L'IMPERIALISMO STATUNITENSE ED IL SUO DOMINIO SULL'ASIA

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blankDEL PROF. PAO-YU CHING
Asia Pacific Research Network (APRN) & Global Research

Chi dominerà tra breve l’Asia? A lungo termine, la risposta è chiara ed indiscutibile – gli abitanti dell’Asia domineranno l’Asia. Tuttavia, nell’immediato futuro, prima che la verità diventi realtà, bisogna esaminare ed analizzare attentamente l’attuale situazione economica, politica e militare in Asia, allo scopo di progettare la nostra strategia. Per comprendere con chiarezza la situazione attuale, bisogna innanzitutto fugare alcuni miti; questo costituirà la prima parte del mio discorso di oggi. La seconda parte del mio discorso riguarderà gli interessi imperialistici statunitensi in Asia e la loro strategia per mantenere l’egemonia economica, politica, e militare nella regione. La parte conclusiva del mio discorso valuterà la reale minaccia rappresentata dal militarismo statunitense, e le ragioni per cui alla fine noi, il popolo, siamo destinati a vincere, e lo faremo.

I. Confutazione dei miti

Mito numero uno: la Cina sta diventando una superpotenza economica che supererà ben presto gli Stati Uniti, e possiede il potenziale bellico per opporsi al dominio statunitense sull’Asia. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno dipinto la Cina come una potenza, economicamente in crescita, che possiede le capacità militari per minacciare il dominio statunitense a lungo termine sull’Asia. Questa affermazione viene usata per giustificare la recente crescita militare da parte degli Stati Uniti, ed i loro sforzi per rafforzare la cooperazione militare con i loro alleati e gli altri regimi amici presenti in questa regione, come strategia per contenere la Cina.

Malgrado il fatto che gli Stati Uniti stiano perdendo la guerra in Iraq, Condoleezza Rice, Segretario di Stato statunitense, ha viaggiato molto tenendo discorsi ed invitando gli altri paesi a seguire le linee di condotta stabilite, per dimostrare che gli Stati Uniti mantengono la loro egemonia su scala mondiale. In un articolo intitolato “Asia, Condi guarda l’Europa dall’alto in basso”, apparso nell’edizione di Singapore del Business Times nel 2005, si legge:

La signora Rice ha disprezzato gli Europei per aver considerato l’idea di abolire un embargo sugli armamenti nei confronti della Cina – una mossa, ha spiegato, che potrebbe minacciare il delicato equilibrio militare nell’Asia orientale, dal momento che gli Stati Uniti si ritengono i tutori della pace in quell’area e non vedrebbero di buon occhio un‘interferenza da parte dell’Europa. “Sono stati gli Stati Uniti, e non l’Europa, a difendere il Pacifico”, ha detto. Ha poi tenuto un predica ai Cinesi sull’importanza di pressare i Nordcoreani, ed ha detto ai giornalisti che la Cina potrebbe rappresentare “un’influenza positiva nella regione”, aggiungendo tuttavia che potrebbe diventare anche, altrettanto facilmente, il più grande problema della regione (da Antiwar.com, 31 marzo 2005, ripreso dal Business Times di Singapore, 2005).

L’affermazione della Rice indicava che l’amministrazione Bush aveva intenzione di riportare la sua attenzione sull’Asia dal pantano in cui si erano cacciati in Medio Oriente, e di approntare un piano strategico per contenere la Cina.

La Cina pone veramente una seria minaccia al dominio statunitense sull’Asia?

Nonostante la rapida crescita del Prodotto Interno Lordo della Cina negli ultimi quindici anni, il PIL cinese equivale ancora solo ad un decimo circa rispetto a quello degli Stati Uniti. Inoltre, la Cina ha sviluppato come suo motore di crescita quel tipo di capitalismo condizionato dagli investimenti e dai mercati esteri. Alla fine del 2005 Bai Jing-fu, vicepresidente di un Centro di Ricerca nel Consiglio di Stato [1], scrisse un documento che illustrava i molti problemi che stava affrontando l’economia cinese. Uno di questi era la troppa dipendenza della Cina dai mercati stranieri come fonti di crescita del suo PIL. Secondo Bai, il 5.7% (o il 60%) del tasso di crescita del PIL, corrispondente al 9.7% nel 2004, era dovuto ad una domanda crescente da parte del mercato estero [2]. Non solo la crescita dell’economia cinese è stata collegata così strettamente alla crescita delle sue esportazioni, ma anche il 60% di quelle esportazioni provenivano dall’investimento diretto di multinazionali straniere. Ciò dimostra la dipendenza dello sviluppo della Cina dal capitale monopolistico internazionale.

Gli Stati Uniti hanno rappresentato inoltre uno dei mercati più grandi della Cina. Eppure, a causa dei grandi deficit commerciali che hanno con la Cina e con molti altri paesi, essi non hanno pagato molte delle loro importazioni (il totale delle importazioni statunitensi è approssimativamente il doppio del totale delle esportazioni). Anzi, gli Stati Uniti cedevano le obbligazioni del governo statunitense come IOU [I Owe You, “Io Vi Devo”, riconoscimenti scritti di debito, ndt]. Posto in maniera più chiara, significa che la Cina ha dovuto prestare ininterrottamente denaro agli Stati Uniti affinché gli Stati Uniti comprassero i suoi prodotti. Se il debito statunitense nei confronti del resto del mondo è durato più di vent’anni, il buon senso ci dice che tutto ciò non può continuare troppo a lungo. Inoltre la Cina, che è ancora un paese povero, ha bisogno del proprio capitale per svilupparsi; usare l’esportazione di capitale come mezzo per sostenere la crescita del PIL non può costituire una strategia di sviluppo sostenibile e proficua. Da quando in Cina è iniziata la riforma capitalista, e specialmente da quando il capitale monopolistico globale degli anni ‘90 ha sfruttato la manodopera cinese a basso costo, sono state esaurite le risorse naturali ed è stato inquinato l’ambiente. Gli Stati Uniti hanno inoltre fatto defluire una gran quantità di capitale dalla Cina, laddove decine di milioni di Cinesi non hanno ancora fatto fronte ai loro bisogni primari. Come ci si può aspettare che la Cina sorpassi economicamente gli Stati Uniti, quando la sua economia è controllata così strettamente da quelle potenti multinazionali – – la maggior parte delle quali ha sede negli Stati Uniti?

Anche se è vero che il budget militare cinese è cresciuto con percentuali a doppia cifra negli ultimi 17 anni consecutivi, e che la Cina ha modernizzato il suo equipaggiamento militare acquistando armi più moderne dalla Russia, essa non possiede la capacità di sfidare gli Stati Uniti sul piano militare. Secondo informazioni pubblicate dal Power and Interest News Report, il Ministero della Difesa degli Stati Uniti ha stimato che, sebbene la Cina possieda al momento più di 3.000 aerei da combattimento, solamente 100 di questi sono del tipo moderno acquistato di recente dalla Russia. Lo stesso rapporto affermava che gli Stati Uniti possedevano in quel momento più di 3.000 aerei, tutti del tipo moderno. In aggiunta, la flotta navale statunitense, comprensiva di 12 grandi portaerei, è senza precedenti nel suo potenziale. Oltre alla schiacciante superiorità negli ordigni militari in ogni categoria, gli Stati Uniti stanno modernizzando il loro equipaggiamento militare ad un ritmo più veloce rispetto alla Cina o a qualunque altro paese del mondo. L’Istituto di Ricerca per la Pace Internazionale di Stoccolma ha denunciato che la Cina spende attualmente 40 miliardi di dollari l’anno per la modernizzazione del suo equipaggiamento militare, ma gli Stati Uniti spendono dieci volte questa cifra – per un totale di 400 miliardi di dollari. Il Power and Interest News Report dichiara “…una tale percentuale di spesa, incredibilmente alta, da parte degli Stati Uniti garantisce che la Cina andrà incontro alla massima difficoltà nel competere per il puro potenziale militare”. Continua dicendo “Alla Cina manca anche il vantaggio industriale per sviluppare nuove tecnologie per conto proprio, cosa che spiega l’acquisto dalla Russia del suo equipaggiamento militare più moderno. Gli Stati Uniti, d’altro canto, sono all’avanguardia nella nuova tecnologia militare” (Power and Interest News Report, 8 settembre 2003).

Soprattutto, dopo la caduta dell’ex Unione Sovietica ed il deterioramento dell’arsenale di ordigni nucleari della Russia, gli Stati Uniti monopolizzano il sistema offensivo nucleare. Un recente articolo di Foreign Affairs [Affari Esteri, ndt], “The Rise of US Nuclear Primacy” [“La crescita della supremazia nucleare degli Stati Uniti”, ndt], dichiara: “Gli Stati Uniti sono sul punto di raggiungere la supremazia nucleare. Probabilmente sarà ben presto possibile per gli Stati Uniti distruggere gli arsenali nucleari a lunga gittata della Russia o della Cina al primo colpo”. La supremazia nucleare significa, secondo gli autori, che gli Stati Uniti possiedono una triade nucleare che comprende dei bombardieri strategici, dei missili balistici intercontinentali e dei sottomarini per il lancio di missili balistici, e sono in grado di distruggere, al primo colpo, tutti i mezzi nucleari di un avversario. La dimensione della triade nucleare statunitense implica che se non cambia nulla, ” … Russia e Cina – ed il resto del mondo – vivranno nell’ombra della supremazia nucleare degli Stati Uniti per molti anni a venire” (Lieber and Press, 43-44).

Quindi, come vedremo qui in seguito, benché la Cina abbia esteso la sua influenza economica e politica non solo sull’Asia ma anche al di là dell’Asia, ed in alcune direzioni abbia iniziato a sfidare gli interessi economici statunitensi, non potrà in nessun modo sorpassare economicamente gli Stati Uniti o sfidarli nel campo militare. Eppure, gli Stati Uniti continuano a servirsi della “minaccia cinese” per giustificare la loro espansione militare in questa regione.

Mito numero due: La Cina, in qualità di superpotenza, servirà a controbilanciare gli Stati Uniti, e difenderà gli interessi dei paesi del Terzo Mondo e dei loro abitanti.

La Cina si è descritta come una potenza benevola, sostenendo che i suoi rapporti economici con altri paesi del Terzo Mondo sono basati sul bene reciproco. Quello che gli attuali leader cinesi fanno all’estero è molto simile a quello che fanno in patria; essi hanno la pretesa che la Cina sia ancora un paese di tipo socialista e che le sue politiche siano basate su principi socialisti. Nel passato la politica estera della Cina, come paese socialista, era basata sui cinque principi di bene reciproco e rispetto reciproco. La Cina era in grado di difendere questi principi, perché lo sviluppo economico socialista non dipendeva dall’espansione all’estero. In più, durante il periodo socialista, la Cina ha denunciato la sua lunga storia di dominazione imperiale sui paesi a lei vicini.

Eppure, da quando la Cina ha dato inizio circa vent’anni fa alla riforma capitalista, il tipo di relazione economica tra la Cina ed altri paesi è cambiato, da una relazione basata sul bene reciproco ad una che va incontro ai bisogni cinesi di una sempre più rapida crescita del PIL. In qualità di grande nazione e di economia capitalista che sta crescendo velocemente, la Cina deve contendersi le risorse naturali, le opportunità di esportare capitali, e i mercati in cui esportare i suoi prodotti. Da quando ha adottato una strategia di crescita per lo sviluppo capitalista basata sull’esportazione, i suoi bisogni di energia e di materie prime sono aumentati ad un ritmo molto veloce. Valendosi delle esportazioni come fonte di crescita economica, la Cina deve anche competere furiosamente per aggiudicarsi i mercati in cui vendere i propri prodotti. Fin dagli anni ‘90, quando il tasso di crescita dell’esportazione ha subito un’accelerazione, il consumo cinese di petrolio è aumentato del 100% dal 1990 al 2001 [3]. Nel 2005 il consumo di petrolio della Cina era superiore a quello del Giappone, diventando il secondo paese consumatore di petrolio al mondo, secondo solo agli Stati Uniti. Fino al 1992 la Cina era ancora un paese esportatore di petrolio – ma alla metà degli anni ‘90 le sue importazioni di petrolio hanno subito un incremento per andare incontro alla crescita di più del 20% dell’esportazione. Le importazioni di petrolio sono raddoppiate in soli cinque anni, dal 1998 al 2003, e sono cresciute di un altro 40% nella prima metà del 2004 (Time Asia, 18 ottobre 2004). Nel 2005 la Cina ha consumato 300 milioni di tonnellate di greggio, di cui 123 milioni di tonnellate erano importate.

Secondo alcuni esperti, al ritmo di consumo attuale le riserve comprovate di petrolio della Cina fra 14 anni si saranno esaurite, spingendo la Cina ad iniziare una ricerca frenetica di petrolio in tutto il mondo. Secondo il servizio pubblicato sul Time Asia, la Cina ha siglato, o intende siglare, degli accordi con vari paesi per la fornitura di petrolio e gas, per mantenere una fornitura stabile di petrolio ed evitare di acquistare tutto il petrolio a prezzi più alti sul mercato aperto. Questi paesi comprendono l’Indonesia, l’Uzbekistan ed altri stati ricchi di fonti energetiche nell’Asia centrale, o paesi anche geograficamente distanti come il Sudan, l’Ecuador e la Colombia. Nella sua ricerca di petrolio la Cina è destinata inevitabilmente ad entrare in competizione con gli Stati Uniti ed il Giappone, ed anche con la Corea del Sud e l’India, le cui economie dipendono anch’esse dalle importazioni di petrolio. La Cina ha anche fatto presenti le sue intenzioni di investire nell’esplorazione e nello sviluppo in altri paesi che possiedono riserve petrolifere comprovate. Tuttavia, nel fare ciò, può venire coinvolta in dispute territoriali con altri paesi. Recentemente la China National Offshore Oil Corporation [Società Nazionale Petrolifera Offshore Cinese, ndt] ha creato una società con la Philippine National Oil Company [Compagnia Petrolifera Nazionale Filippina, ndt], per l’esplorazione petrolifera della zona vicino le isole Spratly, nel Mar della Cina Meridionale. La sovranità delle isole Spratly, però, è stata a lungo contesa tra Vietnam, Cina, Filippine e Malesia.

Le azioni della Cina equivalgono a quelle di un qualsiasi paese capitalista in espansione, alla ricerca di risorse naturali, di opportunità di investimento e di mercati in cui vendere i propri prodotti. Oltre al petrolio e ad altre fonti energetiche, la Cina importa anche molte altre risorse naturali; per fare un esempio, la Cina attualmente è il più grande paese importatore di rame ed importa anche grandi quantità di minerale di ferro e di legname dai paesi in via di sviluppo – dall’Asia all’America Latina, fino all’Africa.

L’espansione della Cina nel sudest dell’Asia ha avuto inizio dopo la crisi asiatica del 1997 e, come fosse arrivata nella regione in ritardo, è stata occupata a stipulare investimenti ed accordi commerciali con molti di questi paesi. Alla riunione annuale del 2004 dell’Association of South East Asian Nations (ASEAN) [Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico, ndt], nella capitale del Laos, i dieci membri dell’ASEAN hanno firmato un accordo per il libero scambio con la Cina, che indicava un rapporto commerciale più stretto. Sia la barriera commerciale tariffaria che quella non tariffaria verranno falciate con questo patto tra 10 + 1 = 11 per il libero scambio. Si tratta della zona di libero scambio più grande al mondo, che comprende 1,8 miliardi di persone, ed ha fornito ancora molte opportunità alla Cina per espandere i suoi legami commerciali e finanziari con i dieci paesi dell’ASEAN. Oltre all’Accordo per il Libero Scambio ASEAN-Cina, la Cina stava negoziando scambi bilaterali e cooperazioni economiche con singoli stati del Sudest asiatico. Per la fine del 2006, il volume commerciale totale tra il Sudest asiatico e la Cina arriverà probabilmente a 130 miliardi di dollari, che è un valore vicino a quello di 150 miliardi di dollari raggiunto nel commercio tra USA e ASEAN nel 2005 (Kurlantzick).

Secondo un notiziario della BBC, il commercio tra la Cina e le nazioni dell’Africa è aumentato del 39% nei primi 10 mesi del 2005 (BBC News, gennaio 2006). Nel novembre 2006, la Cina ha organizzato a Pechino un African Forum, un convegno su larga scala dei paesi dell’Africa, ed ha siglato 16 accordi commerciali e finanziari del valore di circa 1,9 miliardi di dollari [4] (Reuters Foundation, Alert Net, 30 novembre 2006). La forte richiesta da parte della Cina di importazioni di risorse naturali era dovuta all’enorme volume di prodotti manufatturieri che ha esportato negli ultimi anni. La Cina è in diretta concorrenza con le maggiori potenze imperialiste – gli Stati Uniti, il Giappone, e l’Unione Europea per l’acquisto di queste risorse naturali.

E’ vero che la Cina ha ampliato i suoi interessi e la sua influenza in Asia e in altre parti del mondo, e che continuerà a farlo, provocando segnali d’allarme e forti reazioni da parte degli Stati Uniti e del Giappone. Tuttavia, alla fine del 2004 l’investimento totalizzato da società cinesi nell’ASEAN ammontava solo a 1,17 miliardi di dollari [5], ben lontano dagli 85,4 miliardi di dollari che gli Stati Uniti hanno investito in questa regione. Secondo Xinhua, l’agenzia giornalistica ufficiale cinese, la Cina è attualmente il quarto partner commerciale dell’ASEAN dopo Stati Uniti, Giappone, ed Unione Europea. Eppure, all’incirca il 60% delle esportazioni cinesi nei paesi dell’ASEAN nel 2005 sono state effettuate dalle multinazionali straniere che operano in Cina e molte delle stesse multinazionali controllano anche le esportazioni dell’ASEAN verso la Cina. Quindi in effetti le relazioni commerciali più strette tra la Cina ed i paesi del Sudest asiatico facilitano semplicemente il commercio intrasocietario tra le multinazionali mondiali.

Dopo che è iniziata la riforma capitalista, e specialmente a partire dagli anni ’90, la Cina come nazione è stata sfruttata dalle maggiori potenze imperialiste. Quei pochi molto potenti in Cina hanno legato i loro interessi agli interessi del capitale monopolistico mondiale; insieme hanno sfruttato i lavoratori ed i contadini cinesi e questo sfruttamento ha raggiunto oggi un livello intollerabile. Comunque, la Cina come nazione si comporta anche in molti casi come altri paesi imperialisti – solo che è un paese imperialista di un livello molto più basso. Nella sua ricerca di petrolio e risorse naturali, di opportunità di investimento, e di mercati, la Cina ha siglato patti commerciali, accordi finanziari, ed altri tipi di collaborazioni economiche – nessuna delle quali è o può essere basata sui benefici comuni. Non si può contare sulla Cina per difendere gli interessi dei paesi oppressi e dei loro abitanti.

II. L’imperialismo statunitense e la sua egemonia sull’Asia

Gli Stati Uniti hanno sconfitto il Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale e di conseguenza hanno guadagnato il dominio sull’Asia. Durante il periodo della Guerra Fredda gli Stati Uniti hanno mantenuto il loro dominio sull’Asia mediante guerre di aggressione, prima in Corea e poi in Vietnam. L’egemonia degli Stati Uniti nel mondo è strettamente legata con il loro dominio sull’Asia.

Nel 1998 l’ammiraglio Joseph W. Prueher, poi Comandante in Capo del Comando statunitense nel Pacifico, parlò agli studenti della Fudan University di Shanghai. L’argomento era “La sicurezza dell’Asia Pacifica e la Cina”. Prueher disse che gli Stati Uniti hanno una responsabilità nei confronti della regione che va dalla costa occidentale dell’America del Nord alla costa orientale dell’Africa – una regione che comprende 43 nazioni. Disse anche: “In qualità di nazione del Pacifico, i nostri interessi statunitensi di tipo economico, politico e militare nel Pacifico sono svariati e permanenti. Questi interessi guidano il nostro coinvolgimento costante e attivo nella regione…”. L’ammiraglio asserì che lo scambio commerciale statunitense con questa regione ammontava ad oltre 500 miliardi di dollari l’anno, che rappresentava approssimativamente il 35% del commercio totale degli Stati Uniti, ed il doppio del valore commerciale tra gli Stati Uniti e l’Europa. Disse inoltre che l’Asia era importante per gli Stati Uniti dal punto di vista militare, e che cinque dei sette patti statunitensi di mutua difesa erano stati stipulati con paesi dell’Asia Pacifica. L’ammiraglio volle anche assicurare all’uditorio che “gli Stati Uniti hanno considerato permanente il loro dominio sull’Asia e non permetterebbero a nessuno di contestarlo”.

[Una raffigurazione risalente alle ‘Guerre dell’Oppio’ con cui a metà ‘800 l’imperialismo inglese sottomise la Cina]

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[Soldati americani durante la guerra di Corea, prima impresa bellica imperialista degli USA dopo la seconda guerra mondiale]

Dal crollo dell’ex Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza, ed hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per conservare questa egemonia. Nel 1992 è stata redatta la Defense Planning Guidance (DPG) [Guida per la Pianificazione della Difesa, ndt], sotto la supervisione di Paul Wolfowitz, che è diventato di recente Presidente della Banca Mondiale, e che allora aveva la carica di Segretario Rappresentante della Difesa sotto Dick Cheney. La DPG stabiliva la strategia degli Stati Uniti per conservare la loro egemonia militare in tre aree molto importanti. In primo luogo, vi si leggeva, gli Stati Uniti seguiranno una politica che impedirà a qualsiasi altro stato di sviluppare un potenziale militare pari o superiore al loro. In secondo luogo, gli Stati Uniti effettueranno attacchi preventivi contro le nazioni che svilupperanno nuovi potenziali militari che possano col tempo mettere in pericolo gli Stati Uniti ed i loro amici o alleati. Questi attacchi preventivi devono essere effettuati prima che una qualche minaccia imminente si presenti. L’ultima parte della DPG sostiene che i funzionari ed il personale militare statunitense sono esentati da procedimenti giudiziari di qualsiasi tribunale internazionale per i crimini di guerra (Estratti da DPG, New York Times, 10 marzo 1992; Monthly Review, gennaio 2006). Questo appunto, che si trova quasi alla fine della DPG, era trapelato alla stampa e causò energiche reazioni da parte degli alleati degli Stati Uniti, perché metteva in guardia sia la Germania che il Giappone quali possibili potenze militari che un domani potrebbero uguagliare gli Stati Uniti, ed enfatizzava il fatto che questa sfida non sarebbe mai stata a loro permessa.

La DPG non venne approvata come strategia militare ufficiale degli Stati Uniti, ma essi continuarono a trovare la maniera di rivendicare il loro status di unica superpotenza nel periodo successivo alla Guerra Fredda. Durante la campagna del 2000, Condoleezza Rice, in qualità di consigliere di George W. Bush [6], scrisse un articolo su Foreign Affairs. Il riassunto dell’articolo afferma:

Senza la minaccia sovietica, l’America ha trovato estremamente difficile definire i suoi “interessi nazionali”. La politica estera, in un’amministrazione repubblicana, dovrebbe rifocalizzare il paese sulle priorità fondamentali: organizzare delle forze armate pronte a garantire la potenza statunitense, fronteggiare i regimi canaglia, e trattare con Pechino e Mosca. Soprattutto, il prossimo presidente dev’essere a proprio agio nella posizione particolare di leader mondiale che hanno gli Stati Uniti.

In questo articolo la Rice spiegava che la Cina potrebbe svilupparsi fino a diventare una potenziale minaccia per il dominio statunitense in Asia, e che gli Stati Uniti dovrebbero approntare delle politiche per contenere la Cina. Dopo che nel 2000 George W. Bush è diventato Presidente, e la Rice suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, lei ed altri membri del gabinetto sono andati a lavorare per “organizzare delle forze armate pronte a garantire la potenza statunitense”, compresa una strategia di contenimento per la Cina. Poi l’attacco terroristico dell’11 settembre contro gli Stati Uniti nel 2001 ha sviato l’attenzione dell’amministrazione Bush, che in seguito ha dichiarato un’universale, unilaterale e prolungata guerra mondiale al terrorismo (alcuni sostengono che poiché l’attenzione della Rice si era focalizzata sull’Asia, lei non ha colto i molti segnali chiari dell’attacco imminente). Quando Bush ha proclamato la sua guerra al terrorismo, egli ha nominato l’Iraq, l’Iran, la Corea del Nord, quali paesi che formavano un’“Asse del Male”. I paesi della cosiddetta “Asse del Male” erano infatti quelli che la Rice chiamava “regimi canaglia”. Iniziando con l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq, gli Stati Uniti sono stati capaci di usare gli attacchi dell’ 11 settembre e la loro guerra al terrorismo per giustificare l’espansione del militarismo statunitense su scala mondiale, e di bollare qualsiasi stato sovrano da loro scelto come bersaglio dell’antiterrorismo.

Dopo le elezioni del 2000, la Casa Bianca è stata occupata da personaggi chiave che avevano collaborato alla redazione della Defense Planning Guidance del 1992; l’attacco terroristico del 2001 ha fornito l’opportunità di realizzare i maggiori provvedimenti presenti nella DPG. L’invasione statunitense dell’Afghanistan nel 2001, e dell’Iraq nel 2003, si è attenuta strettamente alla strategia spiegata dettagliatamente nella DPG del 1992, compresi gli attacchi “preventivi” contro stati sovrani. Né l’Afghanistan né l’Iraq possedevano il potenziale militare per sfidare la superiorità in campo militare degli Stati Uniti, né esisteva alcuna possibilità per loro di minacciare la sicurezza degli Stati Uniti. Eppure, questi ultimi sono stati in grado di usare la loro egemonia per perpetuare il mito delle “armi di distruzione di massa”, come giustificazione ben riuscita. Le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, comunque, stabiliscono un precedente importante: che gli Stati Uniti non esiteranno ad agire unilateralmente con la loro superiorità militare contro qualsiasi paese, se intuiscono che i loro interessi sono o possono essere minacciati in qualsiasi modo.

Per portare a termine ciò che il Pentagono ha definito “Shock and Awe” [colpisci e terrorizza, ndt], gli Stati Uniti hanno compiuto l’invasione dell’Iraq bombardando per primo il paese e le sue infrastrutture, riducendo tutto in briciole per dimostrare la potenza schiacciante della forza militare statunitense. Nelle prime due settimane di invasione non si è trattato di una guerra combattuta da due parti; l’Iraq era senza difese contro le armi di distruzione di massa scatenate dagli Stati Uniti. Ora, più di tre anni più tardi, e dopo la morte di decine di migliaia di civili iracheni, perfino Tony Blair ha dovuto ammettere recentemente che l’invasione dell’Iraq è stata un fallimento totale.

La guerra in Iraq ha messo l’amministrazione Bush sulla difensiva; non ha a disposizione una via d’uscita senza ammettere la sconfitta. Come accennato prima, la Rice ha viaggiato in tutto il mondo per dimostrare che l’impero non è affatto vulnerabile. E’ riuscita anche a fare in modo che l’amministrazione Bush rifocalizzasse l’attenzione sull’Asia e riconfermasse la strategia statunitense di impegnarsi in uno sforzo coordinato e sistematico per contenere l’espansione della potenza e dell’influenza della Cina. Nel febbraio 2006 il Ministero della Difesa degli Stati Uniti ha pubblicato la sua Quadrennial Defense Review [Analisi Quadriennale della Difesa, ndt]. Questa analisi citava la Cina tra le potenze emergenti e più grandi, in quanto possiede il potenziale maggiore per competere con gli Stati Uniti dal punto di vista militare. Attenendosi a questa analisi, ai primi di marzo, il Comandante in Capo del Comando statunitense nel Pacifico, l’ammiraglio William Fallon, ha testimoniato di fronte alla Commissione Forze Armate del Senato dicendo che la QDR ha fissato la strategia difensiva e la sua posizione militare per i prossimi 20 anni: avere una presenza militare “più importante” nell’Oceano Pacifico. Inoltre, gli Stati Uniti stanno progettando di incrementare l’integrazione militare con gli alleati presenti nella regione, per scoraggiare le grandi potenze e quelle emergenti (TMC Net News, 7 marzo 2006). Questo dimostra che gli Stati Uniti hanno intenzione di designare come bersaglio la Cina quale minaccia militare per attuare la loro espansione militare in Asia, anche se la Cina non possiede la capacità militare per diventare una minaccia.

Lo stesso servizio di TMC Net News ha riferito anche che gli Stati Uniti hanno intenzione di ampliare la loro collaborazione militare bilaterale con il Giappone, ed anche di sviluppare questa collaborazione in un accordo trilaterale che includa la Corea del Sud. Il Giappone, naturalmente, è stato l’alleato più fidato degli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; il Giappone ha fatto affidamento sugli Stati Uniti per garantire la sua sicurezza, perché la Costituzione giapponese, stabilita durante l’occupazione statunitense, vieta al Giappone di istituire una milizia propria, all’infuori di una piccola forza per la difesa nazionale. Tuttavia, le condizioni circostanti quelle restrizioni sono rapidamente cambiate. La funzione della Japan’s Self Defense Force (SDF) [Forza di Autodifesa Giapponese, ndt] è stata ridefinita in questi ultimi anni sotto il Primo Ministro giapponese Junichiro Koizumi. Nella sua dichiarazione, Fallon ha detto che Koizumi ha dimostrato un’”eccezionale attitudine al comando”, ed ha guidato la SDF attraverso un “significativo cambiamento”. I cambiamenti includevano l’invio di truppe di terra in Iraq, e l’aiuto prestato nella guerra statunitense in Afghanistan per il rifornimento delle navi in rotta verso l’Oceano Indiano. L’ammiraglio Fallon ha testimoniato inoltre che il Giappone e gli Stati Uniti hanno concordato nell’ottobre 2005 di aumentare le operazioni integrate e congiunte tra le Forze di Autodifesa Giapponesi e le forze militari statunitensi. Questa integrazione include “sensori per intelligence, reti di comunicazioni, sistemi informativi, difese missilistiche, guerra sottomarina e potenziale bellico antimina”. Fallon ha detto anche “Queste azioni dimostrano chiaramente la buona volontà e la capacità del governo giapponese di schierare la SDF a livello regionale e mondiale, a favore della sicurezza e delle operazioni umanitarie” (TMC Net News, 7 marzo 2006).

Nel frattempo, nei primi mesi del 2006, la Corea del Sud e gli Stati Uniti hanno già trovato un accordo sulla cosiddetta “flessibilità strategica” nella cooperazione militare. Il prossimo passo per gli Stati Uniti sarà quello di allargare l’integrazione militare bilaterale che hanno con il Giappone per includere la Corea del Sud in una cooperazione trilaterale, cosicché le forze armate statunitensi presenti in Corea del Sud possano impegnarsi in missioni al di fuori della penisola coreana (TMC Net News, 7 marzo 2006).

Oltre all’allargamento della presenza degli Stati Uniti in Asia, la strategia statunitense di contenimento della Cina comprende anche la creazione di alleanze con paesi dell’Asia meridionale in generale, e con l’India in particolare. In una dichiarazione resa di fronte all’House International Relations Subcommittee on Asia and the Pacific [Sottocommissione della Camera per le Relazioni Internazionali sull’Asia e sul Pacifico, ndt], nel giugno 2005, Dana Robert Dillon, analista politico di alto livello al Centro di Studi sull’Asia della Fondazione Heritage ha detto: “Tra i cambiamenti più interessanti che la fine della Guerra Fredda ha portato, c’è la prospera relazione che gli Stati Uniti hanno con il miliardo e mezzo di abitanti dell’Asia meridionale”. Secondo Dillon, l’India rappresenta la “più grossa e sottovalutata opportunità per la politica estera statunitense”. Ha aggiunto anche che gli Stati Uniti e l’India condividono due interessi comuni: il terrorismo ed il manifestarsi della Cina come potenza mondiale. Dillon ha suggerito così alla Sottocommissione che, come parte della loro strategia globale per contrastare l’influenza crescente della Cina, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare l’India a sviluppare la sua competitività economica e le sue potenzialità militari.

Dillon ha aggiunto che la rinnovata collaborazione difensiva Stati Uniti – India ha rappresentato lo sviluppo più positivo [7]. Attualmente gli Stati Uniti hanno riportato allo “zero a zero” ogni collaborazione convenzionale con l’India. Gli Stati Uniti hanno anche dato inizio ad una cooperazione con l’India sull’uso dell’energia nucleare per scopi civili, sotto gli auspici del programma Next Steps in Strategic Partnership (NSSP) [I Prossimi Passi nell’Associazione Strategica, ndt]. Dillon ha aggiunto anche che gli Stati Uniti dovrebbero continuare ad aiutare l’India a diventare un partner amichevolmente strategico, e ad aiutare “l’India a possedere un deterrente che reprima l’avventatezza della Cina nella regione”.

L’imperialismo statunitense considera il dominio sull’Asia come un suo diritto, e non permette a nessun’altra nazione di contestarlo. Nel nome della libertà e della democrazia, gli Stati Uniti proteggono i loro interessi economici tramite la loro potenza militare. Gli Stati Uniti considerano l’Asia una parte integrante importante del loro vasto impero, ed il loro dominio sull’Asia è strettamente legato alla loro egemonia mondiale. Non facciamoci illusioni sul fatto che l’imperialismo statunitense possa essere in qualche modo riformato o modificato. Si comporterà sempre nel modo più selvaggio e barbaro.

III. La minaccia reale del militarismo statunitense

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti giunsero a dominare l’Asia e diedero inizio a due grandi guerre di aggressione nella nostra regione. Sia la Guerra di Corea che la Guerra in Vietnam facevano parte della loro strategia globale per frenare il comunismo. Proclamando di combattere il comunismo, gli Stati Uniti hanno usato la forza bruta nelle due guerre di aggressione, ed hanno causato la morte di milioni di persone e la terribile distruzione per l’Asia. Gli eroici abitanti della Corea e del Vietnam hanno reagito all’aggressione, ed hanno vinto. Per solidarietà la Cina ha aiutato i due paesi a vincere le loro guerre di liberazione.

La gente dell’Asia ha subìto guerre di aggressione, non solo nei vari decenni passati, durante la dominazione degli Stati Uniti, ma a dire il vero nei vari secoli passati. Tornando indietro al periodo coloniale, le potenze occidentali hanno fatto a gara per un pezzo di Asia – l’Inghilterra, la Francia, la Germania, la Spagna, il Portogallo, i Paesi Bassi, gli Stati Uniti ed altre potenze minori provenienti dall’Occidente, tutte si sono date battaglia per suddividere parti dell’Asia per la colonizzazione, seguite dagli sforzi del Giappone per fare di tutta l’Asia il suo impero. Il Giappone ha invaso la Cina ed altri paesi asiatici molti anni prima di incitare alla guerra gli Stati Uniti. Ma la gente comune dell’Asia, compresi i Giapponesi, è proprio come la gente di ogni altra parte del mondo. Vuole vivere in pace, ed è stanca di tutte le guerre che le sono state imposte.

Ora noi siamo all’inizio del XXI secolo. Da una parte, dal momento che la crisi dell’economia capitalista si è aggravata, le potenze imperialiste entreranno in competizione l’una con l’altra più ferocemente per le risorse, per le opportunità di investimento, e per i mercati. Dall’altra parte, gli Stati Uniti hanno dispiegato ulteriormente le loro forze militari in Asia, e puntano verso la Cina quale loro potenziale minaccia. La possibilità di un’altra guerra in Asia è di nuovo reale. Noi, naturalmente, conosciamo tutti troppo bene la reale potenza distruttiva della macchina militare statunitense nell’uccidere la gente e nel distruggere i paesi. Nessuno può sottovalutare la reale potenza delle armi di distruzione di massa in possesso degli Stati Uniti, e la loro volontà di usarle sulle persone innocenti. Noi, che siamo la gente, dobbiamo fare di tutto per impedire che avvenga una guerra. La solidarietà internazionale tra persone che amano la pace è il solo mezzo per sconfiggere la guerra ed il saccheggio imperialista. Tuttavia, noi sappiamo anche che, anche se gli Stati Uniti dovessero ancora iniziare un’altra guerra contro la volontà del popolo, non potranno mai conquistare un paese dispiegando le loro armi di distruzione di massa. Gli Stati Uniti non potrebbero soggiogare il popolo della Corea, né il popolo del Vietnam, proprio come non possono soggiogare il popolo dell’Iraq. La potenza militare, per quanto sia forte, non può vincere il desiderio della gente di essere libera, ed il suo amore per la pace. La potenza militare degli Stati Uniti, quantunque sia una tigre reale e pericolosa, è pur sempre una tigre di carta, e non le resterà altra via d’uscita che quella di arrendersi di fronte alla reale potenza del popolo.

Documento presentato alla Conferenza Internazionale dell’Asia Pacific Research Network (APRN) [Rete di Ricerca sull’Asia Pacifica, ndt] sul Militarismo Statunitense e la “Guerra al Terrorismo” nella Regione dell’Asia Pacifica, Cebu, Filippine, Dicembre 2006.

Riferimenti

[1] Forney, Mathew, China’s Quest for Oil [La ricerca cinese del petrolio, ndt], Asian Times, 18 ottobre 2004

[2] Dillon, Dana Robert, Analista politico Senior, Centro di Studi sull’Asia, Fondazione Heritage, Udienza su: “Gli Stati Uniti e l’Asia meridionale”, Testimonianza di fronte all’House International Relations Subcommittee on Asia and the Pacific, 14 giugno 2005

[3] Kurlantzick, Josh, “China’s Charm Offensive in Southeast Asia” [La straordinaria offensiva cinese nell’Asia meridionale, ndt], in Current History, settembre 2006,

[4] Lieber, Keir A. e Daryl G. Press, “The rise of US Nuclear Primacy” [La crescita della supremazia nucleare degli Stati Uniti, ndt], Foreign Affairs, marzo/aprile 2006 42-54

[5] Marquardt, Erich, Servizio di Power and Interest News, 8 settembre 2003

[6] Prueher, Joseph W., Comandante in Capo, Comando Statunitense del Pacifico, “Asia-Pacific Security and China, a U. S. Pacific Command Perspective” [Sicurezza nell’Asia Pacifica e nella Cina, una prospettiva del Comando Statunitense del Pacifico, ndt], Osservazioni preparate per la Fudan University, Shanghai, Cina, 13 novembre 1998.

[7] Rice, Condoleezza, “Campaign 2000: Promoting the National Interest” [Campagna del 2000: Promozione dell’Interesse Nazionale, ndt], Foreign Affairs, gennaio/febbraio 2000

Pao-Yu Ching
Fonte: http://www.globalresearch.ca/
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06.03.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA MAZZAFERRO

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