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NERONE E I CRISTIANI: LA MILLENARIA FROTTOLA DELLA PERSECUZIONE

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A cura di Davide
Il 9 Aprile 2013
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DI MASSIMO FINI
gazzettino.it

In margine alla visita del Papa alle grotte di San Pietro per pregare sulla tomba che conterrebbe le ossa dell’apostolo è rispuntata fuori la millenaria fandonia di Nerone «primo persecutore dei cristiani». Nerone non perseguitò mai i cristiani in quanto tali, per la loro fede. In materia religiosa era, nel solco della migliore tradizione romana, estremamente tollerante. La questione è un’altra.

Tutto nasce dal devastante incendio che nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 64 colpì Roma e vi infuriò per alcuni giorni. Non era certo il primo. Ce ne erano stati nel 6, nel 27, nel 36, nel 54. Ma quello del 64 fu il più disastroso.La Roma di allora era stretta fra vicoli tortuosi, dove il popolino faceva un uso disinvolto e spesso irresponsabile di bracieri, di fornelli, di torce fra catapecchie di legno che aspettavano solo di prender fuoco (e Nerone ricostruirà Roma in pietra ignifuga).

L’incendio fu casuale. Che Nerone ne sia stato l’autore nessuno storico serio, né antico né, tantomeno, moderno l’ha mai sostenuto. Saranno il pettegoliere Svetonio, sett’anni dopo i fatti, e Dione Cassio un secolo dopo Svetonio a costruire l’immagine di un imperatore che «dall’alto del Palatino», munito di cetra osserva la distruzione della capitale per ispirare la sua musa. Ma Nerone sul Palatino non ci poteva essere per la semplice ragione che era in fiamme.

Quella notte Nerone si trovava ad Anzio e, a cavallo, si precipitò a Roma per dirigere le operazioni dei soccorsi con una serie di misure degne, seguendo il racconto di Tacito che pur gli era ostilissimo, di una moderna protezione civile.

L’incendio fu casuale. Ma non è escluso che, alcune frange di estremisti cristiani, che vedevano la Roma baccante di Nerone come una nuova Sodoma e ne sognavano la distruzione, ci abbiano messo una manina per alimentarlo (lo stesso Paolo, nella ‘Lettera ai romani’ si mostra preoccupato per l’estremismo di alcuni suoi compagni di fede). In ogni caso la comunità cristiana ebbe l’imprudenza di manifestare la propria gioia per quella immane catastrofe. Per questo gli uomini di Tigellino diressero la loro attenzione verso quelle parti. Alcuni confessarono prima ancora di essere arrestati: per la gloria del martirio, come i moderni terroristi islamici, anche se probabilmente non avevano fatto niente. In tutto ne furono arrestati 300. Alcuni vennero assolti, altri condannati a pene minori, 200 a morte. I processi furono accurati, durarono due mesi, tanti per la veloce e pragmatica giustizia romana. Le pene terribili: arsi vivi, crocefissi, dati in pasto ai cani. Tutto si svolse secondo le leggi e i costumi dell’epoca. Niente di più. Ma anche niente di meno. In quella occasione Nerone, «per quanto forte fosse la sua avversione per le pene capitali» (Grant) usò il massimo rigore. Ma se le autorità romane credevano, a torto o a ragione, che frange di estremisti cristiani fossero responsabili di un atto terroristico così grave, di fronte al quale quello dell’11 settembre impallidisce, la reazione non fu sproporzionata: 200 esecuzioni su una comunità che contava 3000 persone e che, in quanto tale, non fu toccata. Lo stesso Paolo, il leader dei cristiani a Roma, poté continuare la sua predicazione e nessuna conseguenza ci fu per i cristiani delle province. E in seguito, durante il principato di Nerone, non fu varata nessuna legge che proibisse ai cristiani di professare la propria fede. Le persecuzioni cominciarono dopo con Domiziano (81-96), e proseguirono con Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo, Massimino, per assumere, con Diocleziano, le forme del genocidio. Ma con tutto questo Lucio Domizio Enobarbo, alias Nerone, non c’entra nulla.

Massimo Fini
Fonte: http://www.gazzettino.it/
5.04.2013

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