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Non molti hanno visto o sentito parlare dell’”Ordine Basato Sulle Regole”, a meno che non si tratti di esperti di affari esteri che si prendono la briga di guardare oltre le principali piattaforme mediatiche. In sostanza, si tratta del quadro di riferimento basato sul dollaro statunitense all’interno del quale si svolge la maggior parte degli affari internazionali dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma poiché l’OBR è la questione di fondo in gioco nella guerra in Ucraina, è opportuno capire che cos’è, perché la classe dirigente statunitense è così intenzionata a preservarlo, perché i Paesi che controllano l’80% della popolazione mondiale hanno inizialmente scelto di osservare il conflitto in disparte e, infine, perché un numero crescente di questi Paesi si stia ora opponendo alle restrizioni dell’OBR. Lungo il percorso impareremo che, se in un paio di momenti critici gli eventi fossero andati in un altro modo, l’era successiva alla Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata molto probabilmente molto più pacifica. La storia inizia agli albori della Seconda Guerra Mondiale, poco prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti.
La maggior parte delle persone negli Stati Uniti crede che il Presidente Franklin Roosevelt e il Primo Ministro Winston Churchill fossero in perfetta sintonia sugli obiettivi della guerra. Non era così: le loro divergenze erano fondamentalmente su due questioni. La prima era il futuro postbellico del colonialismo. La differenza era stata oggetto di discussione a bordo di alcune navi nella baia di Argentia, a Terranova, nell’agosto 1941, in quella che divenne nota come la Conferenza sulla Carta Atlantica, quattro mesi prima di Pearl Harbor. Come racconta Elliott Roosevelt nel suo libro As He Saw It del 1946, il presidente [Roosevelt] aveva detto quanto segue:
“Sono fermamente convinto che, se vogliamo arrivare ad una pace stabile, dobbiamo coinvolgere lo sviluppo dei Paesi arretrati. Popolazioni arretrate. Come si può fare? Non si può fare, ovviamente, con i metodi del XVIII secolo. Ora – “
“Chi sta parlando di metodi del XVIII secolo?” [Aveva replicato Churchill e Roosevelt aveva continuato:] “Chiunque dei vostri ministri raccomandi una politica che sottrae ricchezza in materie prime ad un Paese coloniale, ma che non restituisce nulla al popolo di quel Paese. I metodi del ventesimo secolo comprendono l’aumento della ricchezza di un popolo attraverso l’incremento del suo tenore di vita, l’istruzione, l’introduzione di servizi igienici – facendo in modo di ottenere un ritorno per la ricchezza di base della sua comunità”. P 36
Elliott era un ufficiale della Riserva dell’Aviazione dell’Esercito che si trovava nella zona per individuare i siti adatti alla costruzione di basi di rifornimento per gli aerei da inviare in Europa in base alla Legge sugli affitti e prestiti. FDR aveva chiesto che il figlio fosse temporaneamente assegnato come suo assistente durante la conferenza. La questione si era ripresentata alla Conferenza di Casablanca del gennaio 1943. A quel punto Elliott era l’ufficiale comandante della ricognizione aerea alleata nel teatro del Mediterraneo occidentale e, sempre in qualità di assistente del padre, aveva riassunto una conversazione privata con il padre come segue:
“I suoi pensieri erano rivolti al problema delle colonie e dei mercati coloniali, il problema che, secondo lui, era al centro di tutte le possibilità di pace futura. Il fatto è”, aveva osservato pensieroso, “che il sistema coloniale significa guerra. Sfruttare le risorse di un’India, di una Birmania, di un’isola di Giava, portare via tutta la ricchezza da quei Paesi, ma non restituire mai nulla, come l’istruzione, standard di vita decenti, requisiti sanitari minimi: tutto ciò che si fa è accumulare quel tipo di problemi che portano alla guerra. Tutto ciò che si fa è negare il valore di qualsiasi tipo di struttura organizzativa per la pace prima che inizi”. P 74
Questa osservazione chiarisce in modo inequivocabile quanto il Presidente Roosevelt fosse convinto che non si sarebbe potuta ottenere una pace duratura fino a quando i Paesi del mondo, grandi e piccoli, non fossero stati realmente sovrani e liberi di svilupparsi a modo loro senza essere predati da altri Paesi. Per raggiungere questo obiettivo era necessario porre fine al colonialismo. Churchill, al contrario, era determinato a far sì che il colonialismo britannico non finisse durante il suo governo.
L’altro punto chiave del contenzioso tra il presidente e il primo ministro riguardava la natura e la gravità della minaccia rappresentata dal fascismo. Sebbene, a causa della sensibilità politica interna, non vi sia molto di documentato sulle reali opinioni di FDR in materia prima del 7 dicembre 1941, le sue azioni prima di quella data parlano chiaro, affermando che la minaccia dell’ideologia al governo di, da e per il popolo era grave. La più significativa di queste azioni era stata l’attuazione da parte dell’amministrazione di un piano per istigare deliberatamente un attacco giapponese alle strutture militari statunitensi da qualche parte nel Pacifico. Le speculazioni sul fatto che questa potesse essere la verità erano iniziate prima del tramonto di quel terribile giorno, ma erano state confermate solo mezzo secolo dopo dal ricercatore Robert Stinnett. Il suo libro del 1999, Day of Deceit: The Truth about FDR and Pearl Harbor (Il giorno dell’inganno: la verità su FDR e Pearl Harbor), contiene una copia fotografica del promemoria originale del tenente comandante Arthur McCollum che illustrava il piano in più fasi, un elemento chiave del quale era il ridispiegamento della flotta del Pacifico dalla costa occidentale alle Hawaii. McCollum era nato in Giappone da missionari cristiani e vi era cresciuto fino alla prima adolescenza. Dopo il diploma all’Accademia Navale degli Stati Uniti nel 1921, molti dei suoi incarichi di servizio erano stati ricoperti in varie posizioni nel Bureau of Naval Intelligence in e/o in relazione al Giappone. Essendo stato accudito da una bambinaia giapponese, aveva una conoscenza quasi nativa della lingua. Aveva inoltre una profonda conoscenza della cultura e della politica giapponese.
Ciò porta a chiedersi perché Roosevelt fosse così aggressivo nei confronti del fascismo. Prima di tutto c’era l’apparente efficacia del modello di governo fascista. Mussolini si vantava di far viaggiare i treni in orario e la Germania sotto Hitler si era rapidamente ripresa economicamente e riarmata. Poi c’era stata la sconfitta con una guerra lampo della Francia nella primavera del 1940, seguita un anno dopo dall’Operazione Barbarossa, che aveva messo alle corde l’URSS nel momento in cui i leader di Stati Uniti e Gran Bretagna si riunivano nelle acque canadesi. FDR era anche a conoscenza degli sforzi di numerosi politici del Vecchio Continente per creare un partito fascista negli anni Trenta. Gli storici popolari del dopoguerra vorrebbero farci credere che si era trattato soprattutto di Oswald Mosley, ma molti altri personaggi di spicco, tra cui lo stesso Winston Churchill, avevano corteggiato il fascismo fino alla fine del decennio, quando i più avveduti si erano resi conto che la Germania nazista era diventata una grave minaccia strategica. Tuttavia, per tutta la durata della guerra, il Regno Unito aveva continuato a considerare la Russia – l’URSS – come la più grande minaccia a lungo termine per il suo controllo sull’India, come aveva fatto fin dal XIX secolo. Questo fatto, a sua volta, aveva portato l’Inghilterra a scontrarsi con gli americani sulla strategia di guerra.
Il fascismo aveva estimatori anche sulla sponda occidentale dell’Atlantico. Il fascismo piaceva ai numerosi politici autoritari che gli Stati Uniti avevano sostenuto in America Latina, e la possibilità che questi si schierassero con i Paesi dell’Asse rappresentava una seria minaccia strategica per gli Stati Uniti, soprattutto se il controllo americano del Canale di Panama fosse stato messo in pericolo. Ma è probabile che FDR vedesse il pericolo maggiore anche più vicino a casa. All’inizio degli anni Trenta, una cabala di banchieri e industriali di Wall Street aveva iniziato ad organizzare un colpo di Stato, cercando di mettere in sella il generale in pensione dell’USMC Smedley Butler, nella speranza che consentisse alla giunta di governare da dietro le quinte. Avevano persino inviato uno dei loro tirapiedi in Europa per mesi, per studiare il comportamento di Mussolini e Hitler. Ma Butler, che era il militare più popolare del Paese non solo perché era stato insignito due volte della Medaglia d’Onore del Congresso, ma anche perché era il più convinto sostenitore dei veterani della Prima Guerra Mondiale su questioni come i bonus promessi, era anche un patriota. Aveva tenuto a bada i complottisti fino a quando non aveva compreso a fondo il piano e poi li aveva smascherati. Tuttavia, i traditori, grazie al loro peso politico, erano riusciti ad evitare il processo.
Ben prima della fine della guerra, il Presidente Roosevelt, il Segretario al Tesoro Henry Morgenthau, l’economista del Tesoro Harry Dexter White e il Vicepresidente Henry Wallace avevano iniziato a pianificare una struttura internazionale postbellica volta a promuovere una prosperità diffusa, riducendo al minimo gli incentivi alla guerra. Gli storici hanno soprannominato il loro programma “internazionalismo roosveltiano“; questo prevedeva due obiettivi principali: promuovere la ripresa dei Paesi devastati dalla guerra e aiutare le ex colonie a diventare Stati sovrani, prosperi e veramente indipendenti, ora che il movimento di decolonizzazione iniziato durante la Prima Guerra Mondiale si era rimesso in movimento. Il piano, completamente elaborato, era stato presentato alla Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, tenutasi nell’estate del 1944. Un’altra caratteristica del regime postbellico proposto era il Piano Mogenthau per la deindustrializzazione della Germania. Ricordava, ma non era così severo, quello che Martin Lutero aveva sostenuto quattro secoli prima nel suo famigerato scritto antisemita “Sugli Ebrei e le loro menzogne“.
La conferenza è meglio conosciuta con il nome della cittadina del New Hampshire in cui si era tenuta, Bretton Woods. Ai tavoli dei negoziati erano rappresentati 44 Paesi e altri, tra cui l’URSS, erano osservatori senza diritto di voto. Erano stati raggiunti tre importanti risultati, il primo dei quali era stato l’accordo formale che il dollaro USA e l’oro, ancorato a 35 $/oz, sarebbero stati l’unità di misura per il regolamento dei conti internazionali nel dopoguerra. Gli altri due erano stati le autorizzazioni a istituire la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale come supervisori del regime finanziario postbellico da instaurarsi subito dopo la fine delle ostilità.
Gli Stati Uniti a Bretton Woods avevano il coltello dalla parte del manico perché erano l’unico grande combattente fisicamente non danneggiato e anche il più forte sia dal punto di vista industriale che finanziario. Il capo negoziatore statunitense, White, era stato quindi in grado di inserire un potere di veto de facto degli Stati Uniti negli statuti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Queste disposizioni erano state pensate per le potenze coloniali europee che, secondo Roosevelt, avrebbero lottato con le unghie e con i denti per resuscitare i loro imperi dopo la guerra. John Maynard Keynes, il capo della delegazione del Regno Unito, pur non contento, si era rassegnato alla situazione.
Tuttavia, il presidente Roosevelt era morto nell’aprile del 1945, 26 giorni prima della fine della guerra in Europa. Prima di diventare vicepresidente, il suo successore, Harry Truman, era stato senatore del Missouri e si era occupato principalmente di politica interna e di corruzione in tempo di guerra. Aveva prestato giuramento come vicepresidente meno di tre mesi prima e non aveva avuto quasi nessuna conversazione sostanziale né con il presidente né con gli alti dirigenti della sua cerchia. Per quanto riguardava le relazioni internazionali, era per lo più una tabula rasa.
Sulle questioni di politica estera del dopoguerra c’erano due schieramenti. Il primo era quello degli internazionalisti roosveltiani, che pensavano di promuovere la ripresa dei Paesi devastati dalla guerra e di aiutare le ex colonie a diventare Stati sovrani, prosperi e realmente indipendenti, nonché di deindustrializzare e de-nazificare la Germania, in accordo con il Piano Morgenthau. Tutto il processo sarebbe stato supervisionato dalle “quattro potenze”: Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna e Cina. A Bretton Woods i Rooseveltiani avevano messo a punto gli statuti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale con il potere di veto de facto degli Stati Uniti per impedire alle metropoli europee di usare queste istituzioni per recuperare il controllo delle loro colonie. Tuttavia, con FDR nella tomba, la loro influenza era rapidamente svanita. Il Presidente Truman aveva subito sostituito Morgenthau al Tesoro, e con lui se n’era andata anche gran parte dell’influenza di White. Henry Wallace, che era approdato alla carica di Segretario al Commercio dopo essere stato cacciato dalla vicepresidenza, aveva dato le dimissioni alla fine dell’estate del 1945.
Questi cambiamenti avevano lasciato il campo all’altra squadra, i cui due elementi più importanti erano i banchieri di Wall Street e il personale di alto livello dell’ambasciata di Mosca. Tra i primi, come si ricorderà, c’erano i compagni di viaggio del fascismo, quelli che avevano cercato di organizzare un colpo di Stato contro Roosevelt all’inizio della sua presidenza. Gran parte dell’attrazione esercitata dagli uomini d’affari americani nei confronti di Mussolini, Hitler e dei loro simili era costituita dal loro vociferante anticomunismo. Per quanto riguarda il personale dell’ambasciata, Frank Costigliola ha scritto in Roosevelt’s Lost Alliances che la ragione principale della loro antipatia nei confronti di Stalin e dell’URSS rappresentava un caso estremo di sindrome claustrofobica, dovuta al fatto di essere stati confinati nella sede dell’ambasciata senza poter uscire, a meno di non essere accompagnati da una squadra di assistenti dell’NKVD, sin dalla fine degli anni Trenta. I due membri più importanti di questo gruppo erano George Kennan e l’ambasciatore Averell Harriman. Quest’ultimo, essendo stato un fondatore della Brown Brothers Harriman & Co. e quindi anche un insider di Wall Street, fungeva da collegamento tra i due gruppi che sostenevano il confronto con Mosca. Con un’impresa non da poco per l’epoca, Harriman era riuscito a tornare a Washington da Mosca entro una settimana dalla morte di Roosevelt per unirsi alla lotta per plasmare la mente del nuovo presidente. Questo colpo doppio si sarebbe rivelato decisivo nel trasformare la politica del dopoguerra dalla cooperazione con l’URSS al confronto, dando inizio alla discesa nella prima Guerra Fredda.
Mentre Roosevelt era ancora presidente, sia i britannici che alcuni americani avevano intrapreso azioni a favore del fascismo e in opposizione al nostro alleato, l’URSS. Nel dicembre 1944 il Regno Unito aveva armato i collaborazionisti del nazismo nella appena conquistata Grecia, dando loro un aiuto fondamentale mentre gli inglesi respingevano il tentativo della sinistra clandestina di formare un governo socialista indipendente. Questa stessa clandestinità era stata fondamentale per permettere ai britannici di sconfiggere il governo fantoccio nazista in tempo di guerra. Allo stesso modo, quando l’URSS aveva occupato la Romania, alleata della Germania, e una missione dell’US Army Air Force era atterrata per riportare a casa i piloti americani internati in un campo di prigionia dopo che i loro aerei erano precipitati durante un raid sul campo petrolifero di Ploesti, nel 1943, Frank Wisner, agente dell’OSS e in seguito alto funzionario della CIA, aveva utilizzato l’occasione come copertura per esfiltrare diverse decine di persone che avevano collaborato con il governo nazista rumeno in tempo di guerra. Un altro caso simile era stata l’Operazione Sunrise, in cui Allen Dulles aveva negoziato senza autorizzazione la resa delle formazioni dell’esercito tedesco in Italia, il 2 maggio. Questo era avvenuto in diretto contrasto con il precedente accordo con l’URSS e il Regno Unito, secondo il quale nessuno dei tre alleati avrebbe potuto condurre tali negoziati senza l’esplicita e preventiva approvazione degli altri due. Inutile dire che Stalin non si era divertito quando aveva appreso della capitolazione.
Dopo la resa della Germania, l’8 maggio, la destabilizzazione delle relazioni di cooperazione tra l’URSS e gli USA si era intensificata. Una delle più storiche – e di impatto nel presente – era stata la protezione del generale Reihhard Gehlen e del suo comando di intelligence sul fronte orientale della Wehrmacht dalla cattura da parte dell’URSS e dal processo per crimini di guerra. Ancora una volta era stato Allen Dulles a farlo e, ancora una volta, di sua iniziativa e senza autorizzazione. Aveva fatto poi confluire l’organizzazione di Gehlen nell’OSS, permettendole di operare in clandestinità in Ucraina e di perpetuare l’ideologia nazista tra la popolazione russofoba della parte occidentale della Repubblica sovietica. Per i sovietici si trattava di “Ecco il nuovo nemico. È come il vecchio nemico, solo che è gestito da Washington invece che da Berlino“.
Il 1946 era stato un anno cruciale nella storia delle origini dell’Ordine Basato sulle Regole, e due eventi spiccano. In primo luogo, il 1° gennaio erano state formalmente create le due istituzioni autorizzate a Bretton Woods: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. A quel punto Elliott Roosevelt, Henry Morgenthau e Harry Dexter White erano tutti turbati e delusi dal fatto che la visione rooseveltiana di cooperazione postbellica e di decolonizzazione aggressiva fosse stata messa da parte. Nel caso di White, l’ironia era nel fatto che, pur essendo stato nominato direttore fondatore del FMI, il Fondo stava prendendo una direzione che lui non condivideva. Per quanto riguarda il figlio del defunto presidente, quell’anno si era dedicato alla stesura di As He Saw It, che si è rivelato un prezioso approfondimento sulle reali opinioni di un presidente notoriamente poco trasparente durante il suo mandato.
Cynthia Chung, in L’impero su cui il sole nero non tramonta mai, afferma che, fin dagli anni Trenta, potenti elementi dello Stato profondo britannico consideravano il fascismo come il modello ideale per una governance mondiale in cui essi, in collaborazione con le altre polarità mondiali prevalentemente anglofone, avrebbero continuato a governare e a sfruttare le risorse naturali e umane del resto del mondo come padroni coloniali. Tuttavia, quattro fattori militavano contro questa visione:
– L’esaurimento finanziario, industriale e umano della Gran Bretagna stessa a seguito delle due guerre mondiali.
– L’inarrestabile movimento di decolonizzazione
– La potenza finanziaria, militare e industriale degli USA
– La determinazione dello Stato profondo degli Stati Uniti a guidare il mondo
Alla luce di queste realtà, gli inglesi si erano resi conto che, se volevano continuare ad estrarre ricchezza dalle loro ex colonie, dovevano convincere gli Stati Uniti a unirsi a loro per trovare un modo per farlo. Avevano trovato alleati entusiasti a Wall Street e tra i leader di altri settori dell’economia americana e, insieme, avevano capito che avrebbero dovuto eliminare i sentimenti pacifisti diffusi tra la popolazione statunitense, ora che la guerra era finita. Il mezzo per farlo era amplificare la minaccia comunista, cosa che aveva portato al secondo evento cruciale del 1946: il discorso di Winston Churchill sulla “cortina di ferro” tenuto il 5 marzo nel campus del Westminster College di Fulton, nel Missouri.
Il discorso dell’ex primo ministro aveva dato inizio ad una vera e propria campagna sui pericoli della minaccia rossa. Alcuni mesi dopo, nello stesso anno, un candidato esordiente poco conosciuto per un distretto della Camera dei Rappresentanti nel sud della California aveva sconfitto il suo avversario democratico in carica accusandolo di essere morbido nei confronti del comunismo. Il nome del vincitore repubblicano era Richard Nixon. Nel giro di due anni, non solo le speranze degli internazionalisti roosveltiani erano state completamente accantonate, ma l’abbattimento delle scale della prosperità era diventato un obiettivo esplicito della politica estera degli Stati Uniti, come dichiarato nel “Rapporto dello staff di pianificazione politica” del Dipartimento di Stato del 1948, firmato dal direttore George Kennan:
” … abbiamo circa il 50% della ricchezza mondiale ma solo il 6,3% della sua popolazione. Questa disparità è particolarmente grande tra noi e i popoli dell’Asia. In questa situazione, non possiamo non essere oggetto di invidia e risentimento. Il nostro vero compito nel prossimo periodo sarà quello di elaborare un modello di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di disparità senza che la nostra sicurezza nazionale ne risenta in modo sostanziale. Per farlo, dovremo rinunciare a tutti i sentimentalismi e ai sogni ad occhi aperti e la nostra attenzione dovrà essere concentrata ovunque sui nostri obiettivi nazionali immediati. Non dobbiamo illuderci di poterci permettere oggi il lusso di essere altruisti o i benefattori del mondo”.
Una narrazione di quest’epoca non è completa senza qualche parola in più su uno degli attori più oscuri di quei tempi, Allen Dulles. Abbiamo già visto come le sue iniziative da freelance nelle settimane precedenti la vittoria in Europa avessero iniziato a erodere la fiducia tra gli Stati Uniti e l’URSS costruita durante il conflitto. L’autorizzazione della CIA, contenuta nel National Security Act del 1947, intendeva limitare le competenze della nuova agenzia alla raccolta e alla valutazione dell’intelligence. Quando l’agenzia era stata istituita, Dulles era stato nominato in una posizione di rilievo, posizione che gli aveva permesso di reinterpretare il linguaggio dello statuto in modo da consentire azioni violente e segrete all’estero. Quando era diventato direttore della Central Intelligence, all’inizio dell’amministrazione Eisenhower, nel 1953, questo tipo di attività era ormai il suo obiettivo principale. La prima avventura di cambio di regime in un Paese sovrano era stato il colpo di Stato del 1953 che aveva rovesciato il governo eletto di Mohammad Mosaddegh in Iran, sostituendolo con il monarca costituzionale della nazione, lo scià autocratico Mohammad Reza Pahlavi. La tappa successiva era stato il Guatemala, nel 1954, con la nuova CIA già pienamente operativa. Con l’aiuto del fratello, il Segretario di Stato John Foster Dulles, Allen aveva messo a punto un sistema organizzativo che, a tutti gli effetti, rendeva l’agenzia immune dal controllo democratico, come rimane tuttora, sessantadue anni dopo la fine ufficiale del suo mandato alla guida dell’agenzia.
Un quarto di secolo dopo, nel 1972, Michael Hudson, oggi ampiamente riconosciuto come il più eminente storico mondiale dell’economia e profondo pensatore in materia, pubblicava il suo primo libro intitolato Super Imperialismo. Nel libro descriveva in modo approfondito il sistema che gli Stati Uniti e i loro alleati utilizzavano per estrarre ricchezza dai Paesi in via di sviluppo, abbattendo le scale su cui i loro popoli cercavano di salire per raggiungere la prosperità e la vera sovranità. Hudson individuava nel FMI e nella Banca Mondiale gli strumenti principali [utilizzati dagli Stati Uniti] per raggiungere questo obiettivo. È quindi ironico che i poteri di veto degli Stati Uniti, investiti in queste due istituzioni dai loro ideatori nel 1944 allo scopo di impedire la restaurazione del colonialismo, vengano ora utilizzati dagli Stati Uniti per imporre e perpetuare una forma di imperialismo furtivo e de facto. La parola “ora” è appropriata perché quanto descritto da Hudson nel 1972 è rimasto in vigore fino ad oggi, come indica il fatto che le successive edizioni di Super Imperialismo sono state pubblicate nel 2003 e nel 2021. Solo dall’inizio dell’Operazione militare speciale della Russia il “superimperialismo” ha iniziato a regredire a causa delle conseguenze indesiderate delle sanzioni. Sebbene Hudson l’abbia scritto decenni prima che l’espressione venisse coniata, il “super imperialismo” che descrive è, in sostanza, la struttura dell'”ordine basato sulle regole”.
30 anni dopo John Perkins, in Confessioni di un sicario economico, ha denunciato un lato ancora più oscuro del “superimperialismo” di Hudson, anche se ciò che descrive sulla base della sua esperienza personale si svolgeva nello stesso periodo del 1970, all’epoca in cui Hudson scriveva. Perkins era stato assunto come analista economico da un’azienda di ingegneria e costruzioni specializzata in infrastrutture elettriche – centrali elettriche, linee di trasmissione, ecc. – nei Paesi in via di sviluppo. La posizione richiedeva una formazione approfondita presso un’agenzia federale di tre lettere, dove aveva imparato che il suo vero lavoro avrebbe dovuto essere quello di produrre stime sulle potenzialità economiche dei vari Paesi, stime che avrebbero dovuto essere il più possibile assurdamente ottimistiche senza cadere nell’incredulità. Quando un Paese in via di sviluppo si fosse impegnato un progetto basato su una di queste stime gonfiate e il relativo sviluppo economico fosse risultato insufficiente, probabilmente non sarebbe stato in grado di rispettare i termini di rimborso del prestito sovrano che aveva finanziato il progetto. Questa era una caratteristica, non un difetto.
I termini di tali prestiti prevedono che, in queste situazioni, il Fondo Monetario Internazionale venga in soccorso e Hudson descrive in dettaglio come il FMI richieda all’interno del Paese cambiamenti politici che generino fondi sufficienti a soddisfare i termini dei prestiti esistenti o ristrutturati. Questi cambiamenti politici richiedono la riduzione dei sussidi governativi e la vendita delle proprietà governative che generano reddito, in particolare le infrastrutture come l’energia, le comunicazioni e i trasporti. Gli acquirenti di queste proprietà sono quasi sempre aziende con sede negli Stati Uniti o in uno dei loro alleati occidentali. Per le popolazioni di questi Paesi il risultato è un aumento delle privazioni e dell’austerità. Questo genera spesso proteste e, quando l’élite di un Paese le reprime violentemente, può aspettarsi che gli Stati Uniti guardino dall’altra parte e sostengano il gruppo dirigente. Ma, se il governo si schiera a favore del proprio popolo, le conseguenze per i leader del Paese possono essere terribili.
Nel 1991 l’URSS si era disintegrata e la minaccia rossa aveva cessato di esistere. Per quarantacinque anni la maggior parte del popolo americano aveva creduto al concetto che gli Stati Uniti stessero facendo il lavoro di Dio aiutando i Paesi in via di sviluppo a respingere la minaccia comunista, anche se ciò significava trattare duramente le nazioni che non volevano tale aiuto. Omelette, uova rotte e tutto il resto. Significativamente, durante quei quattro decenni e mezzo alcuni settori economici statunitensi, come quello finanziario e delle risorse naturali, si erano assuefatti ai profitti predatori dell’imperialismo furtivo e, insieme ai loro alleati politici e dello Stato profondo, avevano visto la scomparsa dell’URSS come una convalida del loro modus operandi. Lungi dal fare marcia indietro, avevano raddoppiato la posta, soprattutto per quanto riguarda le dure misure impiegate per costringere al rispetto delle regole. È così che si è assistito alla proliferazione delle postazioni militari USA in tutto il mondo e all’istituzione di un maggior numero di proconsolati, come l’AFRICOM, guidati da ufficiali militari a quattro stelle.
Prevedibilmente, l’aumento dei livelli di intrusione, soft e hard, degli Stati Uniti nella sovranità di altre nazioni ha generato crescenti reazioni, non solo da parte di coloro che hanno subito l’intrusione, ma anche da parte di un numero crescente di cittadini americani. Come è tipico della moda americana, le autorità hanno considerato questa situazione come una sfida di marketing presentata dalla fine della Guerra Fredda, in particolare una sfida di branding. Da qui l'”Ordine basato sulle regole”. Tuttavia, non è chiaro quando, dove e da chi abbia avuto origine la frase.
Come accennato all’inizio, l’ordine basato sulle regole è la questione di fondo del conflitto in Ucraina. Gli Stati Uniti hanno fomentato il conflitto per ottenere il pieno rispetto dell’ordine da parte della Russia e sembra che, per raggiungere questo obiettivo, avessero un piano primario e uno di riserva. Il piano A consisteva nell’indurre l’Ucraina a lanciare un attacco a sorpresa per invadere gli oblast’ ribelli russofoni di Donetsk e Lugansk. (Forse ricorderete che, dopo il colpo di Stato istigato dagli USA nel 2014, il governo della giunta aveva vietato l’uso pubblico della lingua russa, cosa che aveva portato questi due oblast’, al 90% russofoni, a ribellarsi. O forse non lo ricordate perché i media occidentali hanno oscurato questi e altri fatti storici che hanno portato all'”Operazione militare speciale” della Russia). Non appena fosse stata dichiarata “Missione compiuta”, l’Ucraina sarebbe stata immediatamente inserita nella NATO e sarebbero state installate basi missilistiche a testata nucleare vicino al confine con la Russia. Tuttavia, nell’era della sorveglianza satellitare era impossibile per l’esercito ucraino dissimulare le proprie intenzioni e la Russia, dopo aver osservato la concentrazione di forze sulle linee di contatto, il 22 febbraio 2022 aveva formalmente riconosciuto i due oblast’ ribelli come Stati sovrani, citando lo stesso articolo “Responsabilità di proteggere” della Carta delle Nazioni Unite che gli Stati Uniti avevano usato per giustificare molti dei loro numerosi interventi. Due giorni dopo la Russia aveva lanciato la sua “Operazione militare speciale” preventiva. Alla faccia del Piano A.
In risposta a questi eventi, Biden, Blinken, Sullivan & Nuland LLC erano passati al Piano B, la serie di sanzioni più draconiane mai imposte. Ci si aspettava che mettessero in ginocchio l’economia e la società russa, isolassero il Paese a livello internazionale e portassero al crollo del governo guidato da Putin. Ma non era successo nulla di tutto ciò. La Russia aveva previsto la possibilità di un conflitto al confine con l’Ucraina almeno fin dal discorso del Presidente Putin alla riunione dell’OSCE del 2007 a Monaco e l’aveva considerata una certezza virtuale fin dagli eventi del 2014. Di conseguenza, avevano adottato misure per diventare molto più autarchici al fine di mitigare gli effetti delle sanzioni previste. Di conseguenza, la vita civile in Russia dopo l’OSCE è stata solo moderatamente colpita.
Anche l’isolamento internazionale non ha funzionato bene. Gli Stati Uniti si aspettavano che l’esclusione dal sistema di regolamento internazionale SWIFT sarebbe stata la sanzione più devastante, rendendo impossibile per la Russia essere pagata per qualsiasi cosa cercasse di vendere all’estero. Ma, meno di un mese dopo l’inizio dell’OMS, l’India aveva dichiarato che avrebbe pagato la Russia direttamente in rubli per gli acquisti di petrolio. Nella stessa settimana delle Idi di marzo del 2022, l’Unione Economica Eurasiatica e i Paesi BRICS avevano annunciato di aver lanciato congiuntamente un gruppo di studio per esplorare la creazione di un’alternativa a SWIFT.
L’insieme di questi due eventi costituisce l’enorme conseguenza involontaria che ha dato il via al declino di ciò che il progetto Ucraina/NATO intendeva rafforzare, l’Ordine basato sulle regole stesso. Da allora sono proliferati accordi bilaterali simili che coinvolgono i principali attori economici come Cina/Russia, Cina/Arabia Saudita e Brasile/Argentina, ma anche nazioni più piccole. L’alternativa SWIFT si sta rivelando una sfida, come Yves Smith di Naked Capitalism aveva previsto qui e qui, affrontando rispettivamente le questioni politiche e informatiche coinvolte. Ma il treno ha ormai lasciato la stazione e non si può tornare indietro. La giurisdizione dell’Ordine basato sulle regole ha raggiunto il suo apice e ora si sta ridimensionando. Quanto velocemente, in che misura e con quali conseguenze collaterali resta da vedere.
Stiamo davvero vivendo tempi interessanti.
Poscritto
Va da sé che, se il Presidente Roosevelt avesse vissuto il suo quarto mandato, è molto più probabile che la sua visione internazionalista si sarebbe realizzata. Forse sarebbe andata così anche se fosse vissuto solo un altro anno o due, o anche solo pochi mesi dopo la resa del Giappone.
Ma, otto mesi prima della sua scomparsa, era accaduto qualcosa che, se non si fosse verificato, avrebbe potuto consentire agli internazionalisti roosveltiani di dirigere il futuro. Alle 22:00 della sera del 20 luglio 1944 i delegati della Convenzione nazionale del Partito Democratico stavano tornando ai loro posti dopo aver marciato intorno allo stadio di Chicago per celebrare la rinomina del presidente per acclamazione. Stavano per fare lo stesso per il vicepresidente Henry Wallace, quando una cabala di boss delle grandi città e di democratici del Sud si era appellata al presidente temporaneo per chiudere la sessione. Dopo una notte di scambi e contrattazioni, Wallace non aveva raggiunto il 50% dei voti al primo scrutinio del mattino successivo. Il suo sostegno era crollato e, al secondo scrutinio, Harry Truman, un politico di Kansas City, Missouri, aveva ottenuto la maggioranza necessaria.
Prima di essere nominato Segretario all’Agricoltura dal Presidente Roosevelt nel 1933, Henry Wallace era stato redattore del Wallace Farmer, una rivista fondata dal nonno nel 1904. Era stato anche un repubblicano per tutta la vita. Tuttavia, non era passato molto tempo prima che diventasse un accanito sostenitore del programma del New Deal e si unisse formalmente ai Democratici. Nel 1940 erano nate notevoli divergenze tra FDR e il suo vicepresidente in carica, John Nance Garner, non ultima quella che riguardava l’intenzione del presidente di ottenere un terzo mandato. Quando Roosevelt aveva ricevuto la nomination al primo scrutinio, aveva scelto come compagno di corsa Wallace, che sosteneva pienamente la politica interna e internazionalista del presidente.
Se Wallace fosse stato rinominato quella sera di luglio e successivamente rieletto, avrebbe spinto con forza per l’agenda internazionalista rooseveltiana che aveva contribuito a formulare. Ma, come per tutte le storie alternative, non lo sapremo mai.
Riferimenti e ulteriori letture
Treasonable Doubt, R. Bruce Craig
Henry Wallace, Harry Truman and the Cold War, Richard J. Walton
The Devil’s Chessboard, David Talbot
The Secret Team, L. Fletcher Prouty
The New Empire, Walter LaFeber
The True Flag, Stephen Kinzer
The Plot to Seize the White House, Jules Archer
War is a Racket, Maj. Gen. Smedley Butler, USMC Ret.
The Money Makers, Eric Rauchway
Roosevelt’s Lost Alliances, Frank Costigliola
JFK, L. Fletcher Prouty
Super Imperialism, Michael Hudson
Confessions of an Economic Hit Man, John Perkins
The Empire on which the Black Sun Never Set. Cynthia Chung
Fonte: voteno2bigdough.substack.com
Link: https://voteno2bigdough.substack.com/p/the-rules-based-order
17.05.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org