FONTE: LIBREIDEE.ORG
«Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle». Ebbene sì: c’è voluto lo “tsunami” elettorale di febbraio, ed ecco che i teppisti dell’antipolitica di ieri sono diventati nientemeno che “cari amici”, perlomeno per Barbara Spinelli, il filosofo cagliaritano Remo Bodei, l’accademica Roberta De Monticelli, gli storici dell’arte Tomaso Montanari e Salvatore Settis nonché il giurista Antonio Padoa-Schioppa, fratello di Tommaso, super-tecnocrate tra i massimi sostenitori dell’euro e dell’indecente regime di Bruxelles. Lui, lo spietato fustigatore dei “bamboccioni” italiani. «Pagare le tasse è bellissimo», disse, mentre Barbara Spinelli, co-fondatrice di “Repubblica”, tesseva le lodi dell’Unione Europea come frontiera di pace e civiltà, individuando un unico supremo ostacolo all’affermazione del paradiso europeo in terra: Silvio Berlusconi. Incredibile ma vero, il 9 marzo 2013 Spinelli e colleghi sostengono che, col trionfo elettorale di Grillo, si apre «una grande occasione» per «cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa».
L’appello, pubblicato in prima pagina su “Repubblica” – quotidiano che più di ogni altro ha condotto fino alla vigilia del voto una sconcertante campagna anti-grillina di stampo sovietico – ora blandisce i “cari amici” del Movimento 5 Stelle, protagonisti di una svolta storica nella democrazia italiana ed europea. A patto però che si decidano a dar retta a Bersani e Napolitano, perché «nessuno di noi può avere la certezza che l’occasione si ripresenti nel futuro». Ovvero: «Non potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partito-movimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa». Certo, concedono i firmatari, «sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto “è stata una strategia anti-crescita”, distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda».
Ma, ecco il punto: «Dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo», e «le speranze pure», perché «non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili». Misure di estrema urgenza, Stato di diritto, economia, Europa democratica, addirittura Stiglitz. E dunque? Primo punto: una legge sul conflitto d’interesse. Berlusconi, quindi, non l’Europa infame della Bce. Conflitto d’interesse: cioè la legge che D’Alema, Prodi e Bersani, punti di riferimento di Spinelli & Padoa-Schioppa, non hanno mai voluto varare, nemmeno quando disponevano di una solida maggioranza. A quanto pare, dovrebbero affrettarsi a farlo oggi i “cari amici” grillini, ai quali i solleciti firmatari si premurano di consigliare anche la nuova legge elettorale: non si limitano infatti a chiedere la scontata cancellazione del “Porcellum”, ma addirittura spiegano quale dovrebbe essere, il futuro ordinamento. E cioè: una legge elettorale maggioritaria con doppio turno, alla francese.
Per il resto, si va dal taglio dei costi della “casta” fino alla lotta alla mafia, alla corruzione e all’evasione. Ma l’ Europa di Maastricht? I diktat della Commissione Europea? La sovranità democratica? Il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio? Perché citare Stiglitz e il rigore, se poi si parla ancora e sempre del fu Berlusconi, di cui Settis e colleghi chiedono di affrettare il ko definitivo, con la richiesta di ineleggibilità «firmata da ormai 150.000 persone»? Ma “che c’azzecca” Berlusconi con il massacro sociale indotto da Merkel, Draghi e compari, ligi alle direttive iniziali impostate dai vari Mitterrand, Delors, Attali e Trichet, entusiasticamente eseguite dai nostri Andreatta, Visco, Ciampi? Quasi lunare nei toni, l’appello “promuove” la proposta del “reddito di cittadinanza” caldeggiato da Grillo, per fronteggiare l’emergenza-povertà, ma senza lontanamente spiegare come eventualmente finanziarlo. Ribaltare il tavolo di Bruxelles? Ma certo, con «un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti», ben diverso dal bilancio «ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità» nell’ultimo vertice europeo del 7-8 febbraio.
Ma dov’erano, i firmatari dell’appello, quando la tecnocrazia europea seppelliva la sovranità democratica dei popoli con la sequenza mortale dei trattati-capestro, da Maastricht a Lisbona fino al Fiscal Compact? Disponevano dei maggiori media, eppure tacevano: aspettavano Grillo? Attendevano con fiducia che, «per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa», un movimento di indignati entrasse in un Parlamento, e rendesse dunque possibile «un’Azione Popolare»? Non una parola, in vent’anni, neppure su profetiche battaglie civili come quella, apparentemente locale, contro la linea Tav Torino-Lione, coi militanti valsusini oggi alla sbarra nell’aula-bunker del tribunale di Torino, solitamente riservata a mafiosi e terroristi. Malgrado i documentatissimi appelli a Monti e Napolitano firmati dal meglio dell’università italiana, all’alba del 2013 – solo dopo le elezioni, ovviamente – Spinelli e colleghi auspicano una «riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav». Nientemeno.
Fonte: www.libreidee.org
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9.03.2013