DI MICHAEL PARENTI
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Patologia del profitto e Pianeta monouso
Alcuni anni fa nel New England, un gruppo di ambientalisti chiese a un dirigente aziendale in che modo la sua azienda (una cartiera) poteva giustificare lo smaltimento dei suoi scarichi industriali non depurati in un fiume vicino. Il fiume, che era costato secoli a Madre Natura per formarlo – veniva utilizzato per l’acqua potabile, la pesca, il canottaggio e il nuoto. In pochi anni, la cartiera lo aveva trasformato in una fogna aperta altamente tossica.
Il dirigente si strinse nelle spalle e disse che scaricare nel fiume era il modo finanziariamente più efficace per rimuovere i rifiuti della cartiera. Se la società avesse dovuto assorbire la spesa supplementare di dover ripulire da sé, poteva non essere in grado di mantenere il proprio vantaggio competitivo e sarebbe quindi stata chiusa o trasferita in un mercato del lavoro più economico, con conseguente perdita di posti di lavoro per l’economia locale.
Libero Mercato Uber Alles
Era un argomento familiare: l’azienda non aveva scelta. In un mercato concorrenziale era costretta ad agire in quel modo. La cartiera non era nel business della protezione dell’ambiente, ma nel business del fare profitto, il profitto più alto possibile al più alto tasso possibile di ritorno. Profitto è il nome del gioco, come chiariscono i business leader se punzecchiati sull’argomento. L’obiettivo prioritario del business è l’accumulo di capitale.
Per giustificare il suo risoluto affarismo, l’Azienda America promuove la classica teoria del laissez-faire, che sostiene che il libero mercato — una congestione di imprese sfrenate non regolamentate e tutte che perseguono egoisticamente i propri fini — è governata da una benigna “mano invisibile” che produce miracolosamente uscite ottimali per tutti.
I liberi mercanti hanno una fede profonda e incrollabile nel laissez-faire perché è una fede che li serve bene. Significa non aver sorveglianza da parte del governo, non essere ritenuti responsabili per i disastri ambientali che si perpetrano. Come avidi marmocchi viziati, sono stati ripetutamente tirati fuori dai guai dal governo (bel libero mercato!) in modo che possano continuare a correre rischi irresponsabili, a saccheggiare la terra, avvelenare i mari, far ammalare intere comunità, gettare rifiuti per intere regioni e intascare osceni profitti.
Questo sistema corporativo di accumulo di capitale tratta le risorse di sostentamento della Terra (terra coltivabile, acque sotterranee, zone umide, fogliame, foreste, pesca, fondali marini, baie, fiumi, qualità dell’aria) come ingredienti usa e getta, considerate a fornitura illimitata, da consumare o avvelenare a volontà. Come la BP ha dimostrato così bene nella catastrofe del Golfo del Messico, le considerazioni sul costo pesano molto più di quelle sulla sicurezza. Un’ inchiesta del Congresso ha concluso: “di volta in volta, sembra che la BP abbia preso decisioni che hanno aumentato il rischio di una perdita per salvare il tempo o la spesa della Compagnia”.
Infatti, la funzione di una multinazionale non è quella di promuovere una sana ecologia, ma quello di estrarre più valore commerciale possibile dal mondo naturale anche se ciò significa trattare l’ambiente come una fossa biologica. Un capitalismo commerciale in continua espansione e una fragile ecologia limitata sono su una rotta di collisione catastrofica quanto più i sistemi di sostegno dell’ intera ecosfera — sottile strato di aria fresca intorno alla Terra, acqua e terriccio — sono a rischio.
Non è vero che gli interessi politico-economici dominanti negano tutto questo. Molto peggio della negazione, essi hanno mostrato un assoluto antagonismo nei confronti di coloro che pensano che il nostro pianeta sia più importante dei loro profitti. Così diffamano gli ambientalisti come “eco-terroristi”, “Gestapo EPA”, “allarmisti della giornata della Terra”, “abbraccia-alberi”, e propagatori di “isteria verde”.
In un enorme allontanamento dalla ideologia del libero mercato, la maggior parte delle diseconomie delle grandi imprese vengono rifilate al popolo, compresi i costi di bonifica dei rifiuti tossici, il costo del monitoraggio produttivo, il costo dello smaltimento dei reflui industriali (che raccoglie dal 40 al 60 per cento dei carichi smaltiti dagli impianti fognari comunali pagati dal contribuente), il costo dello sviluppo di nuove risorse di acqua (mentre l’industria e le aziende agro-alimentari consumano ogni giorno l’ 80 per cento della fornitura di acqua della nazione), e i costi per curarsi una malattia e un male causati da tutta la tossicità prodotta. Con molte di queste diseconomie regolarmente fatte ricadere sul governo, il settore privato si vanta quindi della sua superiore efficienza economica sul settore pubblico.
I super ricchi sono diversi da noi
Non è forse un disastro ecologico una minaccia per la salute e la sopravvivenza dei plutocrati aziendali così come lo è per noi cittadini comuni? Siamo in grado di capire perché il ricco imprenditore potrebbe voler distruggere l’edilizia pubblica, l’istruzione pubblica, la Previdenza Sociale, la Sanità pubblica e l’Assistenza medica e ospedaliera per i più poveri. Tali tagli ci porterebbero a una società di libero mercato priva di quei servizi umani “socialisti” a finanziamento pubblico che le ideologie reazionarie detestano. E questi tagli non priverebbero di nulla i super-ricchi e le loro famiglie. I super-ricchi hanno una ricchezza privata più che sufficiente per procurarsi qualsiasi servizio e protezione di cui hanno bisogno per se stessi.
Ma l’ambiente è una storia diversa, non è vero? I ricchi reazionari e le loro lobby imprenditoriali non abitano forse lo stesso pianeta inquinato come tutti gli altri, non mangiano lo stesso cibo chimicamente trattato e non respirano la stessa aria intossicata? In realtà, essi non vivono esattamente come tutti gli altri. Risiedendo in luoghi dove l’aria è decisamente migliore rispetto alle aree a basso e medio reddito, vivono una realtà di classe diversa. Essi hanno accesso al cibo prodotto biologicamente e trasportato e preparato in maniera speciale.
Le discariche tossiche e le autostrade della nazione di solito non si trovano all’interno o nelle vicinanze dei loro quartieri alla moda. Perché in realtà, i super-ricchi non vivono in tali quartieri. In genere risiedono su latifondi con tante aree boschive, ruscelli, prati, e con solo alcune strade d’ accesso adeguatamente sorvegliate. Gli antiparassitari non vengono spruzzati sui loro alberi e giardini. La deforestazione non rende desolati i loro ranch, le loro proprietà, i boschi familiari, i laghi, e i principali luoghi di vacanza.
Eppure, non dovrebbero anch’essi temere la minaccia di un’apocalisse ecologica causata dal riscaldamento globale? Preferiscono vedere la vita sulla Terra, compresa la propria, distrutta? A lungo andare effettivamente segnano il loro destino insieme a quello di tutti gli altri. Tuttavia, come tutti noi, non hanno una vita a lungo termine, ma vivono qui e ora. Quello che oggi è in gioco per loro è qualcosa di più prossimo e più urgente dell’ecologia mondiale; è il profitto mondiale. Il destino della biosfera sembra un’astrazione remota rispetto al destino dei propri immediati – ed enormi – investimenti.
In definitiva, le grandi imprese leader sanno che ogni dollaro che una società spende per le cose stravaganti, come la tutela dell’ambiente, è un dollaro in meno in guadagni. L’allontanarsi dai combustibili fossili e l’avvicinarsi al solare, l’eolico e l’energia marina potrebbe contribuire a evitare il disastro ecologico, ma sei delle dieci principali imprese industriali sono coinvolte prevalentemente nella produzione di petrolio, benzina e veicoli a motore. L’inquinamento da combustibili fossili porta a miliardi di dollari in guadagno. I grandi produttori sono convinti che forme di produzione ecologicamente sostenibili rischiano di compromettere tali utili.
Il guadagno immediato per se stessi è una considerazione molto più convincente di una perdita futura condivisa dal grande pubblico. Ogni volta che si guida l’auto si mettono le proprie necessità immediate di arrivare da qualche parte prima del bisogno collettivo di evitare l’avvelenamento dell’aria che tutti respiriamo. Quindi, per i grandi: il costo sociale di trasformare una foresta in un deserto conta poco contro il profitto smisurato ed immediato che proviene dalla raccolta del legname e contro l’ andarsene con un bel fascio di denaro contante. E ci si può sempre razionalizzare sopra: ci sono un sacco di altre foreste che le persone possono visitare, non hanno bisogno proprio di questa; la società ha bisogno del legname; i boscaioli hanno bisogno di posti di lavoro, e così via.
Il futuro è adesso
Alcuni degli stessi scienziati e ambientalisti che vedono l’ urgente crisi ecologica piuttosto fastidiosamente, ci avvertono di una crisi climatica catastrofica per la “fine di questo secolo”. Ma questa è lontana quasi 90 anni, quando tutti noi e la maggior parte dei nostri ragazzi saremo morti— il che rende il riscaldamento globale un problema molto meno urgente.
Ci sono altri scienziati che riescono ad essere ancora più irritanti, avvertendoci di un’ imminente crisi ecologica per poi piazzarla ancora più lontano nel futuro: “Dobbiamo smettere di pensare in termini di ere e cominciare a pensare in termini di secoli,” fu citato un saggio scienziato dal New York Times nel 2006. Questo dovrebbe metterci in allarme? Se una catastrofe mondiale è a un secolo o a secoli di distanza, chi prenderà, oggi, le decisioni terribilmente difficili e costose i cui effetti si faranno sentire anche in futuro?
Spesso ci viene detto di pensare ai nostri cari nipoti, che saranno interamente vittime di tutto ciò (un appello di solito fatta in tono supplichevole). Ma la maggior parte dei giovani a cui mi rivolgo nei campus universitari hanno difficoltà a immaginare il mondo in cui i loro inesistenti nipoti potrebbero vivere tra trenta o quaranta anni.
Tali appelli dovrebbero essere accantonati. Noi non abbiamo secoli o generazioni o addirittura tanti decenni prima che la catastrofe sia alle porte. La crisi ecologica non è tanto lontana. La maggior parte di noi, vivi oggi, probabilmente non avrà il lusso di dire “Après moi, le deluge”, perché sarà ancora in giro per sperimentare la catastrofe sulla propria pelle. Sappiamo che questo è vero perché la crisi ecologica sta già agendo su di noi con un effetto accelerato e aggravato che potrebbe presto rivelarsi irreversibile.
La pazzia della speculazione
Triste a dirsi, l’ambiente non può difendersi. Spetta a noi proteggerlo, o ciò che di esso resta. Ma tutto ciò che i super-ricchi vogliono è di continuare a trasformare la natura vivente in merci e le merci in capitale morto. Imminenti disastri ecologici non sono di alcuna importanza per i predatori imprenditoriali. Della natura vivente non hanno misura.
La ricchezza diventa dipendenza. La fortuna stuzzica l’appetito per fortuna maggiore. Non c’è fine alla quantità di soldi che uno vorrebbe accumulare, spinto in avanti dall’ auri sacra fames, la maledetta fame di oro. Così i tossicodipendenti del denaro arraffano sempre di più per se stessi, più di quanto può essere speso in mille vite di indulgenza senza limiti, spinti da quello che comincia a somigliare a una patologia ossessiva, una monomania che cancella ogni altra considerazione umana.
Sono più interessati alla loro ricchezza che alla terra sulla quale vivono, più preoccupati per la sorte delle loro fortune che al destino dell’umanità, così posseduti dalla loro ricerca di profitto da non vedere il disastro incombente davanti a loro. C’era una vignetta del New York Times che mostrava un dirigente d’azienda. in piedi davanti a un leggio, che fronteggiava un incontro di lavoro con queste parole: “E così, mentre lo scenario della fine del mondo sarà pieno di orrori inimmaginabili, riteniamo che il periodo immediatamente antecedente la fine sarà pieno di opportunità senza precedenti per il profitto”.
Non è uno scherzo. Anni fa ho notato che coloro che negavano l’esistenza del riscaldamento globale non hanno cambiato la loro opinione anche quando lo stesso Polo Nord ha cominciato a sciogliersi. (Mai mi sarei aspettato che esso realmente cominciasse a dissolversi durante la mia vita). Oggi siamo di fronte ad uno scioglimento artico che ha implicazioni terribili per le correnti oceaniche del golfo, per i livelli delle acque costiere, per l’ intera zona temperata del pianeta e la produzione agricola mondiale.
E allora, come rispondono i capitani dell’industria e della finanza? Nel modo in cui ci si potrebbe aspettare: come profittatori monomaniacali. Sentono la musica: ca-ching, ca-ching. In primo luogo, lo scioglimento dell’Artico aprirà un passaggio diretto a nord-ovest tra i due grandi oceani, un sogno più vecchio di Lewis e Clark. Ciò contribuirà a rendere più brevi e più accessibili ed economiche le rotte del commercio mondiale. Non ci si dovrà più affaticare attraverso il Canale di Panama o intorno al Capo Horn. Costi di trasporto più bassi significano più commercio e profitti più alti.
In secondo luogo, notano con gioia che lo scioglimento sta aprendo nuove, vaste riserve petrolifere da trivellare. Essi saranno in grado di trivellare più combustibile fossile, quello stesso che è la causa della calamità che si abbatte su di noi. Più scioglimento significa più petrolio e più profitti; tale è il mantra dei liberi trafficanti che pensano che il mondo appartiene solo a loro.
Immaginate ora che tutti noi siamo all’interno di un grande autobus che sfreccia giù per una strada diretta verso un tuffo fatale in un burrone profondo. Cosa fanno i nostri dipendenti del profitto? Vanno su e giù per il corridoio, vendendoci cuscini anti-urto e cinture di sicurezza a prezzi esorbitanti. Hanno pianificato tutto in anticipo per questa opportunità di vendita.
Dobbiamo alzarci dai nostri sedili, e metterli subito sotto la sorveglianza di un adulto, affrettarci verso la parte anteriore dell’autobus, strattonare via l’autista, afferrare il volante, far rallentare l’autobus e farlo tornare indietro. Non è facile, ma forse è ancora possibile. Per me è un sogno ricorrente.
I libri recenti di Michael Parenti includono: “Dio e i suoi demoni” (Prometeo), “Nozioni contrarie: il lettore Michael Parenti” (City Lights), “La democrazia per pochi”, nona ed. (Wadsworth), “L’Assassinio di Giulio Cesare “(New Press), “Superpatriottismo” (City Lights), e “La Lotta della Cultura” (Seven Stories Press). Per ulteriori informazioni, visitare il suo sito: www.michaelparenti.org
Titolo originale: “Profit Pathology And Disposable Planet”
Fonte: http://www.michaelparenti.org
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28.02.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di C. DI LORENZO