RICORDANDO PINELLI

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DI GIANFRANCO LA GRASSA
Ripensare Marx

Il 15 dicembre 1969 l’anarchico Giuseppe Pinelli cadde dalla finestra della Questura di Milano e morì circa due ore dopo. Ricordandolo, anche a nome e per conto dell’intero blog, non è mia intenzione rinfocolare le polemiche e i sospetti – giustificate le une e gli altri – di quegli anni ormai lontani. Richiamo alla memoria solo pochi fatti, non soggetti ad ipotesi ed illazioni, che credo ormai incisi nella memoria di coloro che non sopportano lo spirito di prevaricazione e l’ipocrisia dei dominanti. Pinelli fu arrestato immediatamente dopo la strage di Piazza Fontana (venerdì 12 dicembre), in seguito alla montatura costruita attorno a quell’episodio contro Valpreda e altri anarchici.

A quell’epoca, il fermo di polizia era di 48 ore, dopo di che si doveva o essere liberati o essere in prigione. Pinelli era ancora in Questura oltre il limite legalmente consentito. La prima versione ufficiale fu: suicidio. Si riferì anche una sua frase che poteva far pensare alla scelta di togliersi la vita perché ormai scoperto. Poiché dopo un bel po’ di tempo (e di galera) – e solo perché a quell’epoca funzionava piuttosto bene la controinformazione – Valpreda e gli anarchici vennero totalmente sollevati da ogni sospetto per il suddetto attentato, la versione ufficiale di suicidio (con presunta frase rivelatrice di colpevolezza) risultò essere puramente infamante nei confronti dell’innocente Pinelli. Vi fu un’inchiesta, poi un processo che terminò (nel 1975) con la nuova versione del “malore attivo”. A causa dello stress – dovuto comunque alla lunghezza e pesantezza dell’interrogatorio – l’anarchico si sarebbe sentito male e, invece di accasciarsi al suolo, avrebbe spiccato un “involontario balzo” fuori dalla finestra (???).

Comunque, come ho sopra detto, intendo qui soltanto ricordare Pinelli, perché in questi ultimi anni altri personaggi, implicati in quella vicenda, sono stati diffusamente nominati, incensati, elevati ad eroi e perfino a martiri; del povero Pinelli non ho sentito una parola (spero solo che mi sia sfuggita, e che invece ne siano state pronunciate molte). Non lo tratto da eroe né da martire poiché, come diceva Brecht, “povero quel popolo che ha bisogno di eroi”. E poi avverto nausea appena odo le ridondanti commemorazioni di questo o di quello, sia da destra che da sinistra, debordanti melassa ipocrita e un gigantesco cattivo gusto, unito a fiumi di stupidità. Desidero semplicemente esprimere riconoscenza verso un uomo semplice e comune, simile agli altri, che tuttavia non aveva simpatia per i potenti, che protestava di fronte alle ingiustizie e all’oppressione. Per questo, senza tanta retorica, lo voglio ricordare e indicare comunque quale paradigma della migliore umanità, quella che non accetta prepotenze e sopraffazioni: né su di sé né sui propri simili.

Con involontaria vena profetica, Pinelli predispose che, alla sua morte, venissero incisi sulla sua lapide i versi di una stupenda poesia tratta da Spoon River di Edgar Lee Masters, che parla dell’uccisione degli anarchici [l’11 dicembre 1887 quattro dei cinque condannati a morte (il quinto si suicidò in cella il giorno precedente l’esecuzione) furono impiccati e morirono soffocando lentamente] ingiustamente accusati dell’eccidio di Haymarket Square (a Chicago) il 4 maggio 1886 [il primo maggio (divenuto poi la Festa dei Lavoratori, in ricordo di quel giorno) fu iniziato uno sciopero per chiedere la giornata lavorativa di “sole” otto ore. Il 3 maggio, di fronte alla fabbrica di mietitrici McCormick, la polizia sparò sugli scioperanti uccidendone due e ferendone molti. Fu quindi indetta una manifestazione ad Haymarket Square il giorno dopo. Tutto sembrava più che tranquillo, quando la polizia intimò di sgombrare e iniziò a marciare a ranghi serrati per attuare l’ordine. Partì un ordigno, il cui lancio non fu possibile ascrivere a nessuno in particolare, che uccise 11 persone più un poliziotto; altri sette, rimasti feriti, morirono nei giorni successivi. Da qui l’indegno e puramente persecutorio processo agli organizzatori della manifestazione, le varie condanne a morte (più pene detentive) pronunciate, ecc.].

E’ una poesia che va dedicata a tutti gli uomini come quelli di Chicago, come Pinelli, come chiunque si senta rivoltare lo stomaco di fronte ad una società simile alla nostra, in cui – cito solo un esempio, non rilevante, ma è il più recente che mi abbia fatto toccare con mano quanta meschinità e bassezza d’animo esista in questa società – ancora centinaia di misere persone imbecilli vanno ad applaudire i vip, che entrano alla “prima” della Scala con agghiaccianti sorrisi stampati sui volti, simili a “maschere di cera” testimoni indifferenti di grandi e piccoli misfatti. Gli sciocchi, fuori al freddo da ore, applaudono i loro oppressori, quelli che li stanno facendo regredire sia economicamente che come cervello.

A Pinelli e a tutti quelli che combattono i potenti, gli oppressori, i “grandi personaggi” (politici, militari, della stampa e dello spettacolo, finanzieri, ecc.), sono dedicati questi versi, la cui lettura non può non commuovere chi resta al di qua della linea di demarcazione tra senso di umanità e il più sconfinato e arido deserto dei sentimenti.

Epitaffio di Carl Hamblin

La macchina del “Clarion” di Spoon River venne distrutta,

e io incatramato e impiumato,

per aver pubblicato questo, il giorno che gli anarchici furono impiccati a Chicago:

“Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati

ritta sui gradini di un tempio marmoreo.

Una gran folla le passava dinanzi,

alzando al suo volto il volto implorante.

Nella sinistra impugnava una spada.

Brandiva questa spada,

colpendo ora un bimbo, ora un operaio,

ora una donna che tentava ritrarsi, ora un folle.

Nella destra teneva una bilancia;

nella bilancia venivano gettate monete d’oro

da coloro che schivavano i colpi di spada.

Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto:

‘Non guarda in faccia a nessuno’.

Poi un giovane col berretto rosso

balzò al suo fianco e le strappò la benda.

Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose

sulle palpebre marce;

le pupille bruciate da un muco latteo;

la follia di un’anima morente

le era scritta sul volto.

Ma la folla vide perché portava la benda”.

Un grazie a Pinelli e a tutti quelli come lui, morti (non per loro scelta) con la speranza di cambiare questo “porco mondo”. Noi ce ne ricorderemo e trasmetteremo la loro memoria per quanto è nelle nostre possibilità.

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