TRACCE E INDIZI PER L'IPOTESI DELLA PISTA AMERICANA NEL CASO MORO (PARTE I)

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blankDI H.S.
Cloro Al Clero

A proposito dell’affaire Moro si ritiene che la pista americana, della CIA o, comunque, di un coinvolgimento americano sia frutto dell’opera di depistaggio attuata dai sovietici nel quadro della guerra fredda, come dimostrerebbero i documenti del cosiddetto dossier Mithrokin o rapporto Impedian. Può darsi, può darsi che il KGB, per distogliere l’attenzione dal rapporto fra taluni brigatisti rossi e la Cecoslovacchia, abbia tentato di depistare istradando verso una pista che avrebbe portato direttamente alla CIA. Tuttavia vi sono elementi che difficilmente potrebbero essere ricondotti a questa azione di inquinamento. In definitiva esistono tracce, indizi, certo non prove, che indicherebbero un coinvolgimento diretto di americani nel caso Moro. Innanzitutto, come più volte ribadito dall’esperto in materia Sergio Flamigni, il caso Moro è classificato come “segretissimo” dal Dipartimento di Stato USA. Come è risaputo, il segreto viene imposto quando sono in gioco gli interessi e la sicurezza della nazione o quando sono coinvolti i rapporti fra due stati (nel caso in questione certamente l’Italia e gli USA). Per quale motivo un fatto che, generalmente, viene interpretato come un – gravissimo – episodio di terrorismo di matrice interna comporterebbe il ricorso al segreto di stato di un paese straniero? Ciò, in realtà, non dovrebbe stupire.Nei comitati di crisi egemonizzati da elementi piduisti era presente l’esperto in antiterrorismo del Dipartimento di Stato Steve Pieczenick, il quale, per sua stessa ammissione, non aveva ricevuto il compito di adottare le strategie più adatte alla liberazione di Moro, ma di impedire l’accesso dei comunisti al potere. Naturalmente i comunisti in questione non erano brigatisti rossi ma quelli del PCI, impegnati nell’appoggio al governo Andreotti nel quadro dell’intesa fra le forze dell’arco costituzionale. Ancor più significativa è la presenza presso il Ministero degli Interni durante i 55 giorni della prigionia dello statista democristiano dell’esperto in affari italiani Michael Ledeen, un esponente della cosiddetta Nuova Destra americana dei neoconservatori. La biografia di questo personaggio è inquietante. Si tratta di uno di quegli intellettuali di punta raccolti presso Il Centro di Studi Strategici di Georgetown, una sorta di think tank costituito da kissingeriani, neoconservatori e falchi americani ed anticomunisti prevalentemente repubblicani ma non solo. Fra i personaggi vicini al CSIS ricordiamo appunto Kissinger, l’ammiraglio Haig ed ex direttori dei servizi segreti americani. All’epoca Ledeen scriveva articoli per il foglio filoamericano ed anticomunista “Il Giornale” diretto da Indro Montanelli ed edito dal piduista Silvio Berlusconi. Sarà proprio Ledeen a raccomandare l’assunzione del suo figlioccio Francesco Pazienza presso quel SISMI diretto dai piduisti Santovito e Musumeci. Pazienza si segnalerà per la creazione di un cosiddetto “Super SISMI” impegnato in operazioni spionistico criminali come il Billygate, i depistaggi relativi alla strage alla stazione di Bologna, le trattative nel rapimento dell’assessore napoletano Cirillo e i retroscena nell’assassinio del banchiere piduista Calvi. Il rapporto fra Ledeen, Pazienza e i servizi segreti piduisti è significativo. Il nome di Ledeen ricorre anche nell’affare Iran contra e nelle vicende relative ai contatti con gli iraniani alla vigilia dell’attacco americano all’Iraq di Saddam Hussein. Già questi elementi sono significativi per comprendere certi aspetti del rapporto fra americani ed italiani con il caso Moro. Indubbiamente ciò non dimostra certo che gli USA o, comunque, personaggi americani di un certo profilo furono coinvolti direttamente nel rapimento e nell’assassinio dell’onorevole Moro. Partiamo dall’inizio di questa vicenda e cioè da via Mario Fani ove si consumò il massacro della scorta di Moro e il rapimento dello statista.

Secondo quanto riportato dai consulenti della Commissione Stragi Silvio Bonfigli e Jacopo Sce nel libro edito dalla Kaos edizioni “Il delitto infinito”, ben tre testimoni videro nel commando brigatista un individuo che si distingueva per la padronanza delle armi e a cui si deve in gran parte la riuscita dell’operazione di guerriglia in via Fani. Le perizie accertarono che ben 49 colpi sparati provenivano dalla stessa arma. I brigatisti hanno sempre negato la presenza accertata di questo superkiller. Si trattava di un brigatista mai identificato? Certo è possibile, ma poco probabile anche perché in genere i brigatisti non possedevano quella perizia e padronanza mostrata dal misterioso superkiller, infatti l’operazione Fritz rimarrà un caso unico non solo nella storia delle BR ma dell’intero terrorismo dispiegato nell’Europa occidentale. E’ più probabile si fosse trattato di un professionista ingaggiato dall’esterno, italiano o straniero, per garantire la riuscita dei piani. Vediamo di aggiungere qualche tassello…

Un’interessante informazione la ricaviamo da una vecchia edizione (edizioni Kaos 1993) di un testo “classico” sull’affaire Moro, “La tela del ragno”, del solito Flamigni. A pagina 87 fa riferimento ad un articolo del “Resto del Carlino” datato 23 marzo 1978 e, quindi, in pieno svolgimento del sequestro Moro, nel quale si dà la notizia dell’arresto di un cittadino statunitense, tale Peter Jackson Hauser di 28 anni pluridecorato nella guerra del Vietnam in possesso di una falsa identità tedesca a nome di Reinald Lahusen e di un opuscolo della Baader Meinhof, in sostanza l’organizzazione terroristica tedesca di estrema sinistra RAF. Processato per falso ideologico e sostituzione di persona Hauser venne consegnato quale disertore alla base americana di Pisa che, naturalmente, si affrettò a farlo “esfiltrare”. Interrogato dalla Commissione Moro in merito il piduista direttore del SISMI, servizio informazioni militare, Santovito rispose che “gli accertamenti svolti anche presso il servizio segreto statunitense non fecero emergere nei confronti del predetto aspetti di interesse”. Viene da chiedersi chissà quale fosse stata la sollecitudine nel condurre tali accertamenti, ma tant’è…La tesi di Flamigni, ribadita in tutte le edizioni della “Tela del ragno” è che all’agguato in via Fani avrebbero partecipato terroristi tedeschi della RAF.

Ciò sarebbe avvalorato da testimoni che avrebbero udito parlare in tedesco e dalla presenza a Roma proprio in quei giorni di Willy Peter Stoll, uomo della RAF, già coinvolto nel sequestro Schleyer. Se le BR non avevano grande considerazione per la linea “politica” della RAF, invece ammiravano i tedeschi per la capacità militare mostrata nel sequestro del Presidente della Confindustria tedesca. E’ dimostrato che proprio in quel periodo i brigatisti ebbero contatti con elementi della RAF a Milano probabilmente in vista di azioni comuni, ma forse anche per avere una sorta di “consulenza” per l’operazione Fritz (che infatti è un nome tedesco). Non può non colpire il fatto che l’operazione Schleyer e l’operazione Moro si assomiglino molto dal punto di vista militare e non si può escludere che elementi tedeschi avessero partecipato sia all’organizzazione ed ideazione che all’esecuzione dell’agguato di via Fani. Anche se la circostanza dell’arresto di Hauser–Lahusen non verrà più ripresa in successive edizioni del libro di Flamigni, l’autore ribadirà sempre la convinzione che la RAF avesse partecipato all’azione, ma non solo. Secondo Flamigni, ma non è il solo, la RAF era pesantemente infiltrata dagli americani della CIA e dagli israeliani del MOSSAD e, in sostanza, eterodiretta da tali organizzazioni. Insomma le storie dei terroristi tedeschi della RAF e quelli italiani delle BR avrebbero viaggiato su binari paralleli: sia i primi, dopo l’arresto di Ulrike Meinhof e di Andreas Baader, sia i secondi dopo l’arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini, avrebbero attraversato fasi di pesanti manipolazioni e strumentalizzazioni ad opera dei medesimi servizi segreti (CIA e MOSSAD). La vicenda di Hauser – Lahusen illustra che ciò può essere realmente avvenuto. Naturalmente è possibile che si sia trattato semplicemente di un disertore che, disgustato dal comportamento dell’esercito americano in Vietnam, abbia poi prestato le sue capacità “balistiche” – notevoli visto che si trattava di un soldato pluridecorato – all’antimperialismo e all’antiamericanismo della RAF. Rimane in piedi anche l’altra possibilità e cioè che Hauser, il quale a questo punto si può tranquillamente considerare un cittadino americano di origini tedesche o, quantomeno, in possesso di una padronanza di questa lingua, fosse un infiltrato nella RAF per conto di uno dei servizi segreti degli USA. Anche in questo caso si presentano due opzioni: Hauser può essere stato infiltrato a scopo informativo e cioè per reperire notizie di prima mano sui gruppi terroristici europei dell’ultrasinistra dichiaratamente antiamericani e antiNATO oppure che, in realtà lo scopo fosse quello di fornire a gruppi come le BR la capacità militare di compiere determinate azioni, magari partecipando in prima persona. Magari lo scopo poteva essere quello di garantire la riuscita dell’operazione Fritz… L’idea non sembra troppo peregrina visto che si tratta di un soldato pluridecorato… E’possibile che, sostanzialmente, lo scopo dell’infiltrazione di Hauser nella RAF fosse in realtà quello di contattare le BR in vista dell’operazione Fritz? Nella comunità dell’intelligence si era perfettamente consapevoli che il modo migliore per “infiltrare” e reperire informazioni sulle formazioni terroristiche dell’estrema sinistra fosse quello di sfruttare le credenziali internazionali nell’ambito dello schieramento “rivoluzionario”. E’ noto il caso dell’agente segreto tedesco Weingraber che riuscì a contattare le BR proprio attraverso l’infiltrazione negli ambienti della RAF in Italia. Più diffusamente parleremo dell’agente segreto americano Ronald Stark che, incarcerato per traffico di stupefacenti, contattò in carcere Renato Curcio e altri brigatisti “storici”, sfruttando probabilmente la falsa identità di cittadino libico – e all’epoca si ricorderà che il dittatore libico Gheddafi appoggiava organizzazioni terroristiche e “rivoluzionarie” di ogni tipo – e i suoi reali agganci con gli ambienti del terrorismo mediorientale, specie libanese. Questo modo di procedere è stato apertamente “teorizzato” dal club di Berna, organismo di collegamento dei vari servizi di informazione civili dei paesi che facevano riferimento al Patto NATO.

Fra i fondatori del club Berna si distingueva Federico Umberto D’Amato, eminenza grigia dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni e iscritto alla loggia massonica P2. Definito l’ “Hoover italiano”, D’Amato era anche membro del Comitato speciale della NATO e negli anni Ottanta, dopo essersi messo a riposo, si vanterà a più riprese di essere stato un uomo della CIA in Italia e di aver collaborato con l’agente dell’OSS (il servizio segreto americano durante la Seconda Guerra Mondiale) e poi agente della CIA James Jesus Angleton, l’uomo che, fra i primi, pensò di utilizzare i vecchi nemici neofascisti contro i nuovi nemici degli Alleati i comunisti. A tale scopo Angleton strappò il capo della X Mas principe Junio Valerio Borghese dalle mani dei partigiani. A partire dagli anni Sessanta Angleton verrà posto a capo dell’operazione CHAOS, un’operazione della CIA finalizzata a infiltrare e spiare i movimenti ed i gruppi dell’ultrasinistra. La commissione Rockfeller accerterà che l’operazione CHAOS aveva anche intenti di dichiarata provocazione e che la CIA aveva operato in tal senso non solo in territorio statunitense ma anche in paesi aderenti al Patto atlantico quali Gran Bretagna, Francia, Germania occidentale e, naturalmente, in Italia. Lo stesso D’Amato, sicuramente un uomo di fiducia degli americani della CIA, è stato più volte accusato di essere stato uno dei burattinai della cosiddetta “strategia della tensione” e di aver manovrato in tal senso sia i gruppi di estrema sinistra che quelli di estrema destra peraltro senza che mai emergesse una qualche prova a suo carico.

E’interessante invece la relazione che, durante una riunione a Colonia del club Berna del 1973 sul tema del terrorismo, proprio il rappresentante dell’Ufficio Affari Riservati tenne nell’occasione. Egli ricordò la difficoltà dell’opera di infiltrazione dei gruppi di estrema sinistra e sostenne come in genere gli elementi dell’ultrasinistra si aprissero agli stranieri anche perché lusingati dall’attenzione internazionale. Inoltre parlò della formazione di tali infiltrati prevedendo, oltre alla necessità di un’istruzione adeguata, anche l’addestramento all’uso di armi ed esplosivi. E’ chiaro che non si sta parlando di semplici infiltrati a scopo informativo o di confidenti ma di veri e propri terroristi “di stato”. Quindi l’ipotesi che Peter Jackson Hauser fosse un esperto di guerriglia e terrorismo infiltrato proprio per conferire ai terroristi delle BR una capacità militare fuori dalla norma non pare poi così inverosimile. In questo caso si può pensare che Hauser, americano di origini tedesche, fosse stato un componente di forze speciali americane tipo i Berretti Verdi, non a caso molto attivi nella guerra del Vietnam. Naturalmente può anche darsi che Hauser fosse semplicemente un disertore poi venuto a contatto con la RAF per ragioni sue e che gli americani lo avessero reclamato per fargli il processo. Può anche darsi che quanto detto finora appartenga al mondo della congettura e dell’illazione, ma c’è dell’altro…

Nel 1991 uscì un testo classico sui misteri, le stragi ed il terrorismo in Italia: “The Puppetmasters” scritto dal giornalista investigativo inglese Philip Willan e arrivato in Italia un paio di anni dopo tradotto dalla casa editrice napoletana di Tullio Pironti. “I burattinai” – questo era il titolo italiano – non riscosse grande successo probabilmente anche per le tesi scomode che vi erano avanzate. Secondo Willan, infatti, nell’arco di tempo compreso fra il 1969 ed il 1984, gli americani contribuirono non poco a creare il clima di terrore, caos e violenza in Italia utilizzando di volta in volta la loggia massonica P2 e, quindi, personaggi come Gelli e Sindona, la criminalità mafiosa, quella organizzata e quella comune, i “gladiatori” della rete paramilitare di guerriglia atlantica STAY BEHIND, i golpisti “bianchi”, gli stragisti “neri” e i brigatisti “rossi”. A noi questo testo interessa per quanto è riportato sul caso Moro. Nella fattispecie, di particolare rilevanza è il capitolo XV “Il racconto del signor Brown”. In esso si narra di un certo Martin Brown, bizzarro personaggio con un passato di decrittatore per i servizi segreti inglesi, il quale avrebbe a più riprese tentato di instradare gli inquirenti italiani sulla pista degli americani e della CIA. Alla luce di quanto è già scritto sopra risulta interessante un documento dattiloscritto recuperato dalla polizia in due cabine telefoniche a Firenze secondo un rapporto datato 16 maggio 1979. Indipendentemente dall’affermazione di Willan secondo cui l’autore di tale documento risulterebbe proprio Brown esso merita un’attenta lettura perché il misterioso estensore sembrerebbe possedere una conoscenza di taluni retroscena dell’affaire Moro da far pensare che, in qualche modo, egli stesso ne fosse coinvolto. Ma vediamone il contenuto.

“Vi prego di non tenere presente il mio italiano, inoltre non so scrivere a macchina. Non domandatemi neanche come mai solo ora uno sconosciuto vi scriva simili notizie; se sono vere o false. Sta a voi giudicare. La mia non vuole essere una confessione ma vuole solo dire la verità dei fatti. Il vero uomo che organizzò la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro è un italoamericano molto intimo di Ronald Stark (che la polizia tanto ha dato prova di proteggere) il nome è David, nato il 18.3.1954 a San Diego, in California, occhi azzurri, alto 1,77 capelli castani, corporatura media, a volte porta i baffi, ex marine in Vietnam col grado di capitano, poi entrato nelle special forces dei green berets. Ultimamente era consigliere militare della Central Intelligence Defence nella Germania Ovest. David è l’unico dei massimi dirigenti che ha organizzato la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro insieme ai suoi compagni già noti alla polizia. David comunque non ha partecipato all’eliminazione di Aldo Moro. ultimamente era residente a Roma, ma vive in modo speciale a Milano (frequenta biblioteca USIS, in via Bigli 1/A).

Chiaramente si tratta di un documento depistante, fatto in modo di inquinare il lavoro investigativo degli inquirenti. Innanzitutto il misterioso estensore afferma di voler riportare delle informazioni di cui è a conoscenza, ma che dovrebbero essere gli inquirenti a valutarne l’attendibilità, tuttavia si affretta poi a scrivere che la sua è un esposizione dei fatti. E’ una palese contraddizione di cui non può non essersi reso conto. Inoltre il misterioso David, l’ex marine che avrebbe partecipato all’organizzazione dell’agguato di via Fani e del rapimento dell’onorevole Moro è troppo giovane come veterano con il grado di capitano in Vietnam. La Central Intelligence Defence è un organismo inesistente. Quindi, ad una prima valutazione, chi ha scritto questo documento sarebbe un depistatore, una persona totalmente inattendibile, ma può essere illuminante il fatto che egli attui questa operazione di inquinamento in maniera tanto palese in maniera tale da non trovare nessun credito presso gli inquirenti. Alla luce di quanto già ho scritto e di quanto scriverò sembra che, non solo vi sia un intento “depistante”, nel senso che l’estensore vuole che gli inquirenti e gli investigatori non diano peso a quel che dice, ma anche che egli veicoli attraverso questo documento dei messaggi dalla natura più o meno “ricattatoria” nei confronti di coloro che sarebbero coinvolti nel caso Moro. In effetti l’affaire Moro è stato veicolo di misteriosi messaggi e di ricatti e controricatti in tutti questi anni. Senza entrare nei dettagli basti pensare al falso comunicato brigatista del lago della Duchessa, del borsello consegnato agli inquirenti zeppo di messaggi relativi all’assassinio dello statista democristiano e del giornalista Mino Pecorelli e della strana rapina alla Brink’s Securmark operata da falsi brigatisti.

Indirettamente ci occuperemo anche della copia del Field Manual 30 – 31 B delle forze speciali americane, fatto probabilmente ritrovare intenzionalmente da Gelli, perché ha qualche attinenza con il caso Moro. L’impressione è che il documento che porta l’attenzione sugli americani e le forze speciali americane come i Berretti Verdi sia il prodotto di qualcuno che, magari, è esso stesso coinvolto nella vicenda, ma che, per qualche ragione, lancia messaggi ricattatori ad altri soggetti implicati nell’affaire Moro. La conoscenza particolare che questo personaggio avrebbe dei fatti è dimostrata dal fatto che il suo documento coinvolge il misterioso David nell’organizzazione dell’agguato di via Fani e nel rapimento di Moro ma non nella sua eliminazione lasciando forse intendere che il suo scopo e, quindi, lo scopo dei soggetti a cui farebbe riferimento fosse quello di fornire alle BR la consulenza militare adatta per un’operazione terroristica di alto livello per consentire il rapimento dell’onorevole Moro. Poi i brigatisti avrebbero gestito il sequestro, con tutti i tentativi di trattative con domande ed offerte, in “proprio”. Si lascia intendere che fosse l’interesse dei “mandanti” di David fosse quello di far cadere Moro nella trappola brigatista. Sembra, quindi, che il misterioso David si identifichi con il citato Hauser se non fosse che nel documento si qualifica il primo come “italoamericano” mentre il secondo potrebbe essere un cittadino americano di origini tedesche. Non si sa se Hauser fosse un componente dei Berretti Verdi o dei marines, mentre David viene indicato esplicitamente come un ex marine poi entrato nei Berretti Verdi. Invece colpisce il fatto che entrambi fossero reduci del Vietnam, ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nelle forze speciali americane fossero state assai attive nella guerra del Vietnam. Il carattere del documento, allusivo e “ricattatorio” nei messaggi”, non può però far escludere che David e Hauser fossero in realtà la stessa persona, l’infiltrato “americano” coinvolto nell’organizzazione ed attuazione del sequestro Moro e della strage di via Fani, oppure potrebbe trattarsi di due soggetti diversi entrambi infiltrati dalle forze speciali americane nelle BR. Ricordiamo che i Berretti Verdi e i marines americani, come del resto le SAS inglesi erano attive nell’addestramento e nell’istruzione della rete paramilitare e di guerriglia della NATO STAY BEHIND e della GLADIO. A questo punto il riferimento alla Germania Ovest può essere illuminante perché rimanderebbe ad Hauser e alla RAF, ma ricordiamo anche che la Germania era strategicamente importante per gli americani, gli inglesi e la NATO nell’ambito della guerra fredda.

All’indomani dell’assassinio del giudice Coco, primo vero omicidio eccellente delle BR nella nuova gestione di Mario Moretti, un anonimo ufficiale del SID, servizio informazioni militare, rilasciò un’intervista sul giornale Repubblica affermando che con il terrorismo in Italia avevano a che fare americani, tedeschi e arabi. In particolare asserì che erano particolarmente attivi elementi tedeschi già appartenenti all’organizzazione Gehlen. Questa intervista porta qualche elemento in più, perlomeno sul terrorismo in Italia. Reinald Gehlen era stato il capo del controspionaggio nazista per l’Europa dell’est, specializzato nelle infiltrazioni. Già prima della fine del conflitto Gehlen si era accordato con gli americani contattando il capo dell’OSS Dulles. Si ritiene che, generalmente, Gehlen sia stato l’agente CIA numero uno in Europa. Per alcuno sarebbe stato il vero capo della rete STAY BEHIND. Nel quadro della lotta internazionale al comunismo, l’organizzazione Gehlen, embrione del BND, il servizio segreto tedesco, ebbe contatti con l’Aginter Press, l’internazionale “nera” sita a Lisbona e con Pace e Libertà, l’organizzazione anticomunista diretta dal partigiano “bianco” anticomunista e piduista Sogno. Per l’organizzazione Pace e Libertà fu il provocatore Luigi Cavallo a mediare i rapporti grazie alla sua conoscenza della lingua tedesca, ma ne parleremo più avanti. Alla fine degli anni Sessanta il cancelliere Willy Brandt, nel quadro della Ostpolitik la politica di avvicinamento alla Germania Democratica e, quindi, all’URSS, rimosse Gehlen dall’incarico. In seguito gli uomini dell’organizzazione continuarono ad operare probabilmente come mercenari e, nell’ambito della lotta al comunismo.

E’possibile che Hauser fosse un elemento legato alla “Gehlen” e che i residui dell’organizzazione avessero infiltrato la RAF. Naturalmente siamo nel campo delle congetture, ma di ipotesi verosimili si tratta. Conviene fare qualche accenno all’Aginter Press, la falsa agenzia stampa dietro la quale si celava una vera e propria centrale terroristica internazionale di estrema destra fondata da ex militanti dell’OAS, l’organizzazione terroristica che cercava di impedire l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Esistono documenti che dimostrano come essa fosse uno strumento della CIA per la citata operazione CHAOS in Europa. Attraverso l’Aginter Press venivano infiltrati elementi di estrema destra nell’estrema sinistra per estremizzarla e screditarla. Secondo un’informativa del SID l’Aginter Press sarebbe stata coinvolta nella strategia della tensione in Italia e nella strage di piazza Fontana. Dall’inchiesta del giudice Salvini emerse la responsabilità di militanti della formazione neofascista Ordine Nuovo alcuni dei quelli non erano altro che agenti al servizio dell’esercito americano di stanza alla base di Verona. Nei suoi diari l’ex Ministro degli Interni democristiano Taviani attribuiva la responsabilità della strage ai neofascisti e scriveva che era stato usato dell’esplosivo in dotazione alla NATO proveniente dalla Germania (che quindi ricorre ancora). L’esplosivo sarebbe stato procurato da un agente dell’americana DIA, il servizio segreto del Pentagono, a giudizio di Taviani più potente della stessa CIA. Bisogna aggiungere che sull’Aginter Press vige il segreto NATO a dimostrazione della vicinanza con il Patto Atlantico.

Anche la citazione della misteriosa Central Intelligence Defence acquista senso in quanto adombrerebbe un coinvolgimento sia della CIA (e abbiamo visto, infatti, come negli anni Sessanta fosse attiva l’operazione di provocazione CHAOS) sia della DIA (della quale vi è la possibilità di coinvolgimento nella “strategia della tensione” in Italia, ma vedremo anche il Field Manual 30 – 31 B). Il documento poi insiste sulle protezioni accordate dalla polizia ai brigatisti e agli infiltrati americani. Non è ben chiaro se ci si riferisce alla polizia in particolare o agli organismi di sicurezza in generale (polizia ma anche carabinieri, servizi di informazione, ecc…), ma vi è anche la possibilità che con il termine “polizia” si fosse inteso additate il Ministero degli Interni che, durante i 55 giorni del sequestro dell’onorevole Moro, aveva intasato i propri comitati di crisi di piduisti (si pensi ai vari Santovito, Grassini, Giudice, Lo Prete, Ferracuti, D’Amato, ecc…) e anticomunisti. Queste protezioni potrebbero rimandare ad un intreccio “italoamericano” (di qui probabilmente la qualifica attribuita al misterioso David) come retroterra politico e culturale dell’operazione. Secondo Willan sia il Gran Maestro della loggia massonica coperta P2 Licio Gelli, sia il banchiere mafioso Sindona sarebbero stati due elementi essenziali di questo intreccio, ma ne parleremo più avanti… La citazione di Ronald Stark, invece, è uno dei punti più interessanti del documento. Un libro di David Black (edizioni Castelvecchi per l’Italia) “Acid – storia segreta dell’LSD” costituisce praticamente una biografia di questo inquietante personaggio. Di lui abbiamo la certezza che fosse un agente segreto americano ma è difficile stabilire per quale agenzia lavorasse. Di sicuro Stark fu coinvolto nella diffusione di droghe ed allucinogeni sin dagli anni Sessanta frequentando gli ambienti della controcultura. Probabilmente fu coinvolto nell’operazione CIA denominata MK ULTRA finalizzata alla sperimentazione di allucinogeni come L’LSD, oppure nell’operazione BLUE MOON che mirava alla disgregazione degli ambienti giovanili con la diffusione delle droghe. In questo modo Stark divenne uno snodo importante fra mafia, terrorismo mediorientale ed internazionale e droga. Gli inquietanti intrecci fra traffici di droga, ma anche armi con la mafia ed il terrorismo ed il coinvolgimento dei servizi segreti, soprattutto nordamericani vennero alla luce con l’inchiesta del Giudice di Trento Carlo Palermo. Secondo l’ex contractor CIA Brenneke esisteva un legame operativo fra CIA, P2, mafia italoamericana e mafia siciliana nella gestione dei traffici di armi e droga e nell’istigazione del terrorismo di ogni colore. Negli anni Settanta Stark che negli USA e in Inghilterra si atteggiava a “alternativo” incontrò in Italia personaggi mafiosi o vicini alla P2 e al neofascismo che avevano la particolarità di essere coinvolti in tentativi golpisti (golpe Borghese e Rosa dei Venti) come il principe siciliano Alliata di Monreale, buon amico del principe Borghese massone, monarchico e con rapporti mafiosi coinvolto probabilmente nella strage di Portella delle Ginestre o il direttore del SID Vito Miceli simpatizzante della destra, piduista, in rapporti con Gelli e con Sindona e con ottime entrature americane. Ma ne parleremo più avanti…

Tornando a Stark, egli fu arrestato a Bologna nel 1975 per traffico di droga e in carcere, come già accennato, contattò i brigatisti incarcerati fra cui Curcio probabilmente sfruttando i suoi contatti con il terrorismo mediorientale. In questo senso emergono degli inquietanti collegamenti con il caso Moro. Secondo Black Stark fornì ai brigatisti in carcere un codice NATO per comunicare. Per straordinaria coincidenza al termine dei 55 giorni del sequestro Moro conclusosi con l’assassinio dello statista venne diffuso un comunicato delle fantomatiche Brigate Rosse cellula Roma Sud redatto in codice NATO. Inoltre Stark contattò anche un certo Paghera militante del gruppo terroristico anarcosituazionista Azione Rivoluzionaria il quale si attribuì, mentendo, il cosiddetto falso comunicato brigatista del lago della Duchessa. Secondo il solito Flamigni entrambi i comunicati pseudobrigatisti o falsamente brigatisti sarebbero da imputare al falsario romano Toni Chichiarelli legato alla banda della Magliana, ai servizi segreti italiani, a personaggi dell’estrema destra ma anche dell’estrema sinistra. Dell’intreccio servizi segreti – malavita faremo approfondimenti sia per quanto riguarda il caso Moro che Pecorelli. Per quanto riguarda Chichiarelli, egli fu coinvolti anche nella rapina alla Brinks’ Securmark durante la quale furono lanciati messaggi inerenti sia la morte di Moro che quella del giornalista Pecorelli. Comunque sia, alla sua scarcerazione, Stark fece perdere le tracce espatriando dall’Italia probabilmente attraverso la base di Pisa come aveva fatto lo stesso Hauser. Ciò indicherebbe, forse, che Hauser, il fantomatico David e Stark avrebbero lavorato per lo stesso organismo, forse legato all’esercito statunitense? E’un ‘ipotesi… La natura dei contatti dello Stark con i brigatisti non è mai stata chiarita.

Non meno importante del riferimento a Stark è quello allo USIS, vale a dire lo United States Information Service, un istituto culturale legato all’Ambasciata statunitense, utilizzato per la diffusione della cultura americana nel mondo. Attraverso lo USIS avviene inoltre la selezione del personale diplomatico e politico filoamericano e con idee liberali e progressiste. Secondo l’informatissimo Gianni Cipriani, come scritto nel suo “Lo stato parallelo” (edizioni Sperling & Kupfer del 1992), non solo lo USIS aveva iniziato a intraprendere contatti con esponenti socialisti in funzione anticomunista e per ridimensionare il loro tradizionale marxismo ma un manuale di campo delle forze armate USA considerava fondamentale il contributo dell’istituto nelle operazioni di guerra psicologica e qui balza all’occhio l’indicazione della frequentazione dell’USIS di Milano da parte di David, componente dei Berretti Verdi. L’estensore voleva forse sottolineare questo rapporto fra le forze speciali statunitensi e l’USIS nell’ambito delle operazioni di guerra psicologica? Willan cita invece un documento della Commissione P2 in cui si informa di un cospicuo finanziamento dell’USIS all’organizzazione Pace e Libertà di Sogno in funzione anticomunista. Occorre a questo punto spendere qualche parola su questa organizzazione.

Il suo capo, Edgardo Sogno, antifascista ed anticomunista, si era distinto nella guerra partigiana nella formazione “bianca” Franchi che, appunto portava il suo nome di battaglia divenendo un uomo di fiducia degli inglesi e degli americani. In funzione anticomunista fonda poi Pace e Libertà con entrature nella NATO e che recluta anticomunisti di ogni estrazione dall’estrema destra all’estrema sinistra. Di Pace e Libertà farebbero parte due uomini con un passato da partigiani “rossi” e comunisti: Luigi Cavallo e Roberto Dotti. Il primo dopo essere stato espulso dal PCI, si dedica alla provocazione ed alla schedatura di operai nella FIAT ricevendo i finanziamenti dell’ufficio REI del SIFAR l’allora servizio segreto militare che raccoglieva i finanziamenti dei “privati” per la GLADIO. Il secondo sarebbe stato addirittura un militante della Volante Rossa, sorta di Brigate Rosse ante litteram, e per i suoi rapporti con la Cecoslovacchia ed i fuoriusciti comunisti italiani in questo paese sarebbe stato utilizzato come infiltrato da Sogno. Inoltre, secondo Flamigni, avrebbe lavorato all’USIS. Entrambi questi personaggi avrebbero coltivato rapporti con le BR come vedremo… Sciolta l’organizzazione alla fine degli anni Cinquanta, dopo un periodo come ambasciatore in Birmania, Sogno tornerà in Italia per riannodare gli antichi rapporti, probabilmente con la benedizione di americani ed inglesi. Il progetto, quello di un golpe “bianco” e presidenzialista con l’intento di emarginare PCI ed MSI e di eliminare le ali estreme (non senza averle strumentalizzate con operazioni da strategia della tensione) molto simile al P
iano di Rinascita Democratica di Gelli e della P2 con l’appoggio dei partiti di centro e perfino degli “autonomisti” del PSI. Al solito l’intenzione è quella di interrompere il dialogo fra democristiani e comunisti. Oltre a Cavallo e Dotti Sogno riceve l’adesione di Randolfo Pacciardi animatore del piccolo gruppo gaullista e presidenzialista Nuova Repubblica con il contributo di alcuni reduci della Repubblica di Salò. Anch’egli ex partigano antifascista ed anticomunista e massone, già amico dell’ambasciatrice statunitense Boothe Luce,è probabilmente l’ex Ministro della Difesa indicato in un vecchio articolo di Pecorelli su Mondo Oggi nel 1967 come il mandante di un progetto di rapimento dell’onorevole Moro da addebitare alla sinistra nell’anno del Piano Solo del generale De Lorenzo. Vi aderisce anche il militare e parlamentare del MSI Birindelli iscritto alla P2. Fra lo schieramento dei “presidenzialisti” possiamo citare anche Fumagalli capo dell’ambigua formazione terroristica MAR in rapporti con elementi neofascisti, ma probabilmente anche con i GAP di Feltrinelli. Nella lunga intervista con Aldo Cazzullo Sogno ammetterà che era stato fatto un patto per “sparare a chiunque avesse fatto accordi con i comunisti”. Sembra la fotografia del caso Moro…

La citazione dell’USIS potrebbe però alludere ad un altro personaggio indicato da importanti esponenti del PSI come Craxi e Larini come il “grande vecchio” delle BR: Corrado Simioni. Costui, socialista “autonomista” espulso dal PSI per imprecisati motivi di “indegnità morale”, andò a lavorare proprio all’USIS di Milano. Successivamente, ma la notizia non ha ricevuto conferme, sarebbe andato a Monaco di Baviera dove avrebbe lavorato per Radio Free Europe un’emittente radiofonica finanziata dalla CIA e dall’organizzazione Gehlen per promuovere la propaganda anticomunista nell’Europa dell’est. Se la notizia fosse vera ci troveremmo di fronte nuovamente alla pista tedesca e all’organizzazione Gehlen. Alla fine degli anni Sessanta Simioni entra in contatto con i gruppuscoli marxisti leninisti e filocinesi a Berna in Svizzera e in Italia dove conosce Renato Curcio futuro leader brigatisti. E’ forse per singolare coincidenza che nello stesso periodo uomini riconducibili all’Aginter Press si mettono in contatto con l’Ambasciata cinese a Berna e con i gruppi maoisti. Ricordiamo che sono gli anni caldi dell’operazione CHAOS e delle infiltrazioni, per mezzo di provocatori e militanti dell’estrema destra nei gruppi dell’ultrasinistra. Pensiamo, ad esempio, alla vicenda di Freda e Ventura legati ad Ordine Nuovo e coinvolti nella strage di Piazza Fontana e i loro tentativi di infiltrarsi fra i filocinesi ed i maoisti. Sono anche anni di una certa confusione per l’estrema permeabilità dei movimenti studenteschi e giovanili ove per un certo periodo si incontrano maoisti, “nazimaoisti” e pacciardiani nella confusione fra estremismi “bianchi”, “neri” e “rossi”. A ciò si aggiunga il contributo di ex comunisti come Cavallo e Dotti, ex aderenti a Pace e libertà con i loro rapporti con gli ambienti della lotta armata… In questo clima nasce l’opzione della lotta armata e vengono fondati gruppi come quello delle BR. Simioni e un certo numero di “compagni” si staccano per fondare un’alla scissionista detta Superclan che vuole dare un respiro internazionale alla lotta contro l’imperialismo intensificando i rapporti con le organizzazioni “rivoluzionarie” straniere e organizzando attentati contro obiettivi NATO.

Rifugiatisi in Francia a metà degli anni Settanta i “compagni” del Superclan assieme a “compagni” francesi fondano la scuola di lingue Hyperion a Parigi dietro la quale si celerebbe una centrale internazionale del terrorismo dei gruppi dell’ultrasinistra e dei gruppi autonomisti ed indipendentisti. Insomma l’Hyperion costituisce per l’estrema sinistra ciò che l’Aginter Press è per l’estrema destra. Per singolare coincidenza la prima viene costituita quando la seconda viene dissolta. Siamo a metà degli anni Settanta e i regimi militari e fascisti in Europa (Spagna, Portogallo e Grecia) cadono ad uno ad uno. Non è improbabile che le stesse centrali, legate verosimilmente ai servizi segreti nordamericani e della NATO, si celino dietro la costituzione sia dell’Aginter Press che dell’Hyperion e che sia stato attuato un cambio di rotta. Simioni, inoltre, si vantava di godere dell’appoggio del Presidente francese Valery Giscard Estaing. Esistono indizi che fanno pensare a un coinvolgimento dell’Hyperion nell’affaire Moro: il nome di Innocente Salvoni, uno degli animatori della “scuola”, legato a Simioni, appare in una lista di sospetti terroristi presenti in via Fani stilata dalla Questura di Roma. Il nome verrà “depennato” anche, sembra, per l’intervento del celebre abbè Pierre imparentato con Salvoni. Inoltre poco prima del sequestro l’Hyperion apre due filiali, una a Roma ed una a Milano chiuse poi poco dopo la conclusione del sequestro. Secondo Flamigni la filiale romana era ubicata allo stesso indirizzo in cui erano presenti uffici del SISMI. Lo stesso Mario Moretti, il maggior responsabile “esecutivo” dell’operazione Fritz era stato in precedenza un militante del Superclan e viaggiava spesso a Parigi verosimilmente per incontrare i vecchi “compagni”. L’Hyperion venne coinvolta in un traffico internazionale di armi probabilmente per il suo ruolo di mediazione fra gruppi di diversa nazionalità. Nella fattispecie si trattava della distribuzione di armamenti fra gruppi terroristici di estrema sinistra ed indipendentisti come l’ETA, l’IRA, la RAF, le BR e una frangia estremista della palestinese OLP. Secondo il giudice veneziano Mastelloni alla base di questo traffico vi sarebbe stato un accordo fra CIA ed OLP mediato dal SISMI tramite il colonnello Giovannone noto per i suoi rapporti con i palestinesi e per essere un collaboratore del direttore piduista del servizio Santovito. E’ certo, invece, che fu il numero due del SISDE Silvano Russomanno, già uomo del piduista D’Amato, a vanificare, tramite un’intervista al Corriere della Sera a direzione piduista (Di Bella), un’operazione di polizia congiunta fra italiani e francesi per perquisire la scuola di lingue. Una soffiata insomma e proveniente da un organismo che avrebbe dovuto contrastare i “compagni parigini”. Esiste una connessione P2 – Hyperion già adombrata nell’affaire Moro. Ma non è finita… Il documentatissimo Flamigni scrisse nel 1994 “La sfinge delle Brigate Rosse” (KAOS edizioni), una sorta di biografia non autorizzata del capo brigatista Mario Moretti. E’soprattutto la storia dei rapporti scabrosi fra i Comitati di Resistenza Democratica, l’organizzazione costituita da Edgardo Sogno in vista del golpe “bianco” attraverso i citati Cavallo e Dotti con Corrado Simioni – che, ricordiamolo, aveva lavorato per l’USIS – e il Superclan/Hyperion e, quindi con le BR morettiane. Dal testo risulterebbe quasi che il Superclan e Simioni costituissero un “prolungamento” con i “bianchi” dei Comitati di Resistenza Democratica vicini agli americani e agli inglesi e che Moretti fosse un loro “infiltrato” nelle BR.

Sinteticamente fra le notizie riportate: la vicinanza “fisica”, a Milano, fra Moretti e Dotti da un lato e fra i suoceri di Moretti e Cavallo dall’altro, la militanza presso il Superclan della segretaria di Manlio Brosio, liberale, già segretario generale della NATO e il rapporto fra Dotti e Simioni di cui ha parlato per la prima volta l’ex brigatista Franceschini. Ricordiamo ancora una volta che Sogno, oltre ad essere filoamericano e filoinglese, era iscritto alla P2.

Al termine di questo viaggio nel documento citato da Willan e alla luce di notizie ed informazioni a volte provate a volte non ancora verificate emerge un intreccio ed una rete complessa di rapporti che coinvolge servizi segreti nordamericani come la CIA e la DIA e quelli inglesi, le forze speciali americane ed inglesi come i Berretti Verdi, i marines e le SAS, l’USIS, l’organizzazione Gehlen, la loggia massonica coperta P2, i servizi segreti italiani e più ingenerale della NATO la rete paramilitare NATO STAY BEHIND e la sua sezione
italiana GLADIO, Pace e Libertà e i Comitati di Resistenza Democratica, la Rosa dei Venti, l’Aginter Press e l’Hyperion. Non si può non notare come ciò contribuisca a determinare un quadro di reti e di rapporti all’insegna del filoamericanismo, dell’atlantismo e dell’anticomunismo. Certo la natura di questi rapporti è complessa e conflittuale, investendo soggetti assai diversi l’uno dall’altro, essendo vasto lo schieramento “atlantico” ed anticomunista, tuttavia viene delineato un certo ambiente…

Tornando alla questione di presenze americane in via Fani, altri indizi vengono aggiunti all’informazione di Flamigni su Hauser. Interessante è invece il ruolo dell’Hyperion che potrebbe profilarsi nel caso Moro. Data la natura di centro di collegamento della falsa scuola di lingue si può ipotizzare che Simioni e soci avessero mediato fra i “compagni” della tedesca RAF e le BR morettiane in vista dell’operazione Fritz favorendo probabilmente l’infiltrazione di elementi delle forze speciali americane. Questo ruolo sarà tanto più probabile quanto più si riuscirà a dimostrare il legame dell’Hyperion con organismi americani (ad esempio proprio l’USIS) o della NATO.

Occupiamoci ora di Mino Pecorelli…

Il 20 marzo 1979, all’incirca ad un anno esatto dal sequestro Moro, veniva assassinato il giornalista Mino Pecorelli. Il movente o i moventi dell’omicidio sono rimasti piuttosto oscuri perché Pecorelli aveva sicuramente parecchi nemici ed era molto attivo in una campagna contro il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Pecorelli era informatissimo grazie ai suoi agganci con gli ambienti dei servizi segreti italiani ma anche con il sottobosco del mondo politico e quello finanziario. Ai tempi di Mondo Oggi aveva tentato uno scoop cercando di rivelare i rapporti fra CIA, servizi segreti NATO, l’organizzazione Gehlen, la Pro Deo, il Vaticano e multinazionali e grandi imprese italiane. Lo scoop era stato bloccato dall’Ufficio Affari Riservati che finanziava il bollettino. Sicuramente Pecorelli conosceva molti segreti relativi all’affaire Moro ed era in procinto di rivelarli. Forse è questo il vero movente dell’omicidio. L’unica certezza che è stata raggiunta è che i proiettili utilizzati provenivano dal deposito in dotazione alla banda della Magliana presso il Ministero della Sanità. La pista del deposito della banda porta a diversi casi: l’omicidio del colonnello dei carabinieri Varisco, rivendicato dai “rossi” delle BR e quello del capitano Straullo rivendicato dai “neri” dei NAR entrambi in qualche modo legati all’omicidio Pecorelli e i tentativi di depistaggio della strage alla stazione di Bologna. Per il giudice Sica esplosivo utilizzato in attentati rivendicati da “rossi” e da “neri” indifferentemente proveniva da quel deposito. Comunque la holding dei gangsters capitolini della Magliana compare nei maggiori fatti misteriosi e criminali a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta: fra questi lo stesso caso Moro, ma anche i già citati omicidi di Pecorelli, Varisco e Straullo, la strage alla stazione di Bologna, l’assassinio del Presidente della Regione Sicilia Mattarella, il sequestro del democristiano campano Cirillo, la morte del banchiere Calvi e l’attentato al suo vice Rosone, l’omicidio del criminologo Semerari, la strage sul Rapido 904, la scomparsa di Emanuela Orlandi, le vicende relative al falsario Chichiarelli. La banda della Magliana appare un complesso snodo fra mafia siciliana nei rapporti con Pippo Calò, il cassiere, la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, la ndrangheta calabrese, il SuperSISMI di Santovito e Pazienza, la P2, la massoneria deviata, strutture paramilitari tipo GLADIO, il terrorismo “nero” ma anche “rosso” e gangsters tipo i marsigliesi e Turatello. Per quanto riguarda il caso Moro si rimanda a quanto scritto sul ruolo ambiguo del falsario Chichiarelli che potrebbe aver agito per conto dei servizi segreti ma anche delle stesse BR.

E’ stato il sedicente “gladiatore” Ravasio ad accennare ad una collaborazione della banda della Magliana con i servizi segreti militari allora egemonizzati dalla P2. Il risultato di questa collaborazione non è ben chiaro, ma i gangsters vennero “ricompensati” lasciando le mani libere nel compimento si alcune rapine. Inoltre, ma ne parleremo più avanti, nell’azione di via Fani sarebbero stati rinvenuti proiettili provenienti da una partita poi finita nel deposito del Ministero della Sanità. Ne tratterò più approfonditamente nel capitolo che riguarda più specificamente GLADIO… L’ambiguità è accentuata dal fatto che prima della conclusione del sequestro alcuni esponenti della DC ebbero contatti con i boss della Magliana e che Moro venne recluso in un appartamento in via Montalcini, zona di Roma sotto il controllo della banda. Le BR avevano forse contattato i boss? Si ricordi poi che la responsabilità della protezione di Moro ricadeva sul SuperSISMI attraverso l’Ufficio Protezione e Sicurezza diretto dal piduista Musumeci che, secondo un “pentito” brigatista tale Buzzati, avrebbe conosciuto l’ambiguo capo delle BR Senzani, teorico dell’alleanza fra BR e criminalità e, per alcuni, legato al SISMI. La collaborazione di elementi della Magliana legati all’estrema destra con il SuperSISMI appare, invece, evidente nel caso dei depistaggi delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna. Secondo alcuni Moro sarebbe stato ucciso dalla componente “delinquenziale” delle BR, un probabile riferimento alla banda della Magliana o alla ndrangheta calabrese. E’possibile che Pecorelli conoscesse molti di questi retroscena anche perché, indirettamente, si era occupato della connessione tra le mafie siciliana e “romana” con la corrente democristiana andreottiana, ma a noi interessa soprattutto un suo articolo su Osservatorio Politico, il bollettino da lui diretto, risalente a ben due anni prima il sequestro Moro, vale a dire il 21 gennaio 1976 e intitolato “Decapitate le BR: giorni caldi attendono il paese?” che dimostra l’ottima conoscenza del giornalista del sottobosco degli ambienti dei servizi segreti italiani dai quali era, evidentemente, informato. Riportiamone per intero il testo.

C’è appena il tempo di registrare, con le massime congratulazioni per il gen. Mino, gli ultimi successi per la pratica Curcio che di nuovo per i militi dell’Arma s’accende un periodo di tensione al colore rosso. Crisi di governo, crisi economica, crisi internazionale – nonché l’arresto del “comandante di colonna” Renato Curcio – fanno infatti ritenere come probabile qualche clamoroso gesto da parte delle organizzazioni terroristiche agenti nel nostro paese.

E’anche questa l’opinione di alcuni funzionari ed esperti di cose italiane al Dipartimento di Stato. Il PCI, si dice, sta per tentare l’ultima spallata. E in questi casi, massime col Berlinguer che vuole mostrarsi uomo d’ordine, il comunismo internazionale ricorre sempre a tattiche di violenza. Sono pertanto questi i motivi che hanno indotto gli USA a mettere a disposizione dell’ambasciata di Roma – dove sono attesi a giorni – e delle multinazionali statunitensi operanti in Italia un nucleo di 50 marines esperti di guerriglia urbana e antiterrorismo. Potranno collaborare con i nostri servizi di sicurezza che, evidentemente, oltreoceano non riscuotono sufficiente affidabilità.

Prima di analizzare questo articolo occorre precisare che Pecorelli era egli stesso un piduista, buon conoscente del Gran Maestro Licio Gelli e che nella guerra dei servizi segreti italiani interna al SID si era schierato ai tempi con il direttore del SID Vito Miceli, piduista, filoarabo e vicino alla destra in contrapposizione con il capo dell’Ufficio D Gianadelio Maletti, anch’egli piduista ma anche filoisraeliano, andreottiano e in buoni rapporti con esponenti del PSI come Mancini. Op, il bollettino di Mino Pecorelli era, quindi, a disposizione della P2 e dei servizi segreti che tramite esso veicolavano messaggi o animavano campagne a favore o contro questo o quel gruppo di potere. Spesso, quindi, gli articoli rispecchiavano quelle posizioni e, dunque, si deve ricordare che, sia lo stesso Maletti che Franc
esco Cossiga, “gladiatore” confesso e già Ministro degli Interni nel periodo del sequestro dell’onorevole Moro, ammisero che la P2 aveva costituito un circolo di potere dell’oltranzismo atlantico e che Gelli stesso era alle dipendenze di personaggi d’oltreoceano. Inoltre Cossiga affermò, in un’altra occasione, che una sua fonte gli aveva riferito che la loggia coperta P2 era stata costituita nella base NATO e americana di Napoli ed era composta da militari e civil servants al servizio degli USA. Sull’argomento Gelli e P2 torneremo in seguito…

Tornando invece all’articolo il primo elemento importante che si evince da un’attenta lettura è l’apparente contraddizione di alcune asserzioni, com’era d’altronde nello stile di Pecorelli. Nonostante si ammetta che gli inquirenti e le forze di sicurezza abbiano riportato successi decisivi contro le BR arrestandone il capo Renato Curcio, si ritengono probabili nuove azioni terroristiche. Quel che viene detto è sorprendente, perché all’epoca si pensava che le BR fossero ormai alle corde grazie alle decine di arresti che avevano scompaginato l’organizzazione. E’ lo stesso titolo dell’articolo a stupire: viene detto che le BR sono state decapitate, tuttavia è previsto un periodo di rinnovata tensione. Come abbiamo visto i servizi segreti passavano informazioni a Pecorelli e, sull’argomento erano sicuramente molto informati. Già tempo prima, nell’ambito dell’inchiesta padovana sull’organizzazione eversiva atlantica Rosa dei Venti Miceli aveva previsto che al terrorismo “nero” sarebbe subentrato quello “rosso” e nel 1975 Maletti aveva inviato un rapporto al Ministero degli Interni nel quale si diceva esplicitamente che le BR si stavano riorganizzando addestrandosi alla tecnica delle gambizzazioni e che le campagne terroristiche venivano decise da un pugno di personaggi che sarebbe stato arduo definire “di sinistra”. C’è forse un riferimento all’Hyperion? C’è una notevole forma di “preveggenza” visto che il primo omicidio eccellente delle BR , quello del giudice Coco, risale al giugno 1976, quindi parecchio tempo dopo l’articolo di Pecorelli. In quel periodo, infatti, si sta consumando il passaggio dalle prime BR, quelle di Curcio e Franceschini a quelle morettiane con la loro strategia esplicitamente terroristica. Curiosamente poi Pecorelli attribuisce a Curcio il titolo di “comandante di colonna” e non di capo delle BR. Si vuole forse insinuare che Curcio non era poi così importante nell’organigramma dell’organizzazione. Si ha l’impressione che i servizi segreti sapessero che i Curcio, i Franceschini ma probabilmente anche i Moretti e, perché no?, i Senzani non fossero dei veri e propri capi ma soltanto gli esecutori di direttive provenienti da altri.

Pecorelli poi passa ad illustrare l’opinione condivisa da esperti del Dipartimento di Stato (come Pieczenick e ricordiamo che proprio sul caso Moro il Dipartimento di Stato ha imposto il segreto) e dai servizi segreti italiani – e, quindi, probabilmente dalla P2 – che la nuova ondata terroristica sarà causata direttamente dal PCI berlingueriano, che sulle soglie del potere, sta pensando al colpo si stato rilanciandosi come partito d’ordine e, per questo motivo, avrebbe bisogno di un clima di caos e violenza. Insomma si ripropone la tesi di una complicità fra PCI e BR, anzi di queste ultime come braccio armato dei comunisti. Queste affermazioni la dicono lunga sull’estrazione di questi “esperti” ed anche sulla loro buona fede. La tesi che il PCI avrebbe manovrato il terrorismo per tentare una sorta di colpo di stato non è solo fantasia, ma chiaramente propaganda anticomunista. Nessuno è mai riuscito a mettere indubbio la lealtà costituzionale del PCI, in quel tempo impegnato a cercare un accordo con la DC e anche con gli altri partiti dell’arco costituzionale per arginare la crisi economica Invece non vi sono dubbi sulle opinioni degli esperti americani, della P2 e dello stesso Pecorelli. Certo il PCI si presentò come partito d’ordine ed assunse un atteggiamento assai duro sia nei confronti del terrorismo rosso che di tutta l’ultrasinistra e, in particolare, del cosiddetto “movimento del 77” incoraggiando la repressione, ma è altra cosa dire che il PCI istigò il terrorismo e la violenza di questi gruppi per rafforzare il proprio potere. Inoltre gli Autonomi e il “movimento del 77” erano anche piuttosto violentemente antiPCI e non si può escludere che, per questo motivo, siano stati strumentalizzati. Fra gli oltranzisti atlantici non serpeggiava la paura di un PCI antidemocratico, sovversivo o golpista, ma al contrario, che i comunisti prendessero il potere per vie legali e costituzionali. Questo concetto è stato ribadito dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Segretario di Stato dei Presidenti Nixon e Ford Henry Kissinger il quale fu tra i responsabili del golpe cileno che eliminò il socialista Allende, democraticamente eletto. La giornalista Patricia Verdugo attribuisce a Kissinger l’intenzione di destabilizzare il governo di Allende appoggiando l’estrema sinistra cilena. Ricordiamo poi le minacce rivolte a Washington da Kissinger a Moro per la politica di collaborazione con i comunisti. L’argomento pretestuoso di un probabile colpo di stato comunista serve solo a giustificare l’ingerenza americana e di gruppi di potere filoamericani e filoatlantici come la P2. In questo senso l’arrivo di 50 marines esperti di guerriglia urbana ed antiterrorismo in collegamento con l’Ambasciata USA a Roma (ricordiamo che l’USIS era collegato all’Ambasciata americana) potrebbe essere illuminante perché, ricordiamolo, in quel momento le BR e gli altri gruppi terroristici erano in grande difficoltà. Secondo Pecorelli questo nutrito gruppo di marines si sarebbe occupato della sicurezza dell’Ambasciata e delle multinazionali americane e avrebbe collaborato con i servizi di sicurezza italiani che, in quel periodo, stavano per essere egemonizzati dalla P2. Peraltro viene aggiunto che gli americani non consideravano i nostri servizi molto affidabili, forse per i conflitti e le lotte di potere interni anche allo schieramento italiano dell'”anticomunismo (si pensi alla rivalità Miceli – Maletti ma anche a quella fra SID e Ufficio Affari Riservati, fra carabinieri e polizia e a quelle che attraversavano la P2). La stessa P2 può forse essere considerato il tentativo di creare un collante “anticomunista” fra personaggi differenti fra loro. Comunque non è ben chiara la natura della collaborazione… Come abbiamo già visto, invece, membri delle forze speciali erano ancora attivi nel periodo del sequestro Moro. Hauser era in possesso di una falsa identità di terrorista tedesco nel verosimile tentativo di entrare in contatto con le BR. Stavano tentando di infiltrarsi nelle BR? E se la risposta è sì ci sono riusciti? E ancora quale era il vero scopo delle infiltrazioni? Neutralizzare i terroristi oppure fornire loro le capacità militari adeguate per portare avanti una linea di destabilizzazione a cui gli stessi americani erano interessati? In un certo senso queste domande sono già state poste, ma diventano sempre più urgenti… In genere le notizie riportate da Pecorelli provenienti da fonti dei servizi segreti si sono dimostrate altamente attendibili. Una cosa è certa: dal momento del presunto arrivo dei 50 – ben 50 ! – marines con funzioni di antiterrorismo e l’assassinio di Moro si registra, oltre all’escalation terroristica delle BR e di altri gruppi simili e, parallelamente, il punto più basso nell’opera repressiva dello stato senza che alcuna operazione di polizia di rilievo venga attuata. Sembra che i brigatisti vengano lasciati indisturbati e che ciò danneggi il PCI invece che favorirlo è dimostrato dalla flessione che il partito registra alle elezioni del 1979. D’altronde era un’idea di Kissinger quella di utilizzare l’estrema sinistra per screditare la sinistra, almeno secondo la Verdugo.

Registriamo, quindi, alcuni fatti che, per la loro concomitanza possono essere considerati inquietanti. Vediamoli:

1) L’arrivo e l’attività in Italia di un nutrito gruppo di membri delle forze speciali americ
ane in presunte funzioni di antiterrorismo.

2) L’intensificazione del reclutamento di elementi nella P2 in corrispondenza con l’estensione del Piano di Rinascita Democratico che prevede l’infiltrazione nelle istituzioni per stravolgere il dettato costituzionale e la progressiva egemonia dei piduisti nei servizi segreti e nelle forze di sicurezza soprattutto con la riforma del 1977.

3) Il ridimensionamento di quegli uomini che più avevano contribuito a portare colpi al terrorismo italiano: il generale dei carabinieri Dalla Chiesa a capo dei Nuclei Antiterrorismo che avevano messo a segno duri colpi contro le BR e il questore Santillo dell’Ispettorato Antiterrorismo che aveva smantellato i NAP e le organizzazioni del terrorismo neofascista. Peraltro Santillo aveva scritto alcuni rapporti che dimostravano i rapporti fra il Raggruppamento Gelli e il terrorismo “nero” e, durante il sequestro Moro avanzerà l’ipotesi di un coinvolgimento dello stesso Gelli.

4) Il cambio della strategia delle BR con la gestione Moretti all’insegna di un’escalation terroristica in concomitanza con l’apertura della scuola di lingue parigina Hyperion.

La cosa curiosa è che Moro era a conoscenze di infiltrazioni di americani (e israeliani) nelle BR e, per questo, era preoccupato…

L’11 giugno 2005, durante il Convegno “16 marzo – 9 maggio 1978, Operazione Moro” organizzato dalla Fondazione Sandro Pertini e dalla sezione di Trevignano dei DS, Giovanni Galloni, già dirigente democristiano e collaboratore di Moro fece delle importanti rivelazioni. Innanzitutto ribadì come vi fosse animosità da parte del solito Kissinger nei confronti di Moro per la linea di collaborazione con i comunisti, ma anche da parte del Primo Ministro israeliano Rabin per la politica filoaraba dello statista democristiano,poi fece un accostamento, un paragone fra il caso di Abu Omar e quello di Moro. Come è noto Abu Omar, sospetto reclutatore di terroristi islamisti, fu rapito da un “commando” della CIA per essere portato nella base americana di Aviano e, da qui, attraverso i voli segreti della CIA, in Egitto per essere “interrogato”. Il tutto avvenne, o con l’inerzia, o con la complicità del SISMI italiano diretto da Pollari. Ricordando come vi siano delle buone probabilità che, sia Hauser/Lausen, sia Stark fossero stati “esfiltrati” attraverso voli segreti forse della CIA partiti dalla base americana vicino a Pisa, c’è qualche motivo di prestare attenzione alle parole di Galloni, il quale lascerebbe intendere che l’operazione Moro è stata anche un‘operazione americana (oltre che israeliana). Secondo l’ex democristiano due settimane prima della strage di via Fani Moro gli aveva espresso delle preoccupazioni che riportò con le seguenti parole: “La cosa di cui sono molto preoccupato è questa : io so che i servizi segreti americano ed israeliano hanno degli infiltrati nelle Brigate Rosse, però questi servizi non ci hanno mai fatto comunicazione ai nostri servizi e allo Stato, perché certamente le loro indicazioni potrebbero essere utili per la ricerca dei covi.” Tralasciando il riferimento ai servizi segreti israeliani che potrebbe far intendere anche una collaborazione con gli americani ma di cui non ci stiamo occupando, risulta chiaro che l’infiltrazione americana nelle BR era cosa nota ed era nota perfino a Moro ed il fatto che i servizi segreti americani fossero scarsamente collaborativi con i nostri servizi costituiva grave motivo di preoccupazione. Come abbiamo visto dall’articolo di Pecorelli erano giunti uomini delle forze speciali americane esperti nell’antiterrorismo per collaborare con i servizi segreti italiani. Gli infiltrati a cui si riferisce Moro fanno parte del gruppo dei 50 marines indicati da Pecorelli? Ovviamente non ci sono elementi certi per dirlo, ma, considerati i dati raccolti, ciò viene lasciato supporre. Per lungo tempo si è pensato che l’unico uomo infiltrato dagli americani nelle BR fosse stato Ronald Stark di cui abbiamo a lungo trattato, ma la frase di Moro lascia intendere che gli infiltrati fossero più di uno. Inoltre Stark era riuscito a contattare la vecchia guardia brigatista in carcere per cui è veramente difficile pensare che potesse dare un contributo sostanziale alla scoperta dei covi delle nuove BR morettiane. E’ certo più ragionevole pensare che vi fossero stati infiltrati nelle nuove BR… Ma la vicenda di Hauser/ Lahusen sembra, invece, incastrarsi perfettamente con gli elementi raccolti, infatti si tratta di un membro delle forze speciali americane, pluridecorato e, quindi, esperto nelle azioni da “commando”. Non può non far pensare al riferimento dei 50 marines “antiterrorismo” di cui aveva scritto Pecorelli, inoltre era in possesso di una falsa identità da terrorista tedesco e, come abbiamo visto, era prassi dei servizi segreti infiltrarsi nei gruppi terroristici dell’ultrasinistra sfruttando la reputazione di terrorista straniero per cui non è irragionevole pensare che si sia infiltrato nelle BR oppure che abbia tentato un approccio in tal senso e questo proprio nel periodo a ridosso dei 55 giorni più bui della nostra Repubblica. Lo stesso discorso si può fare per il fantomatico David Berretto Verde e marine sempre che, il documento citato presenti una certa sua “nascosta” attendibilità… [SEGUE NEI COMMENTI]

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