FONTE: COGITOERGOVOMITO (BLOG)
A volte penso che non deve essere proprio semplice essere uno dei 5.000.000 di sudafricani, 5,7 milioni per la precisione, che convivono con il virus dell’HIV ed hanno un Presidente che si chiami Jacob Zuma.
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FONTE: COGITOERGOVOMITO (BLOG)
A volte penso che non deve essere proprio semplice essere uno dei 5.000.000 di sudafricani, 5,7 milioni per la precisione, che convivono con il virus dell’HIV ed hanno un Presidente che si chiami Jacob Zuma.
A seguito, “Il nazionalismo e i mondiali di calcio” (Jorge Mangieri, Voltairenet.org);
“Viva Maradona e i suoi ! Ma occhio ai nazisionisti” (Fulvio Grimaldi, fulviogrimaldi.blog); L’8 maggio 2006 Zuma fu prosciolto dall’accusa di stupro, in quanto secondo l’Alta Corte il rapporto sessuale fu consensuale.
Ma Fezeka era sieropositiva, e nonostante Zuma fosse consapevole di ciò, sembra che durante il processo dichiarò di non aver usato il preservativo, e di aver fatto solo una doccia per ridurre il rischio di contrarre l’HIV.
Fonte: http://cogitoergovomito.blogspot.com/
Link: http://cogitoergovomito.blogspot.com/2010/06/una-vuvuzela-che-mandi-fanculo-il-mondo.html
21.06.2010
IL NAZIONALISMO E I MONDIALI DI CALCIO
DI JORGE MANGIERI
Voltairenet.org
La famiglia costituisce nella società la cellula base per la costruzione di una qualunque istituzione, così il gol è il risultato dell’interazione di molti elementi, interni ed esterni.
Le società sono fondate sulla soddisfazione di bisogni basici tra cui il più essenziale è la ricerca del benessere; il gioco è il passatempo che unisce la maggioranza dei suoi soggetti, in esso si combinano le necessità degli uni e degli altri e quei semplici elementi danno luogo all’organizzazione di un gioco con regole, ecc. Il calcio è la cellula di un gioco maggioritario, che è facile da comprendere, da giocare, di cui è facile farsi un opinione; esso ha regole che permette ai partecipanti di goderne, di arrabbiarsi, di conoscersi tra i compagni di squadra e di sviluppare insieme agli avversari un’attività che crea identità; forse dal punto di vista dell’apprendimento è il risultato della competizione per vincere, è un gioco che include la maggioranza delle persone, dando luogo a uno spettacolo che appassiona, è un evento sentito e si iscrive in un ambito sociale, varia a seconda del posto in cui si sviluppa, per esempio un tipo di gioco potrebbe essere copiato dai rivali dando luogo a uno stile unico.
Questo stile viene adottato mediante l’utilizzo di un panno colorito – la bandiera – che genera un sentimento così profondo e forte che per la mente risulta difficile comprendere come tutto possa girare intorno a un pallone, un sentimento che, ad ogni passaggio di palla, sembra voler dire “ti voglio bene” (ti lancio una parete e mi restituisci un mattone). Si formano schiere di simpatizzanti e seguaci della squadra che, quando deve trovare i migliori giocatori in un certo territorio, ovvero i rappresentanti della squadra nazionale, solleva quel panno per mostrarlo e così individuare i migliori.
La nazione, l’individuo, il pallone, il gol, i limiti, gli spettatori tendono ad essere analizzati in modo globale ma, come la pelle, essi hanno diversi strati e ognuno va analizzato singolarmente e poi nel suo insieme. Ogni soggetto è unico e l’interazione con l’altro genera l’apprendimento, l’interiorizzazione dell’altro; a partire dal calcio giochiamo utilizzando la memoria e sviluppando metodi per ottenere risultati, e da gioco che intrattiene piccoli gruppi inizia a coinvolgere le nazioni; a questo punto l’identificazione tra individui di una stessa comunità ora avviene tra cittadino e la sua squadra, quel sentimento diventa per tanti conterranei, un sentimento nazionale con gioie e dolori, vulnerabile come ogni sentimento a manipolazioni.
I membri di una famiglia si arricchiscono quando la famiglia è aperta a cambiamenti nonostante gli ostacoli da superare, così le squadre di calcio fanno arricchire i propri giocatori quando conoscono altri; le loro abitudini, la comprensione dei diversi schemi e strutture di gioco dipenderà da come ognuno interagisce e dagli errori che in linea di principio non vengono tenuti in conto dai protagonisti. Quando sorgono incomprensioni a livello economico, sociale, nazionale che non traspaiono nel sentimento semplice da cui nascono, l’amore per la propria maglia che per il tifoso rimane tale, consciamente o meno e al di là di vari fattori.
“Scusi l’ignoranza ma cos’è il calcio?”, ciò che per alcuni si identifica con la vita stessa, ogni domenica, per altri assume un altro rilievo. Ma il nazionalismo tiene conto del luogo di origine: è difficile che l’orso polare possa vivere in Argentina, così come lo sarebbe per lo ñandú [volatile sudamericano simile allo struzzo, ndt] vivere al polo; si può adattare ma non trasferire la propria idiosincrasia in un altro territorio, così ogni nazione ha il suo gioco, le sue abitudini, difficili da estirpare.
Il calcio conseguentemente dà luogo a una spirale dialettica che arriva a livelli superiori di gerarchie istituzionali, dovuto al fatto che chi ne fa parte porta con sé tutta la sua esistenza. Ogni regola ha la sua eccezione, quel sentimento ha un’identificazione con la sua squadra, meglio se la nazionale, e quando il pallone inizia a girare in un mondiale il tifoso non potrà mettere il proprio cuore da parte, magari potrà tenerlo a bada o manifestarlo con prudenza, per questioni di affari o per ordini superiori ma quel tifoso nel caso rinnegherà la sua famiglia, religione e nazionalità ma non la squadra del cuore.
Con la globalizzazione e internet, il sentimento nazionalistico si può vedere più chiaramente, urlare il gol è una lingua che dà la pelle d’oca, un sentimento e un idioma universali, da qui i Grupos Organizados Libremente – G.O.L. Ognuno sceglie la propria squadra, i propri compagni, e qui entrano in gioco affinità, abitudini, modi di giocare, rispetto, fiducia, si riverseranno le proprie allegrie e tristezze in esso, sentimenti che a livelli nazionali sono più costruttivi che un confronto bellico, ma certamente meno pericolosi. Per i maschi forse vincere è come dimostrare chi ce l’ha più grosso, con l’arrivo delle ragazze, attraverso il padre, saranno loro stesse a dover definire quel sentimento.
Come tutti i gruppi, i tifosi non rifuggono alle leggi generali; il fanatico è sempre pericoloso anche se meno rischioso perché la maggioranza non è armata. Un argomento classico: “Siamo quelli della curva”. […]
Questo, il pallone, diventa un sentimento che ogni giocatore vuole avere ma per ottenere l’obiettivo deve passarlo e ancor peggio calciarlo, toccarlo e infilarlo in una rete per poter segnare un gol e gridarlo ai quattro venti, come un amante che dichiara il proprio amore e lo dice a tutti; da questa situazione emerge chiaramente che non è necessaria una grande abilità per praticarlo, è un gioco di massa, il desiderio di giocare è la condizione necessaria per poter calciare un pallone.
“Eddai corri mezza sega!”. Un altro argomento importante per separare il calcio dal nazionalismo è quello dell’apprendimento inteso come “coito perfetto”: bisogna penetrare l’oggetto e farsi penetrare da esso per generare la conoscenza, mai indolore, si bagna la maglia di sudore, quella che si sente propria e quell’apprendimento ha risvolti individuali e collettivi, e le nazionali possono avere reazioni diverse da parte delle moltitudini, a volte per un bene generale, altre per ottenere fini specifici come essere i più potenti e imporre, attraverso i traguardi sportivi, teorie economiche, politiche e sociali difficili da individuare ma sicuramente probabili, perché i tifosi quando la loro nazionale perde si sentono affranti e quel fattore potrebbe essere incanalato, manipolato.
La nazione deve tener conto dei soggetti in gioco, quando un panno assume i colori di una nazione corre il rischio di far scontrare diverse comunità e tifosi, ma se gli attriti vengono incanalati in modo giusto allora le nazioni possono scambiarsi i giocatori favorendo in questo modo il conoscimento di altri culture e lingue; con un tale approccio comunicativo tra nazioni, istituzioni calcistiche e tifosi, il nazionalismo dà luogo ad uno sport che è un’arte da ammirare e invocare; Dio si incarna in una persona attraverso questo sport che può essere considerato da diversi punti di vista per spiegare una giocata dopo la quale si può anche chiudere lo stadio, prima della conclusione dei 90 minuti davanti all’ammirazione sbalordita di una giocata che solo pochi possono relizzare.
Quei pochi sono ammirati dai tanti, giudicati come se dalle tribune al campo ci fosse un aereo in volo, il gioco è lento e l’aereo pure, ma l’apprezzamento deriva da dove si è ubicati, dalle tribune tutto è più facile, si grida e si tifa ma nel campo le cose cambiano, il tifoso è un giocatore non professionale, il quale invece fin da bambino ha fatto sacrifici per potersi aggiudicare quel piccolo luogo privilegiato, facendo un lavoro da pochi che nessuno apprezza e con l’aiuto dei genitori e da soli, fin da piccolo e fin dalla mattina presto in un lavoro che non è più gioco, che nessuna istituzione riconosce come “lavoro da apprendista” per poi chiedergli credito se raggiunge qualche risultato, “Corri ragazzo, corri dai! oggi non sei convocato”, “allora cambio gli orari di studio” “Bene ragazzi, io oggi rinuncio, ho trovato di meglio da fare”, “Ma prof. io ho cambiato scuola e orari!!”.
Messi è il miglior giocatore del mondo, ma ce ne sono tanti altri in giro. Nessuno osserva gli aerei stazionati, solo quelli in volo. […]
Le nazioni, gli stati, le istituzioni e i club tranne poche eccezioni, non sono organizzati per portare avanti un gioco, con tanta gente da convocare per ottenere integrazione, apprendimento così come manipolazione. Nonostante tutto dobbiamo considerare che seppur lentamente, la civiltà progredisce e con alti e bassi stiamo uscendo dalla guerra verso una competizione tra nazioni più civili e per fortuna le liti in campo sono poche ma i tifosi seguono i propri colori che a volte portano a liti meno pericolose delle guerre, e sebbene nessuno nelle proprie capacità mentali tenda ad usare la violenza, essa comunque è insita nell’essere umano e con gli attriti in campo e in mancanza di cultura e di famiglia essa può, dopo la perdita di una partita, scatenarsi nel voler uccidere altri, “dai ammazzalo, fallo fuori e passa sta palla!” ma il gioco vero, come quello che vedremo in questo mondiale in Sudafrica, è uno spettacolo.
Il calcio conquista paesi, continenti, in modo più civile ma la contropartita è che si costruiscono stadi; quando il pallone inizia a girare un sentimento ci rende fratelli, è un’arte e una lingua che tutti comprendono, il calcio.
Ogni lingua ha un’origine, pure il gioco ha le sue, in Grecia; nell’antica Olimpia, dove si celebravano i giochi dedicati al dio Zeus ogni quattro anni convenivano navi dove si mischiavano filosofi, poeti, scommettitori, scrittori, ruffiani, venditori e musicisti, sono passati mille anni, eh si son tanti! Eppure la festa continua e un giocatore diventa un dio per una giocata, Pelé o Maradona, chi è il dio? Argentina o Brasile, chi è campione? la festa e la passione continuano.
Diversi modi di intendere il gioco: “Un gioco da uomini, nel mio paese siamo tutti maschi!” invece per altri vale il detto” Nel mio paese invece siamo metà maschi metà femmine e ce la passiamo proprio bene!”, la donna in questa passione inizia a integrarsi lentamente, nell’antica Olimpia invece era bandita. Ogni passione produce un’emozione, lacrime, quando la squadra va in campo le lacrime diventano pezzettini di carta bianchi, i famosi “papelitos”. “Tenete in mente la fame” canta Serrat, io ricordo la fame che i miei hanno passato. Se un giocatore non ha fame di gol, di gloria, non può giocare al calcio, e se le nazioni non hanno fame, bombe o guerre non possono trionfare, la fame ti fa crescere, imparare ha un prezzo ma sembra che i limiti che si trovano nei campi di calcio svaniscano tra le nazioni, si deve negoziare e le une e le altre possono interferire con i propri interessi nazionali, educativi, ecc. Credere di essere meglio di altri porta ad elevati ideali ma anche ad immischiarsi negli affari altrui, il gioco del calcio argentino per esempio è stato copiato dal Brasile e noi lo abbiamo copiato dagli europei; prima giocavamo a piedi nudi nei pascoli ora anche se abbiamo le migliori scarpette e bei campi la qualità del gioco non migliora per forza perché, come dicevano i gauchos, l’arte è arte.
I gauchos giocavano con il pallone, il cavallo, il cerchio e il bastone, uno sport costoso, mentre il calcio è economico. Un ragazzo gioca dai 7 ai 12 anni e le statistiche dicono che gioca tre partite ogni fine settimane che in 5 anni diventano 720 partite segnando almeno 200 reti, non come Palermo [Martín Palermo è un prolifico attaccante argentino, ndt] ma sempre un gran bel risultato; e il padre cerca di dargli sempre qualche insegnamento, dopotutto nel calcio ci siamo tutti anche quelli cui non piace: “Dai figliolo, scarta e tocca il pallone e calcialo forte che tanto non scoppia!” così le nazioni dicono ad altre cosa è giusto fare e cosa no ma il figlio può sempre rispondere “ papà non impicciarti, ma se non ne hai mai capito di calcio”. Questi genitori si illudono di rendere eroi i propri figli, proprio come nella Grecia antica, ma non si documentano, ne hanno solo sentito parlare e i figli non ne vogliono sentir parlare.
Acqua o vino, il buono e il cattivo, insomma ci deve sempre essere una rivalità per litigare, Pelé male, Maradona bene, e se non c’è allora non abbiamo motivo di litigare; lo stesso vale per la Coca cola e la Pepsi e per i gruppi di tifosi, l’importante è che ognuno tifi per il suo gruppo e alla fine tutto diventa un gol!
Dalla tribuna si può vedere bene ogni movimento in campo, a noi in Argentina piace vedere la partita a ridosso del campo da gioco, in Brasile dalla tribuna dove i dettagli si notano in ritardo e si perde l’emozione.
“Gli uomini non piangono figlio mio, diventa uomo una volta per tutte!” e poi “abbiamo giocato con gli attributi”, siamo dei machos ma quel drappo colorito, la bandiera della squadra, può farci piangere, come quando perdiamo tante partite e non riusciamo più a contenere la tristezza, allora nessuno ci dirà che siamo dei finocchi e questo vale anche per quelli della curva, quanto abbiamo pianto quando il Perù ci sbatté fuori o insieme a Bielsa, quando il Valencia strapazzò la porta del River anche se poi abbiamo cacciato la Colombia mettendoci d’accordo con l’Uruguay, e ci accusarono di esserci venduti, ecco allora invece siamo stati ben zitti. Le nazioni, il nazionalismo, la convenienza. Il silenzio che il sapere popolare capisce.
“Papà non capisci un accidente di calcio”, “ e tu cretino??” aspettate!…Goollll, ci abbracciamo come bambini. In che modo le nazioni si adeguano a questo sport-affare è difficile da capire, le nazioni africane, coi loro conflitti, cambiano dietro il pallone e hanno tanta gente che gioca imitando i pochi campioni, dei dell’Olimpo che assumono altre sembianze. E’ un sogno, la vittoria, essere il sogno degli dei.
“Questo è un pagliaccio, forse il suo sogno è quello di giocare, ricordi come giocava bene?”. Le nazioni partecipano al gioco, quello commerciale, per dominare la maggioranza ed è difficile capirlo dalla tribuna, come contano le regole del gioco per analizzare come il potere politico influenza le partite per influire nel popolare, gli obblighi coinvolti, tipo la determinazione del risultato; è difficile da provare concretamente ma i risultati del paese anfitrione, perché passi alla seconda fase, mi ricordano la partitella che organizzo con gli amici di mio figlio il giorno del suo compleanno, faccio in modo che vinca lui, è lui l’organizzatore e ha sostenuto dei costi quindi deve passare, ma dov’è lo sport e la competizione qui? Nel calcio ce di tutto.
Il sogno: “papà sveglia, sta per iniziare la partita dell’Argentina, dai su, abbiamo comprato tutto per i festeggiamenti.” Il gioco è un festeggiamento per ogni bambino. Per il bambino che è in tutti noi. Almeno vinciamo uno a zero.
Titolo originale: “El nacionalismo y el mundial de fútbol”
Fonte: http://www.voltairenet.org
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20.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RENATO MONTINI