DI THIERRY MEYSSAN
Reseau Voltaire
L’esercito libanese ha vinto i mercenari di Fatah al-Islam trincerati da un mese nel campo palestinese di Nahr el Bared. La loro resa è una vittoria per il presidente Lahoud, così come la morte del loro capo è un sollievo per il clan Hariri che li aveva indirettamente ingaggiati per combattere gli Hezbollah e che era stato obbligato ad interrompere il versamento dei loro salari su richiesta del re dell’Arabia saudita.
Thierry Meyssan ritorna su questa operazione segreta finita male.
(Foto: Shaker el-Absi, capo di Fatah al-Islam, su un video diffuso dalla compagnia al-Jazeera. In passato colonnello dell’aviazione giordana, Shaker al-Absi era anche aiutante di al-Zarkawi prima in Afghanistan e poi nell’Iraq occupato dagli Stati Uniti).
Gli ultimi sopravvissuti di Fatah al-Islam hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale, il 21 giugno 2007 alle ore 23,30. Elias Murr, ministro della Difesa del “governo” libanese, ha confermato il giorno dopo la definitiva cessazione dei combattimenti nel campo palestinese di Nahr el-Bared. In questa occasione, ha confermato che gli insorti avevano avuto l’intenzione di creare un mini-Emirato islamico nel nord del Libano. Almeno 143 persone (76 militari libanesi, 50 insorti, 17 civili palestinesi) sono morti nel corso dei 32 giorni di scontri.
La stampa occidentale si è dimostrata particolarmente a disagio nel rendere conto degli avvenimenti. Essa ha esitato tra le voci che si susseguivano secondo le quali Fatah al-Islam sarebbe stato finanziato dal clan Hariri, o dagli Hezbollah, o dai servizi segreti siriani, o che sarebbe stato legato alla nebulosa Al-Qaeda e che sarebbe stato responsabile dell’attentato contro un autobus a Ain Alaq. In definitiva, i giornali occidentali hanno ripreso la versione che conveniva di più, a seconda del proprio colore politico, senza alcun lavoro di verifica. Il fatto è che la verità non è molto rilucente.
L’esistenza di Fatah al-Islam è attestata a partire dal novembre 2006 (1), anche se le autorità siriane affermano che si sia costituito nell’agosto del 2002 (2).
In definitiva, sembra che Fatah al-Islam sia nato da una scissione interna di Fatah al-Intifada, gruppo palestinese sostenuto dalla Siria, e che si sia immediatamente fuso con un gruppo informale venuto dalla Giordania costituitosi, lui sì, dall’agosto 2002.
Nel 2005 era sorto un conflitto tra i due principali leader di Fatah-al-Intifada, il colonnello Abu Musa e Abu-Khalid al-Imlah. Questo ultimo si era allora ritirato in privato e non aveva più reso conto delle proprie attività (3). Le autorità siriane, informate che Abu-Khalid al-Imlah reclutava al di fuori di ogni controllo nuovi combattenti utilizzando finanziamenti siriani, lo fecero arrestare e imprigionare (4). Tuttavia, questa ingerenza siriana negli affari palestinesi suscitò una viva protesta tra i Palestinesi e una serie di dimissioni in seno a Fatah al-Intifada. Infine, la Siria accettò di continuare a finanziare Fatah al-Intifada a condizione che Abu-Khalid al-Imlah ne fosse escluso, ed i membri di questa organizzazione accettassero di restare sotto l’egida siriana se Abu-Khalid al-Imlah fosse stato rilasciato, cosa che fu fatta (5). Da quel momento, ognuno si aspettava che i Palestinesi lavassero i loro panni sporchi in famiglia.
A metà dicembre Fatah al-Islam riceve il rinforzo di nuovi combattenti e prende il potere nel campo di Nahr el-Bared, nel nord del Libano. I portavoce del gruppo insistono nel dire che i rinforzi sono composti esclusivamente da Palestinesi venuti dalla Siria, dalla Giordania, dall’Egitto, ecc. Ma numerosi testimoni palestinesi assicurano che i rinforzi sono mercenari arabi che avevano partecipato ai combattimenti in Iraq.
Il leader del gruppo è uno degli uomini venuti in rinforzo: Shaker al-Absi, un Palestinese residente in Giordania. L’uomo è conosciuto dagli anni ’50 per le sue diatribe anti-USA Colonnello dell’aviazione giordana, è stato condannato in contumacia da un tribunale militare per l’assassinio di Lawrence Foley, un agente della CIA che lavorava ad Amman sotto copertura diplomatica dell’USAID, ucciso il 28 ottobre 2002 all’uscita dal suo domicilio.
Ora, secondo il Dipartimento di Stato, questo omicidio sarebbe stato commissionato da Abu Moussab al-Zarkawi (6). Quest’ultimo avrebbe vissuto in Afghanistan sotto il regime dei Talebani. Sarebbe rientrato in Giordania per commettere il crimine, poi avrebbe costituito un gruppo armato nel nord dell’Iraq, nella zona curda vietata ai voli aerei e controllata dalle forze anglo-americane. Nel corso del suo celebre discorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il generale Colin Powell accuserà Zarkawi di fabbricare veleni per Saddam Hussein, poi ammetterà che ciò era falso e che la menzogna serviva per giustificare l’invasione dell’Iraq. Più tardi Zarkawi diventerà per la stampa occidentale l’icona di Al-Qaeda nel “triangolo sunnita”, mentre la resistenza denuncerà i suoi legami con gli occupanti. A lui verranno attribuiti ogni sorta di crimini, tra cui l’esecuzione di Nick Berg (7). Sarebbe morto nel giugno 2006. Insomma, per numerosi osservatori, Zarkawi sarebbe da lunga data un agente provocatore degli Stati Uniti e, di conseguenza, forti dubbi peserebbero su Shaker al-Absi che lo aveva seguito in Afghanistan e in Iraq.
Il 13 febbraio 2007, alla vigilia della commemorazione dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafic Hariri, un doppio attentato distrugge due autobus ed uccide i passeggeri ad Ain Alaq, nel feudo della famiglia Gémayel. Un mese dopo, sei sospetti (di cui quattro di nazionalità siriana) confessano di aver compiuto l’attentato, che in linea di principio avrebbe dovuto colpire la permanenza del partito fascista Kataeb. Essi dichiarano tutti di appartenere a Fatah al-Islam (8). Ma il gruppo palestinese smentisce energicamente (9).
Tuttavia, nel frattempo, il giornalista statunitense Seymour Hersh pubblica sul New Yorker un lungo reportage su Fatah al-Islam (10). L’autore mostra che il vice-presidente Dick Cheney, il consigliere per la sicurezza nazionale, Elliot Abrams (11), e l’ambasciatore all’ONU, Zalmay Khalizad, hanno pianificato un riallineamento della politica araba degli Stati Uniti in vista dell’attacco all’Iran. Ormai, i buoni sarebbero i sunniti ed i cattivi sarebbero gli sciiti. In questo contesto, il Consiglio di sicurezza nazionale finanzierebbe gruppi armati sunniti, all’insaputa del Dipartimento della Difesa e della CIA (12). Fatah al-Islam sarebbe uno di tali gruppi, messo in piedi con l’aiuto di Saad Hariri e del principe Bandar, il consigliere della sicurezza nazionale saudita. La sua funzione sarebbe quella di destabilizzare il paese e di aiutare ad eliminare Hezbollah. Ma Saad Hariri e i suoi amici smentiscono energicamente (13).
Il problema è che, contrariamente alle sue negazioni, Saad Hariri non è alla sua prima manipolazione di terroristi. E’ acquisito che nel giugno del 2005 egli abbia versato 48.000 dollari di cauzione per la liberazione di quattro terroristi di Asbat al-Ansar, un gruppo di mercenari musulmani che avevano combattuto in Afghanistan, in Bosnia Erzegovina e in Cecenia a fianco degli Stati Uniti contro i Russi. Sono risultati implicati negli scontri di Dinniyeh, nel 1999 (14). Analogamente, il blocco parlamentare di Saad Hariri ha votato l’amnistia per Samir Geagea, il leader fascista che assassinò il primo ministro Rashid Karame, e per 29 mercenari musulmani implicati nei tentativi di attentato contro le ambasciate d’Italia e di Ucraina a Beirut (15).
Ma il piano di riallineamento è rimesso in discussione dal re Abdallah d’Arabia Saudita. Egli riceve il 4 marzo la visita del suo omologo iraniano, il presidente Mahmoud Ahmadinejad. I due uomini sono consapevoli che l’opposizione politica tra le due popolazioni sciita e sunnita è artificiale, anche se il contenzioso teologico tra religiosi wahhabiti e sciiti è molto intenso (16). Informato da parte iraniana delle iniziative del principe Bandar per finanziare Fatah al-Islam, il re gli proibisce di proseguire con l’operazione (17). Il giorno seguente il presidente sciita della Camera dei Deputati libanese, Nabih Berri, dichiara che le violenze settarie in Libano possono essere controllate in 48 ore.
Su istruzione del procuratore generale del Libano, le forze di sicurezza ricevono l’ordine d’interrogare i membri di Fatah al-Islam. Tenuto conto dello statuto particolare dei campi palestinesi, l’esercito libanese non entra a Nahr el-Bared, ma stabilisce un cordone di sicurezza per interrogare i sospetti che ne escono. Da parte sua, l’OLP prende ufficialmente le distanze da Fatah al-Islam e denuncia gli attentati di Ain Alaq (18). Gli incidenti tra Fatah al-Islam da una parte e i gruppi palestinesi all’interno del campo e l’esercito libanese all’esterno dall’altra, si moltiplicano. La popolazione del campo è stretta in una morsa.
Il 1 aprile 2007 un rapporto delle Forze di sicurezza interne del Libano conferma che Fatah al-Islam è davvero l’autore degli attentati di Ain Alaq (20). Esso nota che il gruppo non è così numeroso come lascia intendere e che i suoi membri sono in effetti fondamentalmente mercenari reclutati nei campi palestinesi del vicino Oriente.
I membri di Fatah al-Islam, che dichiarano pubblicamente di essere militanti senza appoggi esterni, ammettono ben presto di aver ricevuto fino ad allora una paga mensile e che essa è stata interrotta dopo l’incontro Ahmadinejad-Abdallah. Il loro compenso veniva versato tramite la banca degli Hariri (che non poteva evidentemente ignorare né la provenienza né la destinazione di tali somme). Il 19 maggio decidono pertanto di andare essi stessi a cercare la loro paga: attaccano la banca degli Hariri. L’esercito interviene. Ci sono 11 morti.
Il presidente della Repubblica, il generale Emile Lahoud, giudica che è venuto il momento di disarmare questo esercito privato degli Hariri che minaccia la stabilità del paese. Ordina l’intervento dell’esercito libanese. In base agli accordi sull’extra-territorialità, l’OLP autorizza i Libanesi ad entrare nel campo. L’esercito preavvisa dell’imminente attacco ed invita i civili a fuggire. La maggior parte rifiuta non sapendo dove andare. La battaglia inizia. Abbandonato dai suoi antichi datori di lavoro, che cercano di rifarsi una verginità coprendoli di improperi, Fatah al-Islam combatte da solo. Un gruppo di ulema, capeggiato da Fatih Yahkan, s’interpone e negozia l’evacuazione dei civili. I mercenari rifiutano di arrendersi e di essere condotti in giudizio. Credono fino all’ultimo momento che coloro che li hanno fatti entrare in Libano sapranno come farli uscire. Errore.
La loro morte cancella le tracce più visibili del coinvolgimento del clan Hariri. Erano stati ingaggiati per combattere gli Hezbollah. Conveniva sacrificarli per chiudere questo caso sfortunato.
Thierry Meyssan
Giornalista e scrittore, presidente del Réseau Voltaire.
(1) La denominazione “Fatah al-Islam” compare per la prima volta in Al-Nahar il 22 novembre 2006.
(2) Fonte il ministro degli Interni siriano, Bassam Abdul-Majid, citato in “Syrians, Palestinians deny links to Ain Alaq blast” di Rym Ghazal, Daily Star, 15 marzo 2007.
(3) Da Al Watan (Siria) del 13 dicembre 2006, citato in “Fatah-the Uprising deputy head reportedly dismissed, detained in Syria”, BBC Monitoring Middle East, 13 dicembre 2006.
(4) Da Al-Quods al_Arabi del 11 dicembre 2006, citato in “Lebanon-based Fatah group fragmenting as Syria frees its official”, BBC Monitoring Middle East, 13 dicembre 2006.
(5) Al-Quods al_Arabi, op. cit. e Al-Jazeera del 12 dicembre 2006.
(6) “Abou Moussab al_Zarkaoui, super-héros du Mal” di Vladimir Alexe, Réseau Voltaire, 19 luglio 2005.
(7) “L’affaire Nicholas Berg”, Réseau Voltaire, 18 maggio 2004.
(8) « Police announce arrets, confessions in Ain Alaq bus bombing » di Nour Samaha, Daily Star, 14 marzo 2007
(9) “Syrians, Palestinians deny links to Ain Alaq blast” di Rym Ghazal, Daily Star, 15 marzo 2007.
(10) “The Redirection. Is the Administration’s new policy benefitting our enemies in the war on terrorism?” di Seymour M. Hersh, The New Yorker, datato 5 marzo 2007, disponibile on-line il 26 febbraio 2007.
(11) “Elliot Abrams, le «gladiateur» converti à la «théopolitique» “ di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 14 febbraio 2005
(12) Abbiamo già notato da queste colonne che il “reallineamneto” è stato adottato anche da Israele: “A Herzilya, Israel dévoile sa strategie contre l’Iran” (“A Herzilya, Israele svela la sua strategia contro l’Iran, ndT), di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 2 febbraio 2007.
(13) “Sinora denies arming Sunni groups” di Iman Azzi, Daily Star, 27 febbraio 2007. Leggere anche l’editoriale offeso del pro-Hariri Michael Young: “Sy Hersh: the dark side of spun a lot”, Daily Star, 3 marzo 2007.
(14) Vedere “Lebanon: managing the gathering storm”, Middle East Report 48, International Crisis Group, 5 dicembre 2005. Questa fonte è tanto più inattendibile al riguardo essendo l’ICG un think thank di Gorge Soros.
(15) Ibid.
(16) “Ahmadinejad et Abdallah veulent contrer les rivalités entre sunnites et chiites” AFP; “Ryad et Téheran s’engagent contre le violences sectaires”, Reuters; “Les dirigeants saoudien et iranien s’accordent pour combattre les tensions entre sunnites et chiites au Proche-Orient”, Associated Press, 4 marzo 2007.
(17) Secondo una testimonianza raccolta dal Réseau Voltaire.
(18) “PLO distances Palestinian cause from suspects in Ain Alaq bus bombing” di Maroun Khoury, Daily Star, 20 marzo 2007.
(19) “Nahr al-Bared pris en étau entre Fatah al-Islam et l’armée libanaise”, AFP, 24marzo 2007.
(20) “ISF claims evidence that links Fatah al-Islam to bus bombing”, Daily Star, 2 aprile 2007.
THIERRY MEYSSAN
Fonte: www.voltairenet.org
Link : http://www.voltairenet.org/article149408.html
23.06.07
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS