Stato fabiano e mercato ordoliberista: sono veramente antitetici?

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Di Paolo Genta, sovranitapopolare.org

Il ventesimo è stato il secolo delle grandi contrapposizioni ideologiche e ci ha addestrati tutti alla divisione, alla competizione e ad un dualismo spietato, che ha colonizzato le nostre coscienze. Persino quando, dopo il 1989, la santa madre Russia sovietica è caduta in mano al Deep State americano, con la demolizione controllata dell’apparato statale-militare e la sfrenata corsa alla privatizzazione selvaggia sotto la presidenza Eltsin, i grandi poteri finanziari globalisti non hanno mancato di mantenere le menti ben dentro una visione del mondo di tipo tennistico, lacerata tra sinistre e destre, tra sovranismi e monetarismi, tra sindacalismo (in ginocchio) e proprietà industriale (in disarmo delocalizzante).

Insomma, il Novecento è stato il momento parossistico di un meccanismo diabolico di divisione e di polarizzazioni che, come mai prima, ha recintato le masse nel più maestoso gioco di specchi della storia dell’Uomo. Un labirinto che è stato capace, nel corso delle generazioni, di programmarci fin dalla nascita, predisponendoci, paradossalmente, ad un solo ed unico concetto ontologico: l’inevitabilità della diade, degli opposti, della trincea. Il ventunesimo secolo, pur gradualmente, ci offre però segnali decisivi di un cambiamento di rotta: sempre più persone stanno comprendendo il gioco mortale di un illusionismo tanto potente quanto banale e maldestro. Non è vero che il potere è diabolicamente geniale (è già, questo, un contenuto appositamente introiettato in noi).

Questa élite mondiale, analogamente a quella sovietica del secolo scorso, giace essa stessa prigioniera di vecchi modelli e coazioni a ripetere: il suo gioco, considerato sempre vincente per debolezza di un avversario creduto inconsapevole ad oltranza, è fatto di stragismo, eliminazione fisica dell’opposizione, corruzione, manipolazione mediatica, occupazione dei gangli nervosi della società, geoingegneria come arma di guerra, uso di conflitti per interposta nazione, scatole cinesi di holding e corporation, ricatto, minacce, monopolio della medicina e della scienza e di innumerevoli altre delicate iniziative filantropiche, escogitate da vari dottori Stranamore e psicopatici nazisti, per la felicità ed il benessere del mondo. Ma ora le cose stanno, appunto, cambiando: il Web, lo stesso strumento militare di controllo sociale, sta da tempo sfuggendo di mano ai grandi controllori. Le informazioni corrono più veloci della censura, impossibili da eliminare totalmente, invisibili solo a chi, acefalo e soggiogato, non cerca neppure di comprendere, per dipendenza dal Mainstream totalitario.

E allora appaiono saggi di inchiesta e ricostruzione (che solo chi legge consapevolmente può comprendere), articoli su importanti blog di analisi geopolitica, post ed interviste garantiti da un valido e credibile giornalismo di inchiesta di specchiata motivazione etica (pensiamo a Giulietto Chiesa, buonanima), conferenze pubbliche online, dibattiti su nuovi canali web, notiziari di informazione critica, testimonianze di giornalismo indipendente “sul posto”. Insomma, il lago del pensiero critico sta diventando un mare e, magari, prossimamente un intero oceano, con buona pace del razzismo mondialista, ora affannato, disorientato e sempre più violento (perché il giocattolo ideologico e finanziario sta fin troppo velocemente andando in frantumi).

Ma veniamo al punto e offriamo un veloce esempio di “disclosure” di questo dualismo manipolante, che oggi sappiamo essere niente di meno che un artefatto del potere, architettato per mantenere le menti nella convinzione di stare da una parte o dall’altra, incapaci di comprendere la reale origine comune di certe contrapposizioni.

Osserviamo il carattere, solo apparentemente eterogeneo e contradittorio, di Neoliberismo e Socialismo fabiano: sono i due volti di una finta opposizione che, per alcuni con grande sconcerto, si rivelano essere le due ali di una napoleonica “manovra a tenaglia”, atta a mantenere l’illusionistica costruzione di una democratica differenza di visioni del mondo, tra cui, come “cittadino” poter scegliere e con cui schierarsi, nella più perfetta convinzione di vivere in un mondo, tutto sommato, di opzioni e di legittimi schieramenti. Ma non è così. Il ragionamento è questo: la spietatezza individualista del Neoliberismo, che ormai la saggistica divulgativa ci ha ampiamente descritto, ha la caratteristica di esaltare il monopolio dei pochi sui molti attraverso ben note costanti: liberazione delle risorse imprenditoriali individuali in nome dell’integrità del diritto di proprietà, libero mercato e sfruttamento ad oltranza in un mondo di opportunità economiche “infinite” e di beni e risorse “illimitati”, creazione di idonee strutture istituzionali (giuridiche, militari, finanziarie, mediatiche, scientifiche) fortemente basate sulla proprietà privata o sulla fusione pubblico-privato, garanzia scientifica e imposta (a forza) di enti, fondazioni, club, forum, società, organizzazioni benefiche o non governative, istituti di credito e prestito internazionale, atti a perpetrare la convinzione che le decisioni dall’alto siano obiettive, scientifiche e, soprattutto, inevitabili (“There is no alternative”, “Whatever it takes”…e simili), deregolamentazione selvaggia dei contratti, umiliazione e vassallaggio delle rappresentanze sindacali, compressione spazio-temporale delle transazioni in tempo reale, creazione di aree di mercato là dove il mercato non solo non esisteva, ma non dovrebbe esistere (amministrazione del territorio, risorse idriche, istruzione, sanità, sicurezza sociale, ambiente). E abbiamo citato solo alcuni aspetti.

E’ decisivo, però, ricordare il ruolo dello Stato, in quanto apparentemente antitetico al programma di Welfare State del tanto acclamato socialismo fabiano, nato, notoriamente, nel 1884. Lo Stato neoliberista deve mettersi da parte, garantendo solamente l’integrità del denaro, la difesa militare degli interessi produttivi e della proprietà, quindi le funzioni poliziesche, difensive, repressive e giuridiche (per lo più internazionali, come nello stile rapace di una finanza senza confini). Questi i compiti dello Stato, fondamentalmente reputato, dunque, del tutto ignorante in materia economica, per mancanza di adeguate e sofisticate informazioni sui mercati (che la lenta burocrazia statale non sarebbe in grado di comprendere) e, paradossalmente, a causa di presunti gruppi di interesse che, al suo interno, interverrebbero per deviare il corretto corso della vita economica dei mercati. La democrazia non è adatta a questo scopo (privatizzare, silenziosamente, lo Stato) e va, quindi, delegittimata e diffamata con opportuna opera intellettuale di discredito (come in “The Crisis of Democracy” del 1975) a colpi di premi Nobel dell’Economia (Friedrich von Hayek e Milton Friedman, sono solo i più noti). Ma, chiediamoci, una volta privatizzato lo Stato, una mentalità statalista e centralista come quella fabiana, così apparentemente diversa dal Neoliberismo antistatalista, non si rivela forse perfettamente funzionale al programmato monopolio dello stesso Stato neoliberista, dove individui lobotomizzati da reti neurali digitali non conteranno più nulla, in quanto eterodiretti dallo stritolante meccanismo proprio di una nuova forma di autocrazia totalitaria dello Stato? E proprio qui che si attua il doppio attacco al mondo, da due sponde “opposte”. Lo Stato fabiano è l’esaltazione di un socialismo mondiale, di natura collettivistica, guidato da una ristretta aristocrazia che si autoproclama come portatrice “responsabile” del fardello di una progettazione sociale globale. Il gradualismo (già a cominciare dalla nascita delle Trade Unions nel primo Novecento), ha ucciso il sindacalismo di opposizione, riducendolo a quella “concertazione” che il neoliberismo ha poi introdotto nei nostri anni Ottanta. Il concetto di una conquista per tappe, della libertà e del progresso sociale (nel modello del Welfare inglese) attraverso una identificazione dell’individuo nel vago concetto di collettività e condivisione, è identico alle varie finestre di Overton che i neoliberisti hanno usato per introdurre le scriteriate e visionarie modificazioni transumane delle masse, in nome dell’interesse collettivo. Lo Stalinismo, nella prospettiva fabiana, con i suoi piani quinquennali e il suo dirigismo collettivista, è il modello privilegiato di una società “giusta”, come nelle stesse parole di uno dei fondatori, George Bernard Shaw. La limitazione fabiana alla proprietà privata si rivela oggi funzionale all’attuale sottrazione criminale della proprietà agli individui (non certo alle élite), attraverso legislazioni comunitarie liberticide sulla casa, sull’alimentazione, sul conto corrente, sul pensiero, che il neoliberismo ultra-finanziario organizza “gradualmente” da tempo. Insomma, si capisce che vi è una totale e strumentale convergenza di obiettivi, pur partendo da presupposti diversi, anzi opposti. Da un lato il pensiero fabiano si identifica nella costruzione di una società collettivista e anti-individualista: esso, cioè, si è occupato di installare nella mente delle persone la positività (quasi hegeliana) di una religione dello Stato, contrabbandato come protettore e fiduciario dell’individuo, che ad esso, infantilmente, si abbandona tramite il voto e la rappresentanza. Dall’altro, chi sia in grado di privatizzarlo, questo Stato, come nel progetto neoliberista, in atto dagli anni Settanta, lo sta trasformando da buon regolatore e controllore del mercato (come nel nostro modello italiano delle società parastatali, poi svendute e smembrate negli anni Novanta) a mero strumento di controllo sociale per conto terzi, per arrivare esattamente a quel tipo si Stato nel quale il socialismo fabiano si riconosceva. Ma la “smoking gun”, la prova finale, di questa alleanza sotterranea tra falsi nemici, che ha percorso tutto il Novecento, sta nelle radici comuni a entrambe le ideologie: esse sono eredi del neo-malthusianesimo, della visione eugenetica del mondo, dell’idea della necessità di una guida elitaria, auto-dichiarata, incredibilmente, come la più consapevole e specializzata, unica eleggibile, per mezzi, visione ed etica.

I campioni di questa finta contrapposizione si possono individuare, tanto incredibilmente quanto ormai palesemente, nelle figure di John Maynard Keynes, il punto di riferimento della sovranità monetaria dello Stato regolatore, e del suo, a denti stretti, “stimato” avversario Friedrich von Hayek, ideologo del monetarismo e dell’antistatalismo neoliberista. A questa finta opposizione varrà la pena, prossimamente, di dedicare maggiore attenzione. Per chi volesse entrare direttamente nella comprensione di questi sottili equilibri, ormai emergenti, basterà consultare le pregevoli opere di Davide Rossi (“La Fabian Society e la Pandemia” Arianna, 2021), di David Harvey (“Breve Storia del Neoliberismo”, il Saggiatore, 2005) e di Nicholas Wapshott (Keynes o Hayek – Lo scontro che ha definito l’economia moderna”, Feltrinelli, 2011)

Di Paolo Genta, sovranitapopolare.org

Fonte:

https://www.sovranitapopolare.org/2023/05/24/fabian-society/

 

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