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La rivoluzione tecnologica ha generato una nuova era. Ora la velocità delle relazioni ha stravolto i nostri confini. E ci ha reso più vulnerabili

DI JEREMY RIFKIN

Spesso mi domandano, specialmente i genitori, quale sia a mio avviso la più grande sfida che la prossima generazione si troverà a dover affrontare. La mia risposta è la seguente: liberarsi dalla presa virtuale di una cultura mediatica che muovendosi alla velocità di un nanosecondo alimenta un tipo di sindrome da deficit di attenzione collettiva. E riuscire, di contro, a sviluppare un tipo di attenzione più tollerante, legata al reale fluire del tempo, che riesca a far fronte in modo sistematico ed empatico alle enormi complessità che accompagnano un mondo sempre più globalizzato. In poche parole, riuscire a sviluppare una coscienza globale.
Dal grande risveglio europeo della fine del Medio Evo ad oggi, l’intento di intere generazioni è stato quello di ampliare il proprio territorio, il proprio raggio d’azione e di accelerare l’andatura, la velocità, il flusso, la portata, il collegamento e la densità dell’attività di scambio tra esseri umani. Le attività dell’uomo sono aumentate, dapprima coinvolgendo singoli villaggi, poi intere regioni, per arrivare a occupare i territori degli Stati-Nazione e ora tutto il globo terrestre.È l’introduzione di nuove tecnologie ad aver cambiato la nostra consapevolezza delle relazioni spazio-temporali, la nostra capacità di giudizio dei concetti di spazio e tempo. Utensili e strumenti sono diventati un’estensione di noi stessi. Amplificano i nostri sensi a tal punto che siamo in grado di estendere il nostro campo d’azione per espropriare lo spazio, comprimere il tempo e metterci al sicuro. Il fucile è un’estensione della forza delle nostre braccia. L’automobile è un’estensione delle nostre gambe. I computer amplificano la nostra memoria.

Tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Era Moderna, l’Europa è stata invasa da un’ondata di nuove sensazionali tecnologie tra cui il compasso, l’orologio meccanico, il torchio tipografico e la macchina a vapore. Tecnologie che hanno di gran lunga incrementato il potere che l’uomo esercita sullo spazio e sul tempo.

La riorganizzazione dello spazio e del tempo avvenuta all’inizio dell’Era Moderna causò la distruzione delle istituzioni medioevali europee. La Chiesa, l’economia feudale, i regni barbarici si rivelarono troppo provinciali e tardivi nel favorire i sensazionali mutamenti spaziali e temporali che stavano ridando forma alla vita europea e di lì a poco cedettero il passo all’economia di mercato e al concetto di Stato Nazione. Le nuove istituzioni si dimostrarono di gran lunga migliori e più adeguate all’organizzazione della vita in un ambiente radicalmente diverso sia da un punto di vista spaziale che temporale.

L’umanità si trova ancora una volta a un bivio tra un vecchio e morente ordine di cose e il sorgere di una nuova era. Nuove rivoluzionarie tecnologie ci impongono di cambiare la nostra capacità di percezione del tempo e dello spazio. Questa volta è l’economia di mercato nazionale a essere messa in discussione da un’economia di sistema globale ed è il concetto di Stato-Nazione a essere parzialmente ridefinito da spazi politici transnazionali come l’Unione europea. Il commercio globale è troppo veloce, troppo fitto e troppo onnicomprensivo per essere costretto entro i confini nazionali. Gli Stati-Nazione sono geograficamente troppo limitati per sovrintendere al commercio globale e interregionale e per riuscire ad armonizzare i crescenti rischi sociali e ambientali che accompagnano il mondo globalizzato. Ciascun Paese si trova a dover far fronte alle pressioni di un pianeta sempre più collegato.

Ciò che spinge tutte queste innovazioni istituzionali è una rivoluzione della scienza delle comunicazioni che sta incrementando la velocità, l’andatura, il flusso, la densità e la capacità di collegamento della vita sociale e commerciale. In meno di vent’anni, i software, i computer, la digitalizzazione dei media, la televisione satellitare e via cavo, Internet, il World Wide Web, la comunicazione mobile e senza fili hanno collegato il sistema nervoso centrale di circa il 20 per cento dell’umanità, alla velocità della luce, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. Solo 200 anni fa, il numero di individui con cui un contadino o un cittadino veniva in contatto nel corso di una vita non superava con molta probabilità le 200 o 300 persone. Oggi, navigando in Rete, ci si collega istantaneamente a oltre un miliardo di utenti con i quali è possibile comunicare direttamente.

Il nuovo mondo cui si è approdati grazie a questa rivoluzione dei mezzi di comunicazione è più compatto e collegato a livello globale, fa sì che tutte le attività umane siano maggiormente interdipendenti tra loro e ci rende più vulnerabili di fronte al comportamento e alle azioni dell’altro.
I contorni della vulnerabilità sono cambiati in modo drammatico. In passato, quando la vita era vissuta all’interno di confini spazio-temporali ristretti e ben definiti, la vulnerabilità era anch’essa limitata, localizzata entro quei confini. Le minacce alla sopravvivenza e alla sicurezza di ciascuno avevano a che fare con realtà vicine ai luoghi in cui si viveva. La foresta circostante, i signorotti belligeranti, le malattie e le pestilenze, raramente avevano effetti oltre i confini di una singola regione. Per questo motivo, le istituzioni politiche che dovevano garantire un senso di sicurezza erano locali e regionali. Con l’avvento dell’era moderna, le comunicazioni e i trasporti sono migliorati, hanno accorciato le distanze geografiche, avvicinato le persone e incrementato i loro scambi e le loro attività. Di conseguenza, sono cresciute anche le minacce alla sopravvivenza e alla sicurezza di ciascuno.

Il commercio si è esteso geograficamente e ha conquistato mercati più ampi, la mobilità è cresciuta e la gente si sposta sempre più spesso e sempre più lontano, l’andatura e il flusso delle attività dell’uomo si sono velocizzate. La vulnerabilità, a sua volta, è cresciuta in modo direttamente proporzionale alla compressione dello spazio e del tempo e all’accelerazione dell’interattività dell’uomo. I principati locali e le Città-Stato rappresentavano realtà troppo provinciali e ristrette il cui raggio d’azione era troppo limitato per poter garantire la protezione di coloro che vi risiedevano. Il risultato fu la costituzione degli Stati-Nazione.

Oggi, la compressione dello spazio e del tempo sta dando origine a un flusso globale di attività. A sua volta, il sensazionale aumento di densità dell’attività di scambio sta dando origine a nuove minacce per la sicurezza i cui effetti sono spesso immediati e riscontrabili su scala globale. Il terrorismo, il rischio di una guerra nucleare, il surriscaldamento del globo terrestre, i virus biologici e informatici, l’uso scorretto delle bio e nanotecnologie, la diminuzione degli oceani, la perdita della biodiversità, le crescenti dimensioni del buco dell’ozono. Uno scandalo nei mercati commerciali regionali è in grado di ribaltare il mondo e gettarlo nel caos. L’Unione europea è il primo tentativo di creazione di uno spazio transnazionale che possa mediare in modo più efficace le attività dell’uomo in un mondo sempre più densamente collegato.

La gestione di ansie e preoccupazioni globali richiede più di un nuovo espediente governativo. È necessario stabilire un nuovo patto tra gli esseri umani che estenda il loro impegno e la loro fedeltà, così come pure il loro senso di sicurezza, oltre i ristretti confini del proprio territorio nazionale, un patto che estenda la protezione limitata fornita dai diritti civili e patrimoniali e includa invece l’intera umanità e biosfera in sistemi di protezione codificati, in diritti umani universali.
La Costituzione dell’Unione europea è il primo documento governativo della storia che tenta di creare una coscienza globale. La Carta dei diritti fondamentali della Costituzione dell’Ue impegna l’Europa a una visione globale che si basi sul rispetto dell’umana diversità, che promuova inclusività, che favorisca qualità della vita, che persegua uno sviluppo sostenibile e che costruisca una pace duratura.

Il concetto di coscienza globale è molto interessante ma, lo ammetto, sembra utopico e fuori dalla portata. È difficile immaginare centinaia di milioni di persone coalizzarsi attorno ad una simile grandioso concetto. Tuttavia l’idea che la gente potesse unirsi attorno a valori democratici e a un’ideologia di Stato-Nazione deve essere probabilmente sembrata ugualmente bizzarra e poco attraente anche alla fine del Medioevo.
La rivoluzione dei nuovi mezzi di comunicazione, che sta avvicinando gli esseri umani nel tempo e nello spazio, che sta incrementando la densità degli scambi e che ci sta rendendo tutti più interdipendenti e vulnerabili in un pianeta che si va sempre più rimpicciolendo, sta però al contempo rendendo più complesso il mondo in cui viviamo. Per farci largo tra la folla e procedere verso il futuro, è necessario possedere una struttura mentale molto sofisticata. Dobbiamo imparare come pensare a livello globale e agire a livello locale. Ecco cosa significa avere una coscienza globale.

L’ironia è che la stessa rivoluzione dei mezzi di comunicazione, che sta accelerando l’intensità e la complessità della vita, sta accorciando la capacità di attenzione e sta ‘rincretinendo’ le nuove generazioni. I nostri media hanno per ora momentaneamente saturato la vita dei giovani che sono di conseguenza meno attenti che in passato e meno preparati a pensare a un futuro oltre il presente. Avere a che fare con le complessità di una società che si va globalizzando richiede una spiccata capacità di attenzione che sia riflessiva e proiettiva. Una generazione affetta da ‘sindrome da deficit di attenzione’ (Adhd: attention deficit hyperactivity disorder) non svilupperà mai una coscienza globale.
Allora anche l’andatura sempre più accelerata dell’attività umana, di cui è causa la rivoluzione globale delle comunicazioni, ha allo stesso modo alimentato una certa impazienza. Il desiderio di risposte tempestive e rapide soluzioni a problemi molto complessi conduce spesso a un modo di pensare assolutistico e ignorante, nonché a comportamenti di convenienza a spese di approcci più ragionati e prudenti che permettano di prendere delle decisioni. I media spesso alimentano questa frenesia con conseguenze spaventose.

Infine, la sempre più scarsa capacità di prestare attenzione provoca assuefazione in questo senso. Con il diminuire della capacità del pubblico di prestare attenzione, cresce la necessità dei media di aumentare gli stimoli e di accorciare l’intervallo di tempo che intercorre tra uno stimolo e l’altro in modo da riuscire a mantenere desta l’attenzione della gente. Il risultato è che giovani menti rischiano di essere intorpidite dalla costante escalation di stimoli. Ma è assai meno probabile che una persona desensibilizzata sia in grado di simpatizzare e identificarsi con gli altri. L’empatia richiede una placida resa, un’elevata sensibilità e un protendersi verso gli altri con i quali si condivide e si è in comunione. Una persona opportunista, affamata di attenzione, piena di stress e rabbia repressa è incapace di provare empatia. Eppure l’empatia è la dote emotiva critica necessaria per acquisire una vera coscienza globale.
La questione, allora, è questa. Come poter creare, all’interno di un mondo collegato a livello globale da velocissimi mezzi di comunicazione, un secondo spazio in cui si possa imparare a vivere il tempo in modo profondo, in armonia con gli altri esseri umani, le altre creature e il mondo in cui tutti viviamo?

Jeremy Rifkin*
Fonte:www.espressoonline.it
ottobre 2004

*Jeremy Rifkin è l’autore de ‘Il Sogno Europeo: Come l’Europa ha creato una nuova visione del futuro che sta lentamente eclissando il Sogno Americano’ Mondadori, settembre 2004
Traduzione di Rosalba Fruscalzo

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