Andare, o non andare, a votare? Questo è il dilemma…

Votare astenendosi: l'arma che il sistema non si aspetta.

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Con questo articolo diamo al via ad una serie inerente le prossime elezioni amministrative ed europee previste per l’ 8 e 9 giugno prossimi.

Si alterneranno tante voci e posizioni, nella migliore tradizione di CDC, utenti e lettori sono invitati e benvenuti al dibattito: andare, o non andare, a votare? Questo è il dilemma…

Buona lettura.

                          La Redazione

Andare, o non andare, a votare? Questo è il dilemma…

By CptHook

 

Si avvicina la data delle elezioni europee in un momento decisamente drammatico nella storia del continente e, se per questo, anche della società civile di tutto il mondo.

Nel suo ottimo “Mezzo paese non vota più e rifiuta il regime dei partiti!“ Fabio Bonciani ha espresso con grande passione tutta la preoccupazione che suscita il crescente disamore di gran parte dei cittadini nei confronti dell’esercizio del diritto-dovere fondante della democrazia (quella che Spinoza riteneva “di tutte le forme di governo la più naturale e più consona con la libertà individuale”, tema su cui mi ripropongo di tornare) ed è da qui che voglio provare a mettere ordine nel mio pensiero in proposito.

Come Fabio ci ricorda giustamente, la democrazia è quella forma di governo che riconosce a TUTTI i cittadini (salvo i casi di esclusione previsti dalla Costituzione) il diritto di esprimere la propria volontà, in forma diretta mediante l’istituto del referendum o indiretta mediante l’elezione dei propri rappresentanti. La manifestazione della volontà viene espressa mediante lo strumento del voto.

La Costituzione italiana considera il voto “un dovere civico”; questo vuol dire che, qualora non venga esercitato il diritto di voto, la persona non può essere sanzionata. Penso che possiamo quindi affermare che il voto è considerato un “diritto-dovere” e non un “dovere-diritto” e, a mio parere, è proprio qui che casca il proverbiale asino…

Cito ancora Fabio Bonciani:

Se a questa forma di governo così come definita, viene a mancare il cosiddetto “demos” (il popolo), ripeto, elemento indispensabile per definire tale forma una democrazia, è chiaro che non siamo più in presenza di essa, ma sono stati varcati i confini verso tutt’altre forme di governo di fatto.

Quando è che viene a mancare il “demos“? Ovvio, quando il cittadino rinuncia ad esprimere il proprio punto di vista, la propria scelta, lasciando in bianco la scheda (referendaria o elettorale), cioè “si astiene” in quanto le proposte che la scheda riassume non rispecchiano il suo pensiero. A questo punto ci troviamo di fronte ad una scelta “attiva”, anche se sarebbe preferibile richiedere che la scheda venisse annullata, onde eliminare la non infrequente possibilità di brogli (sic!).

Esiste anche un un’altra forma di astensionismo, che io chiamo “passivo”: non vado affatto a votare. Personalmente trovo questa una forma deteriore di astensionismo, un non impegno, un rifiuto, un “chissenefrega”. È certamente un altro modo, almeno da parte di una persona intellettualmente onesta, di esprimere il proprio dissenso ma non è il modo giusto, perché è fraintendibile, perché non lo esprime in maniera forte e chiara, univoca, perché non consente di capire a fondo il peso reale del dissenso.

In questo senso sarebbe, a mio umile parere, auspicabile l’introduzione in tutte le schede elettorali di un simbolo specifico “Mi astengo” che, se “votato”, rafforzerebbe il concetto che la scheda bianca vuole esprimere e, forse, potrebbe contribuire a ridurre la tentazione di rendere nulla in vari modi la scheda elettorale. Tornerò su questo tema nella parte finale.

Computata in una categoria specifica, la scheda bianca non è però equiparabile al voto “validamente espresso” e se ne tiene conto solo ai fini statistici della partecipazione elettorale. Come tale, viene assimilato ai voti nulli e viene letto come fosse un generico astensionismo, non dissimile dal comportamento di “non voto” di coloro che non vanno a votare. Di fatto, è un voto che tace. (Ester Tanasso – “La rilevanza delle schede bianche nel computo elettorale: il valore del dissenso.”)

Una scheda elettorale che contenesse il simbolo specifico Mi astengo sarebbe invece un voto validamente espresso, con tutte le conseguenze del caso.

È a questo punto che, come dicevo sopra, casca l’asino in quanto entra in ballo, almeno per me, quello che io chiamo il cambio di paradigma: votare è davvero soltanto un diritto-dovere, oppure dovrebbe essere un dovere-diritto?

Cito, dall’interessantissimo “Commento all’art. 48 della Costituzione“ del Professor Massimo Rubechi, associato di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo:

“Al giorno d’oggi, la necessità di trovare un punto di equilibrio nella natura duale del voto emerge con ancora maggiore nitidezza, poiché esso si può configurare come un diritto di libertà avente natura funzionale, la cui declinazione ambivalente si può apprezzare mettendo in connessione una sovranità che appartiene al popolo con l’esercizio della stessa nelle forme delineate dalla Costituzione, tra cui la principale è senza dubbio il momento del rinnovo delle assemblee parlamentari per il tramite del voto. In altre parole, la natura del diritto di voto si può cogliere al meglio solo se si colloca il momento elettivo nel contesto del circuito democratico disegnato dall’ordinamento costituzionale, ove appare chiaro che si tratta di un diritto che appartiene al singolo, ma anche, al contempo, di una funzione che il corpo elettorale svolge rispetto al rinnovo degli organi.

una funzione che il corpo elettorale svolge…,

Ecco il primo punto che mi ha colpito profondamente e da qui vorrei tentare una mia personale interpretazione.

Noi elettori (l’elettorato attivo, laddove i candidati costituiscono l’elettorato passivo), tramite l’esercizio di questo diritto, ci troviamo a svolgere una funzione, siamo l’attore principale, è a noi che compete l’onere, la responsabilità dell’azione politica, siamo noi che diamo il mandato a governare), che votando conferiamo ai nostri elegendi il potere/dovere di mettere in atto la nostra volontà, di “agire il nostro volere”. Siamo l’equivalente del consiglio di amministrazione di un’azienda (sia pure con i dirigenti in numero superiore ai lavoratori): come possiamo aspettarci che l’azienda produca se non confermiamo, con la massima chiarezza, la nostra volontà, le nostre direttive?

Ecco la nostra funzione, ecco che cosa, secondo me, sottintende il concetto di elettorato “attivo”, ben al di là della semplice partecipazione al voto; ecco quello che io chiamo il “cambio di paradigma” che è necessario attuare almeno a livello di coscienza: il voto non più diritto-dovere ma bensì dovere-diritto. Consentitemi un mio personalissimo aforisma: “La democrazia è un diritto che nasce dal rispetto di infiniti doveri”.

A questo punto volevo proseguire il tema specifico ma sono costretto ad allontanarmene brevemente per esemplificare, visto l’attuale contesto di frenesia bellica, a che cosa può portare il deviare dai concetti che ho espresso fin qui. Lo farò riportando alcune affermazioni del Professor Michele Marsonet su Italia Oggi del 2 febbraio scorso a proposito dell’astensionismo:

… Quotidiani, mass media, social network e i soliti intellettuali «impegnati» insistono sulla tesi che il voto è un «dovere morale», ragion per cui chi rinuncia a esercitarlo è, ipso facto, un reprobo indegno di vivere in un Paese democratico.

Un diritto, non un dovere- … Nelle democrazie mature, per esempio Uniti d’America e Regno Unito, l’astensionismo è un fenomeno assai diffuso e non suscita le polemiche che, invece, scoppiano puntualmente da noi. Nelle nazioni anzidette si ritiene, giustamente, che il voto non sia un dovere bensì un diritto che, in quanto tale, può essere esercitato o meno, senza per questo mettere sul banco degli imputati tutti coloro che vi rinunciano.

Nessun dramma se il numero degli astenuti supera quello dei votanti. In America tale situazione si è verificata più volte, senza suscitare pianti e grida di dolore. Il sistema funziona comunque, anche se gran parte dell’elettorato non si reca alle urne, e viene riconosciuto ai cittadini il sacrosanto diritto di disinteressarsi di ciò che fanno i partiti, andando in vacanza o dedicandosi al proprio hobby preferito mentre si svolgono le operazioni elettorali. Si tratta, a mio avviso, di un segno di civiltà e maturità… Il voto è un obbligo solo nei regimi monopartitici e dittatoriali.

Stante quanto da me espresso sopra, ritengo inutile commentare queste affermazioni, se non forse per ipotizzare che siano un utile supporto a chi vuole che la vera democrazia finisca/non si concretizzi. Come minimo sono un invito all’irresponsabilità civile personale e collettiva diffusa, una glorificazione del nascondere la testa sotto la sabbia (senza accorgersi che il culo rimane ben esposto), a mio personale parere un inno al più squallido qualunquismo. Da rabbrividire: “… un segno di civiltà e maturità…” (ma mi faccia il piacere, Professore!).

Fine dell’excursus.

Proseguo con le parole del Professor Rubechi:

Più aspro fu invece il dibattito sul tema dell’obbligatorietà del voto, poiché coinvolse impostazioni ideali ma anche ragioni tattiche che sorreggevano le posizioni dei partiti rispetto alla diversa presunzione di mobilitazione dei rispettivi elettorati. Democrazia cristiana, liberali e monarchici erano, infatti, favorevoli all’introduzione del voto obbligatorio, mentre soprattutto comunisti, repubblicani e socialisti erano contrari, in ragione della maggiore o minore enfasi sulla natura di diritto o di funzione della votazione, ma anche in seguito a considerazioni di convenienza elettorale [8]. La soluzione fu trovata in un compromesso, piuttosto ambiguo, costituito dal riferimento al voto come «dovere civico», il cui contenuto prescrittivo avrebbe dovuto essere determinato dalla legislazione di rango primario.

——————————————————————

“[8] Il Partito comunista italiano, in particolare, riteneva che il suo elettorato avesse una maggiore propensione alla mobilitazione, mentre la Democrazia cristiana temeva l’inverso e dunque propendeva per il voto obbligatorio, come mostra la proposta Mortati di introdurre sanzioni pecuniarie in caso di astensione, poi abbandonata. (Cordini G., ‘Il voto obbligatorio’, Roma, Bulzoni, 1988, in particolare pp. 79ss.)

ma anche considerazioni di convenienza elettorale

Serve spiegare questa frase? Spero proprio di no.

Sto vivendo il mio settantacinquesimo anno, sono stato allevato alla scuola de “La disciplina è madre dell’autodisciplina” e ci credo profondamente (anche se spesso sono carente nella seconda, peraltro a volte senza far niente di meglio se non rimproverarmelo). Sono convinto che le leggi vadano osservate per il rispetto ad esse dovuto e non per il timore della punizione conseguente alla violazione, ma è quel timore o, se preferite, la certezza della punizione la disciplina che prepara all’autodisciplina del rispetto. Sono concetti banali, terra-terra ma, tornando alla natura, non possiamo dimenticare che la linea di minor resistenza è anch’essa un fattore di sopravvivenza: rubare a chi lavora è meno faticoso che lavorare, ed è per questo che abbiamo inventato la disciplina della legge che punisce il furto (*).

La democrazia è impegno, è capacità di rinunciare tutti ad un minimo del proprio “particulare” per raggiungere l’utile dello stato, espressione della volontà collettiva [della maggioranza] (**) dei cittadini (e non del volere di questo o quel “Principe”) per il bene collettivo dei cittadini stessi. Ma, come già ribadito ampiamente, l’impegno presume la fatica (cioè andare contro natura) ed è a questo che serve la disciplina: l’impegno a votare, coniugato con la possibilità di esprimere specificamente l’astensione (simbolo Mi astengo) e con l’inserimento di quorum “significativi” per qualsiasi forma di manifestazione elettorale, dovrebbe essere un obbligo per tutto il tempo necessario affinché divenga un chiaro obbligo morale logico, da disciplina divenga autodisciplina. La democrazia deve essere consapevolezza.

Se oggi si tenesse un referendum pro-contro la nostra partecipazione di fatto ad una guerra contro un paese che non ci ha aggredito, ma che ha ogni diritto di considerarci aggressori in quanto:

a) – alleati di un paese (che, apparentemente solo per procura, ha avviato da anni una guerra contro quel paese al fine di mantenere ed aumentare la propria egemonia),

b) – fornitori di armi ad una delle parti in guerra dopo l’inizio di detto conflitto

e i cittadini non avessero a disposizione uno strumento potente ed efficace per manifestare il proprio dissenso ma, piuttosto, fosse avallato “il sacrosanto diritto di disinteressarsi di ciò che fanno i partiti, andando in vacanza o dedicandosi al proprio hobby preferito, di chi sarà la responsabilità di ciò che ne potrà derivare?

Che cosa racconteranno ai propri figli di aver fatto per evitare che venissero privati del proprio futuro? Che siamo andati in vacanza o ci siamo dedicati al nostro hobby preferito? Sarebbe questo un male minore rispetto all’obbligo di impegnarci a difendere il loro futuro andando a votare? Sarebbe questo un obbligo da “regimi monopartitici e dittatoriali”?

Un proverbio giapponese recita:

Il bambù deve piegarsi alla brezza, ma anche la possente quercia si piega al tifone

…, (e se non è un tifone quello che ci sta venendo addosso…).

 

Arrigo de Angeli (CptHook) per ComeDonChisciotte

 

A questo punto mi sfilo il cappello di Autore e mi infilo quello di Redattore per la doverosa precisazione:

“Le opinioni espresse nell’articolo non rappresentano necessariamente quelle della Redazione di ComeDonChisciotte”

 

 

(*) (senza entrare nel merito dei motivi per cui a volte si delinque, tema che riprenderò se possibile in un prossimo articolo, riagganciandomi a questo)

(**) (tema spinosissimo su cui anche toccherà tornare)

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