PERCH LE GUERRE NON POSSONO ESSERE VINTE

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DEL PROF. JOHN KOZY
Global Research

L’affermazione di Edmund Burke “chi non conosce la storia è destinato a ripeterla” è spesso citata, ma in realtà tanti che conoscono molto bene la storia non riconoscono persino le lezioni storiche più ovvie.

Una volta ogni bambino in età scolare sapeva recitare a memoria il Discorso di Gettysburg, soprattutto la sua famosa perorazione: “che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo di popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra.” Ma questa promessa non è stata affatto mantenuta. E infatti che cosa si è ottenuto con la Guerra Civile americana?

Sicuramente essa ha salvaguardato l’unione territoriale ed abolito la schiavitù – due cose importanti. Ma gli schiavi che furono liberati, invece di beneficiare della loro libertà, furono lasciati allo sbando, e gli atteggiamenti pregiudizievoli dei Confederati bianchi molto probabilmente aumentarono; certo non diminuirono. Perciò, sebbene la guerra unì la nazione territorialmente, non unì le persone, e quella divisione è evidente anche al giorno d’oggi.

Dopo le elezioni presidenziali del 2004, il Dallas Morning News passò un servizio sulla divisione intitolato Beyond the Red and the Blue [“Oltre il Rosso e il Blu” ndt.]. Sulla base degli stati rossi che andarono al Presidente Bush e degli stati blu che andarono al Senatore Kerry, metteva in evidenza come si classificavano gli stati blu e quelli rossi in varie categorie.

La gente degli stati rossi è meno sana di quella negli stati blu.
La gente degli stati rossi guadagna meno di quella negli stati blu.
La gente degli stati rossi è meno istruita di quella negli stati blu.
Rispetto agli stati blu, negli stati rossi molta più gente vive in case mobili.
Gli stati rossi hanno un numero di gravidanze fra adolescenti più alto rispetto agli stati blu.
Rispetto agli stati blu, negli stati rossi molta più gente muore uccisa da colpi di arma da fuoco.

E il Dallas Morning News ha omesso molte altre qualità meno pregevoli degli stati rossi.

Gli stati rossi hanno tassi di povertà più alti, sia in generale che fra gli anziani, più alti tassi di criminalità, sia in generale sia violenta, più alti tassi di mortalità infantile e divorzi, ed hanno meno medici per unità di popolazione rispetto agli stati blu.

Queste statistiche non ritraggono un bel quadro. E dato che gli stati rossi corrispondono solitamente al cuore conservatore, si potrebbe pensare che la gente che ci vive voterebbe contro i candidati conservatori semplicemente sulla base del proprio interesse razionale. Ma non è così.

C’è un’ovvia discordanza qui, perché gli stati rossi sono la patria di quella che si è autodefinita “moral America”. Ma come può una prospettiva morale tollerare la povertà, la criminalità e la mortalità infantile? Che tipo di moralità è quella che non bada al benessere delle persone? Quale massima morale guida le vite di queste persone? Certamente non la Regola d’oro, il Decalogo o il Secondo comandamento di Cristo. Da quel che ho potuto cogliere, l’America morale ha bisogno di un nuovo codice morale. Quello che ha è, per usare una parola che non piace ai membri di questo gruppo, relativo.

Quindi cosa motiva la natura conservatrice delle persone negli stati rossi? Guardiamo un po’ la storia.

Per un secolo dopo la Guerra Civile, il sud votò Democratico, ma non perché la gente condividesse i valori del resto dei Democratici del paese. (Quelli del Sud si distinguevano dagli altri Democratici persino nel nome, facendosi chiamare “Dixiecrats”.) Queste persone erano Democratici solo perché il partito politico della guerra e della ricostruzione era Repubblicano. E quando, a metà del ventesimo secolo, il Partito democratico sostenne la fine della discriminazione razziale, questi Democratici da una vita divennero istantaneamente Repubblicani, perché il Partito repubblicano era diventato reazionario nel frattempo.

Persino oggi, ciò che motiva questa gente, sebbene molto probabilmente non lo riconoscano, è la mancata volontà di accettare i risultati della Guerra Civile e cambiare i comportamenti tenuti prima di essa. Quando una società inculca delle convinzioni per un lungo periodo di tempo, queste convinzioni non possono essere cambiate con un’imposizione forzata da parte di altri. Le convinzioni un tempo manifestate apertamente continuano ad essere mantenute segretamente. La forza non è mai uno strumento di conversione efficace. Il martirio è preferibile alla resa, e persino le promesse di un futuro migliore sono inefficaci.

Perciò a cosa portò in realtà la Guerra Civile? Unì una nazione senza unire la popolazione. Gli Stati Uniti d’America divennero una nazione indivisibile fatta da due popoli divisi; divenne una nazione divisa, e la divisione si è acuita.

Questa dovrebbe essere una lezione che tutte le nazioni avrebbero dovuto imparare. Con la forza delle armi si può imporre una conformità esteriore alle istituzioni politiche e alle leggi, ma non si può cambiare l’atteggiamento antagonistico delle persone, che può rimanere inalterato per decenni o più, in attesa di opportunità di riaffermazione.

Qualunque accorto lettore può applicare questa lezione alle attuali attività nel Medio Oriente. Né la forza né le promesse di un futuro migliore del passato possono conquistare il cuore o convincere razionalmente la gente. E i soldati che muoiono nel tentativo di cambiare i valori di altre persone muoiono sempre invano.

Tutte le guerre, persino quelle portate avanti dalla nazione più potente in assoluto contro deboli oppositori, sono rischiose, e i loro costi, da tutti i punti di vista, sono sempre più di quelli previsti, persino non tenendo conto della rovina fisica e delle perdite umane.

Le nazioni che hanno iniziato guerre con la certezza psicologica di vincerle raramente le hanno vinte, e quando le hanno vinte i risultati sono stati solo in rari casi duraturi o quelli voluti. Come Gandhi osservò una volta “La vittoria ottenuta con la violenza è equivalente a una sconfitta, perché è momentanea”.

I Crociati, che combattevano sotto l’egida di Cristo, non riuscirono a rendere la Palestina parte della Cristianità. La Francia, sotto Napoleone, conquistò gran parte dell’Europa, ma la perse tutta e Napoleone ne uscì distrutto. Il militarismo prussiano ebbe la meglio nella Guerra franco-prussiana, ma in meno di un secolo la Germania perse tutto. Gli austriaci nel 1914 non solo non riuscirono a ridurre all’obbedienza i serbi, bensì persero l’impero stesso e la forma di governo monarchica. I tedeschi e i giapponesi dopo il 1939 e lo sbalorditivo successo iniziale furono ridotti in rovina.

Ma anche i vincitori sono perdenti.

Gli americani vinsero la Guerra messicano-statunitense ed annetterono gli Stati Uniti sudoccidentali, ma quella conquista portò con sé profondi e continui dissidi – pregiudizi razziali, discriminazione, e un irrisolvibile problema di immigrazione e sicurezza di confine. Allo stesso modo, gli americani vinsero la falsamente giustificata Guerra ispano-americana ed acquisirono alcuni stati coloniali, ma furono incapaci di mantenerne la maggior parte. Gli alleati vinsero la Seconda guerra mondiale, ma la Francia e l’Inghilterra persero le colonie che volevano mantenere combattendo, e queste due potenze, che erano grandi prima della guerra, furono ridotte a stati minori (sebbene entrambi rifiutino ancora di ammetterlo). Israele ha vinto cinque guerre contro vari stati arabi dal 1948, ma il suo benessere e la sua sicurezza non sono migliorati, e l’odio e l’intransigenza arabi sono diventati sempre più comuni.

La gente deve capire che dopo una guerra le cose non sono mai le stesse di prima, e che anche i vincitori raramente ottengono quello per cui combattono. La guerra è una infruttuosa caccia ad un tesoro effimero.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i leader americani ritennero erroneamente che lo stato di superpotenza dell’America le desse i mezzi per imporre la sua visione di come il mondo sarebbe dovuto essere ovunque. Poi venne la Corea e questa convinzione si dimostrò falsa. Nonostante tutta la distruzione e le morti inflitte ai nordcoreani, i loro comportamenti non cambiarono. Ma non impararono la lezione. E non la impararono nemmeno nel Vietnam, dopo il quale si riferisce che Henry Kissinger disse ingenuamente “Non potevo credere che una popolazione primitiva non avesse un limite di sopportazione”. I vietnamiti non si arresero mai. E ora, nuovamente, gli americani presuppongono follemente che le popolazioni del Medio Oriente cambieranno il loro atteggiamento se imporranno abbastanza forza per un lungo periodo di tempo e faranno abbastanza promesse di un futuro migliore. La Storia smentisce questo presupposto.

Sfortunatamente, la Storia insegna le sue lezioni solo a quelli che vogliono impararle, e l’oligarchia americana non mostra segni di volontà.

Quindi iniziamo a cantare bye-bye, Miss American Pie
Warring is nothing but a bad way to die! (Fare la guerra è solo un brutto modo di morire!)

John Kozy è un professore di filosofia e logica in pensione, scrive di temi sociali, politici ed economici. Dopo aver prestato servizio nell’Esercito USA durante la Guerra di Corea, è stato professore universitario per 20 anni e ha lavorato come scrittore per altri 20 anni. Ha pubblicato un manuale di logica formale in commercio, ha scritto su riviste accademiche e su qualche rivista commerciale, e molti editoriali da ospite per i quotidiani. I suoi pezzi possono essere trovati on-line su http://www.jkozy.com e possono essere spediti via e-mail dalla homepage del sito.

Titolo originale: “Why the Wars can’t be Won

Fonte: http://www.globalresearch.ca
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20.08.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIADA GHIRINGHELLI

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