NORMALIZZARE L'IMPENSABILE

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DI SOPHIE MCNEILL

John Pilger, Robert Fisk, Charlie Glass, e Seymour Hersh sul fallimento
della stampa mondiale

Il 21 aprile l’ex-giornalista Edward R. Murrow si deve essere rivoltato nella tomba. Quel giorno, a Washington DC, la segretaria di stato Condoleeza Rice ha tenuto una conferenza stampa per i giornalisti in un reparto del Dipartimento di Stato chiamato “Programma per i giornalisti Edward R.
Murrow”.

E’ quanto meno ironico che l’amministrazione Bush sfrutti il ricordo di una persona che si opponeva alla propaganda di governo. La Segretaria Rice ha detto ai giornalisti riuniti: “senza una stampa libera che riferisca sulle attività del governo, ponga domande ai funzionari, rappresenti un luogo in cui i cittadini possano esprimere sé stessi, la democrazia semplicemente non potrebbe funzionare”.Una settimana prima, a New York, la Columbia University ha ospitato un convegno sullo stato dei media nel mondo, ed è stato molto più nello stile di Murrow rispetto al simposio tenuto dal Dipartimento di Stato. Il reporter e regista John Pilger, il corrispondente britannico dal Medio Oriente per l’Independent Robert Fisk, il reporter freelance Charlie Glass ed il giornalista investigativo del New Yorker Seymour Hersh erano tutti presenti a questo evento.

Prima che iniziasse l’incontro, nel pomeriggio, mi sono incontrata con John Pilger nel suo hotel. Era appena arrivato da Londra e sarebbe rimasto a New York solo per la tavola rotonda, prima di volare a Caracas, in Venezuela, il giorno dopo. Giornalista da oltre 30 anni, Pilger ha scritto da paesi come Vietnam, Cambogia, Timor Est, Palestina e Iraq – per menzionare solo alcuni dei luoghi in cui lo hanno portato le sue indagini giornalistiche e televisive.

Pilger mi ha detto che non è mai stato preoccupato dello stato dei media come oggi. “Penso ci siano molti motivi per essere molto preoccupati riguardo l’informazione, o la mancanza di informazione che abbiamo. Non c’è mai stato un tale interesse, più che un interesse quasi un’ossessione, nel
controllare ciò che i giornalisti devono dire”.

Nonostante il fatto che la guerra in Iraq sia presente quotidianamente nella maggior parte dei giornali e delle televisioni statunitensi e mondiali, Pilger non pensa che la stampa mondiale riporti esattamente la realtà della vita per i civili iracheni. “Ci illudiamo di vedere che cosa starebbe accadendo davvero in Iraq. Ma ciò che stiamo vedendo è un’enorme censura per omissione; si sta
omettendo davvero molto”, ha detto. “In Iraq abbiamo una situazione in cui sono stati uccisi ben più di 100.000 civili e non abbiamo virtualmente immagini. Il controllo di tutto ciò da parte del Pentagono è stato davvero efficace. E come risultato non abbiamo idea dell’ampiezza delle sofferenze dei civili in quel paese”.

Ho chiesto a Pilger che cosa non riuscisse a passare dall’Iraq

“Beh, la storia non raccontata dell’Iraq dovrebbe essere evidente”, ha detto Pilger, “ma non lo è mai. La storia non detta del Vietnam era che si trattava di un’invasione e che sono stati uccisi un enorme numero di civili. Ed in effetti era una guerra contro i civili, non lo si è mai detto ed è
esattamente ciò che avviene anche per l’Iraq”.

Con la maggior parte della stampa mondiale rintanata dietro 4.5 miglia di barriera di cemento nella zona verde, sembra impossibile che lo standard dell’informazione migliori in un qualunque momento dell’immediato futuro. Ho chiesto a Pilger se desse la colpa ai giornalisti di non voler rischiare le loro vite. “No, non posso”, ha detto, “ma non vedo il senso di stare nella zona verde. Non vedo il senso di indossare un giubbotto antiproiettile e stare in un hotel protetto come una fortezza da un invasore”.

Ma ci sono stati giornalisti – ed altri – che effettivamente sono andati dai ribelli; che hanno parlato di loro. Una, per esempio, è una giovane donna di nome Jo Wilding, una britannica che opera nel campo dei diritti umani. Era a Fallujah durante tutto il periodo del primo attacco (aprile 2004). I resoconti di Jo Wilding erano tra le cose più straordinarie che io abbia letto, ma non sono mai
stati pubblicati da qualche parte”.

Pilger ha detto che la stampa convenzionale dovrebbe smetterla di appoggiarsi al “nostro uomo a Baghdad” e dare invece la priorità a qualsiasi informazione ottenuta da chiunque sia abbastanza coraggioso o abbia i migliori contatti. “Ci sono fonti di informazione per ciò che sta accadendo
in Iraq. La maggior parte sono sul web. Penso che chi non sia interessato alla stampa tradizionale debba guardare a quelle fonti e finirla con il pregiudizio nei loro riguardi, e dire che abbiamo bisogno del lavoro di quel reporter perché lui o lei ci ha detto qualcosa che noi probabilmente non
potevamo ottenere da soli. E io penso che questo sia l’unico modo per servire davvero l’opinione pubblica”.

Avevamo parlato troppo ed abbiamo dovuto prendere rapidamente un taxi per arrivare in tempo alla conferenza. La sala era gremita di studenti universitari, professori e pubblico.

Charlie Glass

L’evento è iniziato subito con Charlie Glass come primo relatore. Ex corrispondente in Medio Oriente per ABC America, Glass ha scatenato le risate dalla folla confrontando la sua esperienza con quella degli altri partecipanti. “Quando ho iniziato col giornalismo, mi ci sono avvicinato nel
modo in cui lo fanno molti giovani ingenui, come una vocazione, una chiamata dall’alto a raccontare la verità. I miei tre colleghi qui sono riusciti a farlo nelle loro carriere. Io ho cercato duramente di farlo nella mia carriera… il problema è che lavoravo per un’emittente statunitense. Non è facile”, ha scherzato Glass.

Glass ha parlato della censura che aveva incontrato quando era un corrispondente televisivo dal Medio Oriente, rifacendosi ad una storia di cui aveva parlato durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982. C’erano state voci che squadroni della morte israeliani dello Shin Bath avessero
assassinato dei civili libanesi nel sud e Glass e la sua squadra erano riusciti a filmare le prove di queste uccisioni. “Abbiamo inchiodato questa storia. Scoprimmo uno degli squadroni della morte. Arrivammo nel palazzo dove avevano assassinato un uomo, solo mezz’ora dopo che lo avevano ucciso. Filmammo un testimone oculare e i soldati delle Nazioni Unite, che avevano visto le stesse cose, ne parlavano”, ha ricordato Glass.

“La ABC News non lo ha trasmesso. Ma non vi diranno che non lo trasmettono perché hanno paura di perdere pubblicità. Non vi diranno che non lo trasmettono perché hanno paura della reazione del pubblico. Vi dicono che non avevano abbastanza spazio quella sera o la sera dopo o quella dopo
ancora. Le cose vanno così. Ecco perché molta poca gente in questo paese ha idea di cosa stia accadendo in Medio Oriente”.

Glass pensa che questo genere di censura abbia portato ad un’abissale ignoranza nell’opinione pubblica statunitense. “Non capite cosa sta succedendo in Iraq perché siete stati ingannati di nuovo. Proprio come quando eravate in Vietnam. Proprio come quando eravate in Libano e proprio come quando eravate in Cisgiordania e a Gaza”, ha detto.

“Nessuno ha un indizio sul perché le cose sono andate male in Iraq. Bene, vi dirò io perché. Vanno male da sempre in Iraq. Non dipende dal fatto che Bremer abbia fatto casino. Non dal fatto che gli Stati Uniti abbiano rubacchiato il tesoro iracheno, il che è vero. Non per il fatto che alcuni soldati si siano comportati male e abbiano sparato a delle persone in auto. Era perché non vrebbe mai potuto andare bene in Iraq” ha insistito Glass “Nessun Iracheno si è fidato degli Stati Uniti, prché la storia degli Usa in Iraq è stata troppo riprovevole – dal tradimento dei Curdi nel 1975, quando Henry Kissinger li ha venduti e sono stati massacrati a decine di migliaia da Saddam, dalla volta che hanno aiutato Saddam nella guerra Iran/Iraq, da quando hanno tradito le ribellioni dei Curdi e degli Sciiti nel 1991, dal regime di sanzioni che è seguito.

“Chi si fiderebbe di una potenza che li vuole liberare, che si era già comportata in quel modo? Non è una questione di cosa è accaduto dopo; ma di cosa è accaduto prima. Avevamo l’obbligo di dire cosa è accaduto prima e non l’abbiamo fatto” ha detto Glass, prima di fare un momento di pausa “Ho perso la mia vocazione. In effetti non amo davvero più questa professione” ha ammesso tristemente.

Robert Fisk

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Il successivo intervento è stato quello del corrispondente per il Medio Oriente Robert Fisk, decisamente il reporter occidentale al mondo con più esperienza su quella regione. Fisk ha estratto una copia del New York Times e l’ha sparsa sul leggio. “Questo è il giornale di questa mattina: l’uomo di Al-Qaeda in Iraq ottiene sostegno dal suo Quartier Generale”, Fisk ha letto ad alta voce. “Un funzionario del ministero dell’interno ha detto, dei funzionari hanno detto, militari statunitensi hanno detto, il governo iracheno ha detto, alcuni funzionari americani hanno osservato ed alcuni ufficiali hanno detto, due funzionari dell’intelligence Usa hanno detto, un funzionario pakistano ha detto, e sono appena alla colonna due”, ha esclamato Fisk. “Ho sempre pensato che il vostro giornale principale dovrebbe essere chiamato ‘i funzionari statunitensi dicono’. Potete scartare tutte le notizie ed avrete il Pentagono che parla direttamente”.

Fisk si è espresso sull’oltraggio alla semantica del linguaggio che si presenta in gran parte della corrispondenza dal Medio Oriente. “Nella stampa statunitensi i territori palestinesi occupati si trasformano in territori contesi, una colonia si trasforma in un insediamento o in un quartiere o in un avamposto. Semanticamente, stiamo costantemente degradando le ragioni della rabbia palestinese. Il muro si trasforma ogni volta in una recinzione. Come la recinzione di Berlino – se fosse stata costruita dagli israeliani, si sarebbe chiamata così. Quindi per chiunque non conosca la reale semantica di questo conflitto, i Palestinesi sono genericamente violenti. Cioè, chi mai protesterebbe per una recinzione da giardino o di quartiere? Lo scopo di questo genere di giornalismo è di minimizzare i reali motivi che stanno dietro al conflitto in Medio Oriente”.

Fisk ha continuato a spiegare perché pensa che la manipolazione del linguaggio nei servizi giornalistici distorca la verità. “Ora stiamo introducendo un’altra frase. Avete notato come continuino a saltar fuori nei servizi da Baghdad queste straordinarie creature? ‘Uomini in uniforme della polizia’ hanno partecipato al rapimento. ‘Uomini in uniforme della polizia’ hanno rapito Margaret Hassan. ‘Uomini in uniforme dell’esercito’ hanno assediato le stazioni di polizia”, Fisk ha detto, piuttosto esasperato. “Ora, i reporter che scrivono questa immondizia credono davvero che a Fallujah ci sia un magazzino con ottomila uniformi della polizia fatte su misura per i ribelli?” ha chiesto Fisk, quindi ha risposto “naturalmente non ci sono, sono i poliziotti stessi”.

La critica principale di Fisk era riservata alla copertura televisiva del conflitto. “La televisione è connivente con la guerra perché vi non mostrerà la realtà. Se un Iracheno è abbastanza fortunato da morire in una posizione romantica, allora andrà in onda” ha detto Fisk. Poi ha aggiunto “ma se non ha la testa o se è come la maggior parte delle vittime, fatto a pezzi, voi non lo vedrete”.

Fisk ha parlato delle immagini di un suo collega della televisione censurate per routine dai produttori e dai redattori. “Li ho sentiti dire proprio questo: `E’ pornografico mostrare queste immagini. C’è gente che fa colazione; vomiterebbero sui loro cornflakes… Non possiamo mostrarlo’. Il mio favorito è `Dobbiamo rispettare i morti’. Possiamo ucciderli tanto e quanto vogliamo, ma una volta che sono morti, dobbiamo rispettarli, giusto? E così voi sarete schermati da questa guerra. Sarete protetti da questa realtà”.

Fisk crede che tenere i giornalisti rintanati nella zona verde sia conveniente per le forze militari in Iraq. “Agli Statunitensi e con un grado inferiore ai Britannici, questo piace. Non vogliono che andiamo in giro. Non vogliono che andiamo negli obitori a contare i morti”.

Fisk ha raccontato una sua esperienza durante una visita ad una camera mortuaria di Baghdad nel mese di agosto 2005. “I funzionari dell’obitorio, contro la legge Irachena, che non conta molto al momento, mi hanno lasciato vedere il PC del ministero della sanità, a cui i funzionari statunitensi i e britannici hanno ordinato di non far accedere giornalisti occidentali… e questo indicava che solo nel luglio dell’anno scorso 1.100 Iracheni sono morti violentemente, nella sola Baghdad”.

Fisk ha sfidato le convenzioni standard sulle corrispondenze, conficcate a martellate nelle teste degli studenti di giornalismo in tutto il mondo. “Ce n’è una che viene dal sistema scolastico del giornalismo secondo cui voi dovete dare lo stesso spazio ad entrambe le posizioni”, ha spiegato Fisk. “A lui io rispondo: Ok, se stessimo parlando del commercio di schiavi del diciottesimo secolo, dareste lo stesso spazio al capitano della nave degli schiavi? No. Se state riferendo sulla liberazione di un campo nazista, date lo stesso spazio al portavoce delle SS? No. Quando io ho riferito di un attentato suicida palestinese in un ristorante israeliano a Gerusalemme Ovest nell’agosto del 2001, ho dato lo stesso spazio al portavoce della jihad islamica? No. Quando 1.700 palestinesi sono stati macellati negli accampamenti per rifugiati palestinesi di Sabra e Shatila nel 1982, ho dato lo stesso spazio al portavoce israeliano, il quale stava naturalmente rappresentando un esercito che ha guardato il massacro mentre il suo alleato falangista libanese lo stava commettendo? No. I giornalisti dovrebbero stare dalla parte delle vittime” ha detto Fisk.

Ha poi chiuso con un sobrio avvertimento agli spettatori ed ai lettori che seguono con attenzione le notizie sulla guerra in Iraq. “Abbiamo un vero disastro nelle nostre mani perché il progetto statunitense in Iraq è morto. Dovere fare a meno di credere a qualsiasi cosa chiunque vi dica in qualsiasi giornale. È una catastrofe, ed ogni reporter che lavora in Iraq lo sa, ma non ve lo dice” ha detto Fisk, facendo una pausa. “E quella è la nostra vergogna”.

John Pilger

John Pilger ha parlato subito dopo al pubblico sfidando l’idea stessa che gli Stati Uniti ed i suoi alleati siano in guerra. “Non siamo in guerra. Invece, le truppe statunitensi e britanniche stanno combattendo delle insurrezioni in paesi in cui le nostre invasioni hanno causato caos e dolore… ma voi non lo dovreste sapere. Dove sono le immagini di queste atrocità?”

Pilger si è riferito alle prime guerre di cui ha scritto, in Vietnam ed in Cambogia, affrontando il tema del ruolo dei giornalisti da allora ad oggi. “L’invasione del Vietnam era intenzionale e calcolata – come lo erano le politiche e le strategie che rasentavano il genocidio e sono state destinate a forzare milioni di persone ad abbandonare le loro case. Armi sperimentali sono state utilizzate contro i civili. Tutto questo raramente faceva notizia. Il compito non detto del reporter in Vietnam, come in Corea, era di normalizzare l’impensabile. E ciò non è cambiato”.

Pilger ha continuato a spiegare la sua reazione alle attuali cronache degli eventi in Iraq. “L’altro giorno, nel terzo anniversario dell’invasione, un giornalista (letteralmente: lettore di notizie) della BBC ha descritto l’invasione come ‘errore di calcolo’. Non illegale. Non ingiustificata. Non basata su bugie. Ma un errore di calcolo. Quindi, l’impensabile è normalizzato. Concentrandosi sulle dichiarazioni militari. Facendo sembrare che sia una guerra rispettabile, voi normalizzate ciò che è impensabile. E una guerra contro i civili è impensabile. È una guerra che esige decine di migliaia di vittime. Ci sono stime che dicono oltre 100.000. Quando i giornalisti lo indicano come rispettabile atto geopolitico e sostengono l’idea che si è fatta per portare la democrazia in questo paese, allora stanno normalizzando l’impensabile”.

Pilger ha rivolto la sua attenzione alla BBC. Normalmente riconosciuta ovunque come fonte di informazioni stimata ed indipendente, Pilger ha completamente rifiutato questa tesi. “In Gran Bretagna, dove vivo, la BBC, che si promuove come una specie di paradiso dell’obiettività, dell’imparzialità e della verità, gronda sangue dalle sue mani aziendali”. Pilger ha citato uno studio condotto dalla scuola di giornalismo dell’Università di Cardiff secondo cui nelle circostanze che hanno portato alla guerra, il 90 % dei riferimenti della BBC alle armi di distruzione di massa suggeriva che Saddam Hussein le avesse davvero.

Pilger ha aggiunto “Ora sappiamo che la BBC ed altri media britannici sono stati usati dal MI-6, il servizio segreto. In ciò che hanno chiamato “Operazione di Approvazione di Massa”, gli agenti MI-6 hanno piazzato delle storie sulle armi di distruzione di massa di Saddam, come armi nascoste nei suoi palazzi ed in bunker sotterranei segreti. Tutte queste storie erano false. Ma non è quello il punto. Il punto è che il ruolo del MI-6 era abbastanza inutile perché una sistematica auto-censura dei media ha fornito lo stesso risultato”.

Per Pilger il modo più significativo in cui i giornalisti sono usati dal governo è in ciò che chiama “un processo di indeboliemnto” prima dell’operazione militare programmata. “Li indeboliamo disumanizzandoli. Attualmente i giornalisti stanno indebolendo l’Iran, la Siria e il Venezuela” ha detto Pilger. “Alcune settimane fa Channel 4, considerato in Gran Bretagna come un buon notiziario liberal, ha trasmesso un servizio di apertura che potrebbe essere stato diffuso dal Dipartimento di Stato. Il reporter ha presentato il presidente del Venezuela Chavez come un personaggio dei fumetti, un sinistro buffone il cui folkloristico atteggiamento latino mascherava un uomo e qui cito testualmente `a rischio di unire una parata di furfanti tra cui dittatori e despoti – l’ultimo incubo latino di Washington’.

“Rumsfeld si è permesso di chiamare Chavez “Hitler” senza che nessuno lo contestasse. Secondo quel reporter, il Venezuela sotto Chavez sta aiutando l’Iran a sviluppare armi nucleari. Ma non è stata data alcuna prova per questa stronzata”. Ha citato un rapporto recente del FAIR, l’organo di controllo dei media, il quale ha riscontrato che 95 editoriali su 100 nei media hanno espresso ostilità a Chavez, con termini quale “dittatore” “uomo forte” e “demagogo” usati regolarmente in pubblicazioni come il Los Angeles Times ed il Wall Street Journal. “L’indebolimento del Venezuela è molto avanzato negli Stati Uniti. Cosicché se o quando l’amministrazione Bush lancerà l’Operazione Bilbao, un programma contingente per spodestare il governo democratico del Venezuela, chi si preoccuperà? Avremo soltanto la versione dei media, un altro schifoso demagogo avrà ottenuto ciò che si meritava. Un trionfo della censura per omissione e per giornalismo”, ha concluso.

Seymour Hersh

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L’ultimo speaker, Seymour Hersh, ha da poco pubblicato un rapporto sui programmi segreti dell’amministrazione Bush per un attacco all’Iran, e ne ha voluto parlare. “Abbiamo una situazione, che è davvero unica nella nostra storia. Questo è un presidente che è totalmente assuefatto alla stampa. Non importa cosa scriviamo o diciamo. Ha la sua visione, sia che stia comunicando con Dio o che stia facendo le cose per conto di ciò che suo padre non ha fatto o qualunque cosa si tratti. Ha suo punto di vista messianico su ciò che va fatto e non va fatto”, ha avvertito Hersh.

Il moderatore ha chiesto a Hersh sul suo uso di fonti anonime e della possibilità che la sua storia sull’Iran provenisse da un infiltrato governativo. “E’ una domanda appropriata” ha rilevato. “La gente potrebbe dire: voi siete parte del processo, provando ad esercitare pressioni sugli Iraniani usando la guerra psicologica ed insinuando questa storia? Vorrei davvero che possedessero quel genere di astuzia… vorrebbe dire pensarla alla Kissinger” ha detto ridendo. “Ma il fatto è con George Bush, ed è stato molto costante. Ciò che vedete è ciò che ottenete” “Non era un infiltrato” ha spiegato Hersh. “Questo [rapporto] proviene da gente che si è voluta prendere delle pallottole per noi… che ha voluto mettere la propria vita a rischio, che capisce il combattimento e che è spaventata a morte da questo tipo alla Casa Bianca”. Hersh ha continuato avvertendo il pubblico su ciò che pensa accadrà con l’amministrazione Bush in ‘Iran: “Amici, non scommetteteci contro, perché probabilmente stanno per farlo; perché qualcuno lassù gli sta dicendo che è la cosa giusta da fare”.

Hersh ha considerato le aspre critiche dei suoi colleghi. “Sì, è importante pestarci fra di noi. Come sempre ce lo meritiamo. Come sempre vi abbiamo completamente abbandonato” ha rilevato stancamente Hersh “Ma sopra ed oltre tutto ciò, amici, da un mio conteggio sono rimasti qualcosa come 1.011 giorni al regno di Re George il Minore, e questa è la cattiva notizia. Ma c’è una buona notizia. E la buona notizia è che domani, quando ci sveglieremo, mancherà un giorno in meno”. Con un grande giro di applausi, il pomeriggio si è concluso. Ho chiesto a Pilger i suoi pensieri finali. Ha fatto una pausa e poi ha risposto “I giornalisti, come i politici, come chiunque in effetti, dovrebbero essere chiamati a giustificare le conseguenze delle proprie azioni. I giornalisti hanno svolto un ruolo cruciale sostenendo le guerre. Iniziandole e sostenendole. E dobbiamo affrontare questo tema. Non c’è niente di sbagliato nel giornalismo, è un meraviglioso privilegio, è a tutti gli effetti un mestiere ed io sono molto fiero d’essere un giornalista. Ma è il modo in cui lo si pratica. È come se fosse stato dirottato dalle aziende e noi dovremmo riportarlo indietro”.

Sophie McNeill è una video-giornalista freelance il cui lavoro compare regolarmente nel programma “Dateline” della televisione australiana SBS. Vive a New York.

Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article13492.htm
03.06.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FILMARI

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