DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane Fuorilinea
Bertinotti e la Folgore, Mai Masri nella rivoluzione dei cedri, Gabriele Polo contro Stefano Chiarini, Panzerpapa e terroristi, gli ernestini da sala d’attesa, antipedofili da guerra preventiva…
Bertinotti folgorato
Ancora
una volta la croce di ferro con spade, alloro e diamanti, massima onorificenza
del Reich, non può che spettare al leader di Rifondazione Comunista addobbato
da Presidente della Camera. Ma è soltanto la punta di un berg che non ha niente di ice, ma tutto di shit, baby!
(ohè, mica solo i vernacolari della radiolina possono sparare report e altri inglesismi da checchismo di borgata. E’ questione di life-style e tutti abbiamo diritto a un
po’ di glamour da colonizzati, okay?). Tornando all’agonizzante Dante, si
parlava di deiezioni (shit). Non è detto che debbano sempre uscire
dallo stesso orifizio. In Libano, dove il Nostro iper-super-mega-nonviolento,
modellandosi su Lidia Menapace tramutata in Menaguerra in occasione dei giochi
afgani, si è manifestato da facinoroso della violenza, il guano revisionista ha
cosparso il territorio a partire dalla bocca. In un parossismo orgasmatico,
innescato da massicce dosi di viagra militarista, il peripatetico guru della nonviolenza ha calzato anfibi
d’assalto, casco da sbarco, tirapugni da commandos, lanciafiamme da
Terminator e ha sterminato d’un
botto, tutto da solo, qualche centinaio di migliaia di pacifisti con questa
esternazione al fosforo bianco: “La Folgore?
La migliore vetrina del paese”. Un vero conte Ugolino, con i canini
sul cranio dei figli. Che ora si trovano, da ghandiani che erano del disarmo
universale (scrupolosamente riservato ai deboli e buoni, cioè a quelli che le
prendono), a dover attaccare sopra il letto i poster dei torturatori di
Somalia, o dei fucilatori di ambulanze a Nassiriya. Ha fatto di meglio,
Bertinotti, delle bombe a grappolo israeliane, tanto che non c’è libanese che
ora non inciampi sulle deiezioni in questione:
“Questa missione è la migliore vetrina per l’Italia… Vi sono grato e sono
orgoglioso di appartenere a questo paese… Bisognerebbe che i politici
ascoltassero questi militari, venissero qui in Libano a vedere la loro capacità
di comprensione… La loro è davvero una presenza militare di pace…Se qui ci
fosse una Ong, farebbe le stesse cose che fate voi… mi sono proprio commosso a
vedere le divise dell’esercito con i bambini…” Quest’uomo, nei suoi
pavoneggiamenti tra Vespa e Valeria Marini ci aveva abituato a tutto. A quello
che, nei nostri tremendi limiti intellettivi, pensavamo che fosse il tutto. E’
sublime, riesce ancora a farci rivoltare lo stomaco. Con coerenza filosionista, in Libano ha meticolosamente
evitato di dare anche solo un’occhiata ai campi profughi di 400.000
palestinesi, e tantomeno al sacrario di Sabra e Shatila voluto da Stefano
Chiarini. Nella Palestina Occupata ha saputo parlare al parlamento palestinese,
dopo aver amoreggiato con i capi sionisti, mostrandosi faziosissimamente
equidistante tra vittime e carnefici e arrivando ad auspicare una solo graduale
rimozione del muro alla Auschwitz che incarcera 4 milioni di palestinesi. C’è
qualcuno che ancora si rifiuta di vedere cos’è stato capace di fare questo
taumaturgo, dal 1993 in poi, nel saltare sulla zattera dei comunisti e degli
antiguerra sopravvissuti a Occhetto e trasformarla giorno dopo giorno in
qualcosa tra il panfilo da crociera per domestici e liberti, e la corazzata da
sbarco per ascari da rivincita coloniale? Vista la nessunissima differenza che
intercorre tra i motivi e gli obiettivi dei due episodi, e le rispettive
mimetizzazioni da spedizioni di pace e civiltà, dopo l’eulogia agli occupanti
anti-Resistenza e filo-Quisling del Libano, il minimo che ora il Bertisconi ci
può dare è un cantico in onore del maresciallo Graziani, pacificatore di Libia
e Abissinia. Sai quanto lo apprezzerebbero gli eccellenti prodotti della sua
“migliore vetrina del paese”: Diavoli neri,
Pantere Indomite, Sorci Verdi, Condor, Leoni, tutti irreprensibili sacerdoti
della nonviolenza.
“Essere comunisti”… di complemento
Fa singhiozzare dagli
sghignazzi, a questo punto, colui che per un milione di euro dovete collocare
nella casella sciasciana appropriata: a) uomini, b) ominicchi, c)
ruffiani, d) quaquaraquà. Il
personaggio è Claudio Grassi [foto], un ercolino che le stalle di Augia (Bertisconi)
non le ha ripulite, ma divorate tutte, già leader carismatico, a dispetto della
statura fisico-etico-politica, dell’Ernesto, opposizione di servizio del
sovrano e, oggi, così si firma con notevole sprezzo del ridicolo, coordinatore
nazionale dell’area “Essere comunisti”, un altro miscione di illusi e
poltronari da congelare in eterno nella sala d’attesa della rifondazione
comunista. Da scudiero intellettuale gli fa Bruno Steri che, tenendo famiglia,
sopperisce alle voragini culturali del nostro. A Grassi hanno sottratto il
giocattolo con il quale è riuscito a prendere per i fondelli durante quasi un
paio di lustri tutti quei bravi compagni cui si rizzavano i capelli a ogni progressivo
spostamento del piacere bertinottiano e del dispiacere comunista, la rivista
“L’Ernesto”. Nel generale spappolamento di un partito divenuto caleidoscopico
fenomeno da baraccone, il periodico è stato fatto suo dalla frazione di Fosco
Giannini, quello di cui i maligni dicono che “tanto tuonò che non piovve”, ma
uno che, rispetto al meticoloso lavorio del perito in guinzagli emiliano,
bravissimo a far bollire la rabbia della base fino a ridurre il brodo a due
gocce di tisana, alza la voce e sventola vessilli rossi. Staremo a vedere.
Intanto ha votato, insieme a Grassi, controllore di corte di bassotti
incazzati, per lo sbarco colonialista in Libano e per l’invasione-occupazione
colonialista dell’Afghanistan. E non mi dite che non sono cose dirimenti. O ci
facciamo prendere per il culo dalla veneranda bombarola afgana, Lidia
Menaguerra, che da una sessantina d’anni annaspa disperata per travestire da
ghandismo il suo passato di partigiana nella lotta armata di liberazione. Ma queste, rispetto alla grandezza
epica del trasformista Bertisconi, sono miserie…
Il piatto nazionale? Inciuci alla panna
Anni fa feci un servizio
su una moda che stava rubandoci il mare e butterando il territorio di oscene
strutture acquatico-demenziali, gli acquaparchi, dove, nel gaudio dei
farmaceutici, bambinelli e ragazzetti si avvelenavano di cloro e colibatteri,
anziché curarsi con iodio e salino (nei mari allora ancora liberi dalla
varicella dei porti turistici). Mi torna in mente quella piscina in cui, da
sponde opposte, si tuffavano due grandi scivoli che, da ambo i lati,
scaricavano nella stessa pozza ad altissima densità microbica raffiche di
schiamazzanti gaudenti. E pare davvero la metafora della convulsa corsa, da
linee di partenza opposte, all’incontro di tutti con tutti, di ognuno con
ognuno che, affermando il microclinton da sinagoga Veltroni la non esistenza
del conflitto – e peste colga chi lo afferma -, costituisce la definitiva sodomizzazione delle classi
che non partecipano né al banchetto coloniale, né al ladrocinio nazionale a
crescente tasso di mafiosità. Si spiccano voli d’angelo da rive contrapposte,
ma, con tuffi tripli carpiati, ci si ricongiunge tutti nella calda e morbida
palude dello strozzinaggio d’élite. Così Bertisconi si commuove fino alle
lacrime a vedere i nostri soldati accanto ai bimbetti libanesi, quelli che
giorno dopo giorno, dall’agosto scorso, se si allontanano dalle macerie della
casa disintegrata da Israele, finiscono spezzettati sulle bombe a grappolo
dell’unica democrazia del Medioriente,
quelle bombe a futuro genocidio che nessun Diavolo
Nero si sogna di rimuovere. Sono i piccoli libanesi del Sud cui i Sorci Verdi dell’Unifil garantiscono che
coloro che li hanno difesi dagli istinti stragisti del gremlin sionista, un
giorno o l’altro, verranno disarmati e ridotti alla ragione coloniale. Sono i
libanesi del futuro cui l’ONU, vale a dire Francia, Usa, Israele, Italia UE, ha
garantito che, se si illudevano che potesse esserci, a sessant’anni
dall’indipendenza, un Libano fuori dagli appetiti dei colonialisti di ritorno e
fuori dal ladrocinio delle oligarchie compradoras, era meglio che si
ricordassero di Sabra e Shatila, carneficina alla quale li consegnò appunto una
spedizione di pace italo-francese del tutto analoga alla presente. Ricordate i
commoventi bimbetti attorno ai commoventi bersaglieri del commovente generale
Angioni? Bersaglieri di colpo spariti quando questi bimbetti venivano
infilzati, Sharon coadiuvando, dai fascisti a Sabra e Shatila. Dove era allora
il commuovibile Bertisconi? Che occasione persa per inebriarsi di piume al
vento!
Rignano Flaminio? Le maestre come Valpreda
Che c’entra con gli
incontri, accoppiamenti, aggregamenti, miscelamenti in acqua – a volte
sottacqua – dell’Acquafan?
Spostiamo lo sguardo a Rignano Flaminio, dove è in atto una delle più
efferate montature mai concepite dagli strateghi della paura a partire dai
terrorismi di Stato e dagli “opposti estremismi”, fino ad arrivare all’11
settembre e ad Al Qaida. Un’operazione concepita e lanciata nelle segrete stanze
dove, appunto, si ordiscono i grandi condizionamenti psicologici di massa, ma
ripresa in perfetta congiunzione dagli scivoli opposti della stampa
scandalistica di regime e da quella, in questo caso scandalistica anch’essa, di
sinistra, “il manifesto” in testa. Tutti assatanati, con la bava alla bocca, di
colpevolismo istantaneo e senza l’ombra di un dubbio su chi potesse tenere le
fila di queste operazioni nello Stato delle Stragi di Stato. Una vicenda che,
se sopravvive in questo paese anche un solo magistrato onesto nei gradi di
giudizio che ci saranno, finirà, con i genitori torquemadisti e gli sciacalli
mediatici che l’hanno sostenuta, nel museo delle cere degli orrori
sociogiudiziari. Intanto, maestre, bidelli, benzinai sono stati tirati dentro a
questa evidentissima manovra si intimidazione di massa e rovinati a vita, come
e peggio i bambini che un destino infame ha fatto nascere in certe famiglie.
Una lucida manovra di
sputtanamento della scuola pubblica che si permette di rivendicare la sopravvivenza,
di discredito degli insegnanti che si permettono di chiedere lavoro e salario
non da raccoglitori di cotone in Alabama, di esaltazione alla family day del bunker famigliare come, non
più ricettacolo di ogni repressione e distorsione psicologica (povero ’68!), ma
estremo fortino della difesa dell’imperfettibile esistente, dotato di
lanciamissili contro i mille pericoli del fuori, dal musulmano al pedofilo,
dall’eversore estremista al pederasta in agguato. E, soprattutto, una conferma
che deve essere la famiglia e nessun servizio pubblico ad assumersi la
responsabilità e il gravame della crescita e formazione delle future classi
perdente e vincente, sfruttata e sfruttatrice. Cosa c’è di comune tra i bambini
tra le grinfie di questi invasati
gendarmi della morale e i bambini della catastrofe libanese che Bertinotti vede salvati dai biscotti e dai
buffetti delle Pantere Indomite? C’è di comune una gigantesca truffa ai
danni di questi inermi: da un lato quelli che devono cementificarsi dentro il
trauma terrorizzante che i loro insegnanti sono mostri, che la scuola è un
campo minato, che il mondo è pieno di lupi mannari e l’unica salvezza sta nel
covo famigliare, per quanto rancido, psicotico, paranoico, repressivo sia;
dall’altro i doppiamente abusati, dagli sterminatori israeliani, prima, e poi
da una forza straniera di occupazione che li deve sradicare dal contesto di una
terra che ha prodotto Hezbollah come unica prospettiva di riscatto e dignità e,
dunque, deve restituirli a un destino di esclusione sociale, settarismo
confessionale, dominio feudale, venerazione dell’Occidente (in uniforme o in
multinazionale) Tutti insieme sono vittime di una guerra globale che le
gerontocrazie mondiali conducono contro i giovani. Vi pare tirato per i
capelli? Allora pensate che il nostro Ministero della Sanità ha dato il via
libera al Ritalin, arma di addomesticamento-addestramento-doma dei bambini
delle elementari, Allora ascoltate il ministro Giuliano Amato, detto dottor
sottile per la grossolanità del suo temperamento reazionario, raccomandare
test-antidroga ai ragazzini delle medie, subito copiato dall’omologo Massimo
Girtanner, presidente nazionalalleato di un Consiglio di Zona milanese, che
prepara un altro giro di catene attorno al collo dei giovani mandando ai genitori
un coupon col quale possono ritirare dalle liete farmacie, ricettacoli delle
nefandezze delle liete case farmaceutiche, un test delle urine per controllare
se i propri figli fanno uso della droga. I genitori di Rignano Flaminio,
esperti di video di bambini sminuzzati psicologicamente che avrebbero fatto la
gioia di Erode, si sono già prenotati. E scommetto la coda del mio bassotto
Nando che quei genitori infoiati di fantasmi pedofili sarebbero i primi a fare
dei propri pargoli i mercenari dei farabutti pubblicitari che –
nell’approvazione o nell’accondiscendimento assordante delle sinistre –
manipolano e abusano di bambini abbagliati e inconsapevoli per reclamizzare
porcherie e menzogne.
Commemorare Chiarini insultandolo
Al cinema Farnese di Roma, qualche
giorno fa nel quadro di quel Tekfestival, hanno proiettato un film della
regista palestinese Mai Masri, quella dell’indimenticabile “Frontiere di sogno
e di paura” sui ragazzi dei campi profughi dall’una e dall’altra parte del filo
spinato messo su dagli occupanti sionisti emuli dei lager. Introduceva il
direttore del “manifesto”, Gabriele Polo, visto che la serata era in onore del
nostro indimenticabile eroe dell’informazione vera, Stefano Chiarini. Per
fortuna ha anche espresso un ricordo di Stefano Stefania Limiti, del comitato
chiariniano “Per non dimenticare Sabra e Shatila”, che, con sobrietà e puntualità, all’altezza del nostro amico
scomparso, ha rimesso a posto le cose scardinate dal Polo. Già, perché questo
erede del noto ex-deturpatore del “manifesto” e oggi fiatista de “La Stampa”,
Barenghi, dopo quattro banalità sulla profonda conoscenza che Chiarini aveva
del Medio Oriente, ammesse morsicandosi la lingua, ha saputo infilare un
reiterato complimento di “fazioso”, cinque volte la definizione “uomo di
parte”, “chiaramente di parte”, “assolutamente di parte”, fino al conclusivo
“uomo di una parte sola”. In altre parole, un integralista islamico, un
settario, un estremista, un fanatico, un facironoso. Tutte qualità che
risultano anatema nel paese che, con entusiasmo pari alle stonature, intona il
cantico dei cantici dell’inciucio. Povero Stefano, s’è ben visto chi ti rendeva
la vita grama nell'”equilibrato” manifesto di un corrispondente israeliano come
Schuldiner, che distribuisce torti e ragioni in modo da rendere assolutamente
paralleli i due piatti della bilancia, quello dei massacrati e quello dei
genocidi, o di una Giuliana Sgrena, devota a tutti gli stereotipi che
lubrificano le guerre sulle quali poi versa calde e inutili lacrime. Stefano
Chiarini, come sa chiunque abbia dato un’occhiata al Medio oriente senza gli
occhiali del luogo comune imperialista, non era affatto di parte, a meno che
non si chiami parte la realtà. Quelli che ora, polosamente, si occupano di
Medioriente o di internazionale in generale, sono nani al confronto. Denunciare
i macellai di Sabra e Shatila, ribattere le puttanate tossiche che si spargono
su popoli e leader che la criminale cosca occidentale vuole eliminare, sfondare
la muraglia delle menzogne e delle truffe imperialiste, sioniste, delle élites
capitaliste, inoculare nei tossici da disinformazione pere di verità accertata
sul terreno, vuol dire essere di parte, di una parte sola? Ma che cazzo dici,
Gippì?
Dici ciò di cui anch’io
personalmente ho lunga pratica, che cioè appena esci dal senso comune, dalla
gabbia degli stereotipi sciattamente e pigramente e opportunisticamente
assunti, da quello che è il pensiero dominante, la maggioranza vociferante,
diventi “di parte”? Una stronzata
sul filo di quella che da decenni ci dipinge la stampa anglosassone, la più
perfidamente e astutamente di parte padronale che esista, come lo standard
aureo, come quella obiettiva, imparziale, da imitare.
Purtroppo per Stefano non
finiva lì. Il migliore giornalista di questioni mediorientali che avessimo in
questo paese dei Polo-Barenghi, si sarà rivoltato nella tomba a vedere il
filmaccio di questa irriconoscibile Mai Masri. A chi possa essere venuto in
mente di dare a questo lavoro l’onore di commemorare Stefano Chiarini deve essere stato impiantato in capo un
chip fabbricato dal Mossad.
Ma, per carità, non era
mica di parte quel film su Beirut, figurarsi. Mai Masri è una garanzia. Non è
mica di parte fare un film sulla Beirut che viene trascinata all’invasione
israeliana dall’assassinio mossadiano del primo ministro Rafiq Hariri, in cui
si vedono e intervistano, invece, una dozzina di fighetti deculturizzati e
originalmente ignoranti della media e piccola borghesia cristiana e sunnita –
magliette qualunquiste, etti d’oro al collo -, totalmente incapaci di
articolare anche un solo pensiero pertinente sulla crisi libanese. Non è mica
di parte dedicare il 90% dell’estenuante carrellismo masriano all’illustrazione
della famigerata “rivoluzione dei cedri” (quella che l’oligarchia libanese,
foraggiata da oltremare e da Israele, allestì contro hezbollah e contro il
proletariato libanese sul modello serbo, ucraino e georgiano), facendo girare
telecamere e microfoni per giorni e notti tra le tende dell’accampamento
allestito in Piazza dei Martiri, quello nel quale si alternavano oratori come
Gemayel e Geagea, assassini responsabili di Sabra e Shatila e da sempre ascari
di Parigi, Washington, Tel Aviv e ora anche di Roma.
Non è mica di parte
commuovere presunti stupidotti in platea mostrando questi giovani virgulti
dell’ incoscienza da discoteca mentre, attorno a focarelli notturni, cianciano
inanità su come sarebbe bello se le varie confessioni si unissero, con un’unica
voce nel coro di questi sprovveduti che, nei cinque secondi che Masri gli da,
dice che forse in tutto questo casino libanese c’entra un po’ Israele che ha
invaso, bombardato, ammazzato e occupato il paese dal 1978 in poi.
Non è mica di parte
quella sciocchina, giovane filo conduttore della storia, che completa il suo
girovagare tra fustaccioni da camping e da università, pensando di iniziarsi
lacrimando alla pace e alla fraternità, in un accampamento allestito da
fascisti e finanziato dalla Cia. Non è mica di parte girovagare esclusivamente
tra questi rampolli di una borghesia grassa e rozza e non far spuntare neanche
il naso di un esponente di quel proletariato e sottoproletariato della banlieu
di Beirut e di tutti i campi libanesi che di questa gente è la controparte
nobile, matura, consapevole, quella che fa Libano, libertà, giustizia sociale.
E non mercimonio con il nemico dalle monete d’oro, dalla frusta, e
dall’attentato terrorista.
Bush-Ratzinger: matrimonio di fatto
Inciuci, inciuci,
inciuci. Alla lebbra qualunquista (cioè di destra) di una Mai Masri
bertinotizzata, stupefacentemene e dolorosamente per noi, si affianca la peste
bubbonica della perfetta bipartisaneria Bush-Ratzinger. S’era già capito,
direte, fin dai tempi del papa polacco che riscattava le sue propensioni
belliche e colonialiste (Croazia, America Latina, Africa, mondo) con gli eterni
vuoti cliché vaticanesi sulla pace e sui poveri. Sì, ma Woytila ero più furbo
dell’inquisitore fattosi panzerpapa. Per i benevolenti lo salvava la “carica
umana” e un buon naso pubblicitario. Non aveva l’occhio torvo e l’espressione
umanitaria stravolta dall’ipocrisia. Non era arrivato a congiungersi
carnalmente con l’intero esercito dei nazisionisti di Washington facendo
proclamare dal suo giornale “terrorista” chi aveva osato gettare la luce del
ricordo sul connubio papa-Pinochet e Francisco Franco, eroi cattolici da
omaggiare in vita e in morte . Lui, il pastore tedesco che sta fermo come torre
che non crolla – e lo ribadisce martellando in capo chi da lì si muove – nel
paesaggio virtuale inventato da alcuni furbacchioni duemila anni fa, dà del
terrorista a chi da questa fissità deduce una certa assenza di evoluzione. E
Bush e i suoi scherani, dall’altra parte dell’oceano, non s’impastano in questo
paesaggio dogmatizzando, contro l’evoluzionismo, Adamo, Eva, il serpente, la mela
e castronerie a seguire? E non ripetono con lui che l’Islam ha da mori’
ammazzato, visto che, come sentenziava l’imperatore Patologo seicento anni fa,
sono una massa di lestofanti? E
non fanno trenini di esultanza per tutta la Casa Bianca a vedere che il
criptorquemada detto B-16, subito dopo che Bush ha annientato il Brasile (e
gran parte del mondo) imponendogli, con al guinzaglio Lula, di dedicare metà
delle sue foreste alla coltivazione di agricarburanti, cibo per veicoli,
anziché per umani, va lì a garottare qualsiasi opposizione spedendo
all’inferno, insieme alle donne, tutta la Chiesa progressista brasiliana, unica
rimasta nel continente a sostenere la causa degli esclusi, affamati, derubati,
senza terra, sepolti dal mais transgenico per serbatoi di carburante.
Inciuci, signori,
inciuci! Più gente entra più bestie si vedono. L’inciucio è cresciuto a usanza
universale in questo paese, arriva a fondere in amoroso ludibrio sinistre e
destre, che è poi il connubio classico tra fanciulla innocente e ingenua e
vecchio marpione. All’università di Teramo hanno azzardato l’invito a una
conferenza del prof. Robert Faurisson, principe dei negazionisti della Shoah,
o, a essere precisi, dei ridimensionisti. Onore al merito: uno deve essere
libero, a termini di Costituzione e di Carta dei Diritti dell’Uomo, di
interpretare la storia come ritiene opportuno, di dire castronerie e cose
sublimi. Del resto, non c’è storia senza revisionismo. Ma, perbacco, non vi
risulta, cari teramani, che vacilla un po’ l’assunto della libertà
d’espressione, cara alla sinistra, se l’evento viene sottoscritto e promosso
dalla più fetida banda di neonazisti alla Claudio Mutti, da piduisti alla
Sinagra, e da ultradestri cultori dell’Europa carolingia, sanfedista e
imperialista, alla Associazione Identità Europa di Franco Cardini?
Il fondo glocal del barile
Non si salva nessuno.
Perfino nel mio paesello, nell’Alto Lazio, pensate cos’è successo all’insegna
dell’italiota ecumenismo alla cani e porci. E’ una primizia nazionale assoluta
ed è il segno che i destini del paese partono da laboratori clandestini di
provincia. L’Unione propone, in vista delle amministrative, elezioni primarie
per il candidato-sindaco. Esce a sorpresa un candidato eterodosso, non previsto
dai soliti noti del notabilato di centrosinistra, espressione di un fermento
ambientalista e partecipazionista, anti-cemento, anti-lobby, che si è andato
formando. La lobby, zeppa di vecchie volpi diessine delle costruzioni e degli
inghippi trasversali, diessini, margheriti, buoni-per-ogni-stagione vari, non
ci sta, annulla le primarie, il candidato e la sua lista di gente nuova e
perbene, cancella la lista dell’Unione e ne fa una civica, con dentro tutto e
il contrario di tutto, salvo i virgulti nuovi e freschi che erano venuti spuntando.
Pensate c’è, con DS, Margherita e un buontempone cementificatore che si dice
addirittura dei Comunisti Italiani, perfino l’UDC, ottimamente rappresentato da
un ex-assessore al bilancio di una bancarottiera e malavitosa giunta uscente,
postfascista e fascista, che, fatto il salto della quaglia di tutti i
galantuomini dotati di talento acrobatico, è passato dai malversatori di AN
alla lista civica centro-centro. Così, mentre in parlamento i partiti ancora
fanno finta di tergiversare, qui il grande centrodestra è già realtà e i
picciotti di Casini-Cuffaro-con-la-coppola restano al comando grazie
all’amplesso con gli eredi di Moro e Berlinguer. Come dice il titolo, siamo al
fondo e quelli scavano.
Fulvio Grimaldi
Mondocane Fuorilinea
15.05.2007