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La Redazione

 

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Capitalismo “classico” vs Capitalismo “tecnocratico”

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A cura di UDN
Il 30 Marzo 2020
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Umberto Del Noce

Comedonchisciotte.org

Certamente sono giorni frenetici ed inediti.

L’eccezionalità di quanto sta avvenendo ha acceso in me il desiderio di condividere alcune riflessioni.

Non perché detenga verità assolute, ma perché condividendo si ha la possibilità di entrare in connessione con gli altri.

E questo è fondamentale tanto più in quei momenti in cui l’essere umano si ritrova, per caso o per forza, isolato.

Quello che è sorto da questo desiderio potrebbe sembrare un articolo pessimista.

In realtà non lo è.

Io resto profondamente ottimista riguardo al corso degli eventi, sul medio-lungo periodo.

So che l’umanità, laddove è posta alla prova più ardua, trova in se stessa le più alte risorse e il suo Cuore più puro.

Inoltre sempre nel corso della storia, dove la civiltà vacilla, l’individuo fiorisce e credo che questo particolare periodo storico possa essere una meravigliosa opportunità di fioritura spirituale per l’uomo, e per la sperimentazione di nuove forme di comunità e solidarietà fra gli esseri e la natura. D’altronde “crisi”deriva dal greco krìsis che significa “scelta”. Un periodo di crisi, minacciando le nostre sicurezze, ci obbliga a scegliere. E per farlo dobbiamo rivolgerci al nostro Cuore, unica bussola nella nebbia degli eventi, per capire quello che desideriamo davvero. Per individuare quello che per noi è veramente importante.

 

L’emergenza del coronavirus dilaga e con essa psicosi di ordine individuale e collettivo.

Individualmente, essa sta infatti portando alla luce i nostri punti deboli: paura della fragilità umana, della morte e la paura che nasce dal constatare che non abbiamo un reale controllo sulla nostra vita.

Socialmente sta portando a galla contrasti e conflitti che covavano sotto la cenere.

Ho letto numerosi articoli, che in parte condivido, che sfoggiano un grande ottimismo per la fine del modello capitalista.

Per un verso sono d’accordo, per l’altro nutro qualche preoccupazione.

Perché, se è vero che UN capitalismo è morto, non è detto che IL capitalismo sia finito. Anzi, dovremmo vigilare per non cadere dalla padella alla brace.

A livello globale sono piuttosto preoccupato per quello che vedo perché lo scenario mi sembra avere affinità con quello che ha portato alla seconda guerra mondiale.

La seconda guerra mondiale, infatti, è stata innescata dal conflitto tra capitalismo industriale, sorretto da uno Stato di stampo socialista (con grandi interventi statali nell’economia), contro il modello capitalista finanziario incarnato dall’Inghilterra prima e dagli Usa dopo (lo Stato “minimo”).

In breve, il modello socialista (nella sua versione nazionale, con tutte le sue criticità ideologiche ed etiche) contro il modello liberista. Con la vittoria di quest’ultimo fronte, il liberismo si è imposto come modello dominante in tutto l’occidente.

Ora i conflitti europei stanno spaccando il campo tra un capitalismo che ormai potremmo dire “classico”, rappresentato dai paesi mediterranei, contro un tipo di capitalismo assoluto, che definirei “tecnocratico”, propugnato dai paesi dell’Europa del Nord (Germania in primis).

L’Europa mediterranea ha una storia culturale e sociale che affonda le sue radici politiche nel socialismo e nei momenti di crisi questa emerge, seppur timidamente.

Infatti, per ora i politici nostrani si limitano a dire che per affrontare l’impatto economico devastante della crisi, gli stati dovranno spendere.

Per finanziare questa spesa, le uniche proposte parlano di bond europei e di aumentare i debiti pubblici, anche perché senza sovranità monetaria questo costituisce l’unico modo per gli Stati di reperire capitali, seppur indebitandosi col settore privato.

A queste visioni si oppongono i paesi del Nord che propongono l’utilizzo del Mes, con il suo sistema di condizionalità (privatizzazioni, tagli e devastazione sociale).

Mi sembra di intravedere due sistemi di potere che si affrontano con le rispettive visioni del futuro.

Da un lato un’ Europa mediterranea che propone l’intervento dello Stato (seppur rimanendo per ora ambigua sul futuro di questo ruolo, in epoca post-crisi).

Dall’altro l’Europa del Nord che propone una ricetta di austerità totale (e la conseguente spoliazione dello Stato). Con quale risultato?

E’ evidente che la crisi economica che attraverserà l’Europa mediterranea in seguito alla pandemia sarà senza precedenti.

L’intero tessuto economico, fatto di piccole medie imprese, imprese a gestione familiare, partite iva e artigiani rischia di saltare completamente.

L’intera classe media è minacciata.

Se questo avvenisse, rimarrebbero solo i grandi colossi che potrebbero accaparrarsi l’intero settore economico: dalla produzione agricola, ai servizi essenziali, ai trasporti al sistema sanitario ecc…

A questo punto possiamo intravedere una nuova fase del capitalismo che potremmo chiamare “tecnocratico”, in cui lo Stato potrebbe divenire completamente superfluo.

I grandi gruppi finanziari che hanno scommesso sulla caduta dei mercati guadagneranno miliardi mentre i grossi fondi compreranno, per niente o poco più, migliaia di società quotate in borse che vivranno una caduta rovinosa.

Possiamo anche immaginare che, con la scusa che il denaro trasmette i virus, il processo di smantellamento del contante (già in atto) verrà velocizzato, portando in breve a denaro solo digitale, rendendo possibile un controllo quasi totale della popolazione (e allontanando sempre più la creazione della ricchezza dallo Stato, di fatto privatizzandola).

La sharing economy, d’altronde, spostando il paradigma dal possesso al godimento (si può acquistare il godimento, non la proprietà) renderebbe una plebe senza risparmi (“macro-economicamente” eroso, da decenni di austerità), sempre più dipendente dal reddito da lavoro, portandola sul mercato del lavoro, dominato da pochi, enormi gruppi, in condizioni di completa subalternità.

Come quei contadini e pastori agli albori del capitalismo, spogliati delle terre comuni che avevano coltivato per secoli, che si trovarono davanti alla porte delle fabbriche nascenti, con il cappello in mano e le scarpe bucate.

Inoltre, nel silenzio della stampa viene portata avanti la costruzione della rete 5, che permetterebbe, nel giro di pochi anni, la connessione, secondo le orwelliane visioni del cosiddetto “internet of everything”, di tutto ciò che riguarda le nostre vite.

I colossi che emergenti dalla crisi, potrebbero così acquistare miliardi di dati sensibili e controllo delle nostre vite quotidiane.

 

Intanto la popolazione viene abituata a strade militarizzate in nome della sicurezza, controlli negli spostamenti e divieto di riunioni ed assembramenti di persone.

Vediamo la tendenza per cui solo fonti “scientificamente” accreditate possono esprimere parere sui vari temi, senza affrontare il problema di chi accredita chi.

Continuando per questa strada, il diritto di espressione potrebbe diventare un ricordo.

Nel frattempo la tecnica sta prendendo il posto della scienza.

E dove la scienza si è sempre avvalsa del dibattito e di un orientamento etico ed umanista, rifiutando verità assolute, la tecnica mostra il suo volto inumano, del “fare” fine a se stesso, svincolato da ogni vincolo morale ed intollerante verso ogni forma di dissenso.

Se la scienza aveva come fine l’uomo e il miglioramento delle sue condizioni di vita, la tecnica ha come fine se stessa e assolutizzare il proprio “poter fare”.

Per essa l’uomo è un mezzo, non un fine.

Proseguendo per questa strada l’Umanità potrebbe tornare ad essere una plebe nelle mani di una piccola oligarchia.

 

Potrei e spero di sbagliarmi.

Per il momento, la posizione dell’Europa mediterranea, pur con i suoi limiti ed evidenti ambiguità (in primis la figura di Draghi), con l’intervento dello Stato nell’economia ad alimentare la domanda interna e a sostenere il tessuto sociale ed economico, può essere un freno alle visioni del capitalismo assoluto.

Capitalismo “classico” contro capitalismo “tecnocratico”, assoluto.

L’unica cosa certa al momento è una guerra che non farà prigionieri.

 

Il mio invito è quello di vivere i tempi che verranno con occhi e Cuore aperti, come sulla prua di una nave in mezzo alla tempesta.

Attenti ai rovesci ed ai marosi, ma certi che a poche onde di distanza ci attende un’isola meravigliosa su cui costruire futuri di splendore. Futuri di autentica comunità.

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