DI IAN WILLIAMS
Per alcuni anni dopo i fatti dell’11 Settembre 2001 il presidente Bush ha tenuto i suoi discorsi in basi militari davanti a ranghi serrati di uomini in uniforme, una platea che non avrebbe mai contestato né disapprovato. In ogni occasione ha indossato qualcosa di militare, dando lo spunto a battute tipo “è stato visto in uniforme più spesso di Fidel Castro”.
Ha quindi sorpreso la poco saggia decisione di tenere un discorso a Fort Bragg, nella Carolina del Nord, giovedì sera. La base è rinomata perché un Generale Confederale, un anno fa, dichiarò di aver messo su un “team per la cattura di disertori”. In questa occasione il presidente ha evitato di sfoggiare alcun tipo di articolo militare.
Ad ogni modo, vista la forte tradizione marziale, Fort Bragg rappresenta una tipologia di scenografia che dovrebbe essere assolutamente evitata durante una campagna elettorale. Qualche settimana dopo l’inizio della guerra il presidente era atterrato sulla portaerei Abraham Lincoln in tenuta completa da pilota. Sulla nave era esposto uno striscione con la scritta “Missione Compiuta”. Poco dopo le elezioni era chiaro che la frase era poco più di un semplice ottimismo. Due anni dopo è l’ultima cosa della quale vorrebbe ci si ricordasse.
La stessa disciplina dimostrata dalla platea militare non è stata riscontrata tra i membri civili della sua amministrazione. Nei giorni precedenti il vicepresidente Dick Cheney riteneva che i rivoltosi iracheni fossero sull’orlo della sconfitta, mentre il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld stava pianificando altri 12 mesi di guerra.
I consiglieri del presidente dicono che stesse facendo chiarezza. Ma non se ne vede molta, a parte quella proveniente dal deprimente aumento di pessimismo di Rumsfeld. [Il presidente] si è chiesto se valesse la pena continuare questa guerra e la risposta che si era dato era affermativa. Valeva la pena continuare, era vitale per il paese.
In netto contrasto i sondaggi che mostrano come i cittadini nutrano seri dubbi nei confronti del Presidente, relativamente alle motivazioni della guerra e se questa fosse stata una scelta giusta.
Magra consolazione i risultati dei sondaggi secondo i quali la maggioranza degli americani è contraria ad un abbandono immediate dell’Iraq. C’è del rimpianto nella motivazione: “Nostra è la colpa, noi dobbiamo rimediare”. Un punto di vista questo di quei veterani che, sebbene contro la guerra, ritengono che un ritiro delle truppe lascerebbe gli iracheni preda facile degli “sciacalli” entrati in scena con l’invasione. Questo non rappresenta affatto un punto a favore del presidente.
Ora gli elettori sono molto più dubbiosi e meno inclini ad accettare le affermazioni del presidente secondo le quali Saddam Hussein fosse coinvolto negli episodi dell’11 settembre.
Il suo discorso è stato costruito bene nei minimi dettagli. Ad analizzarlo nei minimi particolari non vi è passaggio nel quale si asserisca che Saddam Hussein fosse dietro l’11 settembre. Ma la maggioranza dei componenti le platee non può afferrare certi dettagli. È chiaro che questa fu solo una ragione, disonesta, per entrare in guerra. Ma non c’era nessuna evidenza all’epoca, né è stata prodotta in seguito, che provasse l’accusa.
Quando dice: “la nostra missione in Iraq è chiara. Stiamo combattendo il terrorismo” sempre più americani si convincono che i “terroristi” affollano l’Iraq a causa dell’invasione americana, non perchè fossero già lì prima.
Due anni fa aveva bisogno di molto meno. Alla vigilia dell’invasione la combinazione trasmessa in TV delle foto di Bin Laden, di Saddam e del Trade Center in fiamme, con la scritta “Guerra al terrorismo” aveva convinto il 70% della popolazione. Ma è passato molto tempo da quando Bin Laden è stato mostrato in TV: questo potrebbe ricordare alle persone che non è ancora stato trovato e che Saddam non è stato ancora rimpiazzato.
A questi problemi si aggiunge il “Downing Street memos” [è la minuta di un incontro segreto tenuto il 23 Luglio 2002 a Londra, apparso sul Sunday Times il 1 Maggio 2005-ndt ]. Questo documento britannico confermò i sospetti di molti, ovvero che la guerra fosse stata decisa molto prima di quanto si voglia far credere. La notizia è passata da internet alla stampa inglese a quella americana, dove sono iniziate accese discussioni.
Nell’incontro si parlò di armi di distruzione di massa in Libia che furono consegnate dopo la Guerra. Ma non si parlò della loro mancanza in Iraq, il che ha rafforzato l’idea di molti esperti di politica estera che la guerra fu il motivo per il quale queste armi sono ora in possesso della Corea del Nord.
L’appello alle truppe consentì al presidente di menzionare il Giorno dell’Indipendenza, che sarebbe caduto di lì a poco, e inneggiare al patriottismo: “Questo 4 di luglio chiedo a tutti voi di ringraziare in qualche modo tutti gli uomini e le donne che difendono la nostra libertà – esponendo bandiere, inviando lettere alle nostre truppe, o aiutare la famiglia di un militare che abita vicino a voi”. Il Dipartimento della Difesa ha creato un sito “AmericaSupportsYou.mil” dove si possono vedere quali aiuti privati vengono dati nella propria comunità.
Non ci vuole molto cinismo per poter prevedere che i media Repubblicani avrebbero evitato di trasmettere immagini di patrioti che manifestavano nei giorni a seguire, sperando che l’appello “supportiamo le nostre truppe” avrebbe potuto coprire i dubbi relativi al perché [i soldati] sono stati messi in quella situazione di pericolo, tanto per cominciare.
Non c’è indicatore migliore che le cifre di reclutamento. I militari esperti non si arruolano più. Stanno fallendo nel raggiungere il numero di arruolati previsto nonostante abbiano pubblicizzato l’abbassamento dei requisiti richiesti ed abbiano condotto una campagna di reclutamento senza precedenti in scuole e college.
Inizialmente ritrosi nel trasmettere il discorso, le reti ridussero il numero di repliche e diedero la diretta, convinti dall’ufficio stampa della Casa Bianca che c’era una dichiarazione politica più importante a seguire. Cosa che non era vera. Bush non ha fatto un favore a se stesso facendo trasmettere un discorso così energico – destinato alle truppe sul campo- ad un pubblico di civili scettici.
In un certo qual modo il miglior risultato raggiunto – con la riforma di previdenza sociale fallita, l’ambasciatore designato delle Nazioni Unite in ostaggio del senato, e l’inarrestabile turbine in Iraq – è quello di sembrare il candidato uscente a soli sei mesi dall’inizio del suo secondo mandato.
Ian Williams
è autore di “Disertore: la Guerra di Bush alle famiglie dei militari, ai veterani e al suo passato” Nation Books, New York.
Fonte:www.atimes.com/
Link:http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/GF30Ak01.html
30.06.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANIELLO B.
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