DI MARCO TRAVAGLIO
Oggi An celebra, al palacongressi di Roma, il suo decimo compleanno («mezzo Ventennio», per dirla con Storace). Dovrebbe essere una festa, ma c’è chi ritiene che ci sia poco da festeggiare. Come Domenico Fisichella, che non sarà della partita, prontamente rimpiazzato da un’intellettuale di pari rango: Clarissa Burt. O come Marco Zacchera, uno dei pochi dirigenti che dieci anni di poltrone e abbuffate non hanno cambiato, ha scritto una lettera aperta a Marzio Tremaglia, morto tragicamente pochi anni fa, intitolata «Delusioni. An ci sta rimettendo anche la dignità»: «Per difendere piccoli privilegi, ce ne stiamo rancorosi ma sottomessi nella Cdl… con il piattino in mano… senza una sola riforma da presentare agli elettori… accettiamo i condoni, votiamo le leggi “salvaqualcuno”… dieci anni fa marciavamo con Mani Pulite vantandoci di essere diversi, oggi gli stessi magistrati convocano certi nostri assessori e chiedono loro conto… Caro Marzio, è dura vincere la guerra e perdere la pace…». Una bellissima lettera, che riflette gli umori di tanta base. Difficile che trovi udienza alla kermesse di domani: ci saranno, in compenso, colossi del pensiero come Peppino Di Capri, Paola Ferrari (quella di 90° minuto), Rita Forte e Lando Buzzanca, che si alternerà con Albertazzi nella lettura di un «classico»: si parla di un testo di Bombolo.Fini intanto dà una rinfrescata agli spiriti-guida: oltre alla mummia di donna Assunta, impagliata in prima fila, si registrano alcune new entry: gli incolpevoli Gramsci e Gobetti. Che c’entrano mai due martiri dell’antifascismo con un partito ex o postfascista? Lo spiega Fini a Repubblica: «Nessuno scandalo, personaggi certamente diversi fra loro, come Gramsci, Gobetti, Marinetti, Gentile, Soffici, Papini, hanno un comune denominatore: la loro italianità». Ci voleva un genio come Fini per trovare un denominatore comune fra quei sei: sono tutti italiani. E, a pensarci bene, non è neppure l’unico: per esempio, portavano tutti gli occhiali. Non solo: chi più, chi meno, avevano tutti i capelli. E, a ben guardare, erano dotati ciascuno di due braccia, due gambe, due occhi, un naso e una bocca. Ecco perché piacciono tanto ad An. Avevano anche un cervello, ma questo aspetto è comprensibilmente secondario. Tant’è che la kermesse è affidata alle cure del senatore avvocato Giuseppe Consolo, appena condannato in primo grado per aver copiato il compito all’esame di Stato. In cartellone, un documentario sui primi «formidabili» 10 anni, con testi di Marcello Veneziani, il filosofo coiffeur che tre anni fa prometteva di «scendere in piazza se la Rai cacciasse Biagi e Santoro», salvo poi salire all’ottavo piano, quello del Cda, per cacciarli meglio. Ecco: Veneziani è una via di mezzo fra Gramsci e Gobetti, uno che la «Rivoluzione liberale» ce l’ha nel sangue, e soprattutto nel gel.
Chissà con chi ce l’ha Zacchera, quando parla all’amico Marzio delle «mezze cartucce abbacinate dai piccoli o grandi poteri». Con Gasparri, il ministro dei media e soprattutto di Mediaset? Con il comico di Vigilanza Alessio Butti, che denuncia Fabio Fazio perché «oscura An»? Con l’altro degno censore Bonatesta, che insulta ogni giorno Santoro per evitare che il servizio pubblico rispetti un contratto violato da tre anni e mezza dozzina di sentenze ignorate da due? Col ministro Matteoli che giurava «condoni mai» e ne ha votati già quindici? Con l’on. Giampiero Cantoni, già banchiere socialista che patteggiò una condanna per Tangentopoli e oggi siede nel partito di quel Fini che, ancora nel ’94, sbraitava: «La gente i tangentisti li vuole in galera»? Col sottosegretario alla Giustizia Valentino, sorpreso a discutere della controriforma della giustizia a pranzo con un mafioso? Con Flavio Cattaneo, messo lì da La Russa, che appena la Rai pronuncia la parola «mafia» corre a organizzare un programma «riparatore» a cura del Masotti, altro bell’esemplare di «area An»?
Fino a pochi anni fa, ogni 19 luglio, An ricordava l’anniversario di Via D’Amelio, visto che Paolo Borsellino aveva simpatie missine. Ultimamente ha smesso: anche perché An sta lavorando a sbarrare la strada della Procura antimafia proprio Gian Carlo Caselli, che Borsellino aveva «chiamato» a Palermo dopo la morte di Falcone. Ieri, sulla Stampa, Antonio Caruso, capogruppo di An in commissione Giustizia del Senato, confessava: «Gli sforzi per lasciare Vigna sono finalizzati soprattutto a evitare che il suo sostituto diventi Caselli». Viva la sincerità. Intanto Luigi Bobbio, sempre di An, si batte come un leone per tener fuori l’Italia, unico dei 25 stati membri dell’Ue, dal mandato di cattura europeo. La stessa An, occupata la Rai, ha cancellato dal video chiunque avesse parlato dell’ultima vera intervista di Borsellino, quella in cui rivelava che la sua Procura indagava sui rapporti fra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. L’indagine fu riaperta nel ’94, dopo l’arrivo di Caselli, dall’allievo prediletto di Borsellino, Antonio Ingroia: è quella che ha portato alla condanna di Dell’Utri (alleato di An), paragonata da Mantovano (sottosegretario di An) alle «rappresaglie naziste». In Inghilterra chi, come il principe Harry, ha idee un po’ confuse sul nazismo, finisce a pulire le porcilaie reali. Grande paese, l’Inghilterra.
Marco Travaglio
Fonte: http://banane.splinder.com/
29.01.05