effetti sui milioni di persone che ne furono colpite. Una ulteriore prova del fallimento della tesi della scuola di Chicago.

La repressione del libero mercato a Haiti.

Gli haitiani godettero di una breve parentesi di libertà, dal 1990 al 2004, all’epoca di Jean-Bertrand Aristide e Réné Preval (nel suo primo mandato). Solo una volta, in passato, durante la prima repubblica nera instaurata il 1 gennaio 1804, gli haitiani vissero in un regime di libertà che, comunque, non durò.

Ancora una volta, uno dei popoli più oppressi nella storia umana, perse la libertà. Il 29 febbraio del 2004 un gruppo di marine americani sequestrarono il presidente Aristide, durante un colpo di stato nel bel mezzo della notte e lo trasportarono, contro la sua volontà, nella Repubblica dell’Africa Centrale.
Haiti è piccola, circa tre volte la città di Los Angeles, con una popolazione che raggiunge appena gli 8 milioni di abitanti. Qualche riserva di petrolio, gas naturale ed altri minerali: ma il suo valore principale è la manodopera di cui dispone che le grandi società vogliono a basso costo, in nome del motto della Wal-Mart (catena di negozi al dettaglio) “Prezzi sempre bassi“.

Con il presidente Aristide and Preval, durante il suo primo mandato, vennero raggiunti ottimi risultati che, ora, con il colpo di stato del 2004, andavano completamente persi. Haiti è tornata ad essere il paradiso del libero mercato con una libertà sacrificata (malgrado un presidente legalmente eletto).

— Milioni di lavoratori del settore pubblico sono stati licenziati;

— Più di migliaia uccisi. Altri sono stati messi in prigione, altri scomparsi o obbligati a nascondersi.

— Migliaia di piccole imprese sono state bruciate o distrutte così come le abitazioni di tanta povera gente;

— La disoccupazione e la sottoccupazione imperversano con circa 2/3 dei lavoratori in stato di precarietà. La distruzione dell’economia rurale del paese si è tradotta nell’emigrazione delle persone verso i centri urbani che, tuttavia, non offrivano impiego.

— Il settore pubblico ha registrato il più basso livello di occupazione nella storia del paese.

— l’istruzione e la sanità che venivano fornite soprattutto da ONG, comprese le strutture religiose con sede nella stessa Haiti, ne hanno risentito in modo allarmante;

— l’aspettativa media di vita era solo di 53 anni; la mortalità infantile ha raggiunto un tasso altissimo, il più elevato di tutto l’emisfero occidentale;

— la Banca Mondiale mette il paese agli ultimi posti della classifica, in virtù di un sistema sanitario estremamente carente, un elevato tasso di malnutrizione e servizi inadeguati;

— il paese è il più povero di tutto l’emisfero, con l’80 % della popolazione che vive in condizioni al di sotto della linea di povertà; è anche il paese meno sviluppato (assenza di infrastrutture, deforestazione estrema, erosione del suolo ai massimi livelli);

— la metà della popolazione è a “rischio nutrizione” e la metà dei bambini sono denutriti e rachitici;

— meno della metà delle persone dispongono di acqua potabile;

— Il sistema sanitario garantisce a malapena 25 dottori, 11 infermieri per una popolazione di 100.000 e la maggior parte degli abitanti di zone rurali sono impossibilitati ad accedervi;

— L’incidenza HIV/AIDS è tra le più alte al di fuori dell’Africa;

— La Banca Mondiale stima un reddito pro-capite pari a $450; il salario da prevalente sfruttamento si aggira intorno agli 11 – 12 cent/ora. Il salario minimo ufficiale è di circa $1.70 al giorno (anche se la maggior parte degli haitiani percepisce anche meno) e i sindacati non offrono nessun beneficio o sostegno adeguato;

— ristrutturazioni e privatizzazioni, come quella della Teleco, di proprietà dello Stato, sono costati migliaia di posti di lavoro;

— L’occupazione paramilitare delle Nazioni Unite opera una strettissima repressione mascherandola con operazioni tese al mantenimento della pace. (Si tratta, ricordiamo, di truppe insediatesi illegalmente la prima volta per sostenere e rafforzare un colpo di stato contro un presidente eletto legalmente). Omicidi politici, rapimenti, sparizioni, torture ed arresti illegali sono forme comuni di repressione. La democrazia del presidente Rene Preval, nel suo secondo mandato, non è riuscita pertanto ad emergere. È impotente di fronte alla Potenza Americana orchestrata dai Chicago Boys.
Un’altra eredità lasciata da Friedman, questa volta molto vicina a casa sua.

La distruzione fondamentalista del libero mercato in Afghanistan

L’11 settembre ha cancellato la normalità, creando il disorientamento generale nonché un moto di regressione, rendendo qualsiasi cosa possibile, grazie ad uno shock collettivo che non ci ha impiegato molto a rivelarsi in tutto il suo essere. La “guerra del terrore” fu lanciata in un clima di paure, e l’Afganistan era il primo obiettivo: un nuovo periodo post 11 settembre viene inaugurato.

La guerra era stata programmata ben prima dell’11 settembre, che è stato solo un pretesto. C’era un piano strategico ben preciso da mettere in atto: il controllo dei vasti giacimenti di petrolio e delle riserve di gas nell’Asia Centrale, fino al Medio Oriente, che aveva nell’Iraq il suo epicentro. Tutto inizia il 17 ottobre 2001. Oggi, questa guerra, perdura, si intensifica, a spese del popolo afgano che, per più di 20 anni, è stato spezzato da una distruzione senza fine e da tumulti a livello internazionale:

— metà della popolazione afgana è senza un impiego e senza previsioni positive grazie alle nuove regole di mercato;

— l’altra metà della popolazione guadagna circa $200/anno (guadagni più elevati per chi lavora nel mercato dell’oppio);

— altissimi livelli di povertà, un quarto o forse di più della popolazione necessita di aiuti umanitari;

— l’aspettativa media di vita (44.5 anni) è tra le più basse al mondo;

— la mortalità infantile è la più alta a livello mondiale (161 decessi ogni 1000 bambini);

— 1/5 dei bambini muore prima dei 5 anni;

— Ogni 30 minuti una donna muore per parto;

— 500.000 senzatetto solo a Kabul;

— solo un quarto della popolazione ha accesso ad acqua potabile e sicure condizioni igieniche;

— un solo dottore disponibile per 6000 persone ed una infermiera per 2500 persone;

— 100 o più persone vengono uccise o ferite dalle mine antiuomo;

— i bambini vengono rapiti, venduti come schiavi o uccisi per il commercio degli organi che costano cari nel “libero mercato” dove tutto viene messo in vendita;

— meno del 6% degli afgani ha accesso all’elettricità, disponibile molto di rado;

— il tasso di alfabetizzazione femminile è di circa il 19%. Le donne, per la maggior parte, vivono in pessime condizioni: sono costrette a mendicare e a prostituirsi per vivere. Molte restano vedove;

— le scuole vengono bruciate e gli insegnanti vengono addirittura decapitati di fronte agli alunni;

— i servizi di prima necessità (scuole, strutture ospedaliere, cliniche) sono pessimi e non vi è supporto esterno per migliorarne le condizioni;

— sotto l’occupazione militare, la democrazia è pura fantasia.

— l’illegalità imperversa, la guerra si fa più aspra… La vita ovunque è insostenibile, grazie comunque al paradiso fondamentalista del libero mercato…

Iraq: epicentro della “guerra del terrore” per la libertà di mercato fondamentalista.

L’Iraq ha la sfortuna di trovarsi nel cuore del Medio Oriente, ricco di petrolio, dove sono i due terzi delle riserve più conosciute e dove vi è anche il più grande potenziale disponibile poiché ancora non sfruttato.

Fondamentalmente il piano è semplice: un nuovo esperimento in blocco per cancellare una nazione e crearne una ex-novo attraverso l’invasione, l’occupazione e la ricostruzione. Un altro paradiso del libero mercato privatizzato con fondi pubblici stanziati appositamente ma non per il popolo iracheno e per i suoi bisogni primari, per una economia sostenibile o per lo sviluppo di infrastrutture locali.

Il capitalismo dilaga traducendosi in rovina per milioni di uomini. In Iraq, ha significato:

— un inferno di violenza incontrollata in tutto il paese. I nuovi sondaggi della britannica ORB, indicano più di 1,2 milioni di decessi dal marzo 2003, oltre a 1,5 milioni di morti dalla Guerra del Golfo e dalle sanzioni economiche in atto fino all’attuale guerra. (Il numero potrebbe persino essere più alto se si tiene conto delle morti giornaliere violente e non, dato non conosciuto con certezza che secondo Gideon Polya ariverebbe, dal ’90 ad oggi, a circa 3,9 milioni di decessi),

— L’International Rescue Committee e l’UNHCR hanno stimato 4 milioni di dispersi, e 40.000 costretti ad abbandonare le loro case;

— la quasi totale interruzione dei diversi servizi (elettricità, acqua potabile, servizi igienici, istruzione, cibo);

— disoccupazione di massa e condizioni di estrema povertà in quella che una volta era considerata la “culla della civiltà“, ora spazzata via in nome del profitto;

— un disastro umano generale di proporzioni epiche che continua a peggiorare (dati July Oxfam International e NCCI):

— 8 milioni di iracheni (1/3 della popolazione) si trovano nella necessità di ricevere aiuti umanitari;

— 4 milioni sono senza cibo;

— 70% è privo di riserve idriche;

— 80% vive in scarse condizioni igieniche;

— 28% dei bambini è malnutrito;

— nascite di neonati sottopeso triplicate;

— 92% dei bambini con problemi di apprendimento a causa della paura;

— un esodo di massa pari a circa l’80% di dottori, infermieri, insegnanti ed altri professionisti fondamentali.

Inoltre, l’industria locale è ormai al collasso.

Il paese è diventato una sorta di terra di nessuno.

L’Iraq, più di tutti gli altri paesi, costituisce una orrenda testimonianza del mito della magia del libero mercato. Se non peggio. Costituisce la prova del crimine di Friedman contro l’umanità.

E’ una guerra straniera infinita, una distruzione ed un omicidio di massa, detenzioni e torture, disprezzo della legge internazionale e totale mancanza di rispetto dei diritti umani e della giustizia sociale in generale:

— la democrazia è pura fantasia nello stato corporativista che mette i profitti al di sopra delle persone;

— il decadimento sociale è sempre più in crescita così come i fabbisogni che restano insoddisfatti;

— la giustizia sociale, la libertà civile e i diritti umani sono irrealizzabili;

— la distribuzione delle ricchezze è impari e senza precedenti;

— il governo è tra i più occulti, intrusivi e repressivi di tutta la storia dell’umanità;

— la legge è nulla e senza valore;

— una sorta di pozzo nero di corruzione incontrollata senza responsabilità;

– lo stato è stato monopartitico de facto, senza nessun controllo o separazione dei poteri ed un presidente che afferma la facoltà “unitariamente esecutiva” di fare quello che vuole, impunemente;

— soppressione e repressione di tutti i dissidenti;

— una cinghia industriale-militare fuori di ogni controllo;

— una informazione mediatica asservita al controllo governativo pro-guerra, contro la democrazia e fautore della conquista e repressione imperiale.

Tutto questo è l’eredità lasciata dall’uomo che l’Economist ha definito come “l’economista più influente della seconda metà del (se non tutto) il XX secolo”. Il quale, una volta consacrato, ben fondato e consolidato, non avrebbe mai potuto ammettere di essersi sbagliato o scusarsi con le milioni di vittime che sono state la testimonianza di tutte le sue fesserie.
Mai così tante persone sono rimaste colpite dalle fandonie di qualcuno e di tutto quello che ha comportato fino alla sua morte.

Questo è dunque il lato scuro del “capitalismo e della libertà”, rivelato in tutta la sua “oscurità” e trascurato dal torrente di elogi che gli sono stati comunque fatti…

Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato al seguente indirizzo: [email protected].

Stephen Lendman
Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=6977
4.10.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di CRISTINA POMPEI

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