DI G.P.
Ripensare Marx
Nell’affare ITALTEL-STET-IRI-SIEMENS Prodi non c’entra nulla, ancora una volta sapeva ma non sapeva, o meglio “strategicamente” sapeva, “dettagliatamente” non sapeva. Lo difende così il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Franco Levi. Secondo il sottosegretario è vero che l’Iri era la controllante della Stet (e di conseguenza anche dell’Italtel) ma, dopo la trasformazione dell’Iri in SpA, a quest’ultima spettava solo una informativa su quanto Stet realizzava e portava a compimento. Formalmente le cose potrebbero essere andate così, ma solo formalmente. Nessuna persona dotata di un minimo d’intelligenza può credere che il Presidente dell’Iri, che allora era Romano Prodi, fosse ignaro dei vari passaggi che stavano portando la Siemens all’assalto dell’impresa italiana. Per di più, ci sono troppi particolari che smentiscono la versione ufficiale del Governo. Innanzitutto, le lettere del Presidente di Siemens von Pierer a Romano Prodi. In secondo luogo, il ruolo della banca d’affari americana Goldman Sachs per la quale l’attuale presidente del Consiglio era senior advisor. Di fatti, proprio la Goldman Sachs, in alcune lettere indirizzate al capo di Siemens, fa notare di avere l’uomo giusto per portare in porto l’acquisizione dell’Italtel, tanto da convincere von Pierer a scaricare gli esperti di Schroeders per affidarsi alla merchant bank americana. Passano appena tre mesi (siamo al 3 febbraio 1993) e Prodi viene nominato presidente dell’Iri, lasciando l’incarico in Goldman Sachs dove percepiva tra i 40 e i 50 milioni al mese. Dopo sei mesi l’affare è praticamente concluso così che von Pierer può invitare Prodi a Monaco, probabilmente per ringraziarlo dei servigi resi. A questo punto sarebbe davvero difficile smentire i rapporti trilaterali tra Prodi, von Pierer e la Goldman Sachs. Ci sono le lettere, i files confidenziali (tra i quali l’ormai famoso Prodi-Tononi.doc) sequestrati sui computers Goldman, e gli effettivi incontri tra i vari soggetti coinvolti che non lascerebbero spazio ad altri dubbi. Tuttavia, svelato (in parte) l’intreccio trilaterale di conoscenze e di favori reciproci, ciò che più interessa la magistratura di Bolzano, quella che ha attivato le indagini, è capire la destinazione del flusso di denaro smistato da Siemens durante e dopo la conclusione dell’affare. In primis un bonifico di 10 milioni di euro che, come rivela il Giornale del 9 maggio, uscendo dai fondi neri Siemens ha preso la strada di Goldman Sachs. Questi fondi saranno poi cambiati in yen sul mercato di Londra per essere trasferiti a Tokio, facendo una prima tappa a Francoforte. Si tratta di una cifra minima rispetto all’ammontare complessivo dei “dazi” pagati dalla Siemens per vincere appalti in tutta Europa e nel mondo. Due dei principali manager dell’azienda tedesca, Wolfgang Ernst Keil Von Jagemann e Herbert Reinhard Siekaczek, che ora collaborano con la giustizia, sostengono che le tangenti pagate dal colosso di Monaco oscillarono, in totale, tra i 690 e i 900 milioni di euro. Spetterà ai magistrati accertare quanta parte di questi soldi è finita nelle tasche di chi ha gestito la vicenda Siemens-Italtel perché, pare, che il tutto non si riduca ai 10 milioni di euro di cui sopra.
Insomma, diciamo che Prodi dimostra, ancora una volta, di essere l’uomo più adatto a varare una legge sul conflitto d’interessi. Se Berlusconi si faceva leggi ad personam Prodi, da par suo, cerca di fare approvare leggi “contra personam”, al fine di distogliere l’attenzione dalle proprie malversazioni e da quelle della signora Flavia.
G.P.
Fonte: http://ripensaremarx.splinder.com/
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18.05.2007