DI PAOLO BARNARD
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Eravamo rimasti a un mio primo post del 27 dicembre. Poi tutto è cambiato… Ecco la storia completa. (Per chi non lo sa: Julian Assange è direttore della testata Wikileaks e gli USA da anni lo vogliono processare per aver pubblicato documenti segreti. Assange da 6 anni è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Equador per evitare l’estradizione in America).
Dopo 107 giorni, cioè da inizio ottobre, di avvisi mandati ai maggiori giornalisti, intellettuali, avvocati, associazioni che sostengono la figura di Julian Assange, dove gli chiedevo di aiutarmi a raggruppare il maggior numero di giornalisti, blogger e pubblico per due manifestazioni sotto l’ambasciata dell’Equador – per 11 giorni da Natale alla Befana – arrivo lì e la situazione è questa.
Non si presenta un’anima, ma peggio: nessuno dei sopraccitati giornalisti, intellettuali, avvocati, associazioni che sostengono la figura di Julian Assange mi ha mai risposto. Unica eccezione John Pilger, che mi risponde un paio di volte perché mi conosce da anni, ma poi sparisce, e addirittura nell’ultima risposta persino si dimentica che gli avevo mai scritto dell’iniziativa. Noam Chomsky, da me informato di questa situazione e della totale mancanza di sostegno dal cosiddetto clan pro Assange (gruppi e avvocati), mi scrive “Patetico. Spero che troverai sostegno là”.
Sotto il miserabile palazzetto dell’ambasciata dell’Equador, dove com’è noto Assange è forzatamente segregato da 6 anni, uno trova l’accampamento di un senza dimora con cartoni, sacchi neri di plastica, ma anche altarini con foto di Assange, cartelli scribacchiati a pennarello bagnati e sbavati, spazzatura, e indecifrabili riferimenti a un sindacato cattolico dei lavoratori. L’occupante è un australiano che si presenta a me e a mia moglie sporco, e francamente delirante. Vive lì per “vigilare su Assange”, dice, racconta di essere stato in strane galere in cella con 50 messicani, di aver sabotato dei bombardieri B52 americani con un amico, di aver frequentato l’IRA nell’Ulster, e ripete sta roba a catena. Poi mi avverte: “Attento, arriveranno donne qui, una è schizofrenica, l’altra è una megalomane in cerca di fama, una è una nazista…”. Mi guardo intorno, penso che ok, solo i ‘matti’ oggi fanno certe cose, in fondo un po’ ‘matto’ lo sono anche io (poi purtroppo il tizio si rivelerà ben altro). Comunque non c’è un cane e fa un freddo cane.
Online le cose stanno così. Un gruppo preminente di sostegno ad Assange, #Unity4J, stava ritwittando a mitraglia l’annuncio delle mie manifestazioni sollecitando altri giornalisti ad aderire. I like e retweet che mi giungono sono in effetti molti per la miserrima media che qualsiasi pagina pro Assange ottiene. Le mie iniziative erano quindi due: manifestare sotto l’ambasciata coi cartelli qui sotto che dicono IL MIO LAVORO E’ PRIGIONIERO QUI, LIBERATE ASSANGE, LIBERATE IL MIO LAVORO, e una vigilia nella notte di Capodanno col cartello TI AUGURIAMO UN ANNO DA LIBERATO, JULIAN, 2019, sempre nella speranza di essere raggiunto da colleghi e pubblico. Ma già dal primo giorno diviene chiaro che fra Social e realtà passa un oceano. Tutti cliccano, ma metterci le gambe e la faccia… no.
Sono convinto che tentare d’incriminare un direttore di testata, Julian Assange e Wikileaks, per aver rivelato al mondo documenti riservati o dei servizi segreti su alcune nefandezze e crimini contro l’umanità di vari Poteri attraverso l’uso delle ‘soffiate’ (i whistleblowers), per poi punirlo con pene devastanti, può essere la fine del giornalismo. Infatti nessun whistleblower mai più avrà il coraggio di farsi avanti per svelare le porcherie segrete dei governi o delle Corporations, e senza di loro il giornalista diviene al meglio un testimone di fatti, ma mai sarà in grado di rivelare la VERE e PROFONDE fonti degli eventi. La verità sul motivo per cui oggi praticamente tutti i governi del mondo appoggiano l’estradizione di Assange negli USA – dopo le rivelazioni di Wikileaks sulle porcherie elettorali della Clinton, sulle stragi americane in Iraq e Afghanistan o sulle reti di spionaggio della CIA su civili e aziende – non è assolutamente quella che vi raccontano: cioè che Wikileaks ha irresponsabilmente pubblicato segreti di stato e di fatto aiutato la Trump o l’ISIS ecc. No, il motivo è questo:
“Il Potere rimane forte quando rimane nell’oscurità. Una volta esposto alla luce del sole esso comincia a evaporare”.
Questa frase fu scritta dal maggior politologo americano moderno nel 1983, Samuel P. Huntington, nel libro ‘American Politics. The promise of disharmony’. E’ questo il peccato mortale per cui oggi stanno distruggendo Julian Assange. E’ solo per questo. Wikileaks, nell’imperfezioni di cui certo è responsabile, è l’unica pubblicazione al mondo che davvero ha devastato questo principio di dominio dei Poteri pubblicandone alla luce del sole le azioni più inconfessabili. E lo ha fatto grazie ai whistleblowers, e solo grazie a loro. Quindi ripeto ancora: se Assange sarà estradato negli USA – il Paese che nel nome della Sicurezza Nazionale (sotto cui sarebbe processato Assange) tortura, stermina innocenti coi Drones, nega ogni diritto di legge ai detenuti, e straccia ogni singola Convenzione ONU sui Diritti Umani – se sarà estradato, dicevo, questo direttore di testata sarà macellato come nessun giornalista prima, secondo l’infame principio del “ne ammazzi uno per avvisarne cento”. Impossibile che riceva un giusto processo in America oggi.
Quindi io, giornalista, decido di agire di persona. Basta con lo scribacchiare come fanno tutti. Ma cosa succede? Come già detto, primo, nessuno nel cosiddetto clan dei Gran Difensori di Assange muove un dito per aiutarmi, quando ogni santo giorno sui loro blog o Social blaterano di “mobilitare la solidarietà civile per Julian…”. Secondo, sotto l’ambasciata giorno dopo giorno rimane un deserto, e, lo dico francamente, le pochissime persone che si presentano sono dei casi sociali o psichiatrici. Un polacco che crede a ogni singola teoria del complotto sul Pianeta; una tedesca che si auto definisce bipolare e tiene il figlioletto in auto a dormire; un’inglese semianalfabeta di mezza età che fuma e non parla; un disoccupato che poi non si vedrà più; e il senza dimora australiano in pianta stabile che racconta cose da pazzi. Io posto ciò che posso su Twitter, chiedo sempre ai Gran Difensori di Assange almeno di ritwittare che c’è questa manifestazione, ma loro nulla.
La notte di Capodanno, e primo dell’anno, sarà lo spettacolo più triste, deprimente che io ricordi nel mio attivismo in 35 anni. Arrivo alle 21:45 col mio cartello e bottiglia di spumante. Naturalmente in una città di 11 milioni di persone nessuno si presenta, poi andrà anche peggio. Unica cosa positiva è che sui gradini dell’ambasciata incontro un’americana, tale Angel Fox (pseudonimo) che era venuta dagli USA prima di Natale per fare le notti davanti all’ambasciata, sveglia, sola, unico essere umano del pianeta disponibile a essere lì nelle feste natalizie per eventualmente testimoniare un blitz di arresto notturno di Assange. Occorre una spiegazione.
E’ infatti noto che da poche settimane si è venuto a sapere che ora esiste ufficialmente in America un’imputazione (cosiddetta segreta), cioè un capo d’accusa, contro Assange, cosa che prima mai era stata rivelata ma che tutti temevano. Ciò significa che ora la Gran Bretagna è sotto un’enorme pressione per estradarlo e questo può accadere se lui esce dall’Ambasciata o addirittura prelevandolo di forza da essa. Il timore dell’esistenza di questa imputazione tenuta nascosta è stato precisamente il motivo per cui Julian Assange da 6 anni è costretto a vivere segregato nell’unica ambasciata che gli ha dato asilo. Le festività natalizie, quando l’intero mondo occidentale è distratto e Assange si trova solo dentro l’ambasciata con un unico agente di sicurezza, possono essere il momento ideale per mandare le teste di cuoio inglesi nel pieno della notte ed “estrarlo”. Angel era lì per quello.
E siamo appunto a Capodanno. Buio, silenzio, il semi deserto. Io e quei 4 gatti di cui sopra. Per fortuna si aggiunge un italiano (sano di mente) mio lettore con fidanzatina koreana, in totale 11 umani (sic). Spiamo l’unica finestra illuminata, da cui l’agente di sicurezza ci fotografa di continuo. In questa foto ne scorgete un braccio.
Ad Assange, dicono, è stato persino proibito di affacciarsi alla finestra. Dovete sapere che il nuovo governo dell’Equador è oggi totalmente pro-USA, mentre fu il vecchio governo di Rafael Correa a dare ospitalità ad Assange. Il neo eletto presidente Lenìn Moreno ha definito il direttore di Wikileaks “un sasso che mi sono ritrovato nella scarpa” e gli è totalmente ostile. Gli sta rendendo la vita, nei pochi metri quadri in cui è ospitato, un vero inferno di proibizioni e limiti. Lo stanno demolendo nella psiche e nel corpo per costringerlo ad arrendersi e a uscire. L’autorevole British Medical Journal ha mandato uno specialista a visitarlo e ha denunciato le sue condizioni di salute dopo 6 anni di prigionia come drammatiche. Noi, sotto quella finestra gli urliamo che non è solo, ma dentro di me mi sento sprofondare. Lo è, assolutamente lo è.
Nel mondo ormai psicotizzato e delirante dei Social Media, Julian Assange sembra affollato da 200 milioni di persone che si stracciano le mutande per lui. Le superStar del giornalismo ‘alternativo’ sono totalmente convinti che pubblicando la strasuper inchiesta N. 309.761 su Assange lo stanno salvando. Ma nel mondo reale, e al grande pubblico, di Assange non frega un cazzo, né sanno neppure chi è: siamo in 11 sotto quella finestra per tutte le feste e nel momento più pericoloso per lui. Non lo si dimentichi: ho implorato tutti sti VIP giornalisti e intellettuali e avvocati per tre mesi di aiutare almeno con un click a far sì che Assange non fosse solo a Natale e Capodanno radunando giornalisti o persone, e loro non hanno fatto nulla, mai risposto, mai degnati… neppure quel singolo click. E siccome scrivo agli italiani, includo qui la dipendente della ‘libera informazione’ di De Benedetti, l’eroina assangiana Stefania Maurizi, mai pervenuta dopo le mie mail (e sa benissimo chi sono). Gente che sgomita però sui Social per un boccone di fama, sulla schiena di Julian Assange, quelli che “leggete il MIO scoop!”.*
(* Nota. Lo scrivo in grassetto perché sia chiaro: Pilger o Hedges o Curtis e gli altri big che sto criticando hanno fatto cose eccellenti nel giornalismo, battaglie d’importanza mondiale, ma se non hanno l’umiltà di aiutare anche solo con un click i “little people” che poi agiscono, cioè quello 0,1% della popolazione che NON se ne sbatte, allora tutto ciò che hanno fatto non vale niente. Il più grande umanitarista vivente, e fra i più grandi della Storia umana, Noam Chomsky trova SEMPRE il tempo per aiutare i “little people” che lottano, e uno come lui riceve 300 volte le richieste di un Pilger e 3.000 volte quelle di una Maurizi.)
E dunque, dopo la mezzanotte del 31 io decido di denunciare questo triste schifo su Twitter. Rispondo così a un lettore che si dice “disgustato dall’indifferenza dei tanti”:
“Disgustato? Per prima cosa interessati della totale assenza di sostegno per noi sotto sta finestra da parte dei sostenitori da ‘Golden Globe’ di Julian, come Chris Hedges, John Pilger, The CanaryUK, o Stefania Maurizi”… e aggiungo “Le Star non salveranno mai Assange. Conta la gente, e se queste superstar ci avessero mai aiutato a essere in 2000 qua sotto stanotte, Assange sarebbe più al sicuro. Pilger, la Maurizi, Hedges o Curtis dovrebbero chiedersi perché qui non c’è un cane”.
Regola N. 1 delle sette dei fanatici, adulatori, e dei loro Probiviri: MAI, MAI E POI MAI ESPORRE UN PENSIERO CRITICO. MAI, MAI E POI MAI FARGLI VEDERE CHE LORO SONO, IN FONDO, TANTO FATUI, TANTO IPOCRITI QUANTO QUELLI CHE ACCUSANO. E siccome era ovvio, così come è in Italia coi 5Stelle o con la Lega, che nei movimenti non può esistere neppure una molecola di libera dialettica, quel tweet è la mia fine. Vengo bloccato a raffica, insultato e accusato di ogni cagata esistente nel cervello di sti fanatici clicktivisti. Poi, alle 3 di mattina, il senza dimora australiano impazzisce, si avventa su due donne presenti – la tedesca e Angel Fox – gli strappa i telefoni e corre nel buio ragliando che sono spie naziste che lo stanno filmando. Le due donne sono nel panico, gridano aiuto, io rincorro e blocco quel pazzo, gli impedisco di far peggio e lo costringo a restituire i telefoni. Dentro di me sto morendo.
Quattro gatti, di cui il 90% da TSO, sotto quella finestra, e dentro Assange che sente sta roba. Me ne vado e non ci tornerò mai più.
Ma non mollo per Assange. Ristampo un altro cartello di corsa, questo:
Spiegazione. Il prestigiosissimo inglese The Guardian è il quotidiano che sotto la direzione di Alan Rusbridger lanciò gli scoop di Wikileaks nel mondo, vendendo oceani di copie e sventolando Assange come un eroe del giornalismo. Poi accade qualcosa d’incredibile. Il quotidiano dal 2013 adotta un altro whistleblower di fama mondiale, Edward Snowden, e inizia mollare Assange. Non solo. Un editorialista del The Guardian, Luke Harding, colui che si era lanciato in una crociata per dimostrare la collusione di Putin con Trump nelle presidenziali 2016 ma che era già stato screditato per non aver prodotto praticamente una singola prova ma solo illazioni, pubblica ora uno ‘scoop’ proprio sul The Guardian: Paul Manafort, il gran manager elettorale di Trump, avrebbe visitato Assange all’ambasciata diverse volte, e questo proverebbe che in realtà Wikileaks ha davvero subdolamente pubblicato le nefandezze della Clinton per aiutare Donald, sotto ordini di Mosca. La stampa mondiale riprende il cosiddetto scoop di Harding, e questo sembra essere il colpo di grazia per Julian. Ma in meno di 48 ore il tutto cade a pezzi. In una settimana Harding viene demolito, al punto che il Washington Post scrive che il suo scoop sembra sempre più “una bufala”. Decido, la mattina del 1 gennaio, che è ora che un giornalista professionista si presenti sotto la sede del The Guardian a fare una domanda, infatti il mio cartello (foto sopra) dice: SONO UN GIORNALISTA. ASSANGE ERA L’EROE DEL GUARDIAN. ORA LO HANNO DEGRADATO A FALSARIO. CHIEDO: PERCHE’?
Il primo giorno, sempre in un freddo orribile, ben piazzato a 3 metri dall’entrata del giornale creo quasi ingorghi, con reporter, segretarie e tecnici che rallentano per leggere il mio cartello. Il secondo giorno le cose si mettono male. La security diviene ostile (“abbiamo ordini”), i colleghi che entrano ed escono evitano il contatto visivo, vengo fotografato da una guardia “sotto richiesta della direzione”. Ma, lo stesso, alcuni redattori si fermano e mi parlano. Sì, dicono, c’è un ordine di squadra di mollare e screditare Assange; è una questione decisa dal gruppo editoriale, al top; si parla di pressioni insostenibili da parte del Ministero degli Esteri britannico e degli USA; c’è addirittura shock fra i giornalisti del Guardian per questa decisione. Questo mi dicono. Uno di loro, Damien Gayle, addirittura mi ritwitta, e giorni dopo mi confesserà: “Sono stato in ansia a twittarti, ma dovevo farlo perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino…”.
Un mio breve video su quanto sopra, cioè sull’attacco improvviso del The Guardian contro Julian Assange, fa 70.000 visualizzazioni in poche ore, persino l’ex direttore Alan Rusbridger mi risponde a quel punto, ma siamo sempre daccapo: attivismo di tastiera, conta quasi zero. Uniche sorprese magnifiche: due italiani miei lettori si presentano a darmi manforte, e altri due, famiglia Remigi, addirittura comprano un volo dall’Italia per stare 24 ore a Londra e manifestare al The Guardian dopo aver scorto le mie foto da qualche parte. Eccezionali. Ma nel frattempo la setta ‘assangica’ offre il peggio di sé.
John Pilger, che, sottolineo ancora, si è rifiutato di avvisare un singolo collega della mia iniziativa per giornalisti pro-Assange, si para sotto le luci della ribalta su Pacifica Radio in California e dice solenne e con contrizione “Ho passato 3 ore la notte di Capodanno con Assange dentro l’ambasciata… una cosa terribile” bla bla bla… Cosaaa? Nessuno, non un’anima, lo ha visto dalle 4 del pomeriggio alle 3 di notte, e dovete sapere che lo spazio antistante dove tutti stavamo è più piccolo di un salotto. Non poteva passare inosservato, sarebbe stato per noi come non accorgersi che un dinosauro ti esce dall’armadio mentre rifai il letto. Registro un video dove gli chiedo spiegazioni, si tratta di una cosa serissima, la spieghi, no? No, e mi arriva l’ennesima caterva d’insulti dalla setta. Poi su Twitter salta fuori la disgustosa aggressione del senza dimora australiano alle due donne sotto la finestra di Assange la notte del 31. Scrivo la verità, ma le Baccanti assangiane si scagliano per mettere tutto a tacere (nell’era del #Metoo!!), mi accusano di essere un disturbatore e, nonostante Angel Fox, una delle vittime, scriva che tutto è vero, non si placano. Ci sarebbe tanto altro su sto baraccone di eroi di tastiera, ma non ne ho più neppure voglia.
Aggiungo anche che avevo suggerito a tutto l’apparato, VIP e sostenitori, di perseguire legalmente e come divulgazione al pubblico due strade pro Assange per me di enorme peso: la violazione da parte della Gran Bretagna nel caso della reclusione di Julian Assange dei princìpi della Magna Carta e Habeas Corpus, i due pilastri della giurisprudenza mondiale nati 800 anni fa proprio in Inghilterra; e la possibilità di accusare Londra di tortura di Assange sotto la Convenzione dell’ONU Contro la Tortura, ratificata dagli inglesi nel 1987 e che esplicitamente dice che tortura è “estrema sofferenza, sia fisica che mentale, inflitta di proposito a un individuo”, che è ciò che i governi britannici stanno facendo ad Assange da 6 anni, confinato in semi isolamento, privato di cure mediche, senza luce naturale e sorvegliato con ferocia a ogni mossa. Indovinate: qualcuno degli strillanti e delle prefiche, o qualcuno dei VIP ha anche solo commentato? Ma dai… con la Magna Carta non ci fai adrenalina, eh? né visualizzazioni, né audience Tv, né Facebook likes.
Così è andata. Paolo Barnard decide di agire, AGIRE NON FARE CLICK, per Assange. Se ne torna a casa con la conferma di ciò che ha sempre pensato: ha vinto la Commissione Trilaterale, quando nel 1975 decise che il popolo andava reso “apatico” con l’esplosione dei mass media (oggi i Social), dove infuriano epiche leggende mentre nessuno davvero fa un cazzo nelle strade perché è fatica e rischio, dove si creano i miti VIP per il palcoscenico, e dove i veri eroi rimangono soli come cani. Ah, fra l’altro uno dei suggeritori della Trilaterale fu proprio Samuel P. Huntington.
Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info
Link: https://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=2124
9.01.2019