DI FULVIO GRIMALDI
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Non è da come nasci, ma da come muori che si capisce di che popolo sei
(Alce Nero, 1980)
Non si può far morire di fame e di sete una persona. Così, nel gennaio-febbraio 2009, mentre a Gaza veniva liquidata una popolazione a forza di fame, sete e un’apocalisse di guerra, il premier Berlusconi e, all’unisono, tutta la banda di paese. Così, su Eluana Englaro, in coma da 17 anni, caso paradigmatico del sadismo clerical-capitalista del XXI secolo nei confronti della vita, il signor Ratzinger, prelati assortiti, ma tutti vibranti di sacro furore vitale (ma non era meglio il paradiso?), teodem di fureria e un buon 40% di cittadini sodomofili che amano farsi dettare nascita, malattia, sofferenza, connubi, coiti, generazione, morte, da un truce vegliardo casto e Hitlerjunge mai pentito. Trattasi di creare, a propria immagine e somiglianza (non bastava il disastro combinato nell’Eden?), una zombie: una ragazza morta 17 anni fa e ridotta dalla perversione etica cristiana a fagotto inerte e informe, non deve morire di fame e di sete. Mica è un terrorista di tre anni di Gaza. Mica stava nel mucchio di scolaretti assembrati sul piazzale per il cambio di turno e che andava disintegrato con i missili per la gravissima colpa di alimentare la continuità di un popolo di troppo. Uno tsunami di fervori e anatemi contro la morte di una morta come indecente riparo al silenzio e alla complicità per la morte dei vivi.Potenze necrogene e necrocrate da quando esistono, per lo stupro fisico e il dopostupro economico dell’Iraq, prima, e poi di Gaza, sono state acclamate come modelli di statologia per il 21° secolo dalle classi dirigenti di tutto il mondo. In perfetta sintonia, già armati dallo spunto dell’11 settembre, in Italia hanno scatenato il delirio della sicurezza. Come si promuove la psicosi e quindi il diktat della sicurezza? Carburandolo ovviamente con quel culto della morte che, scientificamente, va da staminali e aborti ai roghi dei senza dimora, dalle fucilazioni, fuori e dentro servizio, di importuni, sospetti, o spaventati, allo sfondamento del torace di incappati in pattuglie libidinose, dalla soppressione di spinellari e irregolari vari in carcere, ai ragazzotti perbene che giustiziano chi gli nega una sigaretta, dai quartetti del liceo che spezzano una coetanea per farsela, ai crani spaccati di capannelli eversivi per loro stessa natura, dalle donne ammazzate a pietrate, senza neanche essere sauditi, agli stermini d’appartamento. Dicono che Israele avrebbe risposto ai razzi di latta di Hamas, legittimi quanto inadeguati contro un occupante belligerante, sorvolando leggiadri sul fatto che fu Israele, il 4 novembre 2008, ad cancellare con missili la tregua e sei palestinesi. Per la cosca dirigente italiana i razzi Kassam, sono lo stupro fatto da un rumeno, o il pestaggio di un compagno di scuola diffuso su YouTube. Ai razzi di chi dovrebbe starsene buono mentre se ne liquida la presenza sulla Terra si risponde con il rapporto di 100 a 1 (13 vittime israeliane, 1360, li per lì, quelle palestinesi), dando una lezione di modernità tecnologica e morale agli autori del 10 a 1 delle Fosse Ardeatine.
In Italia è bastato uno stupro per trasformare chi dovrebbe starsene buono a casa sua a morire di fame, epidemie, guerre imperialiste e criptoimperialiste in elemento criminale collettivo, determinato a disintegrare la nostra civiltà. Dopo la sospensione dell’assalto di dicembre 2008-gennaio 2009, è piovuto qualche altro razzo sui coloni di Sderot. Il legittimo, democraticamente eletto governo della Palestina (ricordiamoci che, nel 2006, Hamas aveva vinto le elezioni generali non solo a Gaza), che sempre ha rivendicato il proprio diritto alla difesa, ha smentito e documentato che quei razzi fossero della Resistenza. Il falso ha permesso ai mostri di guerra israeliani di prolungare un po’ l’eccidio e guadagnarsi qualche altro punto in vista delle elezioni del 10 febbraio 2009. Da noi, se non sono (e sono convinto che lo sono) servizi occulti a fomentare reati particolarmente scioccanti e dunque produttori di legiferazione repressiva, ci pensa la stampa a trasformare episodi di routine in casus belli , meritevoli di un’ operazione Cast Lead alla Veltrusconi, magari chiamata, ancora una volta (ci siamo abituati dalla Legge Reale) “Pacchetto Sicurezza” . La tecnica è sempre quella: Torri Gemelle e “19 dirottatori arabi” introvabili da vivi e da morti. Ricordate i Libano? Spedirono una pattuglia israeliana oltre le linee dei prontissimi Hezbollah sapendo di sacrificarla. Due degli infiltrati in Libano furono catturati. Israele e il mondo intero strepitarono di un “sequestro” operato dai “terroristi” libanesi in terra d’Israele. Niente scrupoli, né nella fregatura inflitta ai propri ignari soldati, né nella menzogna. Né per i tremila sacrificati nelle Torri. Ma, poi, che scrupoli volete che abbia chi titola un’operazione di genocidio e infanticidio col titolo, Cast Lead, piombo fuso, tratto con cinismo satanico da una canzoncina ebraica per bambini?
Procedendo nel “culto della vita” nostrano, aggiungiamo tre uccisi e mezzo sul lavoro al giorno, i morti di fame e di freddo sulle panchine, quasi diecimila stritolati dalle loro sicure auto sulle loro sicure strade, la falcidie da inquinamento e farmaceutica, qualche migliaio di fuggiaschi assetati, affamati e perseguitati, tutti per antichi e attuali meriti coloniali, mandati a dissetarsi con l’acqua di mare e a socializzare con i pesci, e non abbiamo finito. I giornali, telegiornali, nani e ballerine del bordello vespaiolo, si sono gonfiati di sollievo perché questo panorama di orrori, perfettamente istigati e poi pompati dallo Zeitgeist di un capitalismo allucinato dalla sua catastrofe, statisticamente in linea con i decenni e secoli trascorsi, ma promosso a emergenza senza precedenti, consentiva di rinchiudere nel lontano deposito dei ferrivecchi i pur diluiti e adulterati servizi da Gaza. Anzi, da fuori dai confini di Gaza, rigorosamente chiusi all’informazione dall’ unica democrazia del Medio Oriente. Non si era già fatto così con l’Iraq, prima masticato e sputato dalle puttane giornalistiche embedded, poi svaporato con i suoi quisling-ganster, i suoi due milioni di trucidati e 5 milioni di profughi, il totale sfascio civile, sociale, culturale, insomma quel vero e proprio nazionicidio, nelle rosee lontananze dei futuri libri di storia imperiale sulla democratizzazione del paese violentato dal “mostro Saddam”?
Si tratta di culto della morte. Dalle nostre parti lo travestiamo e sublimiamo in culto della sicurezza e, quindi, della vita. E, porca miseria, crepi la libertà, la dignità, il diritto, l’etica, la compassione, se questa malvagio padre non vuole far manovrare Eluana da morta vivente, per la maggior gloria di biopolitici e biopontefici che, se non avessero a disposizione la nostra giugulare, saprebbero di disfarsi in polvere alla prima luce del giorno. A Gaza, in Palestina, in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, a Haiti, si può invece far di tutto, mietere vite come fossero fieno, affogare nel sangue mezzo mondo. Ma, ancora una volta, lo si fa da ministri del culto della sicurezza e, dunque, da apostoli del culto della vita.
Le due cose sono collegate. Una istruisce e alimenta l’altra. Ma questo non traspare neanche da una riga di tutti coloro che hanno scritto o parlato del degrado sociale, dell’iperbole criminale a cui è giunta la congiuntura nazionale. Il karma è costante, assordante, immutabile. Quando adolescenti bruciano un disoccupato indiano, o un pistolero in divisa fa al tiro al bersaglio su tifosi, un padrone ammazza e butta nel fosso il “suo” immigrato, l’elegante giaculatoria dei sociopsicologi da osteria suona “disagio”, “noia”, “sfascio famigliare”, “permissivismo” (a destra), “consumismo”, “disgregazione urbana”, “abbandono periferico”, “ mancanza di luoghi di aggregazione” (a sinistra). Termine demodé è “alienazione”, pur segnalato dal Che Guevara, da Pasolini e da alcuni neomarxisti tedeschi, come strumento di dominio e sfruttamento al pari dell’esproprio del propri lavoro. Ma “alienazione” è la parola. Alienazione è quando qualcosa ti fa rovesciare nel tuo contrario. Quando qualcuno inietta in Jekill un Dr. Hyde. Solo che, diversamente da quanto ti vorrebbe attribuire il determinismo razzista dei genetisti Usa, tradotto in vulgata del senso comune, quel Hyde non è tutta fatica tua. Te lo allevano dentro.
Il discorso sarebbe lungo. Ma partiamo da un punto avanzato. Si comincia per gioco: videogiochi, film e teleserie, con più ammazzati o pestati che fotogrammi, ti insegnano come divertirti manovrando pupazzetti e macchinari, il meglio della nostra civiltà tecnologica bianca, giudaico-cristiana, per squartare più “terroristi”, vecchiette, o devianti possibili. Più fai pulp, più fai punti. L’educazione sentimentale è quella. E poi dici “il bullismo”. Nel successivo si passa a fare quello che non si voleva fosse fatto al cadavere mesmerico di Eluana: si chiudono interi popoli in un recinto e li si ammorbidiscono ben bene negandogli cibo, acqua potabile, medicine, medici, lavoro, dignità. Quando si pensa che lo stato di inedia assoluta sia raggiunto, ci si avventa sopra per estirpare al maggior numero possibile la vita e ai restanti la capacità, la voglia, la possibilità di vivere. Almeno non in quel posto.
A questo punto la scuola quadri, con aule in ogni angolo del mondo “civilizzato”, può licenziare i suoi allievi. Quale barriera etica, politica, sociale si può frapporre tra, da un lato, chi è cresciuto e vissuto in un mondo, sostenuto e sacralizzato da ogni data autorità e dal senso comune, dove stupri, ammazzamenti, efferatezze di ogni genere, crimini contro l’umanità sono normalità, e, dall’altro, il tuo personale protagonismo in tale normalità? Ma come, si avvolge nel caldo giubbotto antiproiettile della “sicurezza”, antiterroristica ovviamente, chi a Gaza giustizia a bruciapelo bambini, o incenerisce col fosforo le loro madri, e poi non si vuole ammettere per sicurezza quando uno toglie di mezzo quella zecca di musulmano così efficacemente esecrata dal Corriere e dai nostri ministri degli Interni, oppure quando un quartiere intero napoletano si “autodifende” incendiando una comunità di rom? Lo fanno gli israeliani a Gaza, no? E tutti li comprendono, giustificano. La ragione è quella dei vincitori. Come lo è l’olocausto. Ché, vogliamo fare ai due pesi e due misure? Solo perché lì la chiamano “Forza di Difesa Israeliana” e qui “branco”? Che differenza qualitativa c’è? E, allora, come si fa a non finire in massa preda della famosa “alienazione”? E se provassimo a processare i torturatori e boia dei popoli, a bandire lo splatter elettronico o filmato per apologia di reato e istigazione a delinquere, a coprire di guano autorità che urgono di essere “cattivi” con gli immigrati, a raccontare la storia vera di chi infligge e di chi subisce? Se ci ricordassimo ogni giorno che capi di Stato, governi e interi parlamenti hanno disfatto l’articolo 11 della Costituzione, quello che bandisce la guerra e l’hanno fatto scomparire sotto i flutti di sangue di “terroristi”, come fossimo in una Gaza qualsiasi? Non pensate che allora quell’ “alienazione” si dissolverebbe in coscienza e che la sicurezza cesserebbe di essere la mimetizzazione della violenza di Stato?
Durante tutta la durata dell’ambaradan attorno a Gaza, dove quei terroristi integralisti di Hamas continuavano a minacciare con petardi i bravi coloni di Israele, mentre l’attenzione mondiale era concentrata sulle misure, necessarie per quanto secondo D’Alema “un po’ sproporzionate”, di “autodifesa” israeliane, gli insediamenti coloniali in Cisgiordania si moltiplicavano a ritmo accelerato. Mentre li si mimetizzava con negoziati di pace, autentici come il progressismo di Obama o l’opposizione di Veltroni, e con una tregua di 18 mesi, nel solo 2008 Israele aumenta del 60% insediamenti che rendono per sempre una fanfaluca lo pseudostaterello a cantoni palestinese. Questo, alla faccia dei famigerati accordi di Oslo e di tutti i successivi che tali insediamenti proibivano. Meglio che dai teppisti delle colonie, che perlopiù spaccano solo la testa ai contadini palestinesi, o dei militari di Tsahal che sparano a qualche manifestante, la sicurezza del colonizzatore era assicurata dai pretoriani, armati dal carnefice, del presidente ANP Abu Mazen, rappresentante del grumo ricco e corrotto del disfacimento palestinese, ma fiduciario di coloro che tale disfacimento perseguono.
Assaltando una striscia grande come mezza provincia di Roma, con la potenza del quarto e più impunito esercito del mondo, Israele ha ucciso sulle prime 1.360 palestinesi, all’85% civili inermi, di cui oltre 400 bambini, con molti altri in arrivo successivamente, estratti da sotto le macerie o mangiati dalle mutilazioni, dal fosforo o dall’uranio. A queste armi proibite e più criminali ancora di tutte le altre, ha aggiunto un gingillo perfettamente in linea con quanto sugli arabi si insegna agli scolaretti di Sion: freccette d’acciaio che schizzano a decine da un ordigno e non hanno altro scopo che quello di perforare carni di esseri umani. Avevo visto qualcosa di analogamente perfido a Hebron, la città cisgiordana dove imperversa da anni mezzo migliaio di coloni fascisti arrivati dagli Usa. Si chiamavano “farfalle” ed erano proiettili con sulla punta un’elica rotante che aveva il compito di tritare i corpi nei quali penetrava.
Dalle ventimila case distrutte o devastate sono scampati circa 100mila persone, in buona parte finite in nuove tendopoli, a memoria di quelle nelle quali i gazaiani, già profughi delle espulsioni della nakba, si erano accasati nel 1948. A volte ritornano. In osservanza rigorosa del diritto di guerra e delle convenzioni internazionali, Israele ha poi decostruito con le bombe l’intero assetto del territorio, amministrativo, infrastrutturale, agricolo, industriale, distributivo. Per ergersi a massimo custode della sicurezza, Israele ha perfezionato l’olocausto e lo sberleffo a un’ umanità non normalizzata massacrando decine di civili rifugiatisi delle sedi dell’ONU, colpendo scuole, moschee e ospedali, bloccando ambulanze e uccidendo sanitari che correvano in soccorso a feriti, chiudendo intere famiglie in case poi rase al suolo, mitragliando dai carri torme di civili in fuga con bandiere bianche, fornendo a medici egiziani decine di bimbetti con pallottole nel cranio o nel corpo, sparate da distanza ravvicinata. Nessun apparato della Germania nazista era mai riuscito a eseguire una così integrale punizione collettiva, crimine di guerra, crimine contro l’umanità. E chi si affacciava con intenti di soccorso umanitario al largo di Gaza, all’interno delle acque territoriali palestinesi, come i battelli umanitari del “Free Gaza Movement”, veniva aggredito, sequestrato e dirottato. Una menzione molto speciale merita qui il nostro compagno Vittorio Arrigoni che, prima incarcerato e maltrattato dagli israeliani, poi liberato, ha avuto il coraggio e la nobiltà di tornare a Gaza e di farsi l’intero genocidio correndo con le ambulanze a raccattare morti e soccorrere feriti. La sua voce, ripresa dal “manifesto” per tutta la durata della strage, insieme ad Al Jazeera (per chi ha il satellite e sa l’inglese), è stata per l’informazione quello che i tunnel tra Gaza ed Egitto sono per la sopravvivenza palestinese.
Dopo aver ridotto Gaza a un deserto orlato di filo spinato, Israele e il suo alleato egiziano hanno continuato il blocco della morte. L’Egitto del tirannico satrapo Mubaraq, vacillante come gli altri regimi vassalli degli Usa per i sommovimenti di massa innescati da Gaza, ha superato se stesso. Chiudendo dentro Gaza bombardati i “fratelli arabi”, feriti, morti di fame, macerie, ha contribuito a realizzare il sogno del Capo di Stato Maggiore israeliano, Rafael Eitan, quando vaticinò “palestinesi in fuga, impazziti come scarafaggi chiusi in una bottiglia”. Spiragli nell’embargo, con qualche carico di farina o qualche sacca di plasma, hanno il sapiente scopo di prolungare l’agonia. Troppo comodo morire con un proiettile in faccia, o sminuzzati per successive amputazioni da necrosi inarrestabili. Vista l’aria che tira, impregnata di veleni chimici sparsi dall’aggressore, ai palestinesi di Gaza è negato anche il respiro. A Jenin, nel 2002, era stato riservato lo stesso destino. Del resto, è una costante dal 1948. Una costante che da sempre cammina su tre gambe e tutto travolge, comprese le truppe di complemento della “sinistra”. Una gamba è la favola del “ritorno”, che è ritorno dove i “ritornanti” non sono mai stati, giacchè la deportazione sotto l’imperatore Tito è una favola e coloro che si sono aggiunti ai pochi arabi di Palestina, del Medio Oriente e di Spagna, convertitisi nei millenni all’ebraismo, sono genti europee e caucasiche che i più aggiornati studi storici dimostrano provenienti dal regno dei Khazari nelle regioni tra Caspio e Mar Nero. Si convertirono all’ebraismo intorno al Mille e dilagarono poi verso occidente. L’altra gamba, altrettanto fasulla, è “l’antisemitismo” , parolina magica che rende immuni da colpa i delitti compiuti contro i veri semiti, dagli 8 milioni di palestinesi ai 300 e passa milioni di arabi. La terza gamba è “la guerra al terrorismo”, una truffa galattica con cui Usa e alleati imperialisti in seconda perseguono il controllo di giacimenti e oleodotti, l’assalto alle libertà democratiche, i profitti del complesso militar-industriale, la creazione dello Stato-mondo di polizia, l’espansione territoriale di Israele, nel quadro della progettata frantumazione delle nazioni da ricolonizzare.
Si fustiga con sdegno chi osa l’inosabile: l’accostamento tra sionismo e nazismo. Per quanto i più frequenti a formulare questi confronti siano propri opinionisti e storici ebrei. Ho vissuto la vicenda israelopalestinese fin dal 1967, Guerra dei Sei Giorni, e poi nelle guerre e stragi successive, fino alle invasioni del Libano, fino a Sabra e Shatila, fino alla spoliazione progressiva di Gaza e della Cisgiordania. Un tale accumulo di nequizie, di vessazioni, di ammazzamenti, di delitti di ogni genere da far impallidire non Gengis Khan, poveretto, ma la sua fama. Non Nerone, ma il ritratto che ne hanno dipinto storici patrizi e cristiani. Non Saddam, ma la sua gigantesca deformazione a opera di mille Magdi Allam. Fu dall’aver visto trasformare in “autodifesa” l’attacco ai paesi arabi e l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, quanto restava della Palestina dopo i pogrom israeliani, che ho iniziato a capire come nella mia professione di giornalista coloro che obbedivano alla verità e potevano esprimerla fossero rari quanto la particella di sodio in una certa acqua minerale. Ma neanche quella particella aveva libertà totale d’espressione. Se i villaggi rasi al suolo dai tank israeliani sui quali viaggiavo, battendo sulla “Lettera 22” per “Paese Sera” quanto poi sarebbe stato censurato dal commando israeliano, continuavano a farmi venire in mente S. Anna di Stazzema, o Marzabotto, questo no, questo proprio non potevo scriverlo neanch’io. E’ grazie a questo editore, forse l’unico in Italia, che oggi mi posso permettere di riflettere su come Hitler avesse vinto le sue prime e uniche elezioni grazie ai meriti securitari acquisiti ramazzando un po’ di comunisti e socialisti. I capipartito israeliani, etilizzati da cannibalismo etnico, condiviso da quasi l’intera comunità nazionale, hanno fatto la regata elettorale utilizzando per remi cadaveri palestinesi e appendendo bambini all’albero maestro. In piccolo, i nostrani bifronti bipartisan corrono al voto carburati da donne stuprate, famiglie sterminate da famigliari, migranti che osano pregare sui sagrati, giovani che bevono fuori orario e sui gradini. Israele non è poi così lontana.
Hitler smise poi del tutto di fare elezioni. Israele, che è democratica, no. All’idea di cosa potrà succedere ai palestinesi in vista delle prossime elezioni israeliane si ghiaccia il cuore. Ma forse, quella volta, sarà diverso. Perché a Gaza la storia è caduta dal cavallo. Come San Paolo. Lo vedremo alla fine di questo libro.
Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/02/battaglioni-della-vita-battaglioni.html
11.02.2009