DI AMBROSE EVANS PRITCHARD
A fronte del crollo dei prezzi del petrolio, il Cremlino ha dato il via a un incredibile voltafaccia nella sua politica economica, indirizzandosi verso attività tradizionali come ad esempio l’agricoltura
La Russia ha abbandonato le speranze perché possa esserci una ripresa duratura dei prezzi del petrolio, preparandosi ad una nuova era caratterizzata dall’abbondanza, man mano che la produzione statunitense di idrocarburi di scisto trasforma il mercato globale dell’energia.
Il Cremlino ha avviato un radicale cambiamento strategico razionando i fondi per l’industria del petrolio e del gas, una volta sacrosanti, puntando invece su una ripresa della produzione [industriale] e dell’agricoltura, guidate da un rublo molto più competitivo.
“Dobbiamo fare delle previsioni prudenti. Il nostro budget è basato su ipotesi molto caute riguardo il prezzo del petrolio – circa 50 dollari al barile”, ha dichiarato il Presidente russo Vladimir Putin.
“Non è un segreto che, se il prezzo scende, gli investimenti prima diminuiscono e poi scompaiono”, ha continuato rivolgendosi a un gruppo di investitori presenti al forum moscovita ‘Russia Calling!’ organizzato da ‘VTB Capital’.
Il Ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, ha detto che negli ultimi dieci anni l’eccessiva dipendenza dal petrolio e dal gas è stata un errore fondamentale, che ha portato a una moneta sopravvalutata e alla morte progressiva delle altre industrie, un caso da manuale di ‘Dutch Disease’ [1].
Egli ha detto che: “Dovremmo smetterla di preoccuparci così tanto per l’industria del petrolio e lasciare più spazio alle altre. Dobbiamo prendere decisioni molto difficili e ridistribuire le nostre risorse”.
Il nuovo punto di riferimento per il prezzo del petrolio, pari a 50 dollari al barile, è addirittura inferiore allo ‘scenario estremo’ previsto dalla Banca Centrale russa’ lo scorso anno, che era di 60 usd/b.
Il nuovo realismo ha costretto il Cremlino ad abbandonare una serie di impegni di bilancio e a fermare i prelievi dal fondo di riserva delle pensioni. Le tasse sul petrolio e sul gas rappresentano, in effetti, la metà delle entrate dello Stato e quasi il 70pc delle esportazioni russe.
Igor Sechin, Presidente del gigante petrolifero russo Rosneft, ha accusato il governo di aver voltato le spalle al settore energetico, lamentando che la sua azienda è letteralmente strozzata dalle tasse troppo alte.
Ha avvertito che il settore petrolifero russo andrà lentamente ad avvizzire se non dovesse esserci un cambiamento nella politica [economica], aggiungendo che le compagnie petrolifere russe stanno già affrontando un ‘free cash flow’ [2] negativo. Ovvero un’erosione della produzione fino al 6pc nei prossimi tre anni, man mano che i campi petroliferi della Siberia Occidentale, risalenti all’epoca sovietica, si avviano verso il declino.
“Bisogna mantenere gli investimenti”, egli ha detto, aggiungendo che Rosneft, la più grande ‘compagnia petrolifera quotata’ del mondo, deve affrontare imposte e dazi all’esportazione che ammontano a un tasso marginale dell’82pc sui ricavi: “Questo valore è enorme … quasi incredibile. L’attrattività o meno dell’industria petrolifera è legata al livello delle aliquote fiscali”.
Egli ha sostenuto, causticamente, che il governo non riesce a decidersi su come affrontare la crisi economica, attaccando apertamente i Ministri seduti accanto a lui al forum di ‘VTB Capital’: “Abbiamo adottato un sacco di modelli, ma purtroppo non riusciamo a vedere una crescita reale”.
Il Sig. Sechin è andato avanti sostenendo che la Russia deve affrontare la concorrenza agguerrita dell’Arabia Saudita, che ha cominciato a inviare navi piene di petrolio a prezzi stracciati nei paesi baltici attraverso il porto polacco di Danzica, portando via sotto il naso dei russi una notevole quota del mercato locale.
Ma il ‘cambio del gioco’ – egli ha detto – ha avuto luogo quando gli idrocarburi di scisto statunitensi hanno rimosso l’Arabia Saudita dal ruolo di paese fondamentale per la determinazione dei prezzi. Le prospettive immediate dell’industria petrolifera mondiale dipendono, ora, dal fatto che i ‘produttori di scisto’ abbiano o meno ‘contratti di copertura’ a sufficienza per durare oltre la fine dell’anno.
La Russia è attualmente il più grande produttore di petrolio del mondo. Estrae 10,7 milioni di barili al giorno [bd], ma vive sull’eredità degli investimenti passati. I piani per lo sviluppo dei campi off-shore nell’Artico e le vaste riserve di idrocarburi di scisto del bacino Bazhenov non sono attuabili ai prezzi attuali del petrolio e, in ogni caso, si basano su una tecnologia importata che è soggetta a possibili sanzioni occidentali.
Il Sig. Putin ha detto che la crisi economica ha toccato il fondo e che la decisione di far scivolare la valuta del 50pc – piuttosto che intaccare le riserve in difesa del tasso di cambio – sta cominciando a dare i suoi frutti.
“Stiamo vedendo i primi segnali di stabilizzazione, anche se alcuni settori dell’economia sono ancora in recessione. Stiamo vedendo una maggiore fiducia nelle industrie manifatturiere. Le cose stanno migliorando”, egli ha detto.
Le società russe sono sopravvissute, nonostante fossero state tagliate fuori dai mercati globali dei capitali per la maggior parte degli ultimi diciotto mesi. Hanno ripagato gran parte dei loro debiti in valuta forte man mano che scadevano, riducendo di molto la loro vulnerabilità.
I capitali non sono più in fuga dal paese. Ci sono stati afflussi netti per 5,3 miliardi di dollari nel terzo trimestre di quest’anno, i primi dati positivi dal 2010. “Quello che si vede è che i mercati stanno rispondendo molto rapidamente a ciò che sta accadendo nel nostro Paese”, egli ha concluso.
Il Fondo Monetario Internazionale è meno ottimista. Ha tagliato ancora una volta le sue previsioni per la Russia, aspettandosi per l’economia una contrazione del 3,8pc quest’anno – e di un ulteriore 0.6pc il prossimo.
Ambrose Evans-Pritchard a Mosca
Fonte: www.telegraph.co.uk
13.10.2015
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO
Fra parentesi quadra [ … ] le note del Traduttore e inoltre:
[1] In economia, il ‘Dutch Desease’ è il rapporto di evidente causalità tra l’aumento nello sviluppo economico di un settore specifico (ad esempio le risorse naturali) e un calo in altri settori (come ad esempio il settore manifatturiero e l’agricoltura). Per saperne di più: https://en.wikipedia.org/wiki/Dutch_disease
[2] Free Cash Flow, flusso di cassa da attività operative e da investimenti, al netto del pagamento dei dividendi e degli aumenti di capitale.