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QUI SOSPESE: LE MENTI. ANIME NEL TERRORE. I CORPI DIMENTICATI E IL REALE POTERE SU DI ESSI

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A cura di Redazione CDC
Il 8 Agosto 2023
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Di Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org

Mi capita sottomano un’antica, non vecchia, stampa a firma Giovanni Berlinguer “Psichiatria e Potere. Le malattie mentali e la manipolazione dell’uomo. I rapporti fra contestazione psichiatrica e movimento operaio. 1969“.

Un libro di quelli difficili da trovare, una lucida disamina dei fattori d’incidenza sociopolitici che fondano il malessere generale della società, condizione perpetua alla quale siamo chiamati a ribellarci ogni giorno e che trova i suoi resoconti nelle psicopatie indotte, più o meno consapevoli, che permeano la nostra esistenza post-guerre mondiali novecentesche.

Un libro del 1969, perciò precedente alla presa di coscienza inevitabile alla quale siamo stati, purtroppo lentamente, abituati, nello stillicidio di informazioni ed imposizioni, e che oggi è palesata nelle considerazioni storiche del “senno di poi” e nell’assurda, bellicista, antiumana violenza afona, pane a pena del nostro quotidiano, che il Potere, o i Poteri, si arrogano il diritto di sbatterci in faccia con la stessa scioltezza con cui Mastrota rifilava le pentole sul tramontare degli anni ’90: Sua Maestà, la digitalizzazione.

1969, data di un tempo antico, non vecchio, precedente all’incombenza digitale, oggi rilievo attraverso cui spiegare le forme esatte di ogni distorsione della nostra natura umana: dalla subliminale somministrazione di pseudoidee, fino a giungere all’iniezione coatta di codici identificativi. L’umana natura ridicolizzata, sintetizzata entro i confini della matematica, ai suoi millenari albori, scienza indispensabile alla mente, matrice della ricerca che si compie, sottratta al suo naturale ruolo alfabetico, cessa di spiegare la frazione razionale dell’esistenza, come si converrebbe: da significante a significato: da strumento a melodia. Una condizione umana resa grossolana dalla sua numerizzazione (si può dire?), ridotta, gioco di umana volontà di chi detiene la delega, prescindendo dagli scopi, e dalle riflessioni su di essi, partendo dall’abstract per stendere il paper: il fine non giustifica i mezzi, bensì peggio, i mezzi traghettano ad una fine.

Ecco, in questo modo, il tormento degli input (sempre più violenti), scaraventati contro il cristallo delle nostre menti, che lo infrangono intimamente, seviziando la purezza della psiche e lasciando che questa – come un fiore colto dal suo arbusto – rimanga disarcionata dai suoi canali naturali di nutrimento ed in preda al terrore del Sé.

A cura di un errore del modus, arriva la psichiatria, in accordo alla psicologia, a produrre distorsioni nuove, senza scalfire il problema di base. Giunge nel capillare tessuto vivo della sperimentale ingegneria sociale, su sfondo transumanista. Entra, senza indugio, impedendo lo sviluppo delle coscienze e la loro guarigione, imponendosi forzosamente sulle dinamiche sociali e culturali, promuovendo uno sterile sviluppo e bloccando l’organicità della vera evoluzione umana.

Sfumano i confini tra normalità ed anormalità, si adegua il consono ad un dato modo, rispetto alla convenienza del momento, che non tiene conto delle esigenze della società, né dei singoli, ma aderisce all’interesse del Potere.

Quanto più aumenta l’oppressione, tanto più cresce una certa consapevolezza” (scriveva G. Berlinguer nel 1969).

Quanto più aumenta l’oppressione, tanto più questa viene mascherata e propinata in salse autorevoli (e autoritarie nei casi più resistenti), sempre celandone i reali moventi ad impedire ribellioni e dissenso, lasciando al tempo l’opera di diluire ciò che germoglia faticosamente nelle coscienze illese, nelle anime salve, disperdendone il seme (scrivo io oggi).

Non me ne voglia il lettore, ma la situazione esige prontezza, efficacia, forza. Non abbiamo tempo da perdere.

Nulla è più incerto, in sostanza, della definizione di malattia mentale: tanto che ha avuto una certa fortuna un libro di Thomas Szasz (Il mito della malattia mentale, 1966) in cui si mette in dubbio la sua esistenza. Vi sarebbero, è vero, alcune malattie del cervello, vere lesioni organiche delle cellule nervose. Ma in tutti gli altri casi, si tratterebbe di atteggiamenti dell’individuo, privi di substrato biologico, giudicati dagli altri in base a criteri etici e psicosociali, e vissuti dal soggetto con un suo linguaggio, il solo al quale ‘il solitario, il reietto, il povero e il non istruito possono far ricorso, nella speranza di ottenere quel che non sono riusciti ad ottenere per altre vie’, e cioè ‘la loro porzione di amore umano’.

 Psichiatria e Potere, G. Berlinguer, 1969

È evidente che in queste parole si voglia indicare come la condizione psichica di un individuo è soggetta ad interpretazione, escludendo i casi di anomalie oggettive degli organi del sistema nervoso. Un mero punto di vista, a sua volta risultato della combinazione di inevitabili caratteristiche mentali dello specialista, unite alle sue convinzioni etico-morali che, in ultima istanza, si fondono al dato pseudoscientifico ufficiale indottrinante. Una scienza esatta.

Come Foucault analizza i sistemi di punizione e sorveglianza nella loro evoluzione storica che, via via affinandosi, perdono in effetto scenico acquistando in efficacia profonda ed inconscia nei puniti, così Berlinguer spiega come i diversi modi di rendere un uomo schiavo di altri uomini producano diversi tipi di danno. Uno sfruttamento primitivo mette in causa le funzioni di base, cioè la sopravvivenza biologica, mentre ciò che accade nelle fabbriche, in cui una mansione alienante è il metodo di ricerca della sopravvivenza, produce un duplice insuccesso alla sua salute: riduce la sua integrità fisica, la degrada lentamente, allontanandolo dall’obbiettivo di partenza (la sopravvivenza, che lo aveva portato ad accettare quel lavoro), ma soprattutto disintegra la sua salute psicofisica, agendo direttamente sulla sua essenza umana. Questo punto merita una riflessione in più:

[…] Molti dei procedimenti disciplinari esistevano da lungo tempo – nei conventi, negli eserciti, nelle manifatture anche. Ma le discipline divennero nel corso del secolo XVII e XVIII formule generali di dominazione. Diverse dalle schiavitù poiché non si fondano su un rapporto di appropriazione dei corpi; è la stessa eleganza della disciplina a dispensarla da quel rapporto costoso e violento, ottenendo effetti di utilità almeno altrettanto grandi. Diverse anche dalla domesticità, che è un rapporto di dominazione costante, globale, massiccio [massivo ndr], non analitico, illimitato e stabilito sotto la forma della volontà singola del padrone, del suo “capriccio”. Diverse dal vassallaggio che è un rapporto di sottomissione altamente codificato, ma lontano, e che verte meno sulle operazioni del corpo che non sui prodotti del lavoro e sugli emblemi rituali della sottomissione. Diverse anche dall’ascetismo e dalle “discipline” di tipo monastico, che hanno la funzione di assicurare delle rinunce piuttosto che delle maggiorazioni di utilità e che, se implicano l’obbedienza ad altri, hanno come fine principale un aumento della signoria di ogni individuo sul proprio corpo. Il momento storico delle discipline, è il momento in cui nasce un’arte del corpo umano, che non mira solamente all’accrescersi delle sue abilità, e neppure all’appesantirsi della sua soggezione, ma alla formazione d’un rapporto che, nello stesso meccanismo, lo rende tanto più obbediente quanto più è utile, e inversamente. Prende allora forma una politica delle coercizioni che sono un lavoro sul corpo, una manipolazione calcolata dei suoi elementi, dei suoi gesti, dei suoi comportamenti. Il corpo umano entra in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone. Un’anatomia politica che è anche una meccanica del potere, va nascendo.

Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Michel Foucault, 1975

E che cosa succede se l’epoca è invece padroneggiata dall’ideologia liberal-capitalista che tutto move? Succede che ogni aspetto della vita dei malcapitati è strutturato-per ed incanalato-a la continua produzione di profitto, nella moltiplicazione dei capitali, la cui gestione è affidata a pochi centri privati, definiti prescelti per un qualche diritto di cui s’ignora contesto, giustificazione e natura (…).

Il tempo del lavoro, quanto il tempo libero, diventano le nuove prigioni, che nobilitano il tornaconto dei pochi colpevoli e lasciano a tutti gli altri l’ossigeno sufficiente a portare avanti, attraverso il sacrificio del corpo e l’annullamento dell’anima, il progetto di accumulazione di ricchezze materiali, in un inenarrabile delirio di onnipotenza.

Il valore è nell’espressione tangibile dell’anima, il corpo quindi non è una merce. Lo standard paragona la materia ad altra materia, e il capitale ne quantifica una forma di valore. Il valore del corpo, però, non risiede nella materia dell’omerico “soma” (corpo inanimato), nella pelle priva di “psyche” (soffio vitale), anche se è attraverso “soma” che “psyche” trova espressione e comunicazione, compimento di volontà, tangibilità dell’esistenza e dell’esistente.

‘Nessuna merce può riferirsi a se stessa come equivalente, né quindi può fare della sua propria pelle naturale l’espressione del suo proprio valore, ma necessariamente si deve riferire ad altra merce come equivalente, ossia deve fare della pelle naturale di un’altra merce la propria forma di valore’

da Il Capitale, K. Marx, 1867-1883

Perché tutto ciò possa adempiersi, senza rivolte, ribellioni o dissenso, bisogna manipolare le menti, agendo sulle anime che, senza il bisogno di obblighi esterni ai quali potersi contrapporre e con insita accondiscendenza, indurranno i corpi in cui sono incarnate, indirizzandoli nel preconcetto e previsto atteggiamento: desiderato sì, ma da altri.

Quando l’anima viene corrotta, per il Potere i giochi son fatti.

Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità.

Fedone, Platone

Platone vedeva nella liberazione dalla follia del corpo il raggiungimento dell’unica purezza dell’anima, che amava chiamare verità, ma cos’è allora il corpo? Non è forse la naturale conseguenza dell’anima? Perché il Potere lo umilierebbe continuamente, altrimenti?

Umberto Galimberti, che con misura lo si trova a parlare di anima, svariate decadi prima che consegnasse il suo pensiero all’indiscriminata, e assai discriminante, bieca accettazione del presente, giustificando persino le punture a mrna e condannando la libertà di scelta terapeutica, nel suo lavoro assiduo di asettica analisi degli eventi, scriveva del corpo:

[…] Se con la danza i corpi dei primitivi compongono simbolicamente l’ordine della natura con quello della cultura, col respiro accordano l’interno con l’esterno, lo spirito con la materia. Forse per questo la lingua greca con “pneuma” e quella ebraica con “ruah” impiegano la stessa parola per designare il respiro del corpo e il suo spirito. Che cos’è infatti un respiro se non la continuità di un corpo, il suo ritmo che, a seconda delle modificazioni, esprime quei sensi come la calma, l’ansia, l’eccitazione, la precipitazione, che non appartengono allo “spirito” o a quella sua moderna riedizione che è l’ “apparato psichico”, ma al corpo, dove il ritmo respiratorio, per il suo carattere espressivo, diventa un messaggio che si dà e si riceve, in quello scambio simbolico che ha nel corpo il suo mediatore. […] Ma per questo è necessario che il corpo non sia ancora codificato, cioè domato e ridotto a reagire semplicemente a dei segnali. Solo in questo caso, che è poi il caso dei primitivi e dei bambini, il corpo si trova a produrre quel linguaggio che nasce dall’utilizzazione di se stesso come sistema di segni per produrre significati, quasi una disincarnazione del corpo e una sua trasformazione in un primo materiale atto a significare […] quel significato fluttuante che è il corpo, chiamato a rappresentare l’universo, come modello da tutti condiviso e al tempo stesso polisemico.

[…] Quando cessa l’ambivalenza degli scambi, la loro eversibilità simbolica, le comunità primitive declinano, e al loro posto subentrano le società che noi conosciamo, dove più nulla si scambia, ma tutto si accumula, all’insegna di quel valore che trasforma lo “scambio simbolico” in “valore di scambio”. […] L’universo si spezza metafisicamente tra il cielo e la terra, tra lo spirito e la materia, l’anima e il corpo, dove il valore sta tutto da una parte e il disvalore dall’altra, non perché le cose stiano realmente così, ma perché il valore tende a far passare se stesso come la vera realtà, spingendo nell’irrealtà il polo da cui si è diviso.”

Il Corpo, U. Galimberti, 1983

Norbert Wiener in “Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani, 1966” compara la degradante condizione di un uomo relegato alla funzione meccanica di rematore, tanto quanto quella che l’operaio subisce nella segregazione alla sua mansione ripetitiva, alienante, che richieda “meno di un milionesimo delle sue facoltà mentali”, in fabbrica. Questo modo di ridurre l’esistenza a funzione, equivale alla comodità gestionale di chi amministra la società, che davanti alla libera espressione dell’essere nella sua interezza si troverebbe a perdere il controllo (quasi)assoluto che oggi detiene, l’arbitrarietà del corso degli eventi. Questo è il risultato dell’uso subumano degli uomini.

Nelle parole propositive di Giovanni Berlinguer:

Riconosciuto che esiste un’inconciliabilità tra il profitto e la salute, tra gli interessi padronali e la prevenzione, non vale più porsi la domanda disarmante: “che cosa permetterà il padrone?”. Vale invece l’esperienza delle parziali conquiste già ottenute in Italia, piegando numerosi padroni, vale l’esigenza di armare le classi lavoratrici con nuovi strumenti di conoscenza e di indagine scientifica, vale la possibilità di modificare in modo profondo i rapporti di potere agendo su tutto l’arco della vita sociale, compresa la tutela sanitaria.

Psichiatria e Potere, G. Berlinguer, 1969

Estendendo il discorso ai livelli di formazione culturale accademici, troviamo oggi la sempre più frastagliata specificità dei corsi di studio universitari, il rigore della settorialità della ricerca scientifica o, per fare un altro esempio, l’inesorabile scomparsa dei medici generici in favore del fiorente e rigoglioso parto di specialisti.

Sebbene a ragion veduta proposta come esigenza di natura umana e di ricerca, l’indottrinamento settoriale – se sterilmente assorbito e altrettanto praticato – porta ad una sempre più scarsa capacità di visione d’insieme, e questa, a sua volta, primeggia tra gli elementi lesivi della Libertà umana.

Ma come diavolo fanno?

Il Potere in passato era ciò che sfarzosamente si manifestava, e maggiore era lo sfarzo più vasto era il Potere, oggi il Potere si nasconde e nasconde le sue azioni, cambia loro i nomi, le connotazioni, e svela il suo esercizio in maniera infida, vile, modificando una frase quanto basta per farle assumere un significato opposto a quello che realmente è contenuto nell’intenzione. Il Potere che si relaziona al popolo da sfruttare si difende con i titoli, non con le armate, sfoggia gli eserciti solo quando deve rapportarsi ad altri Poteri per sopraffarli, siano essi attori geopolitici o manifestanti consapevoli, alle masse si vende finemente, muove fili che muovono altri fili e presenta uno spettacolo calibrato in base all’interlocutore che già conosce perfettamente.

Si serve della ricerca dello scienziato quanto delle braccia dell’operaio, censurando chi lo disturba, premiando chi lo asseconda. Il Potere si palesa nelle morti improvvise, nella carne sintetica, nel glifosato, negli ogm, nella maternità surrogata, nel cambio di sesso chirurgico sui minori, nei gravi danni all’apprendimento dei giovani e dei giovanissimi a seguito delle misure di confinamento, nel tasso di povertà in crescita, negli aiuti a Kiev, nelle carezze della Meloni a Biden e Zelensky, nella tratta degli africani verso l’Europa, nell’arresto di Julian Assange, nella fuga di Edward Snowden, nel volo di Stato proposto a Patrick Zaki, nei rigassificatori, nell’esplosione sui North Stream 1 e 2, nel fraking, nei biolaboratori, nelle esercitazioni Nato, nelle identità digitali, nella lotta al contante, nelle iridi scansionate.. .

Come cambia nome il Potere, cambiano nome le sue imposizioni, tra queste le punizioni. Non è più necessaria la frusta del padrone, è la stessa società a punirti, discriminandoti. La corruzione delle anime costituisce eserciti non assoldati, ma paganti, inconsapevoli, che vittime prime della devianza oggettiva, additano il diverso come “sbagliato”. Da qui si ottengono ossìmori quali l’adagio “io mi vaccino per gli altri”, e questo dovrebbe saperlo spiegare bene la psicologia.

Senza troppa resistenza, si vende il proprio tempo e la propria energia allo stesso prezzo dei propri bisogni essenziali, o anche di molto inferiore, ridotti all’obbligo dalla condizione del ceto, ovvero per sbarcare il lunario, ma anche per non sentirsi diversi (panoptismo distribuito: sorveglia il prossimo tuo come te stesso). La discriminazione minaccia il debole che la subisce, lo esorta ad omologarsi per paura di trovarsi ai margini e solo, ed allo stesso tempo allevia la frustrazione del debole che la compie, facendolo sentire bene nella sua omologazione. Per il Potere la discriminazione è una garanzia a doppio taglio.

Psichiatri, social workers e social organizers [statunitensi ndr] avvertono che questo nuovo indirizzo della psichiatria può essere per loro fonte di enorme potere, perché attraverso una tale rete di controllo, essi avranno presto in mano le redini del gioco sociale.

Il malato artificiale, Franco Basaglia, 1969

Questo non intende sminuire la professione di psichiatri e psicanalisti, sono parole di un addetto ai lavori, che intende aprire una spiraglio al senso critico e alla messa in discussione di ciò che dalla professione si aspetta il Potere, e una considerazione di ciò che la professione si prefigge eticamente. Infatti:

Il fatto di aprire le istituzioni psichiatriche in cui vengono celate le conseguenze sociali ed il costo umano dello sfruttamento psicofisico, di svelare dinanzi a tutta la società i conflitti che riusciva a mascherare, e di sollecitarne al tempo stesso il superamento effettuale (e non solo concettuale) ha una profonda portata innovatrice.

Psichiatria e Potere, G.Berlinguer, 1969

E TU SEI LIBERO?

Dopo una giornata di lavoro, torni a casa. Al tuo corpo hai chiesto l’impossibile, i clienti hanno sminuito il tuo impegno, nei figli trovi la tua angoscia per il loro futuro, vai in vacanza, rompi il coccio, spendi ogni risparmio in inutilità effimere, ti hanno dato le ferie. Libero di andare in ferie.

In-dipendente dai sussidi di Stato, spendi in bollette quello che non puoi spendere per curare i disturbi e le malattie che il lavoro ti ha procurato. In-dipendente dallo Stato, che dovresti essere tu. In-dipendente da loro.

Ho il weekend libero, vado a fare una gita. Libero di trovare nel sabato la sbronza settimanale, libero di passare il sabato davanti alla tv, libero di lavorare anche di sabato. Libero di non avere un lavoro e non conoscere più i giorni della settimana, libero di chiedere che giorno sia al passante, in ginocchio sul cemento sperare nella sua elemosina. Liberi di essere rastrellati.

Liberi di amare: sposate la persona sbagliata e capirete cosa ci resta dell’amore quando gli si attribuisce una firma su un documento. Liberi di sentenziare, come sto facendo io adesso. Liberi di connetterci al web, liberi di usare i nostri smartphone, liberi di riprenderci, pubblicarci, segnalarci, bloccarci, dimenticarci.

Liberi di iniettarci, scansionarci, ammalarci, biometricizzarci. Liberi di morire, da soli. Liberi di dormire. Liberi di leggere, di scrivere, di informarci, liberi di sapere, di essere al corrente di tutto ciò che ci occorre per conoscere. Liberi di sapere di sapere. Liberi di non sapersi nemmeno allacciare le scarpe. Liberi di combattere per il clima con i capelli ossigenati in fucsia. Liberi.

Liberi di pensare? Liberi di farci arrestare in mondovisione, nel silenzio del mondo, per aver avuto il coraggio di sputtanare gli abusi dei colpevoli. Liberi, per un’ora al giorno, di leggere qualcosa di utile, con i mezzi che il sistema usa per spiarci.

Liberi e liberisti. Liberi di eleggere, crocettare la scheda, organizzare il corteo, la manifestazione, il dibattito, la riunione. Liberi di parlare ad un microfono spento. Liberi di parlare. Liberi anche di partecipare, sì. Liberissimi. Quanto liberi siamo di avere un’opinione, due opinioni, cento opinioni, tutte dannatamente opinabili. Liberi di avere delle idee, liberi di non averle, liberi di esserne stanchi.

Liberi di dormire.

Liberi di coltivare, di sudare, di raccogliere. Liberi di essere sfollati per alluvione, per terremoto, per guerra. Liberi di essere in guerra, liberi di andare in guerra, liberi di pagare la guerra, liberi di essere contrari alla guerra, liberi di firmare, liberi di denunciare, di dissentire, di inorridire. Liberi di morire da soli, liberissimi.

Liberi di essere vivi. Liberi di essere vivi eppure morti, morti eppure vivi.

Liberi di tendere, pretendere, propendere alla pace. Liberi di morire in pace. Tenetevi la vostra libertà, ma non prendiamoci in giro. Liberi di ricamare ogni lenzuolo che copra i nostri defunti, di affrescare ogni parete che li accolga, siamo liberi di attendere che sia tardi per sbagliare, o troppo tardi per fare la cosa giusta.

Siamo liberi di affidarci al tempo, ma la fiducia, come il tempo, è strada bianca, senza senso di marcia. Liberi di servire, liberi di essere inutili, sostituibili. Liberi di essere utili, ma non indispensabili.

Liberi e soli.

Liberi sì, ma solo se consapevoli di non esserlo. Liberi sì, se uniti, ma non se ne vede un’alba.

Liberi, liberati.

Di Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org

08.08.2023

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