DI ROBERTO ORSI
vincitorievinti.com
Tre articoli firmati da autorevoli commentatori come Ambrose Evans-Pritchard, Roger Bootle (entrambi del Telegraph) e Wolfgang Münchau (Financial Times) sono recentemente apparsi sulla stampa finanziaria: tema comune, la situazione economica dell’Italia e l’instabilità del suo debito pubblico. Le argomentazioni e le parole usate in questi contributi sono da soppesare con cura, perché potrebbero essere il segnale di un graduale riposizionamento degli operatori di mercato e dei policy maker nei confronti del debito sovrano italiano e delle conseguenze della sua attuale traiettoria per l’Eurozona – e non solo.
Si tratta di un cambio di prospettiva che implica una prognosi tutt’altro che favorevole sulle possibilità di “guarigione” del nostro Paese. Nei tre scritti si solleva una domanda fondamentale: cosa succederebbe se l’economia italiana continuasse a ristagnare (o a contrarsi) anche nel 2015-16? Bootle osserva che “l’Italia è molto vicina a quella situazione che gli economisti chiamano ‘trappola del debito’, quando cioè l’indice di indebitamento comincia a crescere in modo esponenziale. Per sfuggire a questa trappola ci sono due possibilità: svalutare la moneta o fare default. Non disponendo di una valuta nazionale, l’Italia non può controllare la prima opzione: quindi, se non ci saranno cambiamenti realmente significativi in tempi brevi, il default sovrano diverrà lo scenario più probabile”.
Sul piano tecnico è obiettivamente difficile stabilire, per qualsiasi paese, una soglia massima oltre la quale il default diventa “matematicamente inevitabile”. Basti pensare al Giappone che, nonostante un rapporto debito/Pil al 230%, è ancora considerato un creditore solvibile. Nel caso dell’Italia, la mancanza di una moneta nazionale complica però le cose. Evans ritiene comunque che “il debito pubblico italiano raggiungerà un livello pericoloso il prossimo anno”. Pericoloso al punto che “potrebbe essere superato il punto di non ritorno”. L’articolo di Münchau è il più esplicito e allarmistico: “La posizione economica dell’Italia è insostenibile e sfocerà in un default a meno che non vi sia un’immediata e duratura inversione di tendenza sul piano economico”. E un default, naturalmente, “comprometterebbe il futuro del paese nell’Eurozona e l’esistenza stessa della moneta unica”.
I tre pezzi potrebbero essere considerati come (l’inizio di) un’offensiva mediatica indirizzata alla Banca Centrale Europea per forzarla ad adottare politiche monetarie espansive simili a quelle della FED, della Bank of Japan e della Bank of England – un intervento che tutti e tre gli autori auspicano insieme alla realizzazione di ampie riforme politico-economiche. Queste osservazioni vanno inoltre lette tenendo a mente che le previsioni di crescita dell’economia italiana dal 2011 a oggi sono state sistematicamente smentite. Quanto al 2015, il rallentamento dell’Eurozona e le correzioni attese sui mercati finanziari internazionali rendono ben poco verosimili le stime di aumento del Pil formulate dal nostro governo.
In un quadro del genere, molti commentatori economici sono (finalmente!) giunti alla conclusione che la crisi in corso è strutturale, e che si può ritornare a crescere solo facendo le “riforme” – un termine che negli ultimi tre anni è divenuto, specie con Renzi, un vero e proprio mantra della politica italiana. Il dibattito in corso, tuttavia, potrebbe suonare imbarazzante per chi vive in un paese europeo meglio funzionante del nostro. La natura e la portata delle riforme proposte (Senato, pubblica amministrazione, giustizia, scuola, legge elettorale ecc.) dimostrano infatti che l’Italia manca delle fondamenta, di tutto ciò di cui un normale paese occidentale dovrebbe essere dotato da almeno sessant’anni. Più che di ricostruzione, si dovrebbe parlare di edificazione tout court. Ma il problema è che tutto questo discutere di riforme è una pura e semplice illusione.
Riforme e tempistica Sebbene sia da lungo tempo noto che qualcosa deve (doveva) essere cambiato nell’architettura dell’economia italiana (e, in particolare, della finanza pubblica), nei sei anni successivi al crollo di Lehman Brothers è stata portata a termine una sola riformastrutturale, quella – assai controversa – delle pensioni attuata dal governo Monti. Se questi sono i tempi medi della nostra capacità riformatrice, aspettarsi che nel breve-medio termine possano vedere la luce così tante riforme di ampia portata è irragionevole. E non si tratta soltanto della proverbiale macchinosità dei nostri processi decisionali: l’ordine costituzionale vigente (e la cultura politica sottesa) combina un potere esecutivo debole a un potere legislativo frammentato, con una pletora di autorità e poteri di veto incrociati che finiscono per paralizzare il sistema. L’odierno contesto politico-istituzionale è dominato da rappresentanti di diverse forze sociali e politiche esclusivamente interessate a preservare privilegi acquisiti e rendite di posizione e, quindi, propense a sostenere l’immobilismo. Le poche, restanti forze produttive (che qualche interesse a cambiare le cose lo avrebbero) non hanno sostanzialmente voce in capitolo. Questa ubiqua frammentazione, rintracciabile persino all’interno dei movimenti politici più piccoli, fa sì che qualsiasi iniziativa si riduca a niente più di un palliativo.
L’incertezza dei risultati Poniamoci ora una domanda: se anche le riforme annunciate fossero realizzate nei tempi previsti, il loro impatto sarebbe sufficientemente forte (e rapido) da evitare il collasso del sistema-paese? In passato, l’esistenza di economie relativamente indipendenti rendeva possibile un buon margine di controllo del ciclo consumo-produzione-investimenti-occupazione. Per quanto inefficiente e problematico, quel modello dava ai governi la possibilità di guidare in una certa misura l’economia nazionale (elemento chiave delle tesi keynesiane). In un sistema economico globalizzato, nel quale per definizione la parte più consistente del ciclo economico si svolge al di fuori del controllo politico del singolo stato, le ramificazioni di qualsiasi decisione adottata da un determinato paese interessano un sistema troppo complesso per consentire di formulare precise (o anche solo approssimative) stime sulla natura, l’entità e la localizzazione dei suoi effetti reali. Paradossalmente, la manovra degli 80 euro di Renzi potrebbe aver finito per stimolare la produzione di beni fabbricati in Guangdong più di qualsiasi attività economica italiana. Nonostante ciò, un elemento ricorrente del dibattito sulle riforme è proprio l’incapacità di capire quanto sia critica la posizione dell’Italia nell’economia globale. I nostri governanti possono anche continuare a raccontarci che “l’Italia è un grande paese con risorse straordinarie”, ma sfortunatamente si tratta di una narrazione del tutto anacronistica.
L’Italia odierna non è quella degli anni Novanta: è cambiata drasticamente, e non in meglio. Fatto ancora più rilevante, il mondo di oggi non è più quello di vent’anni fa. I cambiamenti radicali sono stati almeno due: la prima ondata della globalizzazione fino al 2007, e quello che è successo dopo la crisi esplosa negli Stati Uniti nel 2008. In Italia questo contesto sfugge, e si discute a vuoto su questioni quali l’abolizione dell’articolo 18 senza considerarne l’ormai sostanziale irrilevanza in un mondo lavorativo dominato dai contratti “flessibili” e dalla disoccupazione.
Quali riforme? Se anche ci spostiamo su un piano internazionale, possiamo constatare che le riforme tanto auspicate da BCE, organizzazioni finanziarie, operatori di mercato, nonché autorevoli economisti e giornalisti, sono alquanto vaghe. Il fondato sospetto è che neppure loro abbiano idee precise su ciò che dovrebbe essere fatto in concreto. I suggerimenti forniti restano troppo sfuocati per costituire un’autentica guida politica, come è ad esempio evidente nella famosa lettera che la BCE inviò al governo italiano nell’agosto 2011. Quando Münchau scrive che “l’Italia ha bisogno di modificare il proprio sistema legale, ridurre le tasse e migliorare la qualità e l’efficienza del settore pubblico” offre certamente consigli ragionevoli e condivisibili, ma troppo generici. Quali regole potrebbero funzionare? Come dovrebbero essere attuate? Ci sono i presupposti perché ciò accada? Quali ostacoli andrebbero superati? Quanto poi al suggerimento di “cambiare l’intero sistema politico”, ciò appare impossibile a meno che non si sostenga la rottura della continuità costituzionale e l’ascesa di un “dispotismo illuminato” come quello che contraddistinse le riforme Stein-Hardenberg nella Prussia del primo Ottocento. Il “consenso di Washington” è ormai in declino, e oggi non ci sono chiare indicazioni sulle politiche che potrebbero garantire condizioni economiche migliori a un determinato paese. Questo ci conduce al più generale problema dell’inadeguatezza dei modelli socio-economici oggi dominanti, il “neo-Keynesiano” e quello fondato sull’austerità. E, andando ancora più a fondo, ci porta a constatare quanto poco utile sia pensare ancora nei termini “positivistici” propri di paradigmi e modelli economici – come se il governo dell’economia potesse essere completamente de-politicizzato. L’ansiosa ricerca di una soluzione definitiva (endgültig) e “scientificamente corretta” ai problemi economici tradisce un implicito anti-intellettualismo e una drammatica carenza di leadership da parte delle élite politiche. Al riguardo, è sintomatico il paradosso implicito nell’aver trasferito il problema della “guida” sulle spalle dei banchieri centrali, figure tecniche originariamente de-politicizzate. A oggi, le proposte di riforma avanzate dai governi italiani che si sono avvicendati negli ultimi anni restano scarsamente ambiziose, prive di una chiara logica e idonee a produrre effetti in tempi troppo dilatati. Del resto, sono proposte in linea di massima legate a dottrine neo-liberal ormai superate. Tutto ciò non sorprende, se si considera che qualsiasi ipotesi di riforma dovrebbe nascere da una visione (oggi inesistente) del futuro del paese, e che comunque questa visione dovrebbe misurarsi con un contesto socio-politico italiano ed europeo che non lascia sostanziali margini di manovra. Il piano inclinato imboccato sta portando a concezioni sempre più astratte e legalistiche (de-politicizzate) della comunità politica che hanno ridotto l’immagine del paese a un puro e semplice documento di bilancio finanziario e fiscale. Lavorare e accettare pesantissimi sacrifici per migliorare uno stato così concepito non ha molto senso. Al di là di tutte le considerazioni sin qui esposte, le riforme – fossero anche migliori di quelle viste sinora – arriverebbero comunque troppo tardi. Il paese è esausto e si trova sull’orlo di un’irreversibile implosione demografica, economica e sociale.
Le riforme dovevano essere fatte vent’anni fa, quando il contesto nazionale e globale era molto più favorevole e si dovevano introdurre i cambiamenti necessari per accedere all’Eurozona ancora in gestazione. Al punto in cui siamo oggi, le riforme potrebbero addirittura essere tanto pericolose quanto l’immobilismo, spingendo il paese verso un’ulteriore destabilizzazione: la Francia del 1789 e l’Unione Sovietica degli anni Ottanta sono solo due esempi storici di come il tentativo di introdurre riforme fuori tempo massimo possa innescare il crollo del sistema che si vorrebbe salvare.
Traiettorie di default L’articolo di Münchau menziona esplicitamente la parola “default”. Anticipare ciò che è probabile (o inevitabile) che avvenga in futuro è un vecchio espediente: la verità fa meno male quando diventa manifesta e ineludibile. Dovrebbe essere chiaro che l’Italia, a questo punto, non può più essere salvata. La perdita di capacità industriale è irreversibile, e il debito pubblico continuerà a crescere fino a quando non si renderà necessaria una qualche forma di ristrutturazione. Ci potrebbero comunque essere diverse opzioni per il default. Il blogger Stefano Bassi, con il suo linguaggio abitualmente colorito, ha prospettato diversi scenari – il più probabile dei quali consiste in un progressivo “smantellamento” del paese mirato a trasferire l’ancora ingente patrimonio privato degli italiani verso il debito pubblico secondo la logica dei vasi comunicanti. Bassi definisce questa traiettoria la “Greek Way”, e ha probabilmente ragione. Tuttavia, bisognerebbe considerare che eventi così complessi raramente seguono un andamento del tutto lineare. Come argomentato da Bootle, i mercati potrebbero rapidamente cambiare la propria percezione di rischio nei confronti dell’Italia e agire di conseguenza innescando la speculazione al ribasso e il panico. Lo scenario di un’implosione controllata e a lungo termine dell’Italia (e, in prospettiva, di molti altri paesi europei, Germania inclusa) è realistico solo se accompagnato da una parallela strategia di “manipolazione monetaria” della BCE, che sempre più appare come il vero nodo Gordiano della sopravvivenza dell’Euro. Naturalmente, ci sono ben noti limiti legali e politici a un’ulteriore espansione dell’operatività della Banca Centrale nella direzione prospettata dalla stampa finanziaria. E il mandato della BCE, definito secondo precisi trattati internazionali, non può essere cambiato facilmente. Su questa materia la Germania si è sempre mostrata inflessibile tenendo un atteggiamento che, in ultima istanza, potrebbe rappresentare la nemesi dell’ossessione tedesca ed europea (tipica del secondo dopoguerra) per il ruolo della legge e l’Ordnungspolitik (Politica dell’Ordine). In tutti i modi, non ci sono garanzie sul fatto che ciò che ha “funzionato” negli Usa e nel Regno Unito produrrebbe gli stessi effetti nell’Eurozona. Un nuovo accordo politico che sostituisca Maastricht potrebbe certamente essere raggiunto a livello europeo, ma richiederebbe anni di lavoro e appare tutto sommato improbabile. Senza contare che è illusorio pensare che gli organi di governo dell’UE (e anche della Germania) abbiano in serbo idee migliori di quelle attuali in merito a ciò che dovrebbe essere fatto.
In conclusione… L’Italia potrà essere “tenuta a galla” artificialmente per un periodo di tempo piuttosto lungo, ma non indefinitamente, perché nel frattempo l’economia reale continuerà a deteriorarsi e il rapporto debito/Pil continuerà ad aumentare. Ci sono anche pochi dubbi sul fatto che l’intera costruzione europea, nonostante gli sforzi di Draghi, continui a mostrare contraddizioni interne che potrebbero benissimo condurre alla sua dissoluzione: i difetti sono purtroppo strutturali, e non potranno essere rimossi senza smantellare l’intera struttura. L’Euro, comunque, non può certamente crollare dalla sera alla mattina, e la probabilità che l’attuale leadership politica e finanziaria annunci la fine della moneta comune è paragonabile a quella che un pilota informi i propri passeggeri di aver perso il controllo dell’aereo: semplicemente, non accadrà mai. Potrebbe però verificarsi una graduale transizione verso un nuovo sistema monetario, probabilmente presentato come un “miglioramento” o un “completamento” della valuta comune: per esempio, attraverso l’introduzione di un regime duale in alcuni paesi, la ridenominazione dei debiti nazionali e così via. In realtà, si tratterebbe del primo passo verso l’abbandono del sistema. Una strada accidentata, se vogliamo, ma preferibile all’esplodere di forze centrifughe difficilmente controllabili. Quanto all’Italia, è necessario prendere atto della cruda ma ineludibile realtà. Per dirla con le parole di Bassi, “non ci sono soluzioni, e solo ammetterlo porterà a una soluzione”.
Roberto Orsi, PhD alla London School of Economics, docente e ricercatore all’Università di Tokyo
Fonte: www.vincitorievinti.com
Link: http://www.vincitorievinti.com/2014/10/perche-l-non-ce-la-fara.html
3.10.2014
Traduzione dall’inglese di ANDREA MUZZARELLI
In maniera semplicistica la.prima riforma da fare ė riprendersi la sovranità monetaria in quando uno stato che non e padrone della propria moneta non ė uno stato ma solo un territorio buono per essere invaso o per pascolare
Caro Orsi hai sostanzialmente ragione, l’Italia avrebbe bisogno di riforme, questo lo sostengono tutti, persino Renzi. Il problema e’ cosa si intende per riforma: si inende qualcosa che veramente serve al paese e ai cittadini oppure si da per scontata l’accezione neo-liberista capitalista di riforma, cioe’ distruzione completa dello stato sociale, pensioni livellate sui 500 euro per tutti, salari minimi indegni e indecorosi, sfruttamento dei pochi lavoratori che non sono disoccupati, pioggia di tasse su redditi da lavoro dipendente e piccole proprieta’? Ma il malessere caro Orsi non e’ solo dell’economia italiana, che pure ha i suoi enormi difetti strutturali che non si aggiustano con una riforma, sta avvolgendo piano piano tutta la zone euro le cui economie sono avviate ad una sostanziale crescita zero con disoccupazione in forte aumento, mentre il resto del mondo industrializzato cresce e riduce l’inflazione. Quanto tempo ci vuole ancora per capire che l’Euro cosi’ come e’ stato realizzato e messo in atto non funziona? Hai comunque ragione nel prevedere a breve un Eurozona a due valute che precedera’ il crollo totale della moneta unica con conseguenze catostrofiche nell’immediato. Ma sara’ l’inizio di un nuovo mondo, comunque piu’ giusto di questo.
Tutto condivisibile, ma quando uno scrive "nonostante gli sforzi di Draghi" mi viene da piangere. Che si sarà procurato qualche mal di schiena poverino, come me che lavoro da quando capisco qualche cosa? Solo per questa ingenua frase mi verrebbe da mandarlo al diavolo all’autore. Grrr…
Indubbiamente non ci sono soluzioni economiche ne politiche se imposte dall’alto e in uno scenario geopolitico dove non possono che essere imposte dall’alto.
Tra l’altro inscrivendole in una cultura importata, che spazia dal liberismo più perverso che sia mai apparso sul pianeta (al limite del "gigantesco esperimento biologico e sociale" di leviana memoria) al dirigismo rigido tedesco, al populismo grottesco, dove le soluzioni possibili certamente non solleticano la fantasia. Ad esempio tutto purché non si faccia rete sul territorio, riaggiustando le esigenze sociali locali con la politica e riconnettendo l’individuo al suo ambiente: provaci e conoscerai infinita resistenza coatta. Ma anche solo per orientarsi rispetto il minimo che sta succedendo attorno: alzi la mano quanti hanno capito perché i prezzi al consumo nella distribuzione al dettaglio del cibo, sono più bassi di quelli che trovi dal contadino dietro casa tua. In effetti dopo anni di studio e di ricerca, non posso affermare d’averlo capito bene neppure io, ma una cosa l’ho capita: i soldi che uso per pagare entrambi non mi appartengono, appartengono a un ente estero colluso con la politica del mio paese che è etero-eletta.
Più che abbastanza per sospettare che le due cose non siano proprio del tutto casuali. No?
"Ad esempio tutto purché non si faccia rete sul territorio, riaggiustando le esigenze sociali locali con la politica e riconnettendo l’individuo al suo ambiente: provaci e conoscerai infinita resistenza coatta"
Parole sante, solo chi prova a difendere il proprio territorio ne sa qualcosa. E non sto parlando del TAV nella sperduta Val di Susa, o il Mose, o il Muos etc. COn le belle leggi fatte negli anni passati nemmeno nella capitale si riesce a contrastare uno scempio, economico, ambientale, archeologico, paesaggistico come la Metro C di Roma, l’ultimo tratto soprattutto, senza rischiare anni di carcere. La Basilica di Massenzio invece di essere consolidata è stata già imbracata da tonnellate di acciaio, cemento e legno (Sic! Legno che marcisce e lascia tracce biologiche dopo qualche anno sulle pareti di duemila anni fa) e nessuno può far nulla, né la Sovrintendenza, ne Dio, né io che sono stato schedato dalla Digos appena ho provato (da solo) a fermare il taglio di decine di alberi secolari in quel di S.Giovanni in Laterano. Ora assisto ogni giorno alla più grande ruberia criminale mai attuata in questa città, quotidianamente, dopo che centinaia di persone, che pensavo compagni di lotta, mi hanno abbandonato ( tutta gente stipendiata che quando c’era da fare sul serio se la sono data a gambe, per primi giornalisti e assessori). Come si può difendere un "territorio"(la Capitale) in queste condizioni?
"La natura e la portata delle riforme proposte (Senato, pubblica amministrazione, giustizia, scuola, legge elettorale ecc.) dimostrano infatti che l’Italia manca delle fondamenta, di tutto ciò di cui un normale paese occidentale dovrebbe essere dotato da almeno sessant’anni. Più che di ricostruzione, si dovrebbe parlare di edificazione tout court."
Aggiungo: vi fidereste di un espnente della Scuola
di Chicago? No, vero.
E perché allora dovremmo prendere per buono di ciò
che ci racconta un docente della London School of Economics, tempio del
neoliberismo più spinto e del più becero evoluzionismo e razzismo wasp?
Non
nego che si sia in una situazione drammatica, ma qui si vuole suggestionare in
senso pessimistico un buon numero di opinion leader e di stakeholder, mi pare
piuttosto evidente.
il segnale …etc. …nei confronti del debito sovrano italiano : mah, scusi, il debito sarà sovrano ma l’Italia no (ovvero, tra le altre cose, non ha una SUA moneta) ??
una soglia massima oltre la quale il default diventa “matematicamente inevitabile” : mi spieghi …… cioè io credo, non so se a ragione (ma credo di si) che il debito, nelle condizioni date (moneta etc.) È SEMPRE Matematicamente inevitabile (ovvero È una trappola). No ?
Che "il mondo di oggi non è più quello di vent’anni fa" è un’ovvietà che possiamo evitare di dire, che ne dice, possiamo ?
Il mondo di ora non è mai quello di poco o molto tempo prima (o anche dopo).
Ma invece SI. Guardi:io sostengo che il Mondo è sempre uguale, sono sempre presenti delle costanti fondamentali quali il Falso e/o l’Imbroglio [Voc. Treccani = Avviluppare, confondere, intricare più cose fra loro, in modo da alterarne la regolare disposizione … Raggirare una persona, darle ad intendere cose non vere, ingannarla ….]
"Globalizzazione" = Beh, senta, può darsi che io mi sbagli o non abbia capito, ma sono profondamente Stufo di queste parole.
"Globalizzazione" cosa significa ? Da quando la Terra ha smesso di essere piatta il Mondo, è sempre stato "Globale" e Tondo: Colombo è andato in America, Marco Polo in Cina, gli Inglesi in India, James Cook (sembra) è persino arrivato in Australia !
Mi vien da dire che di "Globale" c’è, appunto, l’"Imbroglio".
"cambiamenti necessari per accedere all’Eurozona" : ma cosa dice ? cambiamenti necessari per entrare in una Trappola ? Ma Lei, PhD alla London School of Economics, dovrebbe ben sapere che paesi diversi (economicamente) non POSSONO avere una stessa moneta !! [optimum currency area, Mundell, 1961]. Se lo fanno qualcuno (Grecia etc.) muore. O no ?
E poi con "Traiettorie di default" ci dice: non potete far nulla, "il mandato della BCE, definito secondo precisi trattati internazionali, non può essere cambiato facilmente" [ma davvero ! ma Lei NON ha studiato !! oppure mente ? Notare la finezza del "facimente"], rassegnatevi, è così, anche se non vi pare, "è illusorio pensare che gli organi di governo dell’UE (e anche della Germania) abbiano in serbo idee migliori di quelle attuali" [questa è impagabile, una battuta meravigliosa !!]
In sintesi la Sua lunga esposizioni di "luoghi comuni" (anche dotti, per carità) si conclude con un : "Non vi resta che piangere".
Mi sembra che Lei abbia tutte le caratteristiche utili o necessarie per fare un’ottima carriera: fa già parte dell’Elitè.
Questo articolo è un capolavoro di come aver torto pur con molte
ragioni.
Il motivo è molto semplice: descrivere molte verità tralasciando
quella principale, o minimizzandola con un semplice accenno tra le righe. Così
ne esce un quadro disperante, senza via d’uscita, che mescola le concause del
disastro in un minestrone pessimo, per enormi errori nel dosaggio degli
ingredienti.
Occorre allora ripartire dalla bilancia, e pesare
correttamente gli ingredienti separatamente, per comprendere il loro reale peso
nel disgustoso risultato finale. Solo così si può porre rimedio intervenendo
sulle cause con un preciso ordine di priorità. Analisi, caro Orsi, analisi
corretta! Solo così si crea consapevolezza della realtà, che è l’unico modo per
controllarla positivamente.
Certo che il mondo è cambiato. Ma quando mai
questo nostro paese della fantasia e della genialità non si è adeguato
brillantemente ai cambiamenti?
Rispondi a questa domanda caro Orsi, da
storico non dovrebbe esserti difficile.
Così forse scoprirai che
l’anomalia italiana è proprio recente, di questi ultimi anni in cui hanno
prevalso, non certo a caso ovviamente (un po’ di dietrologia è indispensabile),
gli euro-fanatici, a partire da Andreatta e Ciampi, i padri dell’ideologia oggi
montiana e poi lettiana e renziana, cioè del periodo del commissariamento di
fatto da parte dei cravattari della finanza internazionale, di cui Draghi è
sempre stato servo fedele e premiatissimo proprio per questo.
La Merkel
in questo contesto si comporta da idiota utile, ma al proprio paese, e non come
i nostri utili solo alla rovina dell’Italia a favore di chiunque altro che non
sia tra i pochi privilegiati come loro stessi, coi loro trenta denari in
tasca!
Non escludo che gli euro fanatici abbiano le loro responsabilità, ma qui non funziona nulla, ma proprio nulla!
ma qui non funziona nulla, ma proprio nulla
SAPPIA CHE I PROBLEMI DELL’ITALIA STANNO NEI 180 MILIARDI DI EVASIONE FISCALE
?
Il brutto sistema economico di cui disponiamo punisce chi si indebita. Punisce chi si indebita!! Non è interessato alla felicità degli esseri che vivono in un paese. Però pretende che i suoi conti siano in ordine.
Non è mai esistita una nazione italia,una accozzaglia di popoli con diversi valori e molto differenti antropologicamente…
Ti rendi conto di quanto ti hanno rimbambito il cervello?
primo sopravvivere:
–
lavorare
meno, lavorare tutti (2) –
di Paolo De
Gregorio, 4 ottobre 2014
Sostiene Papa
Francesco: “non va smantellato il diritto fondamentale al lavoro”
Al di là della
simpatia umana che un laico come me nutre per questo pastore non aristocratico
e che non parla solo di astratta teologia, le sue parole sono insufficienti,
non portatrici di verità, né di cambiamento, impotenti come gli appelli contro
le guerre.
Il lavoro,
purtroppo e drammaticamente, non è un diritto, anzi in un sistema capitalista
vige una ferrea legge non scritta che bisogna avere sempre a disposizione un
esercito di disoccupati pronti a rimpiazzare i lavoratori che possono
disturbare gli interessi padronali.
Per tentare di
non lasciare indietro nessuno bisognerebbe introdurre delle norme semplicissime
che Francesco, ex cathedra, potrebbe mettere sul tavolo per una società che
metta al primo posto i valori etici ed umani superando le logiche di un
capitalismo ormai fallito, perché un sistema che lascia il 42% di giovani senza
lavoro e i vecchi in attività è un sistema fallito e da rottamare.
LAVORARE MENO,
LAVORARE TUTTI, per prima cosa dovrebbe prevedere per TUTTI (magistrati,
manager pubblici e privati compresi) la pensione a 60 anni e già si libererebbero
milioni di posti di lavoro.
E poi prevedere
per gli occupati la possibilità di fare 4 ore, e di offrire le altre 4 ore di
lavoro ad un’altra persona (figlio, coniuge o altro). Lo stipendio andrebbe
dimezzato, ma il numero di contributi ai fini pensionistici considerato pieno.
Questa scelta deve essere un diritto e non una graziosa concessione del
padronato e potrebbe restituire la vita a molti anziani togliendo dall’ozio
milioni di giovani.
Per i
disoccupati si dovrebbero prevedere 4 ore al giorno (20 ore settimanali) di SERVIZIO
CIVILE a fare cose serie (tipo assistenza domiciliare agli anziani, emergenze
ambientali territoriali), remunerate con 500 Euro mensili di oggi, con
l’obbligo di accettare il lavoro che viene offerto pena la decadenza dal diritto
al servizio civile. Il Servizio Civile dovrebbe essere una istituzione
statale, con dirigenti tipo don Ciotti,
indipendenti dai partiti, pagati dallo Stato.
Una comunità
democratica, degna di questo nome, si deve far carico delle esigenze
fondamentali dei suoi cittadini garantendone effettivamente salute, lavoro,
casa.
Le parole della
nostra Costituzione, che i buontemponi definiscono la più bella del mondo, non
garantiscono né salute, né lavoro, né casa, mentre si trovano sempre i soldi
per partecipare a conflitti a rimorchio della NATO e degli USA, si trovano soldi per finanziare
banche, giornali, partiti, si strapagano stipendi e pensioni dei dirigenti statali e dei parlamentari, si
spreca denaro pubblico nelle convenzioni tra privati e Servizio Sanitario
Nazionale, intreccio tra affari e politica che porta corruzione, imbrogli,
ruberie.
Tutto il sistema
mediatico che dà spazio a esperti, professoroni, politicanti, personaggi dello
spettacolo di tutte le tendenze, serve solo a confondere le idee, a far
prevalere la tesi di chi è più fotogenico o urla di più, facendo sembrare i
problemi giganteschi e irrisolvibili, mentre nella loro essenza le cose sono
semplici, comprensibili, risolvibili in tempi rapidissimi se solo ci fosse una
forza politica omogenea, non ideologica, che richiedesse il voto per realizzare
solo quei tre punti che ho suggerito.
La politica
riacquisterà credibilità solo se si occuperà di risolvere i problemi con una
classe dirigente onesta, espressa dal territorio, dal basso quindi, senza
uomini della provvidenza, classe dirigente da tenere al potere solo per due
legislature.
Paolo De
Gregorio
L’Italia non ce la farà mai per una serie enorme di fatti e misfatti, ma una è quella che non si cita e cioè che l’Italia non ce la può fare perchè è l’anello debole dei paesi OCSE in pratica il culo del mondo sviluppato quando grazie ad una politica sconsiderata detta globalizzazione assistiamo alla crescita dei paesi BRICS ed ora anche di Messico Indonesia Turchia etc.
Guarda che l’evasione è un falso problema. I soldi quando ci sono e girano creano comunque ricchezza. Il posteggiatore in nero compra in nero altri servizi, insomma un’economia parallela, amorale e non etica, ma pur sempre ricchezza. Lo stato e Renzi in particolare come tutti i suoi predecessori non hanno mai dimostrato che coi soldi dell’evasione avrebbero fatto di più che il naturale corso delle cose, comunque fa. Al contrario l’elevata tassazione è il vero cancro dello sviluppo equo e solidale.
Sono ben contento e orgoglioso che l’Italia non ce la faccia. A fare cosa, poi? Continuare a foraggiare dei parassiti incapaci di guardare e vivere il mondo che li nutre?
fisco sa esattamente nome e cognome degli evasori ma non li arresta, secondo te
perchè?
Lo sai che ci sono 518 contribuenti (parola grossa) che dichiarano
meno di 20000 euro l’anno ma possiedono un jet privato?
Ci sono mille modi
per recuperare l’evasione, basta volerlo. E’ ovvio che poi cosa se ne faccia del
denaro recuperato è un’altra cosa … qualche idea comunque ce l’avrei.
Mi sembra che il problema rischia di tirarti addosso qualche critica, comunque, io ho avuto una visita della finanza e anche mia figlia e ti giuro che si inventano le cose tipo a me hanno valorizzato le fatture fatte ai clienti ma non quelle ricevute dai fornitori perche non erano obbligati ed a mia figlia gli hanno contestato il pagamento dell’IVA quando è esclusa non solo per la legge italiana ma persino dall’europa. Morale noi siamo nei 180 miliardi che tu dici ma a torto non è vero neanche un pò, poi visto le leggi di merda io mi sono dissanguato con avvocato che costa anche piu del fisco ed alla fine ho pagato una specie di condono ( 50% se hai torto, 30% se sei in giudizio e udite udite 10% se hai ragione ma non sulla cifra giusta 2000 euro ma su 160.000 del verbale !!!!! cioè 16.000 euro per chiuderla li dopo anni di stress e mal di fegato pur di non fare ricorso perchè l’avvocato ne voleva 40.000 capisci ? sono stato ricattato come gli strozzini come la mafia !!!!
Il problema non é un altro il problema è proprio cosa ne fai del danaro che prendi. Altrimenti lascialo a chi ha il jet privato che comunque l’economia la fa girare meglio di un cialtrone che mette a sedere centinaia di persone dieteo una scrivania a fare il nulla.
Quindi, per "far girare l’economia" intendi comprarsi un jet, magari una villa
gigante e spendere e spandere senza pagare le tasse alle spalle di chi non
arriva a fine mese e magari non può decidere di farlo anche lui perchè gliele
prendono alla fonte?
E magari questo grande movimentatore di economie manda
il figlio a scuola e quando non sta bene va al pronto soccorso sempre a spese
del povero allocco che paga anche per lui.
Mi spiace ma io non ci sto.
E
il bello è che probabilmente hai ragione tu.
E’ stato un piacere.
ebbeh questa volta è richiesto un tour de force al nostro Barnard per riuscire a risollevare il pil italiano. secondo il mio parere non avrebbe dovuto addentrarsi in questo argomento perchè potremmo collegare una insoddisfacente crrscita del pil alle sue insoddisfacenti prestazioni 🙂
Il problema non é un altro il problema è proprio cosa ne fai del danaro che prendi. Altrimenti lascialo a chi ha il jet privato che comunque l’economia la fa girare meglio di un cialtrone che mette a sedere centinaia di persone dieteo una scrivania a fare il nulla.