Vaccino anti Covid Pfizer-BioNtec, lo studio italiano che ha battuto sul tempo The Lancet

Alcune considerazioni sulla misura di efficacia del farmaco sperimentale Comirnaty

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Prof. Bruno Cheli, Dipartimento di Economia e Management – Università di Pisa

Discussion Paper n. 270, presentato: Febbraio 2021

Segnaliamo che, successivamente a questo studio dell’Università di Pisa, è stato pubblicato un articolo su The Lancet in data 20 Aprile 2021:    https://www.thelancet.com/journals/lanmic/article/PIIS2666-5247(21)00069-0/fulltext

 

Abstract
Il primo vaccino anti Covid-19 autorizzato in Italia è quello prodotto dalla Pfizer-BioNTech, denominato Comirnaty, il cui studio clinico (Polack et al., 2020) ha valutato la sua efficacia nella misura del 95%. In questo articolo si intende spiegare a chi non è addetto ai lavori il reale significato di questa misura di efficacia e indicarne alcuni importanti limiti. In secondo luogo, si confronta tale misura con due indicatori altrettanto importanti, la cosiddetta “percentuale di riduzione del rischio” e l’indice V di Cramér, che permettono di valutare l’efficacia del vaccino da un altro punto di vista. Il fatto che queste due misure assumano nella fattispecie valori decisamente bassi sta a indicare una scarsa utilità di un’eventuale vaccinazione di massa. Infine, si fanno alcune considerazioni anche sulla valutazione della sua sicurezza del vaccino in questione.

 

1. Introduzione
Il primo vaccino anti Covid-19 autorizzato in Italia è quello prodotto dalla Pfizer-BioNTech, denominato Comirnaty. Lo studio clinico sul vaccino sviluppato da Pfizer è stato condotto da Polack et al. (2020) e pubblicato su The New England Journal of Medicine. Sempre sulla stessa rivista è stato successivamente pubblicato lo studio clinico relativo al vaccino sviluppato da Moderna, ad opera di Baden et al. (2021).

I mass media hanno parlato dei risultati scaturiti da questi due studi con estrema superficialità e parzialità, dando grande enfasi all’elevata efficacia dei due vaccini (95% nel caso di Pfizer e 94% nel caso di Moderna), ma senza preoccuparsi di chiarire il significato della misura utilizzata, né di illustrarne i limiti, ingenerando nel pubblico una visione distorta dei fatti.

In questo articolo si intende spiegare a chi non è addetto ai lavori il reale significato della misura di efficacia risultante dallo studio Pfizer e indicarne i limiti. In secondo luogo, si confronta tale misura con un indicatore altrettanto importante, la cosiddetta “percentuale di riduzione del rischio”, che permette di valutare in modo diverso l’efficacia del vaccino e l’utilità di un’eventuale vaccinazione di massa. Inoltre, si mostra come la misura di associazione statistica per eccellenza, rappresentata dall’indice V di Cramér, possa rappresentare a sua volta una misura di efficacia, benché riferita ad un contesto diverso e più ampio rispetto a quella utilizzata da Pfizer.

Infine si riportano ulteriori considerazioni di vario tipo inerenti sia all’efficacia che alla sicurezza del vaccino Pfizer.

 

2. I dati su cui è stata calcolata l’efficacia del vaccino Pfizer
Partiamo dalla seguente tabella pubblicata sul sito web di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco):

Fonte: Tab. 2 del documento AIFA “Allegato 1. Riassunto delle caratteristiche del prodotto”, Documento reso disponibile da AIFA il 24/12/2020.

https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/bancadatifarmaci/farmaco?farmaco=049269&fbclid=IwAR2vJCvrnuuDaWckOKPHdAYywI5Qo1xbinTXvaYCMkxFjz429Yh_hI11Vf8hI11Vf8

 

L‘efficacia del vaccino è stata testata su una popolazione di 34.922 soggetti, 17.411 vaccinati e 17.511 che hanno ricevuto il placebo. I casi di Covid19 (nei 45 giorni di osservazione) sono stati in tutto 170, di cui 8 tra i vaccinati e 162 tra i non vaccinati.

Per semplicità mi limito a ragionare sulle stime puntuali riferite all’intera popolazione (lasciando perdere gli intervalli di confidenza e la disaggregazione per età) e riporto dalla tabella precedente i soli dati che mi servono nella seguente tabella 2X2:

tabella

Il rischio di contrarre la malattia nel periodo di tempo considerato assume i seguenti valori nei due gruppi messi a confronto:

Rischio per i vaccinati:                                                 RV = 8/17.411 = 0,046%
Rischio per i non vaccinati:                                  RNV = 162/17.511 = 0,925%

In particolare, RV e RNV sono stime delle probabilità di ammalarsi rispettivamente per chi è vaccinato e per chi non lo è.

Inoltre, il rischio relativo o risk ratio (RR) ci dice che i non vaccinati hanno un rischio di contrarre la malattia che è circa 20 volte maggiore rispetto a chi ha ricevuto il vaccino:

                     RRNV/V = 0,925% / 0,046% = 20,134

Inversamente, una persona vaccinata ha un rischio di infettarsi e ammalarsi del 5% rispetto a una persona non vaccinata:

                     RRV/NV = 0,046% / 0,925% = 0,04967



3. Come viene calcolata la misura di efficacia?
Nell’articolo di Polack et al. (2020) la spiegazione del procedimento utilizzato per calcolare l’efficacia del vaccino si trova a pag.3 nella sezione Statistical Analysis, dove si dice:

Vaccine efficacy was estimated by 100 x (1IRR), where IRR is the calculated ratio of confirmed cases of Covid19 illness per 1000 personyears of followup in the active vaccine group to the corresponding illness rate in the placebo group.

Dato che ciascun partecipante è stato osservato per un tempo variabile a seconda di quando ha ricevuto la prima dose del vaccino, nello studio Pfizer le quantità RV e RNV sono state calcolate come rapporto tra il numero dei casi di malattia e il tempo di osservazione complessivo fino alla fine dello studio o alla manifestazione della malattia stessa. In altre parole, è stato dato agli individui al denominatore un peso proporzionale al tempo di osservazione. Tuttavia, data la breve durata dello studio e il fatto che il numero dei casi è esiguo rispetto al totale dei partecipanti, si ottengono praticamente gli stessi risultati anche senza ponderare per il tempo di osservazione.

Pertanto, come fanno Baccini et al. (2021), possiamo illustrare il calcolo dell’efficacia del vaccino Pfizer trascurando la suddetta ponderazione per il tempo di osservazione.

Dunque, la misura di efficacia del vaccino (VE) viene calcolata come complemento a 1 del rischio relativo (vaccinati/non vaccinati):

                     VE = 1 RRV/NV = 1 (8/17.411) / (162/17.511) = 0,9503

La corretta interpretazione di questo valore è che il 95% delle persone che si sarebbero infettate e ammalate se non vaccinate non si ammalano se vaccinate.

Dunque VE si riferisce all’efficacia nell’evitare la malattia tra i soggetti suscettibili di ammalarsi, ma non dice niente riguardo all’utilità del vaccino a contrastare la malattia nell’intera popolazione dei vaccinati (che comprende chi è suscettibile di ammalarsi e chi non lo è).


Per la verità, una misura dell’utilità del vaccino a evitare la malattia per l’intera popolazione dei vaccinati viene usata nella prassi epidemiologica ed è rappresentata dalla percentuale di riduzione del rischio (RNV RV), che nel caso del vaccino in questione risulta: 0,925% 0,046% = 0,879%. Tale percentuale indica che in una popolazione dove il rischio di ammalarsi di Covid19 è pari a quello del campione dello studio Pfizer e in un periodo di tempo analogo, il vaccino permette di evitare all’incirca 9 casi di malattia ogni 1.000 vaccinati. Inversamente, si può dire che viene evitato un caso di malattia ogni 114 vaccinati. In generale, il cosiddetto Number Needed to Treat (NNT) indica il numero di soggetti che è necessario vaccinare per evitare un caso di malattia ed è dato da 1/(RNV RV).
Nello studio Pfizer, dunque, la riduzione del rischio risulta piuttosto bassa e, di converso, NNT risulta decisamente alto, stando ad indicare una scarsa utilità del vaccino nel proteggere coloro che lo assumono, prescindendo dalla loro suscettibilità ad ammalarsi.

Per la superficialità e l’approssimazione con cui i mass media hanno riportato i risultati dello studio Pfizer, la stragrande maggioranza del pubblico ha inteso che un’efficacia del 95% starebbe a significare che il vaccino sia in grado di evitare la malattia a 95 vaccinati su 100. Invece, come si è visto sopra, il vaccino protegge effettivamente solo lo 0,88% dei
vaccinati, ovvero circa 9 vaccinati su 1.000, mentre i restanti 991 non traggono alcun vantaggio dalla vaccinazione, o perché già adeguatamente protetti dal loro sistema immunitario, o perché il vaccino su alcuni di loro non funziona, o per altri motivi ancora nei quali non ci addentriamo.

Tra l’altro per chi, come lo scrivente, non è un addetto ai lavori nel campo dell’epidemiologia, l’uso del termine “misura di efficacia” che viene fatto in questo contesto può risultare alquanto singolare. Infatti, benché l’efficacia del vaccino sia misurata tanto da VE quanto da (RNV − RV), (sebbene in riferimento a due popolazioni diverse), non si comprende perché il termine “misura di efficacia” venga applicato soltanto a VE. Questa incongruenza terminologica potrebbe avere contribuito almeno in parte al fatto che tutta l’attenzione da parte dei mass media si sia rivolta a VE trascurando completamente l’informazione altrettanto importante fornita da (RNV − RV).

 

4. Misura dell’efficacia e dipendenza statistica.
Come abbiamo visto, VE esprime la percentuale di soggetti suscettibili di ammalarsi che vengono salvati dal vaccino, tuttavia questa misura non dice niente riguardo all’utilità di una vaccinazione di massa, virtualmente estesa a tutta la popolazione. Non tutti gli individui, infatti, necessitano del vaccino per proteggersi dalla malattia, dal momento che
una certa quota di essi è poco o per niente suscettibile a contrarla in virtù di vari fattori, alcuni individuali (genetici, difese immunitarie efficienti, ecc.) e altri ambientali.

Se la sperimentazione è condotta per un tempo sufficiente, questo aspetto del problema può essere valutato tramite la riduzione del rischio (RNV RV) di cui abbiamo parlato sopra, ma anche tramite l’indice V di Cramér che rappresenta la misura principe della dipendenza statistica e che è in grado di dirci in che misura il fatto di non ammalarsi è legato all’utilizzo del vaccino.

Per semplificare il discorso, ipotizziamo che i due gruppi (a cui sono stati somministrati rispettivamente il vaccino e il placebo) abbiano la stessa identica numerosità che poniamo pari a 17.500. In questo modo i calcoli si semplificano e il risultato cambia in modo trascurabile.

Il calcolo di VE si riduce quindi a: VE = 1 8/162 che possiamo anche scrivere come: (1628)/162 = 154/162. Quest’ultimo rapporto si può interpretare come segue: dei 162 ammalati del gruppo placebo, 154 si sarebbero potuti salvare dalla malattia grazie al vaccino. In altri termini, ipotizzando che i due gruppi siano perfettamente omogenei tra loro (rispetto ai fattori correlati al rischio Covid19), se ne deduce che nel gruppo dei vaccinati si sono ammalati solo in 8 perché gli altri 154 sono stati protetti proprio dal vaccino.

Quindi si può dire che il vaccino ha “salvato” 1628 = 154 individui su 17.500, ovverosia lo 0,88% dei vaccinati (RNV RV = 0,88%).

Ora, se lo stesso numero di malati (8 e 162) si fosse verificato con una numerosità (di ogni gruppo) pari ad esempio a 1.000, a livello intuitivo è evidente che l’efficacia/utilità del vaccino sarebbe da considerarsi maggiore nel proteggere chi lo assume, mentre con una numerosità pari a 30.000 essa sarebbe da considerarsi minore. Infatti, salvare 154 persone su 1.000 denota maggior efficacia rispetto a salvarne 154 su 30.000. Tuttavia, la misura VE sbandierata da Pfizer e dai mass media darebbe in tutti i casi un’efficacia del 95%. Al contrario, tanto (RNV RV) quanto il V di Cramér che utilizzano tutta l’informazione statistica disponibile, risulterebbero diversi nelle tre circostanze descritte, come mostra la seguente tabella.

In particolare, nel caso concreto riportato nello studio di Polak et al. si riscontra una riduzione del rischio di appena 0,88% e un grado di associazione di circa il 6%, quindi decisamente basso, che contrastano con la misura del 95% enfatizzata da Pfizer.

E’ possibile che l’analisi dell’efficacia di un vaccino prescinda totalmente dalla dipendenza statistica tra i caratteri dicotomici Vaccino (SI/NO) e Malattia (SI/NO)? Nel paragrafo seguente mettiamo a confronto la misura standard VE e quella alternativa rappresentata dal V di Cramér.

 

5. Confronto tra VE e VC
Ci mettiamo nell’ipotesi semplificatrice in cui tutti i soggetti partecipano alla sperimentazione per tutta la sua durata, in modo da poter ragionare sulle frequenze grezze, e che i gruppi messi a confronto abbiano la stessa numerosità.

Andiamo a confrontare le due misure sulla base di tre diverse situazioni. Le prime due rappresentano situazioni limite, interessanti dal punto di vista teorico, mentre la terza rappresenta una generica situazione “intermedia”, simile a quelle riscontrabili nella pratica.

Situazione 1. Si registra lo stesso numero di malati nei due gruppi. Di conseguenza il vaccino non ha alcuna efficacia e i due caratteri sono statisticamente indipendenti.

dove 0 < K < N/2.

In questa situazione abbiamo che:

                     RV = RNV , per cui RR = 1 e dunque VE = 0

D’altra parte, VC = 0.

 

Situazione 2. Nessuno dei vaccinati si ammala, mentre si ammalano tutti i non vaccinati. Di conseguenza il vaccino risulta avere la massima efficacia nel proteggere chiunque lo assuma. In tale situazione i due caratteri risultano perfettamente (inter)dipendenti.

tabella

In questa situazione si ha che:

                     RV = 0 , RNV = 1, per cui RRV/NV = 0 e dunque VE = 1

Inoltre, VC = 1.

 

Situazione 3. Tra i vaccinati si registra un numero di malati minore rispetto al gruppo dei non vaccinati. Di conseguenza il vaccino ha una certa efficacia e i due caratteri presentano un certo grado di dipendenza.

dove 0 < KV < KNV < N/2.

In questa situazione si ha che:

RRV/NV = KV/KNV < 1 e dunque VE = 1 KV/KNV risulta compresa tra 0 e 1. Da notare che VE dipende esclusivamente dal rapporto tra il numero dei malati nei due gruppi e non dalla numerosità dei gruppi stessi.

D’altra parte, il V di Cramér tiene conto di tutta l’informazione statistica contenuta nella tabella e, dunque, anche della numerosità dei gruppi e in questo caso risulta:

0 < VC < 1.

La differenza tra le due misure dipende dall’entità del numero dei soggetti salvati dal vaccino (KNV KV) sia in rapporto a KNV sia in rapporto a N/2.

VE aumenta all’aumentare di (KNV KV) in rapporto a KNV. Tuttavia, finché (KNV KV) è piccolo rispetto a N/2 ci si allontana poco dalla situazione di indipendenza e quindi VC sarà piccolo. VC tenderà ad aumentare quanto più il numero di soggetti salvati dal vaccino (KNV KV) acquista peso rispetto a N/2. Tuttavia, bisogna osservare che all’aumentare dell’efficacia del vaccino (KNV KV) aumenta più velocemente in rapporto a KNV di quanto aumenti in rapporto a N/2. Quindi, benché il divario tra le due misure tenda a ridursi, in questa situazione intermedia si ha sempre che VE > VC.

Quindi, per quanto abbiamo visto nelle tre situazioni sopra descritte, la misura di efficacia fornita da VC risulta sempre minore o uguale di quella standard: VC VE. Nel caso esaminato nello studio Pfizer, come abbiamo visto, VC = 0,06 a fronte di VE = 0,95. La differenza concettuale tra le due misure è che mentre VE si riferisce all’efficacia
nell’evitare la malattia tra i soggetti suscettibili di ammalarsi, VC (come del resto RNV RV) si riferisce all’utilità del vaccino a contrastare la malattia nell’intera popolazione dei vaccinati (che comprende sia chi è suscettibile di ammalarsi sia chi non lo è).

 

6. Ulteriori considerazioni sulla misura dell’efficacia del vaccino Pfizer
A lato delle considerazioni sopra esposte, la valutazione complessiva dell’efficacia del vaccino in questione deve tenere conto anche di altri aspetti.

Il vaccino è stato valutato soltanto rispetto al rischio di ammalarsi di Covid19, ma non rispetto a quello di infezione. Al punto 11 del vademecum dell’Agenzia Italiana del Farmaco sul vaccino Pfizer si afferma infatti che “è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone” e pertanto “i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID19. Dunque, in base alle informazioni al momento disponibili non ci è dato di sapere se e quanto una vaccinazione di massa possa effettivamente contrastare la diffusione dei contagi.

Lo studio sperimentale sul vaccino Pfizer non ha indagato l’efficacia della vaccinazione nel prevenire conseguenze gravi della malattia (morte, ricovero) e neanche la durata dell’efficacia vaccinale (essenzialmente per la breve durata della sperimentazione).

Com’è noto, le forme più gravi del Covid19 e i rischi di morte più elevati riguardano essenzialmente i soggetti anziani affetti da qualche grave patologia pregressa. Di conseguenza, dovrebbero essere soprattutto questi i soggetti da sottoporre alla vaccinazione. Tuttavia, lo studio Pfizer ha arruolato troppo pochi individui di età superiore ai 65 anni, cosicché la stima dell’efficacia per i soggetti più anziani risulta estremamente incerta.

In un recente intervento sul blog del British Medical Journal, Peter Doshi (che è anche associate editor della stessa rivista) suggerisce che sarebbe opportuno calcolare l’efficacia del vaccino anche su un insieme più ampio di soggetti che include i casi di sospetto Covid19, dato che questi hanno riportato le stesse manifestazioni e decorso clinico dei casi confermati. In tal modo, il valore di VE risulterebbe fortemente ridimensionato, oscillando tra il 19% e il 29%. Riporto di seguito le sue affermazioni testuali:

“All attention has focused on the dramatic efficacy results: Pfizer reported 170 PCR
confirmed covid19 cases, split 8 to 162 between vaccine and placebo groups. But these
numbers were dwarfed by a category of disease called “suspected covid19”those with
symptomatic covid19 that were not PCR confirmed. According to FDA’s report on
Pfizer’s vaccine, there were “3410 total cases of suspected, but unconfirmed covid19 in
the overall study population, 1594 occurred in the vaccine group vs. 1816 in the placebo group.”
With 20 times more suspected than confirmed cases, this category of disease cannot be
ignored simply because there was no positive PCR test result. Indeed this makes it all the
more urgent to understand. A rough estimate of vaccine efficacy against developing
covid19 symptoms, with or without a positive PCR test result, would be a relative risk
reduction of 19% (see footnote)far below the 50% effectiveness threshold for
authorization set by regulators. Even after removing cases occurring within 7 days of
vaccination (409 on Pfizer’s vaccine vs. 287 on placebo), which should include the
majority of symptoms due to shortterm vaccine reactogenicity, vaccine efficacy remains low: 29%“.

Footnote: Calculations in this article are as follows: 19% = 1 (8+1594)/(162+1816); 29% = 1 (8 + 1594 409)/(162 + 1816 287). I ignored denominators as they are similar between groups.

 

Inoltre, Doshi rivela che Pfizer ha omesso di riportare che dallo studio pubblicato sono stati esclusi 371 casi per via di non specificate “deviazioni dal protocollo”. A tale proposito, i dubbi manifestati da Doshi riguardano: i) il fatto che questi individui esclusi appartenevano in netta maggioranza al gruppo dei vaccinati (311 contro 60); ii) il fatto che Pfizer non specifica il motivo di queste esclusioni; iii) il fatto che Pfizer non le menziona neanche nello studio pubblicato (quasi a volerle nascondere) e infatti Doshi ne è venuto a conoscenza soltanto leggendo il rapporto della FDA statunitense.

 

7. Alcune considerazioni sulla sicurezza dei vaccini anti Covid19
Anche se l’oggetto di questo articolo riguarda il procedimento usato per misurare l’efficacia del vaccino in questione, è il caso di spendere due parole anche sulla valutazione della sua sicurezza.

Sempre a causa della esigua presenza di anziani nel campione oggetto della sperimentazione, non è possibile stimare in modo affidabile quale sia il grado di sicurezza del vaccino (valutato in base all’incidenza di reazioni avverse) per questa stessa categoria di soggetti che, oltre ad essere quella idealmente più bisognosa del vaccino, presenta probabilmente una maggiore vulnerabilità nei confronti degli effetti secondari della vaccinazione.

Data la brevità della sperimentazione finora condotta, non è possibile valutare il rischio di reazioni avverse nel medio e lungo periodo.

Nell’euforia propagandistica che caratterizza l’informazione sui vaccini anti Covid19, si dimentica spesso di avvertire il pubblico che, a fronte della protezione che può ottenere nei confronti della malattia, chi si vaccina si espone a una probabilità non nota di andare incontro a reazioni avverse anche gravi.

È stato appena pubblicato il primo rapporto AIFA (2021) sulla sorveglianza degli effetti avversi del vaccino anticovid19, la quasi totalità dei quali (99,5%) riguarda quello Pfizer che al momento è di gran lunga il più utilizzato.

In un mese sono stati segnalate 7.337 reazioni avverse, di cui 13 decessi, su circa un milione e mezzo di dosi somministrate. Nella maggior parte dei casi (84,4%) la reazione si è verificata nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo.

È vero che una segnalazione non corrisponde a dimostrare il nesso di causa, ma in presenza di una forte correlazione temporale e data la plausibilità biologica, è difficile escludere che il vaccino abbia avuto almeno il ruolo di concausa.

I 13 decessi dopo l’inoculo si riferiscono a persone con patologie “pregresse”, il che non significa che il vaccino non c’entra (ipotesi per la quale sembra propendere il rapporto).
Anzi, vi è da temere che il numero di decessi possa aumentare notevolmente dal momento in cui si inizierà a vaccinare molte persone cosiddette “fragili”.

Per quanto riguarda l’attribuzione delle cause di morte, è da notare un singolare “doppio pesismo” a seconda che un soggetto con gravi patologie pregresse sia deceduto in presenza di positività al Sarscov2 o in seguito alla vaccinazione anticovid. Nel primo caso, infatti, il decesso viene normalmente attribuito al Covid19, mentre nel secondo si tende ad attribuirlo alle patologie pregresse assolvendo il vaccino.

8. Conclusioni
Lo studio Pfizer dimostra che il vaccino ha un’efficacia (VE) del 95% nel proteggere dalla malattia se chi lo assume è un soggetto suscettibile a contrarla.

D’altro canto, il vaccino non sembra essere molto utile a proteggere coloro che lo assumono, se si prescinde dalla loro suscettibilità ad ammalarsi. Esaminando la cosiddetta “riduzione del rischio”, infatti, si rileva che il vaccino protegge effettivamente solo 9 vaccinati su 1.000, mentre i restanti 991 non traggono alcun vantaggio dalla vaccinazione, o perché già adeguatamente protetti dal loro sistema immunitario, o perché il vaccino su alcuni di loro non funziona, o per altri motivi ancora. Questo dato, che concorda con il basso valore assunto dall’indice V di Cramér, indica una scarsa utilità/efficacia di una vaccinazione di massa.

Oltre a ciò:

Se si calcola l’efficacia del vaccino su un insieme più ampio di soggetti che include anche i casi di sospetto Covid19, come suggerito da Doshi (2021), il valore di VE risulta fortemente ridimensionato, oscillando tra il 19% e il 29%.

Sempre Doshi ritiene che la credibilità della misura di efficacia del vaccino Pfizer possa essere messa in dubbio dal fatto che nello studio si è omesso di riportare l’esclusione di 371 casi (appartenenti prevalentemente al gruppo dei vaccinati) per via di non specificate “deviazioni dal protocollo”.

Il vaccino è stato valutato soltanto rispetto al rischio di ammalarsi di Covid19, ma non rispetto a quello di infezione, per cui al momento non ci è dato di sapere se e quanto una vaccinazione di massa possa effettivamente contrastare la diffusione dei contagi. Quindi chi si vaccina lo fa per proteggere se stesso, ma al momento non vi sono prove che il suo
gesto aiuti a proteggere anche gli altri.

Lo studio sperimentale sul vaccino Pfizer non ha indagato l’efficacia della vaccinazione nel prevenire conseguenze gravi della malattia (morte, ricovero) e neanche la durata della protezione vaccinale.

lo studio Pfizer ha arruolato troppo pochi individui di età superiore ai 65 anni, cosicché la stima dell’efficacia per i soggetti più anziani (che sono quelli più a rischio e dunque potenzialmente bisognosi del vaccino) risulta estremamente incerta.
Per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza:

Sempre a causa della esigua presenza di anziani nel campione, non è possibile stimare in modo affidabile quale sia il grado di sicurezza del vaccino (valutato in base all’incidenza di reazioni avverse) per questa stessa categoria di soggetti che, oltre ad essere quella idealmente più bisognosa del vaccino, presenta probabilmente una maggiore vulnerabilità nei confronti degli effetti secondari della vaccinazione.

Data la brevità della sperimentazione finora condotta, non è possibile valutare il rischio di reazioni avverse nel medio e lungo periodo.

Nell’euforia propagandistica che caratterizza l’informazione sui vaccini anti Covid19, si dimentica spesso di avvertire il pubblico che, a fronte della protezione che può ottenere nei confronti della malattia, chi si vaccina si espone a una probabilità non nota di andare incontro a reazioni avverse, potenzialmente anche gravi.

Alla luce delle precedenti considerazioni, la proposta di alcuni politici, scienziati e opinionisti, di rendere la vaccinazione obbligatoria per tutti appare irragionevole oltre che lesiva della libertà di scelta terapeutica sancita dalla nostra Costituzione e affermata in modo più esplicito dal Codice di Norimberga.

Lo stesso dicasi nei confronti di chi propone i) di licenziare quei lavoratori che rifiutino di farsi il vaccino e ii) di limitare la libertà di spostamento e la fruizione di determinati servizi a chiunque non accetti di fare da cavia per un vaccino che è ancora in fase di sperimentazione e che non è stato sufficientemente testato per efficacia e sicurezza.

Quanto appena detto, mutatis mutandis, vale anche per gli altri vaccini anticovid appena autorizzati (in via provvisoria) o in via di autorizzazione.

 

Finito di scrivere il 10 Febbraio 2021

Prof. Bruno Cheli, Dipartimento di Economia e Management – Università di Pisa

 

FONTE: https://www.ec.unipi.it/documents/Ricerca/papers/2021-270.pdf

 

Scelto da Jacopo Brogi  e pubblicato da Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org

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