Maradona e Platini: due mondi a confronto

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Di  Nando Basile, ComeDonChisciotte.org

Ora ne possiamo parlare, ora che una delle parentesi si è chiusa definitivamente, per la vita. E ne parleremo, ci sarà ancora tanto di inchiostro a scorrere sull’uomo, il simbolo dietro, le gesta, le contraddizioni, i paragoni con gli altri. Ed è proprio ai paragoni che non potremo sottrarci, perché è dal confronto che nasce la differenza, dove il personaggio si distacca dallo sfondo, e dove il mito (perché di questo si tratta) si solleva dalla persona.

Confondere Diego Maradona uomo con quello che ha rappresentato, e continuerà a rappresentare, sarebbe un errore gravissimo, perché l’uomo è quello che uno fa, mentre il simbolo è quello che gli altri gli cuciono addosso.

E per Napoli, Diego Maradona è sempre stato solo il simbolo. Non è che gli fosse stato perdonato di sniffare la coca, o frequentare camorristi, o lasciare figli in giro. Semplicemente, non interessava. Se San Gennaro ti fa il miracolo, che te ne importa se nell’ampolla c’è davvero il sangue? Se sei devoto di padre Pio, che te ne importa se Antonio Forgione le stimmate se le faceva da solo?

Per andare avanti, lo spirito napoletano deve credere in qualcosa. Deve credere nei miracoli. Come battere la Juve a casa sua che, da quando i Piemontesi con i soldi dei Rothschild di Francia e l’appoggio della flotta inglese hanno conquistato Napoli, rimane un’impresa di non trascurabile impatto politico. Se lo Scudetto esce dalla Val Padana, l’Italia ha problemi di identità.

E il simbolo è quel nanerottolo, col fare da scugnizzo e di famiglia disagiata, praticamente un napoletano nato all’estero secondo gli stereotipi del Nord- piccolo, drogato, sbruffone, amico di camorristi- che si permette di dire di “no” agli Agnelli e mandare affanculo i Moggi e le altre puttane di regime della carta stampata, soprattutto quella rosa ma non a strappi. E’ quello che osa dire senza mezze parole ai servi che sono servi, tanto, nel campo, il più forte è lui. E gli altri, possono solo rosicare.

Mi fai il fallo? Segno lo stesso. Ti inventi una punizione in due in area perché se mi dai un sacrosanto rigore, poi perdi il posto? E io gli metto la palla all’incrocio dei pali. E salutame ‘a soreta…

Ed era eccessivo, e gonfiato dalle manie di grandezza che solo un’intera città in adorazione può insufflare in un “panzarottiello” di 1m e 67, con costanti problemi di peso e iniezioni di cortisone. E questo era uno schiaffo costante al falso perbenismo, ai ladri in cravatta, ai lecchini a gettone, ed a tutto lo strascico che ogni sistema di potere si porta, inevitabilmente, dietro. Tutti lì ad aspettarlo al varco, a cercare di gettargli addosso un po’ di quella melma nella quale sguazzano, che gli ritorna.

Chi non ha conosciuto la Napoli degli anni ‘80/’90, semplicemente non può capire. Chi ha seguito il fenomeno dai giornali, si è fatto un’idea di comodo o di parte. Come sempre, del resto. Il mondo rimarrà diviso tra quelli che, in Argentina-Inghilterra, vedranno il ladro che ruba il gol con la mano, e gli altri che continueranno a vedere il dio che se ne va in porta da solo.

Ma la storia ci è amica. Ci permette dei paragoni e, 35 anni dopo, di tirare qualche conclusione in più.

Michel Platini è stato un grandissimo campione, qualcuno con una larghissima visione di gioco ed un talento che gli ha permesso di portare la Francia a vincere gli Europei, in un’epoca in cui ancora ci si chiedeva se, nel paese di Asterix, qualcuno avesse insegnato il calcio ai barbari.

E, negli anni ’80, la (finta) rivalità tra Maradona e Platini faceva infiammare i dibattiti e qualcuno credeva davvero che i due fossero tecnicamente confrontabili: i francesi e i tifosi della Juve.

Michel Platini aveva di tutto per incarnare il perfetto stile Juventus: francese, quindi parente dei Savoia per definizione, sempre ben posato, le giuste parole al buon momento, accento ed ‘erre’ moscia come l’Avvocato. Vestito impeccabile, moglie impeccabile, condotta impeccabile, serietà impeccabile. Un angelo transalpino senza peccato. Per molti, il baluardo della fede franco-padana da contrappore a quel piccolo demonio naturalizzato terrone che osava attentare all’ordine costituito delle cose.

Chi crede che questa competizione potesse avere senso, non ricorda il calcio dell’epoca. Gli ingaggi cominciavano a lievitare, ma le squadre non erano ancora quotate in borsa. E questo fa una grande differenza.

Oggi, se fai un fallo su Messi o Ronaldo, rischi una causa con danni miliardari: stai fermando un’azienda. All’epoca, Maradona era falciato sul campo in media ogni 5 minuti. Ed in maniera pesante. Guardatevi qualche video! Ogni squadra avversaria che facesse questo, oggi terminerebbe la partita in 3, giocando col portiere centravanti, l’allenatore a centrocampo ed il massaggiatore in porta. Al contrario, tiravi la maglietta a Platini a centrocampo e, al minimo, rischiavi il rigore contro. Su questo è cambiato poco, a parte il VAR, che ti permette di essere sicuro di prendere sempre la decisione sbagliata da regolamento, ma giusta da contratto, anzi, impeccabile.

Il calcio, in Italia è un’attività di distrazione sociale fondamentale. Devi davvero essere tifoso per credere che sia uno sport equo. Se così fosse, nessuno ci investirebbe. Quindi il paragone tra Maradona e Platini era equo perché uno dei due faceva la corsa ad ostacoli in salita, mentre l’altro andava in piano.

Ma non è questo il punto. Il punto sono i simboli.

Se veniamo al pibe de oro, abbiamo il simbolo del riscatto, del lavoro duro, certo, ma oltre tutto del talento. Il simbolo di quello che è stato “toccato da Dio”, per chi ci vuole credere: Wolfang Amadeus Maradona.

Sicuramente, Diego ci credeva, e lo faceva credere agli altri. Tutto il resto della sua vita è stata così, senza mezzi termini: grandi successi, enormi sconfitte. Nella vita, come nel campo, un continuo rialzarsi, alla faccia di tutti gli scarafaggi che ti vorrebbero a terra come loro, dei mediocri che cercano di rialzarsi facendo scendere gli altri, di quelli pronti a criticare 5 miliardi per Maradona, ma non 7 miliardi per Lentini al Milan (acquistato, suppongo, su consiglio di Fontana e Gallera, e di quei “sani” imprenditori lombardi che oggi prendono ordini in calabrese). Vediamo uno che dice al presidente della FIFA che è un ladro (vero, ma non si può dire), va ad abbracciare Fidel e prende posizione contro gli USA (ovvero contro chi governa in Italia), dando all’Argentina, su un campo di calcio, una rivincita che vale più delle Falkland. Attraverso il calcio, diventa un vero fenomeno mediatico.

Quanti di voi non conoscono Maradona? Nessuno. Quanti di voi conoscono David Rothschild? Nessuno.

Eppure, è con quest’ultimo che prendete un prestito in banca, o vi fate un’assicurazione, o vi presta il battello per soccorrere i profughi. E’ sui suoi giornali che leggete quello che dovete sapere ed i film che dovete vedere al cinema, ed è lui che intasca una parte sul prezzo delle medicine che prendete, delle punturine che vi farete e dell’aria che respirate attraverso le mascherine. E soprattutto, è lui che fa profitti ogni volta che vi arriva un pacchetto da Amazon. Ma non lo conosce nessuno. Tra l’altro, è morto a 101 anni, ma nessuno lo sa.

Ma è Diego che va nei libri di scuola, perché è Diego che vi darà l’utopia che qualcuno possa alzare, di tanto in tanto, la voce contro il sistema e averla vinta. Una specie di Guevara in scarpette coi tacchetti, pronto a capeggiare una rivolta di Napoletani/Cubani, Argentini, Brasiliani (ovvero sud-italiani e sud-americani) contro Juventini/Americani, Francesi, Polacchi e Danesi (ovvero nord-italiani, nord-americani e nord-europei). C’è da stupirsi se abbraccia Fidel?

Diego è un film, una bella storia di cuore e coraggio per andare a letto tranquilli e lasciarsi spremere dal sistema il giorno dopo. Mentre l’altro – Michel Platini, il Salieri della situazione, è la Ragione. Ragiona nel campo, ragiona fuori del campo. A differenza di Diego, Michel ha imparato a non dire quello che pensa ed a valutare le amicizie potenti, anziché sparargli contro. Un carattere perfetto per la Juventus. Platini è praticamente un direttore d’azienda prestato al calcio. Poche o nessuna pretesa di riconvertirsi ad allenatore: è subito inquadrato per fare carriera da dirigente nell’azienda bianco-nera. E poi, gli Agnelli-Elkann ed i loro agganci con altri personaggi di quelli che amano restare discreti, lo ‘propulsano’ nelle alte sfere del calcio. Michel è un buon esecutore, saprà stare al suo posto e far vincere la giustizia (in senso biblico, ovvero il volere del capo). E quando l’odiato Blatter, il mafioso, il ladro, gli dà la possibilità di prenderlo come braccio destro, ecco che diventa l’amato Blatter, la persona che suscita invidie e va difeso. La persona di cui prendere il posto con tanto inchino. Ma finisce male.

Mentre Maradona passerà alla storia come uno che ha sempre lottato dentro e fuori del campo, Platini esce di scena con una brutta storia di corruzione, abilmente attenuata dai giornali di regime. Perché drogarsi non va bene, ma prendere le mazzette è tollerato. Quindi Diego sbaglia da proletario e Michel segue la trafila dei colletti bianchi. Di quelli mediocri, però, che si fanno beccare con le mani nel sacco e che, in fin dei conti, tanto furbi non erano.

Alla fine fra Maradona e Platini è ben più di una rivalità fra tipologie umane diverse: è una scelta. Da una parte scegli di vivere, lottare, sbagliare e soffrire in nome di un sogno collettivo, dall’altra – cerchi di sfruttare il tuo talento per farti al meglio affari tuoi.

I primi vivono intensamente, spesso bruciandosi, e morendo presto, ma lasciano dietro di sé la passione e il mito. I secondi vivono una vita da ingranaggio, da servi ben pagati, imparando a tenere le passioni a freno e stare al loro posto approfittando delle opportunità. Questi ultimi in genere vivono serenamente e più a lungo.

Però gente così, per Napoli, e per la Storia, resta per sempre in panchina.

Di Nando Basile, ComeDonChisciotte.org

26 novembre 2020

Pubblicato da Zory Petsova per ComeDonChisciotte.org

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