LIBANO 2006: IL PEGGIORE DEI DEJA VU'

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DI CARLO BERTANI

Se
non intervenisse l’informazione di regime a rimescolare le carte –
perché hanno la coda di paglia – sarebbe addirittura noioso
commentare la guerra in Libano: potremmo cercare articoli di vent’anni
fa che narravano di Beirut, cambiare qualche nome e ripubblicarli.

Invece la protervia infinita di chi non rinuncia a gettare sabbia negli
occhi per celare una verità che è lampante stimola, e torna la voglia
di scrivere.
Anzitutto l’uso delle parole, che non è casuale.

Tutta
la crisi sembrerebbe nata dal rapimento di tre soldati israeliani, uno a
Gaza e gli altri due sul confine libanese, ma da quando mondo è mondo i
soldati non si rapiscono, si catturano. I soldati vengono catturati e non rapiti perché i
militari sono lì per fare la guerra, non per piantare margherite, ed i
soldati israeliani sparano, eccome se sparano: ogni giorno che passa è
uno stillicidio di vittime – moltissimi bambini – che entrano nei
disastrati ospedali palestinesi, sempre che non siano colpiti anche gli
ospedali – come fecero gli americani a Falluja – con la scusa della
“lotta al terrorismo”. Niente paura, dopo i misfatti gli israeliani
si scusano sempre: sono una nazione “democratica”, ed in
“democrazia” il bon ton non deve mancare.

Anche
sul numero delle vittime civili la tradizione è rispettata: per
difendersi dagli attacchi dei razzi lanciati da Hezbollah
– che hanno provocato ad oggi 10 vittime civili in Israele –
l’aviazione di Tel Aviv ne ha ammazzate (solo i civili)
200 in
Libano. Il classico rapporto di 1 : 20 è rispettato, come nelle
peggiori rappresaglie di guerra: almeno, i repubblichini di Salò
attuavano un più “modesto” 1 : 10.

Sono state uccise intere famiglie, addirittura una famiglia canadese in
visita ai parenti in Libano ed un casco blu indiano, dopo che Tzahal
aveva preso di mira anche le forze ONU sul confine. E non si venga a
dire che è stato un “errore” colpire due distinti raggruppamenti di
caschi blu perché l’esercito israeliano, quando spara, sa bene su chi
spara. Tanto, dopo si scusa.

Chi
invece rapisce, e non cattura,
è proprio Israele, che nei giorni scorsi ha “catturato” tre
ministri dell’Autorità Palestinese: attenzione, tutta la stampa usa
il termine “catturati”, ma nessuno ha mai sentito parlare della
“cattura” di un ministro, semmai del rapimento, perché i ministri non sono dei combattenti.

Quindi, se vogliamo osservare con freddezza gli eventi, chi si è
macchiato per primo del crimine di rapimento non sono gli Hezbollah,
ma Israele: tanto per farlo sapere alla gran parte della politica
italiana, che non perde occasione per genuflettersi in direzione di Tel
Aviv.

Veniamo
allora alla presenza di Hezbollah
in Libano, ed alla richiesta d’attuazione della risoluzione 1559
dell’ONU che chiede proprio il disarmo delle milizie islamiche nel
Paese dei Cedri. La richiesta è corretta, giacché proviene proprio dal
Palazzo di Vetro; domandiamoci: perché Hezbollah è in Libano?
Inutile raccontare frottole: Hezbollah è un’emanazione di Teheran,
che è lì per attuare un piano che dovrebbe condurre l’Iran a
diventare il nuovo stato “guida” del Medio Oriente, sostituendo la
muta Arabia Saudita ed il balbettante Egitto.

La ragione della presenza di Hezbollah, anche se strumentale, è pur
sempre l’occupazione militare da parte di Israele dei territori
conquistati con una guerra d’aggressione nel
1967, in
aperto spregio della legalità internazionale.

Già,
affermano i nuovi amici d’Israele – Fini in testa, che
dell’antisemitismo dovrebbe saperne qualcosa – ma la risoluzione
1559 deve essere attuata, punto e basta. Giusto, ma allora attuiamo
tutte le risoluzioni ONU e facciamola finita.
L’ONU
attende ancora che sia attuata la risoluzione 338. Cosa raccontava la
risoluzione 338 del 1973?

Risoluzione 338 del 22 Ottobre
1973

Il
Consiglio di Sicurezza,

1 –
Richiama le parti al presente combattimento per cessare il fuoco
e terminare immediatamente tutte le attività militari, non più
tardi di dodici ore dall’adozione di tale risoluzione, nelle
posizioni che occupano ora.

2 –
Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il
cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242
del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.

3
– Decide che, immediatamente ed in concomitanza con il cessate
il fuoco, inizieranno negoziati tra le parti in causa sotto i
migliori auspici volti a garantire una immediata e duratura pace
al Medio Oriente

La
risoluzione 338 fu emanata dall’ONU subito dopo la guerra di Yom
Kippur e – cosa strana – richiamava l’applicazione di un’altra
risoluzione – la numero 242 – che evidentemente gli israeliani
avevano dimenticato: chissà perché questo vuoto di memoria…

Risoluzione
n. 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Il
Consiglio di Sicurezza, esprimendo il suo continuo rammarico per
la grave situazione in Medio Oriente,

Sottolineando
l’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso
la guerra, e la necessità di lavorare per un’immediata e
duratura pace per tutti gli Stati dell’area,

Sottolineando
ulteriormente che tutti gli Stati Membri con la loro
accettazione del Trattato hanno sottoscritto l’impegno ad
agire in conformità all’articolo 2 del Trattato,

I.
Afferma
che l’applicazione dei principi del Trattato, richiede
un’immediata e duratura pace in Medio Oriente, che dovrebbe
includere entrambi i seguenti principi:

a.

Ritiro
delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente
conflitto.

b.
Termine
di tutte le rivendicazioni e stati di belligeranza, e rispetto
per il riconoscimento di sovranità, integrità territoriale e
sovranità politica per ogni Stato dell’area e il loro diritto
a vivere in pace, con confini sicuri e riconosciuti e liberi da
trattati e atti di forza.

II.
Afferma
inoltre la necessità:

a:
Di garantire libertà di navigazioni attraverso le acque
internazionali dell’area.

b:
Di una giusta soluzione del problema dei profughi.

c:
Di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza
politica di ogni Stato dell’area, attraverso misure, tra cui
l’istituzione di zone demilitarizzate.

III.

Richiede
al Segretario Generale di nominare un Rappresentante Speciale,
per procedere all’allacciamento ed al mantenimento dei
contatti in Medio Oriente con gli Stati riguardanti in
ordine la promozione di accordi e per appoggiare gli sforzi per
ottenere una pacifica ed accettata stabilizzazione dell’area
in accordo con le previsioni ed i principi di questa
risoluzione.

IV.
Richiede
al Segretario Generale di riferire sui progressi degli sforzi il
più presto possibile.

La
risoluzione 242 fu emanata dall’ONU all’indomani delle Guerra dei
Sei Giorni del 1967, quando Israele decise d’annettersi
unilateralmente i territori occupati.
Un preziosismo lessicale agghindava il primo punto della risoluzione,
laddove si affermava che la pace in Medio Oriente “dovrebbe
includere entrambi questi principi”. Un condizionale, un semplice
condizionale richiesto dagli USA per approvare la risoluzione ci ha
regalato decenni di guerra e decine di migliaia di morti.
Un
condizionale che appare invece superato dalla risoluzione 338
(successiva), poiché lo stesso Consiglio di Sicurezza (evidentemente
conscio dei rischi che la situazione conteneva in sé) s’affrettava a
ricordare ciò che Israele doveva attuare, ossia: “immediatamente dopo
il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del
Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.”. La
risoluzione doveva essere applicata in tutti i suoi punti, ovvero
dovevano essere restituiti il Sinai e Gaza all’Egitto e

la Cisgiordania
alla Giordania.

Chi
è, allora, che non rispetta le risoluzioni ONU?
Perché
Tel Aviv è così ostinatamente aggrappata ad un territorio arido, per
difendere il quale spende di più di quel che ricava dalle colonie,
insomma, un non sense apocalittico?
Ci sono due ragioni che concorrono alla non soluzione del problema
palestinese: la prima è di carattere economico, la seconda dottrinale.

La
ragione economica è semplicissima: con lo status di “territori
occupati” (non contemplato nel diritto internazionale. se non per
brevissimi periodi che preludono ad un accordo di pace) Israele si è
assicurata manodopera a bassissimo costo per le sue industrie e per il
terziario dove non occorre specializzazione.

Migliaia
di operai palestinesi varcano ogni giorno i valichi di frontiera per
andare a lavorare in Israele, dove sono pagati un’inezia (in confronto
alla manodopera israeliana): in aggiunta – essendo manodopera
frontaliera – lo stato ebraico non deve provvedere agli oneri sociali
ed al welfare per quei lavoratori. Che si arrangino i palestinesi.
E’ pur vero che ci sono delle compensazioni economiche che Israele
deve versare alle casse palestinesi per questo “strano” caso di
lavoratori stranieri che ogni giorno mandano avanti le industrie e
l’agricoltura israeliana, ma recentemente Tel Aviv ha smesso
semplicemente di versare quei fondi, affamando Gaza.

L’irrazionalità
totale dell’impianto risiede proprio nel fatto che i lavoratori
palestinesi – non essendo israeliani e nemmeno stranieri, perché non
hanno uno stato d’appartenenza – non hanno status, o forse l’unico
status giuridico che è possibile assegnare loro è quello di schiavi
o di apolidi.
Le
ragioni dottrinali affondano le loro radici nel Pentateuco:

22
Poiché se osserverete diligentemente
tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando
il Signore vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e
tenendovi uniti a lui,

23
il Signore scaccerà dinanzi
a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più
grandi e più potenti di voi.

24
Ogni luogo che la pianta del vostro piede
calcherà sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal
deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al Mar
Mediterraneo.

25
Nessuno potrà resistere a voi; il Signore
vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore
di voi su tutta la terra che voi calpesterete.

Deuteronomio,
cap. 11, Conclusioni

Queste
sono le ragioni che inducono gran parte degli israeliani a credere che i
loro confini orientali dovrebbero estendersi ancora, altro che
abbandonare il West Bank.
Anche se altri profeti – ad esempio Ezechiele – affermano che il
confine orientale della terra concessa da Dio al popolo eletto si ferma
al Giordano, sembra che sia tenuto in maggior conto quel che è scritto
nel Deuteronomio. Chissà perché.
E poi ci vengono a raccontare che l’Iran è uno stato fondamentalista.

Carlo
Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it

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