GIOVANNA CANZANO intervista CLAUDIO MUTTI
Caserta Sette
Alla fase della secolarizzazione e della “morte di Dio” è dunque seguita, nel ciclo della “civiltà occidentale”, una fase di rievangelizzazione all’insegna di una parodistica religione postmoderna che è stata chiamata religio holocaustica. Si tratta di una religio (nel senso lucreziano e oraziano di “superstizione”) […] per cui non abbiamo più un “avanti Cristo” e un “dopo Cristo”, ma un “prima di Auschwitz” e un “dopo Auschwitz”.
(Claudio Mutti)
CANZANO – Permettere la libera ricerca, fare aprire gli archivi smettendola con la storiografia asservita all’ideologia, non crede che è l’unico modo per scoprire oltre alla verità sull’olocausto, anche altre verità che in questi anni non ci è stato permesso di occuparci?
MUTTI – Nel caso degli eventi che nel corso della seconda guerra mondiale coinvolsero gran parte della popolazione ebraica d’Europa, a ostacolare la libera ricerca non è un semplice pregiudizio ideologico, ma un vero e proprio fanatismo fondamentalista. Lo stesso uso generalizzato di un termine appartenente al lessico rituale come appunto “Olocausto” (con la maiuscola obbligatoria) rivela che è stata imposta una visione parateologica della storia; d’altronde l’uso del termine ebraico Shoah (maiuscola parimenti obbligatoria) chiarisce con sfacciata evidenza la matrice di tale parateologia. Alla fase della secolarizzazione e della “morte di Dio” è dunque seguita, nel ciclo della “civiltà occidentale”, una fase di rievangelizzazione all’insegna di una parodistica religione postmoderna che è stata chiamata religio holocaustica. Si tratta di una religio (nel senso lucreziano e oraziano di “superstizione”) che ha i suoi particolarissimi martiri e santi, i suoi miracolati, la sua agiografia, i suoi luoghi di pellegrinaggio e addirittura un suo specifico criterio di scansione della storia, per cui non abbiamo più un “avanti Cristo” e un “dopo Cristo”, ma un “prima di Auschwitz” e un “dopo Auschwitz”. Non saranno certo i leviti e gli zeloti di questa religio a permettere di “scoprire altre verità”, in quanto “altre verità” non possono esistere. La storiografia dunque potrà liberamente indagare i fatti storici, solo se all’oscurantismo imposto dai nuovi teologi saprà opporre uno spirito illuministico e il coraggio dell’iconoclastia.
CANZANO – Daniel Jonah Goldhagen con il suo libro I volonterosi carnefici di Hitler afferma che i responsabili dell’Olocausto non furono solo SS o membri del Partito Nazista, ma anche tedeschi comuni, che brutalizzarono e assassinarono gli ebrei per convinzione ideologica e per libera scelta.
MUTTI – La nota tesi dell’ebreo americano Goldhagen, secondo cui gli “ordinary Germans” sarebbero diventati “Hitler’s willing executioners”, non dice sostanzialmente nulla di nuovo, in quanto si ricollega, aggiornandola in termini olocaustici, ad un vecchio filone propagandistico ebraico-statunitense inteso a demonizzare la Germania. Tra tutta la vasta letteratura esistente, mi limito a ricordare il libro di Paul Winkler The Thousand Years Conspiracy: Secret Germany behind the Mask, che, distribuito da Roosevelt negli ambienti politici e da Eisenhower in quelli militari, diffuse la convinzione secondo cui “il nazismo non è una teoria nuova sorta dalle ingiustizie del Trattato di Versailles o da una crisi economica, ma è espressione delle aspirazioni tedesche di tutti i secoli”. Anticipando la curiosa teoria di Umberto Eco circa l’Urfaschismus, Winkler insegnava agli Statunitensi che i Tedeschi sono nazisti – e quindi criminali –ab illo tempore, se non ab aeterno. Il programma genocida esposto in Germany must perish e nel Piano Morgenthau furono le logiche conseguenze di questo razzismo antitedesco coltivato da alcuni agit-prop ebreo-americani. Goldhagen, dunque, è solo l’ultimo arrivato.
CANZANO – Ancora Goldhagen, dice che l’antisemitismo germanico era talmente diffuso, maligno, nutrito nei secoli di miti razzisti e false teorie scientifiche da disumanizzare gli ebrei, da trasformarli nell’immaginario collettivo in una sorta di malattia, addirittura di forza demoniaca che si doveva eliminare a ogni costo dalla Germania.
MUTTI – Goldhagen non merita che per lui si spendano troppe parole. Lo stesso Raul Hilberg ha liquidato il suo libro come una cosa “di nessun valore”; per Norman G. Finkelstein si tratta di una “bizzarria” che “sfiora il ridicolo”, in quanto, “nonostante sfoggi l’apparato di un saggio accademico (…) si riduce a poco più di un campionario di violenza sadica”. I volenterosi carnefici di Hitler, insiste Finkelstein, è “zeppo di grossolano errori di interpretazione delle fonti e di contraddizioni interne, (…) è privo di valore scientifico”. Resta comunque il fatto che la tesi di Goldhagen è largamente diffusa tra i pii credenti della religione olocaustica: è la tesi secondo cui l’insofferenza per gli Ebrei costituisce una pura patologia mentale dei Tedeschi e dei Gentili in genere, in quanto gli Ebrei sono sempre e dovunque povere vittime innocenti. Ma, per citare ancora Finkelstein, “nel concedere una totale innocenza agli ebrei, il dogma dell’Olocausto conferisce a Israele e alla comunità ebraica americana l’immunità da ogni legittima censura”.
CANZANO – Se tutti sapevano e condividevano lo sterminio degli ebrei, come mai non si è trovato nessun documento firmato da Hitler sullo sterminio e, nel bunker di Hitler non ne sapevano niente neanche la sua dattilografa Junge Traudl, né un alto ufficiale della Wehrmacht a lungo attivo nel gabinetto del Furer?
MUTTI – In effetti non esiste nessun documento che dimostri un ordine o un piano generale di sterminio degli Ebrei d’Europa. Bisogna comunque far notare che gli archivi della Bauleitung di Auschwitz (l’ufficio responsabile della costruzione delle presunte camere a gas di Birkenau) sono caduti intatti nelle mani dei Sovietici. Nessuno vi ha potuto trovare un solo documento relativo ad un piano di sterminio. L’obiezione secondo cui i documenti non esistono perché gli ordini sarebbero stati dati oralmente e i pochi documenti esistenti sarebbero stati distrutti, non si regge su nessuna prova.
CANZANO – Gli intellettuali ebrei come Marx e Freud solo per citarne due hanno portato nella cultura occidentale delle idee che contrariamente a quando si poteva pensare, hanno creato confusione e allontanamento da quelli che sono i nostri ‘valori’ e la nostra ‘tradizione’, mentre loro sono sempre e comunque legati alla loro memoria vedi il libro di David Grossman “L’uomo che corre” dove la ricerca della identità è legata comunque alla storia di essere ebrei e alla memoria del popolo ebraico.
MUTTI – Il problema consiste proprio nell’individuare l’identità del presunto “popolo ebraico”. Gli ebrei non costituiscono una comunità religiosa: ci sono ebrei atei o agnostici (lei stessa ha citato Marx e Freud), ebrei che praticano il giudaismo, ebrei convertiti ad altre religioni. Non costituiscono un gruppo nazionale: ci sono ebrei statunitensi (sei milioni come minimo), ebrei israeliani, ebrei canadesi, ebrei francesi ecc. ecc. Non sono un gruppo linguistico: ci sono ebrei che parlano inglese, altri che parlano francese, tedesco, ungherese, romeno, russo ecc.; gli unici che parlino una lingua semitica sono quelli che, trasferitisi in Palestina, hanno imparato quella sorta di neoebraico che è la lingua ufficiale dell’entità sionista. (E ciò, tra parentesi, dovrebbe indurci a riflettere sul concetto di “antisemitismo”. Se sono semiti coloro che parlano lingue semitiche, ne risulta che la stragrande maggioranza degli ebrei non sono semiti. E allora che significa propriamente “antisemitismo”?) Tanto meno, gli ebrei sono una razza: ci sono ebrei bianchi (tra i quali gli askenaziti sembrerebbero trarre origine per lo più da un popolo turanico, i Cazari), ma anche negri e gialli. Secondo un’interpretazione di scuola marxista, infine, si tratterebbe del residuo di un “popolo-classe” che ha conservato la propria unità grazie a un complesso di funzioni sociali ed economiche del tutto particolari; ma è evidente che non tutti gli ebrei hanno esercitato attività usurarie. Questa impossibilità di reperire un criterio sul quale fondare l’identità ebraica, dunque, ha fatto sì che molti ebrei abbiano cercato le loro radici identitarie ispirandosi al mito biblico e rielaborandolo in maniera interessata, producendo insomma quello che con terminologia kerényiana potremmo chiamare un “mito tecnicizzato”.
CANZANO – Con la liberazione sono stati creati due nuovi reati d’opinione: l’apologia del fascismo e il vilipendio della resistenza, oggi con Mastella e il caso di Irving questi tipi di reati sono in aumento. Cos’altro ci si può aspettare per il futuro per ‘imbavagliare la ricerca storica’?
MUTTI – Sono infatti ben note le persecuzioni di cui sono oggetto i revisionisti e i ricercatori rei di violare i dogmi del Pensiero Unico. Dal 1981 ad oggi il prof. Faurisson passa da un tribunale all’altro; Ernst Zuendel è stato condannato a cinque anni di carcere “per aver negato l’Olocausto”; Jurgen Graf è stato costretto all’esilio; David Irving è stato in galera un anno per aver tenuto un discorso; e l’elenco potrebbe continuare con decine e decine di casi verificatisi in tutto il “libero Occidente”. Che cos’altro ci si può aspettare? La continuazione della caccia alle streghe darà luogo ad altre condanne detentive, a nuove misure di licenziamento (come nei casi Michel Adam, Vincent Reynouard ecc.), a bolle di scomunica come quella emessa qualche giorno fa dagli inquisitori Gattegna & Mantelli contro l’eretico prof. Claudio Moffa, ad ammende astronomiche, a minacce, ad aggressioni (come accaduto a Faurisson), ad attentati contro le librerie (vedi Librairie du Savoir), a eliminazioni fisiche (vedi François Duprat). Assisteremo probabilmente anche ad un rilancio dei metodi psichiatrici di repressione, come ci induce a ritenere il recente caso del prof. Pallavidini, per il quale un ispettore scolastico ha richiesto una “visita collegiale”; ed anche alla ripresa dei roghi dei libri, come lascia presagire l’arsione di 20.972 esemplari di vari “libri proibiti” decretata da un tribunale di Barcellona su istanza del Centro Simon Wiesenthal e di “SOS-Razzismo-Spagna”. Temo insomma che abbia ragione Robert Faurisson, quando afferma che il futuro è luminoso per il revisionismo, ma oscuro per i revisionisti.
CHI E’ MUTTI – Claudio Mutti è laureato in Filologia Ugrofinnica all’Università di Bologna. Si è occupato dell’area carpatico-danubiana sotto il profilo storico (A oriente di Roma e di Berlino, Effepi, Genova 2003), etnografico (Storie e leggende della Transilvania, Oscar Mondadori, Milano 1997) e culturale (Le penne dell’Arcangelo. Intellettuali e Guardia di Ferro, Società Editrice Barbarossa, Milano 1994; Eliade, Vâlsan, Geticus e gli altri. La fortuna di Guénon tra i Romeni, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1999). (Per ulteriori dati bibliografici, si veda il sito informatico www.claudiomutti.com). Il suo interesse per il revisionismo risale agli anni Ottanta, quando pubblica per i tipi dell’editrice La Sfinge (Parma) una decina di studi di Carlo Mattogno e di altri storici revisionisti. Per le Edizioni all’insegna del Veltro (da lui fondate nel 1978) ha curato la pubblicazione del Rapporto Leuchter e di due libri di Robert Faurisson. Insegna lettere in un liceo classico di Parma.
Giovanna Canzano intervista Claudio Mutti
Fonte: http://lnx.casertasette.com/
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16.05.2007
Foto: professor Robert Faurisson