PANDEMIC SHOW

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di Giorgio Lo Grasso
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Di numeri e corpi, si direbbe. Leggendo giornali e guardando TV mi pare di capire che alla fine la famosa premessa di Guy Debord si sia finalmente totalmente realizzata: “L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.” (La società dello spettacolo, 1967).
Come nei “migliori tempi” della campagna pro-vax della Lorenzin ( e del suo PD..), i “mercanti di malattie” oggi ancora una volta riempiono i media e la rete con pazienti intubati, tamponati, asintomaticizzati e i loro volti preoccupati, mascherinati, visierati, vengono quotidianamente esposti su giornali, radio e tv, diventati tutti beceri tabloid.. E il morbillo del 2017 ? Sparito. Quello era solo una grande prova generale…

Che dire allora? Certamente che a Debord l’infermierina sul red carpet di Venezia oggi gli sarebbe piaciuta molto. Gli sarebbero piaciuti anche Mentana intabarrato e la Azzolina in sado-maso imbrigliata nella museruola. “Ecco, avete visto? Ve l’avevo detto”, avrebbe detto… Lo spettacolo che inverte il reale finalmente è diventato reale, si è prodotto.
Come prodotto, lo spettacolo del ” Covid”, indiscutibile e inaccessibile, viene ora rappresentato.
L’attitudine a osservarlo esige ormai solo il semplice principio dell’ accettazione passiva che di fatto ha già da tempo ottenuto attraverso il suo modo di apparire insindacabile nel monopolio dell’apparenza.

Lo spettacolo della pandemia è da mesi il sole che non tramonta mai. Esso ricopre tutta la superficie del mondo e si bagna indefinitamente della propria presenza gloriosa . Lo spettacolo ha sottomesso gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li aveva già totalmente a sua volta sottomessi.
Là dove il mondo reale si trasforma sempre più in semplici immagini, le semplici immagini diventano esseri reali, la motivazione efficiente per un comportamento standardizzato in un pensiero ipnotico.
Lo spettacolo del Covid è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa, l’autoritratto del potere all’epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni d’esistenza. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, mappa che copre esattamente tutto lo spazio del suo territorio.

Sebbene lo spettacolo nell’odierna società corrisponde alla fabbricazione di una concreta alienazione, e benchè lo si mistifichi, nella “società dello spettacolo” il processo di civilizzazione consiste nella continua sostituzione del naturale con l’artificiale, la rotta obbligata verso la surroga di quel che è vivo con ciò che è morto, plasmato, ricostruito in congegno, prodotto o formula, in una continua celebrazione dell’inautentico imposto per originario.
Nulla più esiste nella sua forma originaria: il cibo è diventato “prodotto industriale” (o dell’ingegno), il gioco una performance (per educare alla competizione e alla disciplina), il piacere è il suo consumo, l’ambiente ecologico un’architettura artificiale destinata ad ospitare piantumazioni domestiche, animali selezionati, razze inventate persino tra quelli che ci fanno compagnia.
In questo “impero della finzione” chi prova a vivere affrancato dalle logiche del mercato e del denaro va “contro” natura, chi critica è un provocatore, chi protesta è un piantagrane, chi si oppone passa per terrorista.

A sentire i “recuperatori sociali” del mondo civilizzato (psicologi, sociologi, preti, maestri, giornalisti, ecologisti salva-terra) il problema non è mai il “dominio”, ma l’ingiusto dominio (come che potesse esistere un dominio “giusto”!), il problema non è mai l’Autorità, ma l’autorità senza controlli, non è mai la Politica, la Scienza, l’Economia, ma le loro presunte degenerazioni.
In un incredibile capovolgimento di senso la terra, gli animali, le donne, gli uomini, i bambini sono diventati “risorse” di cui servirsi per rendere la megamacchina-capitalistica più efficiente, astuta e omologante. Anche la morte adesso, annunciata dai suoi malati ancorchè immaginari, si appresta a diventarlo.
Ultimo totem nell’odierno spettacolo sociale, la morte sembra essere insieme anche il più promettente e il più potente tra gli attori, celebrando non già gli strumenti, ma i fini stessi della rappresentazione, in un’evoluzione che ormai ci porta lontano all’altezza di un incomputabile residuo di umanità.

Giorgio Lo Grasso

Pubblicato da Tommesh – ComeDonChisciotte.org

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